L'incendio del Narodni dom (Casa del popolo o Casa nazionale in sloveno) del 13 luglio 1920 distrusse la sede delle organizzazioni slovene di Trieste. Nell'edificio trovavano sede un teatro, una cassa di risparmio, un caffè e l'hotel Balkan, nome col quale era anche noto all'epoca il palazzo. Le vicende che portarono al rogo vanno inquadrate all'interno della pluridecennale lotta per il predominio sull'Adriatico orientale fra popolazioni slave (prevalentemente croate e slovene) e italiane, iniziata ancora nell'ambito dell'Impero austro-ungarico. Lo scoppio della prima guerra mondiale, l'entrata in guerra dell'Italia, il disfacimento dell'Impero, le trattative di pace e le successive fortissime frizioni fra l'Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni furono gli eventi più recenti, precedenti e contemporanei al rogo del Narodni dom. La vicenda è anche considerata la prima grande azione di piazza del nascente squadrismo fascista, nell'ambito di quello che successivamente venne definito fascismo di confine[1].

Inquadramento storico

Lo stesso argomento in dettaglio: Stato da Mar, Istria, Dalmazia e Incidenti di Spalato.

Alla caduta della Repubblica di Venezia, l'Impero austriaco - dopo un breve intervallo francese (1806-1814) - aveva inglobato tutti i possedimenti della Serenissima: il Dogado (costituito dalla città di Venezia e dalle zone ad essa più vicine), lo Stato da Tera (territori dell'entroterra padano-veneto) e lo Stato da Mar (i domini marittimi). Le zone dell'Istria e della Dalmazia presentavano una peculiarità: a differenza degli altri possedimenti dello Stato da Mar avevano mantenuto nei secoli fra la propria popolazione una componente autoctona neoromanza, che nel tempo aveva adottato in maggioranza il veneziano come propria lingua, a fianco o in sostituzione del dalmatico, dell'istrioto o dell'istrorumeno. A fianco di queste popolazioni, a partire dal VII secolo l'Istria e la Dalmazia avevano conosciuto l'immigrazione di popolazioni di ceppo slavo, che nei secoli s'identificarono via via come croati, sloveni e serbi.

La coesistenza di queste popolazioni sulla costa orientale dell'Adriatico non aveva mai causato delle particolari frizioni: da un lato Venezia non era interessata ad alcuna politica di dominio o di assimilazione su base etnica, dall'altra le varie pulsioni di carattere nazionale iniziarono a presentarsi solo a cavallo della metà del XIX secolo.

All'inizio del breve dominio francese, sia in Istria che in Dalmazia si posero le basi per il futuro sistema scolastico pubblico: il veneziano Vincenzo Dandolo, provveditore generale per la Dalmazia, alla fine del 1806 nel suo rapporto annuale a Napoleone consigliò la soppressione degli insegnamenti in lingua illirica nei seminari di Zara, Spalato e Priko, nei dintorni di Almissa, a favore dell'insegnamento in lingua italiana. D'altro canto, non solo l'italiano era già utilizzato nelle scuole seminariali di tutta la costa istriana e nei seminari dalmati, ma sia il croato che lo sloveno non avevano ancora codificato il proprio sistema grammaticale e la propria scrittura, e quindi parve naturale favorire una lingua come quella italiana, di grande tradizione e ritenuta consona alle classi dominanti. A lungo termine, ciò favorì l'italianizzazione anche di masse di studenti slavi, abituati a ritenere l'italiano come propria lingua d'élite.

Lo scoppio delle rivolte che coinvolsero gran parte del territorio europeo fra il 1848 e il 1849 catalizzò le scelte delle popolazioni locali: sloveni, croati e italiani iniziarono ad autodefinirsi anche nazionalmente.

Note

Bibliografia

  • Milica Kacin Wohinz, Alle origini del fascismo di confine: gli Sloveni della Venezia Giulia sotto l'occupazione italiana 1918-1921, Gorizia, Sklad Dorče Sardoč, 2010, ISBN 978-88-903422-8-8.

Tribunale Straordinario della Dalmazia

 
Il Governatorato della Dalmazia (1941-1943)

Il Tribunale Straordinario della Dalmazia fu un organo giudiziario speciale operante all'interno del Governatorato della Dalmazia, col compito di giudicare le più importanti figure di reati a sfondo politico. Istituito dal governatore Giuseppe Bastianini l'11 ottobre 1941, celebrò quattro processi caratterizzati da una procedura sbrigativa senza alcuna garanzia per gli imputati, irrogando 48 condanne a morte - di cui 35 eseguite - nonché 37 pene detentive di diversa durata. Formalmente affiancato il successivo 24 ottobre dal Tribunale Speciale della Dalmazia, che di fatto ne assunse le medesime funzioni in un quadro legislativo più definito, celebrò il suo ultimo processo il 29 ottobre 1941, venendo infine sciolto de facto da Bastianini a novembre dello stesso anno. I suoi giudici - Gherardo Magaldi (presidente), Pietro Caruso e Vincenzo Serrentino (giudici a latere), Francesco Centonze (pubblico ministero) - furono accusati dagli jugoslavi di crimini di guerra. Caruso venne fucilato a Roma il 22 settembre 1944 come collaborazionista e per la partecipazione alla stesura della lista degli ostaggi fucilati alle Fosse Ardeatine. Serrentino fu arrestato dagli jugoslavi a Trieste il 5 maggio del 1945, condotto in Jugoslavia, sottoposto a processo e fucilato a Sebenico il 15 maggio 1947. Magaldi e Centonze invece non vennero mai portati a processo per i fatti contestatigli dagli jugoslavi.

Inquadramento storico

L'occupazione della Jugoslavia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Invasione della Jugoslavia e Fronte jugoslavo (1941-1945).
 
Aprile 1941: le truppe italiane inscenano a fini propagandistici uno sbarco a Spalato, dopo l'occupazione della città avvenuta via terra

A seguito della rapida vittoria nella Campagna di Jugoslavia (le ostilità ebbero inizio il 6 aprile 1941), il paese fu occupato dalle potenze dell'Asse. Formalmente l'armistizio - con la formula della resa incondizionata - fu firmato dai rappresentanti jugoslavi il 17 aprile per entrare in vigore a mezzogiorno del giorno dopo, ma già nel notiziario del mattino del 16 l'E.I.A.R. aveva annunciato che "Con provvedimento in corso di registrazione è stato nominato Commissario civile nei territori sloveni occupati dalle nostre truppe il Segretario Federale di Trieste Emilio Grazioli. A Commissario civile per le zone dalmatiche è stato nominato Athos Bartolucci, Federale di Zara"[1]. La preferenza per uomini di partito al posto di militari - come previsto dalla legge di guerra - o di funzionari di carriera fu una precisa scelta di Mussolini, che intendeva far apparire il successo delle armi italiane come un'affermazione del regime[1].

La spartizione del paese venne decisa principalmente da Germania e Italia a seguito di un incontro fra Ciano e Ribbentrop: il primo temeva l'inserimento della Germania nel teatro dei Balcani, tradizionalmente ritenuti dagli italiani luogo della propria espansione economico-politica, ma i tedeschi cercarono di tranquillizzare gli alleati affermando di non voler perseguire alcun interesse strategico nell'area, fatte salve le proprie esigenze militari per la guerra in corso[2].

