Metodo Photolangage
METODO PHOTOLANGAGE
Photolangage è un termine francese che significa “Foto-linguaggio”. Esso fa riferimento al metodo usato per fare interviste tramite l'uso di immagini e, allo stesso tempo, ai dossier di foto costruiti appositamente.
Storia del Photolangage
Il Photolangage nasce in Francia, a Lione, nel 1968 grazie a Pierre Babin, formatore, Alain Baptiste, psicosociologo e Claire Belisle psicologa. Essi decisero di utilizzare una serie di immagini durante una seduta con degli adolescenti per aiutarli ad esprimersi. Usare questo metodo li portava ad usare la foto come tramite per raccontare se stessi, parlavano di sé indirettamente e non dovevano concentrare lo sguardo persone presenti. Visti i buoni risultati vennero ufficialmente pubblicati dei dossier di foto suddivise in tematiche e si decise di utilizzare questo metodo anche alla formazione degli adulti . In Francia una spinta importante venne data dalla legge del 1971 che estendeva l’educazione permanente (lifelong learning) a tutta la popolazione adulta attiva. [1]
Photolangage come metodologia di gruppo
Quando nel Photolangage si parla di metodologia di gruppo, significa prendere in considerazione un insieme ristretto di partecipanti, composto all’ incirca da 10-15 persone, con lo scopo di approfondire determinate tematiche, rendendo partecipe ogni singolo membro, nel raccontarsi attraverso la scelta di una fotografia, sul tema sollevato nell’ incontro. L’intero ciclo d’incontri viene guidato da un animatore e uno psicologo, due figure importanti per la riuscita del lavoro. L’animatore chiede ai partecipanti di utilizzare la fotografia scelta per interagire in modo soggettivo, raccontarsi con semplici parole e condividere insieme al resto del gruppo: sensazioni, paure, avventure, sentimenti, in relazione al tema trattato. Ogni incontro, solitamente richiede un tempo di un paio d’ore. Si apre con la presentazione del tema, segue la disposizione delle foto sui tavoli, prosegue con la scelta dell’immagine da parte di ogni membro e la discussione, a tale proposito le domande poste ai partecipanti, non dovrebbero essere troppo dirette e nemmeno troppo lunghe. Ad ogni incontro, la consegna varia ed è scelta dall’ équipe sulla base delle dinamiche emerse dal colloquio precedente. Prendendo in considerazione gli spazi utili per mettere in pratica il metodo, principalmente vi è bisogno di una grande sala, che abbia a disposizione ulteriori due spazi:
- un primo luogo dove i partecipanti possono camminare intorno a dei tavoli nei quali sono state disposte le foto
- un secondo luogo nel quale si svolgerà successivamente il lavoro di gruppo con l'animatore.
Vi sono delle importanti caratteristiche che evidenziano la divisione dei due luoghi in termini di tempo e situazioni, infatti nel primo è rilevante la scelta che il singolo partecipante fa e il tutto si svolge in silenzio e con libertà di camminare nello spazio. Il secondo momento è caratterizzato invece dall'ascolto e dalla condivisione con gli altri. È importante ricordare che in questo metodo, il ruolo dell'animatore può essere considerato attivo poiché egli partecipa al gioco; è fondamentale questo aspetto in quanto è di aiuto nella dinamica di gruppo, sostiene i partecipanti nel tollerare l'ansia che inizialmente si potrebbe creare. Gli animatori si mettono in gioco per accelerare l'apertura nel dialogo dei partecipanti, per favorire il racconto delle loro esperienze e lasciar esprimere le emozioni che provano. Il primo contatto con persone sconosciute è normale che crei disagio e paura di essere giudicati, questa modalità offre quindi ai partecipanti di identificarsi con gli animatori ed essere stimolati nell'interazione con il gruppo.
Svolgimento di una seduta di gruppo
Una seduta di gruppo necessita la disponibilità di due spazi con caratteristiche specifiche. Ogni ambiente prevede un momento particolare della seduta. Prima di tutto l’animatore pone al gruppo la domanda, dopodiché chiede ad ogni partecipante di scegliere in silenzio una foto. Le foto sono disposte in ordine casuale sopra ad un tavolo che dev’essere accessibile da tutti i lati. Il partecipante sceglie l’immagine in silenzio e solo con lo sguardo, lasciando agli altri la possibilità di vedere tutte le foto disponibili. La varietà delle foto predisposte dovrebbe permettere al soggetto di trovare quella che più corrisponde alle proprie emozioni e riflessioni in merito alla domanda. Una volta trovata la foto il partecipante si siede nel cerchio di sedie ad aspettare che tutti abbiano scelto. Quando il cerchio è completo l’animatore invita a prendere in mano la foto scelta e sedersi nuovamente. Se una foto è stata scelta più volte la terrà in mano il primo a parlare e la passerà poi agli altri componenti del gruppo. Qui inizia il secondo momento della seduta la condivisone della risposta al gruppo, tutti sono seduti in cerchio ognuno con un’immagine in mano. L’animatore spiega che la presentazione sarà su base volontaria è che è possibile intervenire su quella altrui, sottolinea l’importanza dell’ascolto. Il racconto scaturito dalla narrazione della foto è simile a quello poetico, e facilita la comunicazione. Attraverso questa narrazione emergono punti di vista diversi su una stessa immagine, arricchendo così ogni partecipante. Il soggetto si riconosce nella foto scelta, ma può trovarsi o scontrarsi con l’interpretazione che gli altri ne danno. Egli però non sente un attacco alla propria persona ma solo all’idea collegata all’immagine. Il fatto che seduto in cerchio vi sia anche l’animatore fa si che il clima risulti più disteso perché i partecipanti non lo percepiscono come supervisore esterno e distaccato ma come proprio pari.
Note
Bibliografia
- Bichi R., ' 'L’intervista biografica. Una proposta metodologica' ', Milano, Vita e Pensiero, 2002, pp. 47-56
- Corbetta P., ' 'Metodologia e tecniche della ricerca sociale' ', Bologna: il Mulino, 2014
- Frison, D., ' 'Dialogare con le immagini. L’uso delle immagini nella ricerca e nella formazione esperienziale' ' , in Fòrema; M. Fedeli, L. *Frontani, & L. Mengato (a cura di), Experiential ' 'Learning - Metodi, Tecniche e Strumenti per il Debriefing' ', (pp. 73-88). Milano: Franco Angeli, 2015
- Mantovani S., ' 'La ricerca sul campo ineducazione. I metodi qualitativi' '. Milano: Bruno Mondadori, 1998
- Messina L., ' 'Andar per segni percorsi di educazione ai media' ', Cleup, 2005 pp. 39-63
- http://www.metodophotolangage.it/metodo-photolangage/ Ultima consultazione: 29/11/2015
- http://www.photolangage.com/presentation.php Ultima consultazione: 10/12/2015
Voci correlate
Francia Lione Pierre Babin Alain Baptiste Claire Belisle lifelong learning elio Cahlet Organisation animatore psicologo emozioni stereotipi formazione psicologia sociologia deontologico
Collegamenti esterni
- Sito ufficiale italiano del metodo Photolangage
- Sito ufficiale francese del metodo Photolangage
- Intervista in italiano a Claudine Vacheret sull'uso del metodo con pazienti tossicomani
- Abstract di Claudine Vacheret sul metodo Photolangage
- Sito italiano con presentazione power point del metodo Photolangage