Fortilizio dei mulini
StatoItalia (bandiera) Italia
Città Spoleto
Coordinate42°43′56.4″N 12°44′42.7″E
Informazioni generali
Condizione attualerudere fatiscente
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Il fortilizio dei mulini è un impervio edificio turrito situato a Spoleto, all'estremità verso Monteluco del Ponte delle Torri. Seppur ridotto a rudere fatiscente, è parte del panorama più famoso e caratteristico della città.

Storia

Probabilmente esisteva già una fortificazione a difesa di una precedente struttura romana poi sostituita dall'attuale Ponte delle Torri. Non si conosce l'esatto anno di costruzione del fortilizio, forse venne eretto, o solamente consolidato, in epoca tardo medievale, nel periodo in cui il cardinale Albornoz intraprese importanti iniziative edilizie a Spoleto affidate all'architetto Matteo Gattaponi, come la costruzione della Rocca e la sistemazione dell'antico ponte/acquedotto romano, alzato e ingrandito come lo vediamo oggi. La sua funzione prevalente era di vigilanza: una torre di avvistamento che sorvegliava la via sul ponte, facile da battere e bersagliare. La sua posizione, in perfetto allineamento con una delle più robuste torri (La Torretta) della Rocca, consentiva di segnalare facilmente eventuali pericoli, con segnali di fumo o sbandieramenti.


e l'ultimo tratto dell'antico acquedotto di Spoleto; all'altro estremo la vigilanza veniva garantita dalla possente fortezza, la Rocca Albornoziana.

Il fortilizio rappresentava il punto di confluenza di due acquedotti, quello di Cortaccione e quello proveniente da Patrico. Prima di percorrere il canale sopra il ponte, l'acqua si riversava in serbatoi adattati fin dal XIV secolo nel fortilizio, dando impulso a due mulini, uno dei quali è rimasto attivo fino a fine ottocento.

Il primo cenno dell'edificio si trova in un testo del 1572 dedicato alle biografie di Braccio Fortebraccio e di Nicolo Piccinino Perugino. Gli autori descrivono il tentativo del condottiero di impadronirsi della Rocca nell'aprile 1419[1], assalendo prima il fortilizio in incognito, come semplice gregario di una schiera di armati:

«[...] ai monti vicini dalla Rocca si passa per un ponte fondato sopra molte pilastre, e tanto alto ch'abbaglia la vista di chi rimira à basso, nella fin del ponte surge à mezzo del monte una Torre alta e gagliarda, acciocché quei di dentro, facendosi qualche tumulto dal popolo contro la Rocca, possano ricevere il soccorso da fuori, e i nemici non possano occupare il ponte, guardato dalla Torre [...] Braccio presa che hebbe la Torre, cercando di occupare il ponte, del quale havea già libera l'entrata, combatteva anch'egli coperto da uno scudo [...] mentre egli così combatteva, una freccia tirata dalla Rocca gli trapassò un piede...[2]»

Dovette ritirarsi e rimase zoppo per sempre. Altri tentativi disposti dalle sue truppe contro la Rocca non ebbero fortuna alcuna.

negli annali di Parruccio Zampolini in cui viene indicato come "lu mulinu a botte"[3]. Fu abbandonato una prima volta nel XVI secolo e solo nel 1601 venne restaurato per volontà di Fabrizio Perugini vescovo di Terracina, luogotenente a Spoleto del cardinale Cinzio Aldobrandini. A questo intervento appartiene la costruzione di un passaggio pensile evidente nell'iconografia dell'epoca. Di nuovo viene usato come mulino [4]

 
Fortilizio dei mulini. Spoleto
 
Fortilizio dei mulini. Spoleto 7
 
Fortilizio dei mulini. Spoleto 3

L'edificio fu del tutto abbandonato dopo

Note

  1. ^ Carlo Bandini, La rocca di Spoleto, Spoleto, Tipografia dell'Umbria, 1933, p. 82.
  2. ^ Gio. Antonio Campano e Giovanbattista Poggio Fiorentino, L'Historie et vite di Braccio Fortebracci detto da Montone, et di Nicolo Piccinino Perugino, su books.google.it, tradotto in volgare da M. Pompeo Pellino Perugino, Venezia, 1572, p. 86. URL consultato il 17 febbraio 2016.
  3. ^ Parruccio Zampolini, Frammenti degli annali di Spoleto di Parruccio Zampolini dal 1305 al 1424 (PDF), in Achille Sansi (a cura di), Memorie umbre - Documenti storici inediti, p. 22. URL consultato il 13 febbraio 2016.
  4. ^ Carlo Bandini, Monte Luco, con prefazione di Ugo Ojetti, Spoleto, Claudio Argentieri Editore, 1922, p. 72.