Il 13 aprile era già arrivato a Zagabria proveniente dall'Italia il capo del movimento degli ustascia Ante Pavelić, con cui Mussolini s'era incontrato due giorni prima a Roma per ribadire i termini di un accordo stretto il 29 marzo, in base al quale il primo sarebbe stato creato poglavnik (guida, duce) di un nuovo stato indipendente croato (già proclamato il 10 aprile), in cambio dell'annessione all'Italia dell'area litoranea dalmata. Tale accordo incontrò l'assenso anche di Hitler, che superò alcune resistenze nel suo stesso entourage[3].

Il Trattato di Roma e l'istituzione del Governatorato della Dalmazia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Trattato di Roma (1941) e Governatorato della Dalmazia.
 
La divisione dei territori jugoslavi nel 1941
18 maggio 1941: Mussolini e Pavelić s'incontrano a Roma per la firma del trattato di delimitazione dei rispettivi confini

A seguito del trattato di Roma del 18 maggio 1941 fra il Regno d'Italia e il neocostituito Stato Indipendente di Croazia quasi tutta la parte costiera della Dalmazia settentrionale fu annessa al Regno d'Italia, così come fu annessa tutta la zona - prevalentemente abitata da montenegrini - delle Bocche di Cattaro, un tempo parte dell'antica Albania Veneta[4]. Il resto della regione entrò a far parte dell'esteso stato croato comprendente anche l'intera Bosnia Erzegovina e dominato dagli ustascia di Ante Pavelić. Di fatto il paese era solo nominalmente indipendente, anche perché diviso da nord a sud da una linea di demarcazione che individuava le due zone nelle quali l'Italia a ovest e la Germania a est esercitavano una sorta di protettorato. Il resto del territorio jugoslavo venne smembrato: la Slovenia venne divisa fra Germania, Italia e Ungheria: quest'ultima si annetté anche la parte occidentale della Vojvodina[5]; l'Albania (che nel 1939 era stata occupata dagli italiani) acquisì il territorio più occidentale della Banovina del Vardar (la Metochia nel Kosovo e il Dibrano, nelle attuali regioni macedoni del Polog e Sudoccidentale), mentre a spese del Montenegro estese le sue frontiere anche a nord (Rožaje, Plav e Dulcigno); il Regno del Montenegro ritornò formalmente indipendente come nel periodo pre-jugoslavo, ma di fatto divenne un protettorato italiano; la Serbia fu uno stato fantoccio dei tedeschi, dovendo peraltro istituire all'interno dei suoi territori una provincia autonoma corrispondente alla parte occidentale del Banato, ove i tedeschi etnici ivi residenti assunsero le redini del potere[6]. Infine, gran parte della Macedonia già facente parte del Regno di Jugoslavia venne annessa alla Bulgaria, le cui forze armate peraltro non avevano partecipato alle operazioni belliche.

La Dalmazia annessa all'Italia venne suddivisa nelle province di Zara, Spalato e Cattaro: tutte parti del Governatorato della Dalmazia, costituito anch'esso in tale occasione. A capo del Governatorato fu posto Giuseppe Bastianini - preferito infine a Bartolucci - che all'epoca esprimeva posizioni fasciste intransigenti, in linea con la politica che s'intendeva perseguire di intensa e rapida italianizzazione delle terre annesse[7].

In poche settimane Bastianini, coadiuvato dai prefetti di Zara, Spalato e Cattaro, favorì un'azione di completa eliminazione dell'influenza croata e jugoslava nei territori annessi attraverso licenziamenti di massa, espulsioni, limitazioni del diritto di cittadinanza per gli slavi recentemente immigrati in Dalmazia, nazionalizzazioni forzate, nonché con l'introduzione capillare delle organizzazioni di massa fasciste (GIL, OND, Fasci femminili) che via via alienò al regime le già scarse simpatie iniziali della popolazione locale slava, che in breve tempo venne di conseguenza considerata tutta ostile e nemica[8].

Le tre zone di occupazione. La rivolta dei serbi. Le forze in campo

Al termine delle operazioni belliche, la 2ª Armata (generale Vittorio Ambrosio) presidiava la Croazia, ma in conseguenza degli accordi di Roma si sarebbe dovuta progressivamente ritirare passando il potere alle autorità croate.

I territori occupati vennero suddivisi in tre zone: la prima era costituita dalle terre poi annesse all'Italia; la seconda zona (detta anche "zona di demilitarizzazione") comprendeva le isole dalmate assegnate alla Croazia e una parte continentale del paese, delimitata da una linea che correva più o meno parallela alla costa; la terza zona era compresa fra la zona di demilitarizzazione e la già citata linea di demarcazione fra le aree d'influenza italiane e tedesche nel territorio ex jugoslavo[9]. Fin dalle prime settimane d'occupazione gli italiani si trovarono ad operare - totalmente impreparati - in un territorio abitato da popolazioni di etnia e religione diversa (croati, serbi, cattolici, ortodossi, musulmani ecc.) nel quale gli ustascia scatenarono immediatamente una politica di terrore e di sterminio, nel tentativo di fondare uno stato croato "puro" che avesse come fondamenta la propria ideologia, la religione cattolica e il tradizionale nazionalismo croato di derivazione ottocentesca. Venne perciò scatenata una feroce crociata religiosa rivolta principalmente contro i serbi e gli ebrei[10], con innumerevoli episodi di estrema violenza, cui gli italiani assistettero con crescente orrore, misto ad un vago senso di colpa di sentirsi corresponsabili, a causa dell'alleanza politica e militare col governo di Pavelić[11].

File:Domobrani Gospic 1941.jpg
Ufficiali dell'Hrvatsko domobranstvo a Gospić (Lika) nell'autunno del 1941

Le formazioni ustascia s'accompagnarono e s'integrarono nel tempo con diverse milizie, di derivazione sia partitica che locale, man mano che procedeva la stabilizzazione del nuovo regime con la contemporanea creazione di un nuovo esercito nazionale. All'interno dell'esercito fin dall'aprile del 1941 fu costituita una "Guardia nazionale (o interna) croata" (Hrvatsko domobranstvo), il cui nome si rifaceva alla "Regia guardia nazionale croata" (Kraljevsko Hrvatsko Domobranstvo), esistente ai tempi dell'Impero Austroungarico[12]. Gli appartenenti alla "Guardia nazionale croata" venivano chiamati Domobrani, ma per traslato questo nome venne spesso dato dagli italiani all'intero esercito croato. A queste formazioni croate andarono contrapponendosi delle unità di autodifesa serbe, variamente collegate al movimento dei cetnici di Draža Mihailović, che nelle zone occupate dagli italiani cercarono di allearsi ad essi in funzione anticroata[13]. Il rapporto fra le autorità italiane e gli ustascia - che fomentarono una campagna irredentistica nelle terre annesse all'Italia - andò deteriorandosi in breve tempo[14].

