Cohortium Vigilum Stationes
Le Cohortium Vigilum Stationes erano, nell'antica Roma, le caserme dei vigiles urbani, cui spettava lo spegnimento degli incendi (vigili del fuoco) e lo svolgimento di compiti di polizia, soprattutto nelle ore notturne.

Il corpo dei vigiles fu istituito da Augusto nel 6 d.C. ed era costituito da 7 coorti, ciascuna comandata da un tribuno e a sua volta costituita da 7 centurie, ognuna comandata da un centurione e costituita da 70-80 uomini.
Ogni coorte era tenuta a sorvegliare e intervenire su due regioni dell'Urbe[1].
Più in dettaglio, si riportano le regioni di competenze per ciascuna coorte:
- I coorte: regioni VII e IX
- II coorte: regioni III e V
- III coorte: regioni IV e VI
- IV coorte: regioni XII e XIII
- V coorte: regioni I e II
- VI coorte: regioni VIII e X
- VII coorte: regioni XI e XIV
Oltre alle 7 caserme, in ogni regione era presente un excubitorium (in totale erano quindi 14)[1], dislocati in maniera tale da rendere rapido l'intervento di spegnimento degli incendi, che era per lo più effettuato abbattendo gli edifici circostanti al focolaio, in modo da impedire la propagazione delle fiamme.
Delle 7 caserme, ne sono state identificate con sicurezza 4:
- I cohors: sul lato orientale della Via Lata, di fronte ai Saepta Iulia
- III cohors: sul Viminale
- IV cohors: vicino alle terme di Caracalla
- V cohors: sul Celio, nei pressi della basilica di Santa Maria in Domnica
Probabilmente la stazione della VII cohors si trovava in prossimità del ponte Emilio. Inoltre, è noto l'excubitorium della VII cohors, visitabile in via della VII Coorte a Trastevere.
Storia
I primi vigiles utilizzavano abitazioni ed edifici privati sequestrati come posti di comando. Solamente verso la metà del II secolo d.C. nuove caserme furono appositamente edificate. Al principio del III secolo furono edificate anche delle sottostazioni, chiamate excubitoria, dove potevano alloggiare circa 40-50 uomini, per poter intervenire più rapidamente nei nuovi quartieri della città in espansione.
Descrizione delle stationes
Statio I
Questa stazione sorgeva a est della via Lata, di fronte ai Saepta Iulia[1][3]. La planimetria di questa stazione è conservata su un frammento della Forma Urbis Severiana. Si tratta di un edificio rettangolare con l'asse principale disposto in direzione nord-sud formando un angolo di 18° con la Via Lata. L'edificio è diviso in tre parti, ciascuna delle quali possiede un cortile centrale attorniato da un portico su cui si aprono le camere. Resti dell'edificio portati alla luce nel corso di scavi del XVII secolo dimostrarono che però l'edificio fu modificato considerevolmente successivamente al periodo severiano[1].
Statio II
La II stazione sorgeva sull'Esquilino, presso il margine meridionale di piazza Vittorio Emanuele[1][4].
Statio IV
Questa stazione sorgeva sull'Aventino, appena a nord della basilica di San Saba[1][5].
Statio V
La stazione V sorgeva sul Celio, appena a ovest del Macellum Magnum[1][6]. Oltre a iscrizioni, tracce dell'edificio furono rinvenute nel corso di scavi effettuati nel XVI secolo e nel 1820[1].
Note
- ^ a b c d e f g h Samuel Ball Platner (completato e rivisto da Thomas Ashby), A Topographical Dictionary of Ancient Rome, Oxford University Press, Londra, 1929, p. 128-130.
- ^ CIL VI, 3020 = CIL VI, 37247
- ^ CIL VI, 233, CIL VI, 1056, CIL VI, 1092, CIL VI, 1144, CIL VI, 1157, CIL VI, 1180, CIL VI, 1181, CIL VI, 1226; inoltre, non rivenute in situ: CIL VI, 2959, CIL VI, 2960, CIL VI, 2961.
- ^ CIL VI, 414, CIL VI, 1059; inoltre, rinvenute non in situ: CIL VI, 2962, CIL VI, 2963, CIL VI, 2964, CIL VI, 2965, CIL VI, 2966, CIL VI, 2967, CIL VI, 2968, CIL VI, 32752.
- ^ CIL VI, 219, CIL VI, 220, CIL VI, 643, CIL VI, 1055; inoltre, rinvenute non in situ: CIL VI, 2972, CIL VI, 2973, CIL VI, 2974, CIL VI, 2975, CIL VI, 2976.
- ^ CIL VI, 221, CIL VI, 222, CIL VI, 1057, CIL VI, 1058; inoltre, rinvenute non in situ: CIL VI, 2977, CIL VI, 2978, CIL VI, 2979, CIL VI, 2980, CIL VI, 2981, CIL VI, 2982, CIL VI, 2983.
Bibliografia
- Samuel Ball Platner (completato e rivisto da Thomas Ashby), A Topographical Dictionary of Ancient Rome, Oxford University Press, Londra, 1929, p. 128-130.