Cerchi delle fate

 
Cerchi delle fate


I cerchi delle fate, così chiamati dalle popolazioni locali, sono zone circolari prive di vegetazione circondati da un anello di erba alta del genere Stipagrostis. Distribuiti in maniera irregolare essi si presentano lungo una fascia di 2.000 chilometri che percorre il margine orientale del deserto della Namibia meridionale, dall’Angola fino alla parte nord occidentale del Sudafrica.

I cerchi non sono perenni. In media vivono per circa 24 anni, ma alcuni di essi soprattutto i più grandi, raggiungono anche i 75 anni. L’apparire e lo scomparire dei cerchi è stato verificato e confermato dallo studio di alcune immagini satellitari prese a quattro anni di distanza l’una d’altra.

Dal diametro variabile (dai 2 ai 12 metri), i cerchi delle fate sono un fenomeno ancora sconosciuto, anche se negli ultimi 40 anni molte ipotesi scientifiche sono state proposte.

Lo stesso fenomeno è stato riscontrato anche nel Sudan, nel Kenya orientale e nel 2004 a 15 km dalla città di Newman nell’Australia orientale.

Credenze popolari

Tra le popolazioni locali che vivono nel nord della Namibia, gli Himba, si crede che i cerchi siano un fenomeno legato all’intervento divino. Essi rappresenterebbero le impronte del loro Dio Mukuru che porta la pioggia e guarisce i malati.

Una leggenda di questo popolo sostiene che i cerchi delle fate vengano creati dal respiro velenoso di un drago che vive nel sottosuolo. Il gas sale in superficie ed uccide le piante presenti nei cerchi.

Si pensa anche che i cerchi siano piste di atterraggio per gli Ufo, oppure zone dove dormirebbe l’orice, un animale comune nelle terre sabbiose della Namibia.

Teorie scientifiche

La verifica delle molteplici teorie scientifiche si basa sull’ampia elaborazione di dati matematici, il cui obiettivo è quello di spiegare e tracciare uno schema per i cerchi delle fate, ricercando eventuali organismi o veleni che possano influire nella trasformazione dei cerchi o causarne la morte.

In tal modo, nel tempo sono stati catalogati grandi quantità di dati usati per cercare di svelare il mistero associato ai cerchi delle fate. Ciononostante essi ancora oggi rimangono un mistero.

Walter Tschinkel

Walter Tschinkel professore di Scienze Biologiche presso la Florida State University nel Tallahassee ha studiato per 4 anni delle immagini satellitari scattate al NamibRand Nature Reserve in Namibia, luogo dove nei primi anni 70 sono apparse le prime formazioni circolari.

In seguito al suo viaggio nelle terre della Namibia, Tschinkel in un primo momento ha sospettato che le termiti siano le principali cause della formazione dei cerchi.

Tuttavia dopo un'attenta ricerca e una estrapolazione di informazioni dai dati raccolti su un'altra specie di termiti del deserto (Baucaliotermes), non ha trovato nessun nesso diretto con i cerchi, anche se le gallerie sotterranee costruite da quest’ultime e le loro colonie sono molto più ampie rispetto alle termiti della sabbia.

In seguito il ricercatore ha ipotizzato: «È possibile che la causa di tutto sia una qualche forma di autoregolazione tra le piante esistenti. Faccio riferimento ad alcuni modelli matematici che ipotizzano che alcune piante possono attrarre risorse minerarie presenti nel suolo verso di loro, ma se da un lato comporta un beneficio per tali piante, dall’altro determina l’impossibilità per altre piante di occupare aree più lontane».

I modelli matematici a cui fa riferimento portano alla formazioni di cerchi, ma al momento non si è in grado di capire come le piante creino tali cerchi.

Jean-Baptiste Ramond

Dr Jean-Baptiste Ramond ecologista microbico presso l’Università di Pretoria nel Sudafrica, ha in programma di misurare le sostanze organiche presenti nel terreno dei cerchi della Namibia.

In termini di ecologia microbica, “traccerà” le molecole per scoprire quali sono gli organismi nel terreno che potrebbero contribuire a quello che chiamano fenomeno della morte dei cerchi, così come nella ricerca di tossine fungine.

Per confermare la sua ipotesi Ramond ha scavato un buco di circa 10 cm in profondità nel centro di un cerchio per inserire al loro interno dei dispositivi elettronici: un sensore per misurare la temperatura e l'umidità ogni 10 minuti, e un colino da tè che contiene piccole fasce di budello pesca.