Nella regione della Lika - confinante con la Dalmazia - e nella Dalmazia interna assegnata alla Croazia la presenza degli italiani aveva costituito fino agli accordi di Roma un efficace deterrente contro gli ustascia, ma di fronte alla nuova situazione di ritiro progressivo delle truppe di occupazione ed alle stragi antiserbe, a fine luglio scoppiò una rivolta armata: gruppi locali di combattenti serbi presero diverse località, fra le quali Gospić (capoluogo della Lika), Gračac e Knin (località della Dalmazia interna a pochi chilometri dal nuovo confine italiano), in aperta ribellione contro i croati, con numerosi episodi di ritorsione violenta sulle popolazioni civili[15]. La situazione degenerò al punto che gli italiani decisero di sospendere il ritiro delle truppe di occupazione dalla seconda zona, mentre diverse centinaia di ebrei e serbi passarono il confine per rifugiarsi nel Governatorato[16].

Nell'estate del 1941 - dopo l'aggressione dalle forze dell'Asse all'Unione Sovietica - sorse infine in tutta la Jugoslavia un movimento resistenziale d'impronta comunista, capeggiato da Josip Broz Tito, che proponeva contestualmente un progetto di liberazione nazionale e una radicale rivoluzione sociale di stampo sovietico, nella certezza che l'Armata Rossa avrebbe rapidamente sconfitto i tedeschi, causando una reazione a catena di rivoluzioni proletarie nell'intera Europa[17]. Tito - per ampliare la base dei propri sostenitori - esortò tutte le forze patriottiche e "progressiste" ad aderire alla sua causa in un "Fronte popolare", colpendo contestualmente tanto le forze degli eserciti occupanti quanto qualsiasi forza collaborazionista o comunque ritenuta tale, qualora non avesse aderito al "Fronte"[18][19].

La situazione in Montenegro. La rivolta di luglio

  Lo stesso argomento in dettaglio: Occupazione italiana del Montenegro e del Sangiaccato.

La creazione del Regno del Montenegro seguì un breve ma intenso dibattito in Italia fra due idee contrapposte: da una parte chi propugnò la ricostituzione di uno stato indipendente, memore dell'antico Principato (1852-1910) e del successivo Regno (1910-1918), dall'altra i favorevoli all'inglobamento di quelle terre nel territorio metropolitano italiano. Prevalse l'idea di ricostituire il Regno del Montenegro in unione personale col Re d'Italia, sulla falsariga di quanto era accaduto per l'Albania. Diversi settori della popolazione avevano inizialmente considerato con favore l'arrivo degli italiani, nella speranza che essi favorissero l'ampiamento dei confini del paese. L'amputazione delle Bocche di Cattaro a favore dell'Italia e di altri territori attribuiti all'Albania creò un malcontento generalizzato. A questo si aggiunsero vari episodi di persecuzione e di vera e propria pulizia etnica operati dalle popolazioni croate, slavo-musulmane o albanesi ai danni dell'elemento slavo ortodosso (montenegrino o serbo) verificatisi ai margini del Montenegro, nel Kosovo, nei territori al confine albanese, nel Sangiaccato e nelle zone orientali della Bosnia e dell'Erzegovina: la reputazione e il prestigio italiano ne rimasero fortemente scossi. L'attacco all'Unione Sovietica (21 giugno 1941), avvenuto in una fase in cui anche l'assetto costituzionale stesso del Montenegro era ancora in discussione, diede un forte impulso alle tendenze russofile e panslaviste dei montenegrini, favorendo la mobilitazione di tutti gli elementi contrari all'occupazione straniera, non solo dei comunisti di Tito[20].

Il 12 luglio si riunì a Cettigne l'Assemblea costituente, che statuì la fine dell'unione con la Serbia, la decadenza della costituzione jugoslava e la ricostituzione del Montenegro come regno sovrano e indipendente, designandone come reggente Vittorio Emanuele III[21].

A partire dal giorno successivo divampò in tutto il paese una furiosa rivolta, che costituì il primo episodio di sollevazione popolare nell'Europa occupata, arrivando a coinvolgere oltre 30.000 combattenti. La storiografia jugoslava successiva alla seconda guerra mondiale per circa quarant'anni esaltò il carattere integralmente comunista della rivolta: solo successivamente si riconobbe la natura molto più varia degli eventi, che per la loro ampiezza colsero di sorpresa gli stessi dirigenti comunisti e furono dovuti in buona parte all'attività di gruppi eterogenei locali, in vario modo collegati sia alle cellule comuniste locali (capeggiate dal montenegrino Milovan Gilas, uno dei principali collaboratori di Tito), che ai cetnici di Mihailović[22].

I reparti italiani erano totalmente impreparati e vennero travolti: intere guarnigioni furono annientate e in pochi giorni si contarono circa 1.000 caduti e 3.000 prigionieri. La direzione delle operazioni di repressione fu affidata al generale Alessandro Pirzio Biroli, all'epoca comandante delle truppe italiane in Albania, che fin dall'inizio ricevette a disposizione uno spiegamento eccezionale di uomini e mezzi: ai suoi ordini furono poste unità provenienti dalle divisioni "Messina", "Puglie", "Firenze", "Pusteria", "Taro" e "Marche", oltre al "Reggimento Cavalleggeri Guide" e al gruppo albanese "Skanderbeg", più alcune aliquote dalle divisioni "Cacciatori delle Alpi" e "Venezia", per un totale di circa 70.000 uomini[23][24][25].

PARTE FINALE: REPRESSIONE DELLA RIVOLTA - Scotti/Viazzi

I primi incidenti e sabotaggi nella Dalmazia italiana

File:Sabotaggio treno Traù Seghetto 18-19 luglio 1941.xcf
Nella notte fra il 18 e il 19 luglio 1941 viene sabotata la linea ferroviaria fra Traù e Seghetto

La sera del 2 luglio 1941 a Spalato avvenne il primo incidente nella Dalmazia italiana: da una finestra sovrastante il caffè Delich - lungo la riva - vennero lanciati dei manifestini comunisti. Trovato l'appartamento vuoto e sentiti dei commenti ironici da parte di una piccola folla nel frattempo radunatasi, si scatenò una rissa generale cui seguì una veemente reazione italiana: ci furono trenta arresti, in varie zone della città diverse persone notoriamente antiitaliane vennero bastonate e il giorno dopo vennero distrutte diverse insegne di negozi in lingua croata. Il governo croato chiese l'istituzione di una commissione mista croato-tedesca per constatare "quanto viene fatto dagli italiani per alterare artificiosamente il carattere croato della Dalmazia". Per diversi giorni in varie località della Dalmazia tanto gli ustascia quanto i comunisti intensificarono la loro opera di propaganda[26].

Il primo atto di sabotaggio vero e proprio nelle terre annesse si registrò nella notte dell'11 luglio, quando una quindicina di metri di binario vennero sollevati nei pressi di Castel San Giorgio (vicino a Spalato). I sabotaggi alle vie ferrate e ai pali telegrafici o telefonici si moltiplicarono giorno dopo giorno.

Gli eventi di agosto e settembre. Le prime uccisioni di italiani

Il 4 agosto Bastianini segnalava che gli "incidenti verificansi ormai ogni notte et lasciano presumere sistematico et organizzato piano". Nello stesso periodo, emanava delle disposizioni per le attività di repressione, coinvolgendo sia i Carabinieri Reali che i reparti della Milizia e alcune aliquote del Regio Esercito, che procedettero a rastrellamenti ed esecuzioni sommarie[27]. Ai sabotaggi si accompagnarono vari scioperi da parte di operai e impiegati di diverse aziende: gli italiani - che da anni ignoravano queste forme di protesta, vietate dal regime sul territorio nazionale - reagirono in modo deciso e intimidatorio con licenziamenti, fermi ed arresti[28].

