Chiesa di San Sabino
Facciata
StatoItalia (bandiera) Italia
Regione  Umbria
LocalitàSpoleto
Coordinate42°45′53.07″N 12°43′53.47″E
ReligioneCristiana cattolica di rito romano
TitolareSan Sabino
DiocesiArcidiocesi di Spoleto-Norcia
Stile architettonicoRomanico
CompletamentoXII secolo d.C.

La chiesa di San Sabino si trova in una zona periferica di Spoleto, a circa tre kilometri a nord, alla sinistra della vecchia via Flaminia. È dedicata a Sabino (o Savino) vissuto tra il III e il IV secolo, probabilmente vescovo di Spoleto[1], martire cristiano ucciso nel 310 sotto Gaio Aurelio Valerio Diocleziano e Massimiano. L'edificio attuale risale al XII secolo; sorge in un'area cimeteriale di epoca romana, attestata da numerosi ritrovamenti di sarcofagi.

Storia

Sabino

La tradizione locale afferma che il vescovo Sabino fu arrestato ad Assisi insieme ad altri ecclesiastici, venne imprigionato e gli furono amputate le mani[2]. Nonostante avesse miracolato e guarito il proprio aguzzino, venne trasferito a Spoleto e qui ucciso a bastonate[3]. Fu seppellito a un miglio dalla città, in un punto intorno al quale si estese poi un'area cemeteriale, secondo la modalità ad sanctum: sepolture che per devozione si concentravano vicino alla tomba di un martire. La diffusione del culto seguì le peripezie delle reliquie del corpo che, secondo tradizione, furono suddivise e trasportate in diversi luoghi: Fusignano, Ivrea, Fermo, Agliano Terme.

Scrissero di lui storici come Gregorio Magno, Procopio di Cesarea e Paolo Diacono; quest'ultimo in Historia Langobardorum raccontò di quanto Sabino fosse venerato dai longobardi lungo tutto l'alto medioevo, e di come il duca Ariulfo iniziò a considerarlo suo protettore quando nel 601, visitando la chiesa, in un'immagine di Sabino dipinta all'interno, riconobbe il valoroso soldato che lo aveva aiutato e difeso in battaglia contro i bizantini. Riferendosi all'edificio, il duca lo definì una "tam ampla domus", un ampio e maestoso palazzo. Lo stesso Diacono intorno al 787 menzionò "la basilica del beato martire Sabino vescovo... in cui riposa il suo corpo venerabile"[4].

Sia gli spoletini sia i longobardi, preparandosi a partire per le campagne militari, erano soliti trascorrere la notte prima della partenza raccolti in preghiera nella sua chiesa.

La chiesa

Sulla tomba di San Sabino sorse un edificio forse già nel VI secolo[5]. Frammenti di iscrizioni, grandi massi in travertino visibili nella parte inferiore del portale e nella zona absidale, alcuni dei quali misurano circa due metri, rappresentano le parti più antiche e documentano l'esistenza dell'edificio fin dall'alto medioevo; l'impiego di materiali di spoglio recuperati dalla necropoli e da altri edifici romani presenti in zona, ricordano la disposizione di Teodorico il Grande circa il riuso di materiali di antichi edifici in rovina[6].

La struttura attuale è decisamente di epoca romanica; occupa circa cinquecento metri quadrati e sorge su di un'area cemeteriale. La costruzione della zona absidale priva di lesene e con ampi archetti pensili, è stata fatta risalire al secolo XI, mentre per l'interno è stato ipotizzato il secolo XII avanzato[5].

Nuovi restauri furono eseguiti nel cinquecento ma di loro non resta traccia; all'interno la costruzione dell'altare barocco, avvenuta nel 1623, nascose completamente la decorazione medievale dell'abside centrale; altri interventi, che mutarono completamente l'originaria struttura, si resero necessari dopo il terremoto del 1767[5].

Descrizione

Esterno

La facciata è semplice; la ricostruzione della metà superiore e l'apertura della grande finestra trapezoidale, sono frutto del restauro successivo al terremoto del 1767. Il portale si presenta frammentario, con incavature irregolari nell'arco superiore; la parte inferiore è meglio conservata nelle sue forme originali, gli stipiti, costituiti da pezzi marmorei di spoglio, presentano delle cavità regolarmente disposte. Le absidi e il fianco destro della chiesa mostrano tuttora l'assetto originario, caratterizzato dalla presenza di grandi blocchi romani di reimpiego.

Interno

L'interno è a tre navate absidate e cinque campate, con volte a sesto acuto sostenute da pilastri alternati a colonne, sormontate da semplici capitelli. Il presbiterio è sopraelevato per la presenza della sottostante cripta a oratorio, a cui si accede attraverso due scalinate laterali. La sua struttura, ripartita in quattro navatelle, è simile ad altre cripte di chiese spoletine come San Ponziano e San Gregorio Maggiore. L'assetto interno della chiesa è frutto di una risistemazione effettuata verso la fine del secolo XII o l'inizio del XIII.

Profonde trasformazioni hanno continuato ad interessare l'interno dell'edificio nei secoli successivi, ne sono testimonianza il soffitto ligneo a cassettoni, gli altari barocchi (compreso quello maggiore, costruito nel 1624, a chiudere l’abside centrale) e, alla fine del sec. XVIII, la costruzione di una sacrestia con soffitto ligneo a cassettoni. Questa ha una copertura a volta sostenuta da colonne romane, anch'esse di recupero.

Gli affreschi

Nell'abside ci sono affreschi pregiati (l'angelo, la Madonna col bambino e S. Anna, la Madonna col bambino).

 
Interno

La tradizione racconta che qui S. Francesco ebbe il sogno che lo convinse a cambiare vita.

 
Altare maggiore

La frammentaria decorazione dell'abside di San Sabino, forse è opera di Alberto Sotio.

Bibliografia

Note

  1. ^ Varie città dell'Italia centrale ritengono sia stato loro vescovo: oltre a Spoleto anche Assisi, Chiusi, Faenza, Sulmona e Fermo. Cf.: San Savino (Sabino) di Piacenza, su santiebeati.it. URL consultato il 18 ottobre 2017.
  2. ^ Alban Butler, San Sabino, vescovo d'Assisi, in Vite dei padri, dei martiri e degli altri principali santi, Venezia, Giuseppe Battaggia, 1825, p. 395. URL consultato il 18 ottobre 2017.
  3. ^ Domenico di Sant'Eusanio, L'Abruzzo-Aquilano-Santo: o sia vite de'santi, beati, ed altri servi insigni, Tipografia Gran Sasso d'Italia, 1849, pp. 485-493. URL consultato il 26 ottobre 2017.
  4. ^ Paolo Diacono, Vita dei Longobardi, a cura di Italo Pin, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1990, p. 93.
  5. ^ a b c Lamberto Gentili, Luciano Giacché, Bernardino Ragni e Bruno Toscano, L’Umbria, Manuali per il Territorio. Spoleto, Roma, Edindustria, 1978, pp. 592, 594.
  6. ^ Achille Sansi, I Duchi di Spoleto (PDF), p. 28.

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