Sufismo

misticismo islamico
Versione del 16 giu 2005 alle 00:16 di Marcok (discussione | contributi) (+incipit minimo; avvisoNPOV e wikificare)

Template:AvvisoNPOV

Il Sufismo è una forma della religione islamica.

Il termine arabo ""sufi forse deriva dalla lana (in arabo suf) con cui erano intessuti gli umili panni dei primi mistici musulmani. Il tasawwuf (termine che, più che misticismo, implica il concetto di esoterismo, da cui andranno però respinti i cascami che spesso al termine impropriamente s'accompagnano) è fenomeno diffusissimo nell'Islam e questo per la mancanza di un sacerdozio islamico che si arroghi il compito di mediare fra Dio e le Sue creature umane.

È dunque perfettamente normale e legittimo (forse anche doveroso) che il musulmano cerchi Dio personalmente, e il suo tentare di mettersi con Lui in contatto prevede un processo di ascesi che obbliga a una lunga disciplina interiore per la quale è necessaria l'opera di un Maestro che funga da "guida" spirituale.

La grande diffusione del sufismo deriva senz'altro dalla massiccia "giuridicità" dell'Islam ufficiale. Partendo dall'idea che il Bene è Dio, ne deriva che fare il Bene è ubbidire alla Sua volontà (e infatti il muslim, il musulmano, è chi si assoggetta a Dio senza questionare). Fare il Male, di conseguenza, è disubbidirGli.

Per conoscere quale sia la volontà divina, vista l'assoluta impossibilità umana di capire Dio, ci si deve rifare alle Sue parole. Alla Sua Rivelazione che, per eccellenza, è il Corano, considerato vera e propria "parola di Dio" (kàlimat Allàh).

Il Corano, tuttavia, non è sempre facile da capire e da interpretare. Da qui la necessità di profondi studi e il ruolo egemonico assunto inevitabilmente dai sapienti [‘ulamà') che a questa meritevole opera si dedicano. Il loro responso è però opinione puramente personale, per quanto autorevole, e diventa consigliabile seguirla, o addirittura cogente, solo quando essa abbia raccolto un consenso maggioritario o unanime degli altri dotti più qualificati.

Ne deriva una certa paura per il fedele musulmano di interpretare in modo scorretto il dettato coranico ed egli tenderà quindi a seguire alla lettera, pur rendendosi conto del rischio di un formalismo vuoto di contenuti. Il rischio di sbagliare e di commettere perciò un atto di disobbidienza a Dio (e quindi di peccato) è sempre presente e questo ha conseguenze tutt'altro che teoriche. Da qui una certa pedissequità nell'assolvere al dettame coranico con atti che dall'esterno le liturgie islamiche possono essere viste come macchinose e destituite di convinta partecipazione ma che il fedele temrà di scansare a rischio di peccare. Il tutto avviene, in modo assolutamente analogo, anche nell'Ebraismo, religione anch'essa fortemente ritualistica, basata come è su un codice di comportamento rivelato divinamente e da seguire alla lettera.

Il percorso di avvicinamento a Dio comporta un certo rischio di antinomismo, di non ottemperare cioè alla Legge islamica e a comportarsi in modo troppo libero. Da qui l'ostilità di alcuni ambienti teologico-giuridici islamici e innanzi tutto di alcune propaggini del hanbalismo, fondato da Ahmad ibn Hanbal che era peraltro tutt'altro che ostile al sufismo. Sono note in proposito alcune dure prese di posizione di Ibn Taymiyya, un hanbalita vissuto in età mamelucca considerato ispiratore dei movimenti "fondamentalistici" islamici che dimenticano talora come anche Ibn Taymiyya fosse anch'egli non sfavorevole a un equilibrato sufismo, esente cioè da quelle esagerazioni comportamentali (shatahàt) che scandalizzavano e possono ancor oggi scandalizzare i benpensanti musulmani.