Il 18 agosto 1941 ad un posto di blocco nella località di Siritovci (Sebenico) un gruppo di partigiani comunisti attaccò un reparto di Carabinieri e di gendarmi croati, uccidendo il vicebrigadiere Umberto Bigoni. Lo stesso giorno in uno scontro a fuoco con i reparti del 220° Battaglione Territoriale Mobile nei pressi della piccola località di Kosovo (Zara) un gruppo di partigiani lasciò sul terreno sei uomini. Altri quattro furono catturati e fucilati sul posto[29].

26 agosto 1941. Fucilazione di partigiani a Ruduša (Sinj)

Nello stesso periodo aumentò la lotta partigiana nel vicino Stato Indipendente di Croazia, anche in zone al confine col Governatorato della Dalmazia: il 14 agosto in una frazione della località di Sinj (Signo) nella Dalmazia interna (a circa 35 chilometri da Spalato) venne intercettato da un reparto di ustascia croati il Primo distaccamento partigiano di Spalato (Prvi splitski partizanski odred), formato nelle settimane precedenti in città dal locale partito comunista e in fase di spostamento verso le Alpi Dinariche: dopo un cruento combattimento cui si aggregarono gruppi di domobrani e il 97° Battaglione delle Camicie Nere, venticinque partigiani vennero catturati. Nel corso del combattimento gli ustascia e i domobrani contarono sei morti, mentre fra le Camicie Nere rimase ferito il Capo Squadra Rodolfo Nigi, che morì due giorni dopo[30]. I partigiani invece contarono fra le proprie file tre morti in combattimento e tre fucilati sul posto. Uno dei partigiani catturati venne picchiato a morte nei giorni scorsi, tre vennero graziati e liberati. Il 26 agosto, a seguito di un processo celebrato da un tribunale ustascia - di stanza a Mostar e spostatosi per l'occasione a Sinj - ventun partigiani vennero fucilati nella località di Ruduša (Sinj)[31].

In un rapporto della prefettura di Zara si affermò che nel mese di agosto 1941 erano state fucilate dodici persone per aver compiuto atti dinamitardi, fra i quali particolarmente significativo un sabotaggio allo stabilimento "La Dalmatienne" di Sebenico - una società elettro-siderurgica ed elettro-chimica controllata dalla società italiana Terni, che provvedeva all'illuminazione di Sebenico e dello zaratino[32] - a seguito del quale venne arrestato e giustiziato un uomo. Il solo 6 agosto vennero fucilate nove persone: quattro croati di Benkovac (Bencovazzo), due serbi dello stesso distretto e tre croati di Lišane Ostrovičke (Lissane), tutti accusati di sabotaggio o di detenzione illegale di armi da guerra[33].

Il 13 settembre cadde il primo resistente spalatino all'interno della città: il giovane comunista Božo Ajduković per sfuggire ad un controllo si arrampicò sul tetto di casa, ma venne colpito da un colpo d'arma da fuoco che in poche ore lo portò alla morte[34]. Come risposta, le cellule clandestine del partito organizzarono dei volantinaggi e due azioni[35] : il 15 settembre in una strada di periferia di Spalato vennero attaccati a pistolettate due carabinieri di pattuglia: uno dei due - di nome Giuseppe Sacco - morì nella notte.

 
Đermano Senjanović

Quasi in contemporanea, in un'altra zona della città venne lanciata una bomba a mano contro alcuni militari in transito ferendone cinque. Le autorità risposero con rastrellamenti, fermi ed arresti. Per ordine del prefetto di Spalato Paolo Zerbino vennero costituite le prime "squadre d'azione", formate da cittadini spalatini fedeli al regime. Il 21 settembre - ancora a Spalato - un banale incidente (il lancio di un sasso da parte di un giovane contro un gruppo di piccole italiane) causò una violenta reazione dei fascisti. Tre giorni dopo, il muratore Zvonimir Petraello - spalatino di sentimenti filoitaliani - venne pugnalato alla schiena[36].

Il 5 ottobre, nel sobborgo spalatino di Glavičina vennero sparati vari colpi contro una pattuglia italiana. Il giorno dopo, venne appiccato un incendio al piroscafo Palermo ancorato in porto[37]. L'11 ottobre a Spalato il comunista Đermano Senjanović lanciò una bomba a mano tipo SIPE contro l'auto di Luigi Prassel e Antonio Krstulovich, membri del direttorio del fascio cittadino: il Prassel e un civile che transitava sul posto furono leggermente feriti[38].

Lo stesso 11 ottobre venne ucciso in un agguato a Sebenico lo studente universitario Antonio Scotton. Impiegato nell'ufficio passaporti presso il fascio della sua città, era accusato d'essere un traditore e una spia[39]. Le autorità italiane reagirono imponendo il coprifuoco in tutto il territorio di Sebenico, arrestando numerose persone e procedendo a violenti interrogatori[40].

L'istituzione del Tribunale

Vincenzo Serrentino
Pietro Caruso durante il suo processo (1944)

Il giorno dell'omicidio di Scotton, Bastianini - usando i poteri da Governatore previsti dalla legge[41] - istituì con propria ordinanza-decreto il Tribunale Straordinario della Dalmazia[42][43].

Secondo il decreto istitutivo, il Tribunale sarebbe stato composto da un collegio formato da un presidente e due altri giudici, mentre il pubblico ministero sarebbe stato un ufficiale del Regio Esercito o della Milizia (art. 1). Al presidente spettava convocare il collegio e stabilire la sede del giudizio (art. 2). L'imputato, assistito da un difensore, aveva per ultimo la parola, all'interno di un procedimento regolato dal presidente. La deliberazione della sentenza era segreta, ne era data lettura alla presenza del pubblico ministero, dell'accusato e del difensore ed era immediatamente eseguita, senza possibilità di appello o di presentazione della domanda di grazia (art. 3). Il Tribunale avrebbe avuto competenza su qualsiasi crimine condotto o tentato per motivi politici o contro lo stato, compresa l'istituzione, l'organizzazione o l'affiliazione al partito comunista o a qualsiasi altra associazione sovversiva. Tutti questi crimini erano puniti con la morte (art. 4)[44][45].

In un secondo decreto immediatamente successivo al precedente, Bastianini nominò i membri del Tribunale, scegliendoli tutti fra gli ufficiali del Regio Esercito o della Milizia: presidente del Tribunale Straordinario fu il generale Gherardo Magaldi - all'epoca comandante della guarnigione militare di Sebenico -, componenti il collegio il primo seniore della Milizia per la difesa antiaerea territoriale Vincenzo Serrentino e il primo seniore della Milizia portuaria Pietro Caruso, pubblico ministero il sottocapomanipolo della Milizia per la difesa antiaerea territoriale Vincenzo Centonze[44][45].

Il 12 ottobre Bastianini organizzò una riunione di lavoro con gli ufficiali nella caserma della Milizia di Zara. In tale occasione egli affermò di voler essere "implacabile" contro il comunismo, dal quale voleva "liberare" il Governatorato. Serrentino e Caruso - a Zara in quei frangenti - ricevettero dal console della milizia Ivan Scalchi l'ordine di recarsi in giornata a Sebenico, dove si sarebbero incontrati col generale Magaldi per celebrare il primo processo, che prendeva le mosse dall'omicidio di Scotton ma intendeva perseguire a più ampio raggio le attività di resistenza contro gli italiani[46].