Un'altro sensore è posto appena sotto la superficie, in modo che i ricercatori possano confrontare la temperatura e l’umidità sotterranea con la temperatura e l'umidità in superficie.

Sviluppati presso l'università, questi sensori sono dei campionatori passivi di gas, che misurano i livelli di gas sotto i cerchi delle fate, e può aiutare a scoprire se esso è la ragione per la mancanza di piante al centro dei cerchi.

Stephan Getzin

Stephan Getzin, un ecologista al Helmhotlz Centre for Environmental Research in Leipzig in Germania, sostiene che il fenomeno dei cerchi delle fate non sia una conseguenza dell’eruzione di gas tossico presente nel sottosuolo in grado di uccidere le piante e gli insetti che abitano i terreni sabbiosi del deserto.

L’ecologista sostiene che i cerchi sarebbero quindi, il risultato di una riorganizzazione nel terreno di specie vegetali che competono tra loro per arrivare alle risorse necessarie alla loro sopravvivenza, come l’acqua(in modo analogo in cui giovani alberi si distribuiscono nelle foreste per assicurarsi di avere abbastanza nutrimenti per crescere).

Tale fenomeno prende il nome di SELF ORGANIZING SPATIAL VEGETATION PATTERING.

Per confermare tale ipotesi Getzin ha analizzato delle immagini satellitari scattate di un’area a nord ovest della Namibia, dove compaiono i cerchi. Getzin e la sua equipe hanno osservato per l’appunto che queste strutture si formano in zone aride, al confine tra i terreni erbosi e le aree deserte.

I cerchi quindi sarebbero strutture dinamiche. In sostanza essi si formano e scompaiono secondo un ciclo vitale che si ripete anche se alcuni di essi sono spariti, altri invece lentamente stanno scomparendo.

Michael Cramer e Nicole Barger

Il gruppo di lavoro che include Michael Cramer, un biologo dell’università del Città del Capo, e Nicole Barger un ecologista all’università del Colorado, hanno sostenuto che i cerchi delle fate si vengano a formare non a causa di emissioni sotterrane di gas. In accordo con Stephan Getzin ritengono che i cerchi siano modelli della vegetazione naturali risultanti dalla competizione per le scarse risorse presenti nel terreno.

Per verificare tale ipotesi il team ha iniettato isotopi nel centro dei cerchi per mappare il flusso dell’acqua.

Cramer e Barger, inoltre hanno pubblicato un documento dichiarando che i 'heuweltjies',tumuli circolari di terra, che si trovano in Sudafrica sono creati da un sistema di auto-organizzazione, piuttosto che dalle termiti, ipotesi sostenuta da altri ricercatori.

Norbert Jurgens

Norbert Juergens, ricercatore del Biozentrum Klein Flottbek di Amburgo, ha concentrato le sue ricerche in una fascia di deserto lunga 2.000 km che va dall’Angola al Sudafrica, studiando i cerchi nelle loro diverse fasi di vita. Le ricerche del biologo sono iniziate circa un anno dopo quelle di Tschinkel. Ha iniziato viaggiando attraverso l’Africa nel 2006 comprese nelle zone più remote dell'Angola.

Ha registrato ogni segno di vita animale presente dentro e fuori da cerchi, come tracce, escrementi, resti. Ha inoltre scavato delle buche al centro dei cerchi verso l’esterno in modo da poter trovare organismi sotterranei che potrebbero nascondersi nel sottosuolo. Juergens ha osservato numerose specie che vanno dagli insetti agli uccelli ai mammiferi che passano del tempo nei cerchi, mangiando le termiti unica loro fonte di nutrimento, nell'erba alta perimetrale, oppure predando altre specie che si aggregano nelle vicinanze.

Quel che ha particolarmente interessato Juergens è stato il fatto che le termiti della specie Psammotermes allocerus sono gli unici animali presenti nel suolo quando i cerchi iniziano a formarsi. Le termiti si cibano delle radici della vegetazione che cresce dopo le piogge; esse infatti creano le condizioni ideali per garantire il mantenimento dell’umidità in modo da trattenerla per lunghi periodi nel sottosuolo, assicurando la sopravvivenza degli insetti nell’ambiente desertico.

Il biologo, infatti, ha trovato che nei primi 100 cm di suolo si concentrano ben 5 cm di acqua la quale rimane persino durante la stagione secca. Dentro l’anello l’acqua piovana non viene persa perché non evapora attraverso le piante ma viene conservata nelle profondità del suolo sabbioso. L’accumulo d’acqua aiuta l’erba a crescere e a prosperare lungo i margini del cerchio trasformando in breve un deserto in un prato permanente.