Gli eventi e i processi nel periodo di esistenza del Tribunale

Il processo di Sebenico del 13 ottobre 1941

La sentenza del processo di Sebenico
Il manifesto col testo della sentenza in croato
I condannati vengono trasportati al luogo della fucilazione

Il 13 ottobre 1941 si svolsero a Sebenico i funerali di Antonio Scotton, con la partecipazione di tutte le autorità locali e di numeroso pubblico[47]. Al pomeriggio dello stesso giorno si riunì per la prima volta il Tribunale, per giudicare quindici persone, arrestate nelle 48 ore precedenti o già detenute nelle carceri cittadine in quanto accusate di attività sovversive. Sei attivisti comunisti furono condannati a morte: Ante Belamarić (30 anni), Mate Bujas (24), Dragomir Junaković (25), Ivica Lasić (22), Blaž Višić (23), Duško Vrljević (21), tutti di Sebenico tranne Lasić, nativo di Slavonski Brod[48]. Sette altri attivisti vennero condannati a varie pene detentive variabili dai due ai quindici anni[49]. Secondo la testimonianza di Serrentino, le condanne a morte erano già state decise prima dell'inizio del processo dal presidente Magaldi, che aveva approntato una lista con una crocetta blu accanto ai nomi degli imputati da fucilare. Serrentino stesso - come del resto in occasione di tutti i successivi processi - affermò che si sarebbe opposto per iscritto alla condanna a causa del non raggiungimento della prova della colpevolezza[50]. Le fucilazioni ebbero luogo nel vicino campo di Šubićevac, che dopo la guerra venne trasformato in parco e memoriale[51], e vennero eseguite da un reparto di camicie nere appositamente trasferitosi da Zara[52]. In una relazione del 24 ottobre 1941, il commissario capo della questura di Sebenico Vittorio Modica affermò che a seguito del processo in città regnava una "relativa pace"[53].

Il processo di Spalato del 14 ottobre 1941

 
Il generale Dalmazzo in un telegramma informa dell'esito del processo di Spalato

Appena terminato il processo di Sebenico, i membri del Tribunale Straordinario della Dalmazia si spostarono a Spalato, dove il giorno successivo processarono trentacinque giovani con l'accusa di appartenza al partito comunista, propaganda sovversiva, detenzione di armi e organizzazione di scioperi e disordini[54]. Furono emesse diciannove condanne a morte (otto di esse in contumacia) e dieci condanne a pene detentive variabili dai tre ai quindici anni. Le condanne a morte vennero immediatamente eseguite - ad opera dello stesso reparto di camicie nere che operò a Sebenico[52] - nella fortezza del Camerlengo di Traù[55]. Secondo alcune fonti[55] i fucilati sarebbero stati dodici: Josip Mrduljaš (46 anni, di Spalato), Elko Mrduljaš (34, di Spalato), Jure Mrduljaš (34, di Spalato), Toma Mrduljaš (54, di Spalato), Ante Vidović (41, di Comisa), Ljubo Mašić (36, di Spalato), Mate Čerina (35, di Lećevica), Ivo Miletić (21, di Spalato), Sime Krstulović (20, di Spalato), Rudolf Viđak (18, di Spalato), Davor Matković (19, di Spalato), Edo Ferderber (20, di Zagabria). Elko e Jure Mrduljaš erano gemelli, celebri campioni di canottaggio, Josip il loro fratello maggiore e Toma un loro cugino. In realtà i fucilati furono undici: Elko Mrduljaš - ricercato da tempo dagli italiani, che avevano messo una taglia di 50.000 lire sulla sua testa - non venne arrestato in questa occasione bensì condannato a morte in contumacia[56][57]: dopo la liberazione di Spalato nel 1944 fu il promotore principale della rifondazione della locale società di canottaggio[58]. Gli altri sette condanati a morte in contumacia furono Maksimilijan Santini (20 anni, di Sebenico), Milivoj Barač (20, di Sebenico), Milorad Einspiller (età e luogo di nascita sconosciuti), Frane Barić (20, di Spalato), Mate Golem (18, di Bisko), il già citato Đermano Senjanović (18, di Spalato) e Adolf Doležal (20, di Milnà). Stando alla relazione del Tribunale, i condannati durante il processo mantennero un atteggiamento passivo affermando di non conoscere la lingua italiana e di non aver mai appartenuto al Partito Comunista. Durante il trasporto verso il luogo dell'esecuzione cominciarono a cantare l'Internazionale, scambiandosi un saluto a pugno chiuso prima di andare uno alla volta di fronte al plotone d'esecuzione, inneggiando a Lenin, Stalin e alla lotta di liberazione ed invocando la morte di Mussolini e Hitler[57][59].

Il processo di Cattaro del 18 ottobre 1941

 
Veduta di Cattaro nel 1941

Quattro giorni dopo il precedente processo, il Tribunale si riunì a Cattaro per giudicare un gruppo di civili, accusati di sedizione ed appartenenza ad organizzazioni sovversive. Nella relazione del 31 dicembre 1945 della "Commissione per l'accertamento del delitti degli occupatori e dei loro collaboratori", istituita dal governo jugoslavo dopo la guerra, vengono elencate sette condanne a morte comminate in quell'occasione: Ivo Grgurević, Niko Korda, Krsto Petrović, Mato Petrović, Gracija Grgurević, Đuro Matković e Pasko Čupić[60]. Il quotidiano Slobodna Dalmacija in un suo articolo del 12 ottobre 1945 ne elencò invece sei: Giovanni Grgmerić, Nikolò Korda, Cristoforo Petrović, Graziano Grgurević, Giorgio Masković e Pasquale Kupić[55]. Lo storico Zlatko Begonja parla di sette condanne a morte comminate ma sei eseguite, in quanto un imputato era stato condannato in contumacia[61]: questo imputato - che scampò di conseguenza alla fucilazione - fu in effetti Pasko Čupić[62]. Oltre alle condanne a morte, il Tribunale irrogò a dieci imputati delle pene detentive variabili da 5 a 30 anni[55][61]. Un imputato venne invece assolto[63].

Il processo di Vodice del 29 ottobre 1941

 
Rapporto sull'agguato di Vodice

L'ultimo processo del Tribunale Straordinario della Dalmazia si celebrò il 29 ottobre 1941 a Vodice (in italiano Vodizze), una località a una decina di chilometri a nord di Sebenico considerata dagli italiani fin dagli anni Trenta la roccaforte comunista della Dalmazia[64][65], e che all'epoca già contava 150 combattenti clandestini, dotati di 83 fucili, 4 mitragliatrici, 200 granate e 5000 pallottole[66]. La notte del 25 ottobre una pattuglia della 4° Compagnia del 229º Battaglione delle Camicie Nere composta dai militi Michele Molito, Domenico Ronaldi, Giuseppe Praino, Domenico Jaquale e Francesco Morrone stava percorrendo la strada verso Vodice, coll'ordine di controllare la linea telefonica. Arrivata a circa 600 metri dall'abitato venne attaccata da un gruppo di partigiani, nascosti dietro un muretto che correva parallelo alla strada: Ronaldi e Molito furono uccisi, mentre Morrone fu ferito alla testa. Allertati i carabinieri di Sebenico, scattò una caccia all'uomo: il comandante del XVIº Battaglione CC. RR. Mobilitato di Sebenico - tenente colonnello Gualtiero Sestilli - inviò un gruppo di carabinieri in zona assieme ad un'aliquota di camicie nere. I reparti il giorno dopo furono coadiuvati anche da una compagnia del 52º Reggimento fanteria "Alpi". La zona di Vodice fu completamente circondata: nel corso del rastrellamento, fra il 25 e il 26 ottobre furono uccise sei persone sospette. Un gruppo di fascisti di Sebenico - assieme ad alcune camicie nere - il 26 arrivò in zona al comando del segretario del Fascio[67] e iniziò a perquisire le abitazioni: avendo ritrovato una miccia e della dinamite, diede fuoco a una mezza dozzina di case fra Vodice e la vicina frazione di Srima[68]. Ovunque vennero rinvenite delle armi o materiale propagandistico furono eseguiti diversi arresti: ventotto persone furono in seguito rinviate a giudizio (quattro di esse in contumacia) con l'accusa di omicidio, concorso in omicidio, illecita detenzione di armi e attività sovversiva.

Furono emesse 16 condanne a morte, di cui quattro in contumacia: Milivoj Skroza (21 anni, di Srima), Ivan Antulov (21, di Prvić Šepurine - villaggio vicino a Vodice), Frederik Kursar (20, di Prvić Šepurine), Ivan Jurić (37, di Vodice), Šime Belan (18, di Vodice), Ante Udovičić (20, di Vodice), Petar Grbelja (21, di Srima), Ante Mijat (22, di Srima), Cvitko Mijat (28, di Srima), Josip Skroza (18, di Srima), Božo Skroza (32, di Srima), Spiro Skroza (25, di Srima), Ante Skroza (40, di Srima - contumace), Zvonimir Cukrov (nessun dato anagrafico - contumace), Nikola Skroza (33, di Srima - contumace), Ivan Maraš (nessun dato anagrafico - contumace)[69]. Dieci imputati vennero invece condannati a pene detentive variabili dai due a trent'anni di reclusione. Due furono infine dichiarati innocenti e rilasciati. Le condanne a morte furono immediatamente eseguite[70].

Il processo non celebrato di Sebenico

Nel corso degli interrogatori che sostenne durante la sua prigionia in Jugoslavia, Serrentino affermò che immediatamente dopo il processo di Vodice si sarebbe dovuto celebrare un ultimo processo a Sebenico, per giudicare 26 o 27 imputati, dei quali 15 o 16 s'era già deciso sarebbero stati condannati a morte. Ma l'improvvisa decisione dello stesso Serrentino di partire da Sebenico per recarsi a Zara fece venir meno la pienezza del collegio giudicante e così il processo non si celebrò[71].

Quadro riassuntivo delle sentenze

Dall'analisi comparata delle fonti disponibili è possibile quantificare numericamente in modo puntuale ed esaustivo l'intera attività del Tribunale Straordinario della Dalmazia. I dati complessivi risultano essere i seguenti:

Accusati Condanne
a morte
Eseguite Condanne
a pene detentive
Imputati
prosciolti
Processo di Sebenico 15 6 6 7 2
Processo di Spalato 35 19 11 10 6
Processo di Cattaro 18 7 6 10 1
Processo di Vodice 28 16 12 10 2
TOTALE 96 48 35 37 11

Secondo Zlatko Begonja il Tribunale irrogò 48 condanne a morte - di cui 36 eseguite - e 37 condanne a pene detentive[72], mentre Zdravko Dizdar enumera 35 condanne a morte eseguite e "dozzine" di condanne a pene detentive[73]. Alessandra Kersevan ha invece attribuito "quattrocento condanne a morte" al Tribunale Straordinario della Dalmazia e ai suoi giudici[74].

L'istituzione del Tribunale Speciale e la soppressione del Tribunale Straordinario

Vista la situazione sempre più turbolenta, Mussolini decise di istituzionalizzare la presenza di un organo giudiziario speciale in Dalmazia, sistematizzando nel contempo l'intricata questione dell'accavallamento delle competenze fra quest'ultimo e i tribunali militari. Il 24 ottobre il Duce emise quindi un bando col quale creò il Tribunale Speciale della Dalmazia, colla competenza di istruire processi relativamente ad una serie di reati commessi nel territorio del Governatorato della Dalmazia da persone estranee alle Forze armate dello Stato[75]. Pubblicato il bando nella Gazzetta Ufficiale del Regno del 28 ottobre, il giorno successivo il Tribunale Straordinario della Dalmazia celebrò comunque il processo di Vodice. Il 13 novembre 1941 Bastianini inviò al generale Magaldi una lettera per informarlo ufficialmente della situazione nella quale il nuovo organo giudiziario andava a sostituire in modo "permanente" il precedente tribunale, elogiando l'opera dei tre giudici[76]. Magaldi fu nominato presidente del Tribunale militare d'armata di Atene, carica dalla quale venne in seguito sollevato a causa della sua eccessiva severità[77]. Caruso venne trasferito a Trieste, dove divenne comandante della 3ª Legione Portuaria della Milizia. Serrentino riprese il suo ruolo nella Milizia di Zara.

Le accuse jugoslave al Tribunale Straordinario della Dalmazia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Crimini di guerra italiani e Armadio della vergogna.

Premessa

Negli ultimi mesi di guerra e nel dopoguerra vennero elevate dagli jugoslavi diverse accuse ai membri del Tribunale Straordinario della Dalmazia, ritenuti passibili di giudizio in quanto criminali di guerra. La questione va inserita nella più ampia vicenda del trattamento dei criminali di guerra italiani - e più specificamente di quelli che operarono in Jugoslavia - all'interno di un quadro storico-politico in rapida evoluzione: alla fine del 1943 l'Italia passò da potenza nemica a cobelligerante, e già negli ultimi mesi del 1944 si prefigurò la futura suddivisione postbellica fra blocchi contrapposti. Le potenze occidentali mirarono a porre l'Italia sotto la propria influenza, opponendosi all'Unione Sovietica e alla Jugoslavia che invece cercarono di destabilizzarne il quadro politico, anche in vista delle trattative sui confini che videro gli jugoslavi reclamare Zara, Fiume, Istria, Trieste, Gorizia e la Slavia Friulana. Le autorità italiane - dal canto loro - si adoperarono in tutti i modi per evitare di estradare gli accusati verso i paesi che li reclamavano, mettendo in campo una tattica dilatoria che via via ottenne sempre più l'appoggio di Stati Uniti e Regno Unito. Ulteriore fattore che ebbe il suo peso sulla sorte dei criminali di guerra italiani fu la volontà degli alleati occidentali di armare rapidamente in funzione antisovietica la parte di Germania da loro occupata: gli italiani non chiesero la consegna dei criminali di guerra tedeschi che avevano operato sul fronte italiano per evitare di destabilizzare la Germania, avendo così la possibilità di giustificare la propria decisione di non consegnare a loro volta agli jugoslavi i propri criminali[78].

Oltre a queste dinamiche, lo scontro fra Jugoslavia e Italia sulla questione dei crimini di guerra - unitamente alle connesse questioni dei risarcimenti per danni di guerra e del rimpatrio dei prigionieri italiani - fu utilizzato dai governi di Belgrado e di Roma per mobilitare le rispettive opinioni pubbliche ai fini di acquisire il consenso interno. In Jugoslavia era finalizzato a consolidare la base del nuovo stato socialista, che dall'epopea resistenziale contro gli occupatori aveva tratto un nuovo elemento unitario; in Italia era funzionale alla politica di stampo anticomunista volta ad indicare il PCI come alleato internazionale di Tito e quindi nemico interno dell'interesse nazionale rispetto alle questioni di Trieste, dei profughi istriano-dalmati e del ritorno dei prigionieri catturati dall'EPLJ[79].

Inquadramento giuridico-diplomatico

L'art. 29 dell'armistizio dell'Italia (29 settembre 1943) prevedeva che "Benito Mussolini, i suoi principali associati fascisti e tutte le persone sospette di aver commesso delitti di guerra o reati analoghi, i cui nomi si trovino sugli elenchi che verranno comunicati dalle Nazioni Unite (...) saranno immediatamente arrestati e consegnati alle Forze delle Nazioni Unite". Questa clausola armistiziale può essere messa in relazione con la dichiarazione inter-alleata del 13 gennaio 1942 (c.d. "Dichiarazione di Palazzo San Giacomo") che prevedeva la creazione di una commissione per i crimini di guerra col compito di investigare le atrocità commesse dalle Potenze dell'Asse[80]. Il 20 ottobre 1943 in una riunione al Foreign Office di Londra venne istituita dai rappresentanti di 17 fra le nazioni alleate[81] la "Commissione per i crimini di guerra delle Nazioni Unite" (United Nation War Crimes Commission - UNWCC) che iniziò i suoi lavori a Londra l’11 gennaio 1944[82]. Fra i paesi interessati non vi fu l'Unione Sovietica, che preferì perseguire i criminali di guerra con dei contatti diretti coi paesi interessati. Questa commissione doveva raccogliere la documentazione sui crimini di guerra proveniente dai vari uffici nazionali, verificare che vi fossero elementi sufficienti per un'incriminazione e creare quindi una lista di criminali di guerra da diramare alle autorità militari per la loro ricerca, l’arresto e la consegna ai vari governi nazionali. Con la dichiarazione di Mosca del 30 ottobre-1 novembre 1943 gli alleati stabilirono che "gli ufficiali tedeschi e i membri del partito nazista" accusati di crimini di guerra sarebbero stati riportati nei luoghi dove tali crimini erano stati commessi e giudicati dai tribunali di quei paesi[83]. Nel trattato di pace fra l'Italia e le potenze alleate (10 febbraio 1947) venne infine prescritto all'art. 45 che l'Italia avrebbe dovuto prendere "tutte le misure necessarie per assicurare l'arresto e la consegna ai fini di un successivo giudizio delle persone accusate di aver commesso od ordinato crimini di guerra e crimini contro la pace o l'umanità, o di complicità in siffatti crimini".

La Commissione statale jugoslava e l'atteggiamento di Gran Bretagna e Stati Uniti

 
Copertina di un volume della relazione finale della Commissione statale per l'investigazione dei crimini degli occupatori e dei loro sostenitori, pubblicato a Belgrado nel 1945

Il 30 novembre 1943 l'AVNOJ istituì presso il Comitato Nazionale per la Liberazione della Jugoslavia la "Commissione statale per l'investigazione dei crimini degli occupatori e dei loro sostenitori" (Državna komisija za utvrđivanje zločina okupatora i njihovih pomagača), che successivamente si articolò in diverse sezioni regionali: la commissione croata divenne operativa a maggio del 1944[84]. Essa si occupò dell'attività del Tribunale Straordinario della Dalmazia nella relazione numero 32 del 31 dicembre 1945 dal titolo "I tribunali italiani erano lo strumento per l'annientamento dei nostri popoli", firmata da Vjenceslav Celigoj e Ante Štokić, rispettivamente segretario e presidente della sezione croata della commissione. Venne ricordata l'attività del Tribunale e la sua composizione, concludendo che "questi giudizi del tribunale fascista straordinario non erano altro che una rappresaglia, che gli occupatori fascisti esercitavano tanto spesso sulla pacifica popolazione a causa delle azioni dei reparti di liberazione". Come responsabili dell'attività repressiva esercitata dal tribunale, vennero indicati "i membri del governo fascista di Roma, con a capo Benito Mussolini, il cosiddetto governatore della Dalmazia Giuseppe Bastianini, i prefetti, i comandanti dei carabinieri, i commissari civili a Zara, Spalato e Cattaro quali datori di ordini ed il generale Magaldi Gherardo, i ten.col. Sorrentino [sic] Vincenzo, Caruso Pietro ed il sottotenente Centonze Francesco, come esecutori"[85]. In una seconda versione della relazione un breve paragrafo fu dedicato al Tribunale Straordinario della Dalmazia, di cui venne ricordata la sua composizione - peraltro senza più citare Centonze - sottolineandone il carattere antigiuridico, nonché l'ingiustizia e la proditorietà delle condanne da esso promanate. In tale versione succinta, dei quattro processi celebrati vennero ricordati solo quelli del 13 e del 29 ottobre 1941, riportando i nominativi dei diciotto condannati a morte effettivamente fucilati in quelle due occasioni[86]. Nel 1946 gli jugoslavi pubblicarono una sorta di volume riassuntivo delle proprie accuse in inglese, da utilizzare al tavolo delle trattative di pace per sustanziare le proprie richieste[87]. Al suo interno, un paragrafo - che pur presenta alcune imperfezioni - ripresentò la storia del Tribunale Straordinario della Dalmazia. Si affermò che questo organo giudiziario venne creato da Bastianini in modo "illegale e predatato" (unlawful and antedated), con un decreto che prevedeva come unica condanna la morte, avendone comminate "cinquanta" nei quattro processi che celebrò. In successione, venne citato un affidavit rilasciato da Serrentino (all'epoca prigioniero degli jugoslavi) nel quale questi così descrisse la propria attività: "I membri del Tribunale si spostarono di luogo in luogo e condussero i processi con stupefacente velocità, comminando sentenze di morte a persone la cui colpevolezza non fu mai provata. Essi apparvero a Sebenico il 13 ottobre per arrivare a Spalato la mattina seguente; raggiunsero Cattaro il 18 e Vodice il 27 ottobre, lasciando al loro risveglio i corpi delle loro vittime. Non vennero predisposte delle indagini in preparazione dei processi, né queste mai ebbero luogo; le prove della colpevolezza degli accusati non erano richieste. Le persone accusate vennero processate sulla base di mere denunce degli agenti di polizia o sulla base dei rapporti dei carabinieri"[88].

Sulla base del lavoro della Commissione jugoslava, vennero quindi approntate diverse liste di presunti criminali di guerra, inviate in successione all'UNWCC per la definizione dei diversi casi segnalati. Inizialmente il governo italiano venne a conoscenza dei nomi degli accusati dalla stampa o da canali informali, ma partire da luglio 1945 iniziò a ricevere dagli alleati degli elenchi[89]. Il Ministero degli Affari Esteri (MAE) italiano produsse nel 1947 la seguente parziale tabella riassuntiva[90]:

Paesi richiedenti Inclusi nella lista UNWCC Richiesti al MAE
con nota verbale
Jugoslavia 729 27
Grecia 111 74
Francia 9 4
Alleati 833 600 ca.1
URSS 12 -
Albania 32 -

1Casi direttamente sottoposti ai tribunali alleati[91].
2L'Albania presentò all'UNWCC una lista con 142 nomi.[92]

La prima lista di italiani reclamati dagli jugoslavi fu pubblicata dalla stampa italiana a febbraio del 1945[93]: fra i quaranta nomi indicati non figurarono i membri del Tribunale Straordinario della Dalmazia[94]. Negli elenchi successivi recuperati dagli italiani o ad essi forniti furono inseriti i nomi di Magaldi (accusato sia dalla Jugoslavia in quanto comandante del presidio di Sebenico e giudice del Tribunale Straordinario della Dalmazia, sia dalla Grecia in quanto presidente del Tribunale militare di Atene), Serrentino (spesso indicato come Sorrentino) e Caruso. Accanto al nome di quest'ultimo venne aggiunta negli elenchi la parola deceduto in quanto fucilato il 22 settembre 1944 per aver collaborato coi tedeschi nell'eccidio delle Fosse Ardeatine. Allo stesso modo venne indicato come deceduto Serrentino, dopo la sua fucilazione a Sebenico (15 maggio 1947). Francesco Centonze venne accusato dalle relazioni iniziali della commissione jugoslava ed inserito nei primi elenchi, ma col passare del tempo il suo nome non apparve più fra i ricercati.

Col passare dei mesi i principi relativi alla dichiarazione di Mosca erano però già stati radicalmente modificati per quanto concerne l'Italia: successivamente alla dichiarazione di guerra di quest'ultima alla Germania (13 ottobre 1943) e all'assunzione dello status di cobelligerante, l'estradizione dei criminali italiani non venne più considerata di primaria importanza da Gran Bretagna e USA, che peraltro condussero diversi processi in proprio direttamente sul territorio italiano, in quanto potenze occupatrici[95]. Nel periodo successivo alla guerra subentrarono diversi ordini di considerazioni che portarono britannici ed americani a non insistere nelle estradizioni dei criminali di guerra italiana in Jugoslavia o in altri paesi, ponendo in essere delle condotte dilatorie o apertamente d'opposizione: da un lato vi era il desiderio di assicurarsi la propria influenza nei confronti dell'Italia postbellica, dall'altro quello di opporsi all'influenza del PCI e - attraverso di esso - dell'Unione Sovietica nella politica italiana. Un terzo fattore che contribuì in maniera decisiva a determinare l'atteggiamento anglo-americano derivò dalla dura occupazione militare jugoslava di Trieste e della Venezia Giulia: l'amministrazione Truman riteneva che Tito non fosse altro che una pedina in mano a Stalin, iniziando a considerare le richieste jugoslave per l'estradizione dei criminali di guerra italiani come una mera mossa propagandistica per screditare l'Italia agli occhi dell'opinione pubblica mondiale[96].

Parallelamente a questo processo, a partire dal 1944 si era affermata fra tutti i partiti antifascisti italiani - ad eccezione del solo PCI - la posizione politica secondo la quale sarebbe spettato all'Italia processare i propri presunti criminali di guerra, senza ricorrere all'estradizione verso i paesi che li richiedevano[97].

Gli articoli della stampa jugoslava

Prima della pubblicazione delle relazioni della commissione jugoslava, il 12 ottobre 1944 il quotidiano spalatino Slobodna Dalmacija[98] aveva pubblicato un articolo dal titolo "Nell'ottobre 1941 il Tribunale militare straordinario per la Dalmazia ha condannato a morte 43 patrioti dalmati", nel quale venne ricordata specificamente - sia pure in modo enfatico e rivendicando come "cinta costiera del nostro paese" il tratto adriatico che va da Monfalcone a Dulcigno - l'attività dell'organo giudiziario voluto da Bastianini. In particolare, si segnalò che Serrentino (definito "noto criminale di guerra") stava collaborando con le autorità jugoslave dalle carceri di Sebenico. Rivendicato l'omicidio di Scotton dell'11 ottobre 1941 ("malfamata spia, primo in Dalmazia"), si citò l'immediata successiva costituzione del Tribunale Speciale della Dalmazia, "istituito per la distruzione del nostro popolo" e "fucina delle sentenze di morte". Denunciato l'uso di vari mezzi di tortura da parte degli italiani, l'articolo proseguì ricordando tutti e quattro i processi celebrati, concludendo che "i fucili vendicatori nelle mani dei combattenti popolari sotto la bandiera di Tito hanno raggiunto molti criminali. E a molti criminali attende il meritato premio"[99].

Il 21 ottobre lo stesso giornale aveva pubblicato un altro articolo dal titolo "I duri fascisti italiani occupatori in Dalmazia": in un più ampio quadro di denuncia delle attività repressive nel corso degli anni di occupazione vennero descritti per sommi capi anche i crimini imputati al Tribunale Straordinario della Dalmazia, ripresi però segnalando solo i due processi di Sebenico e Vodice[100].

Le reazioni italiane

La raccolta di testimonianze e le controinchieste

 
Renato Prunas

Fu a seguito di quest'ultimo articolo che il segretario generale del Ministero degli Affari Esteri italiano - Renato Prunas - decise di preparare una controinchiesta per contrastare l'azione jugoslava, incaricando il maggiore Domenico Lo Faso di coordinare il lavoro[101]. Tale controinchiesta si sviluppò in contemporanea con un'analoga attività di raccolta di informazioni, organizzata dallo stesso Prunas e dal Capo di Stato Maggiore Generale Giovanni Messe con riferimento a presunte illegalità delle forze armate greche contro i militari italiani di stanza in quel paese successivamente all'armistizio[102]. Col passare del tempo l'attività fu stutturata in maniera più completa: la documentazione di difesa venne quindi compilata dall'Ufficio Informazioni dello Stato Maggiore del Regio Esercito su incarico del Ministero della Guerra in concerto con quello degli Affari Esteri e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri[103].

Fra le testimonianze raccolte da Lo Faso vi fu una relazione del tenente generale Umberto Meranghini, inviato in Dalmazia nel 1941 per assumere il ruolo di pubblico ministero nel Tribunale Speciale della Dalmazia[104]. Riferendosi al Tribunale Straordinario, egli ne rilevò la sua arbitrarietà: "Lo componevano, presidente compreso, solo tre membri, la difesa vi era soltanto facoltativa; il presidente dettava le regole del rito; il presidente ne rendeva esecutiva la sentenza. Ma se tutto ciò era impressionante in teoria, peggio ancora era la pratica: codesto Tribunale Straordinario (...) aveva funzione per reati che sol perché devoluti alla sua cognizione venivano colpiti con la morte (...). Come seppi, i processi si svolgevano con rapidità che, per esser esemplare, era riuscita invece a gettar lo spavento. Esso girava per la Dalmazia, e dove si fermava le poche ore strettamente indispensabili per un frettoloso giudizio, pronunciava sentenze di morte, e queste erano senz'altro eseguite"[105].

In una relazione del tenente dei Carabinieri Reali Mario Castellani del 5 febbraio 1945, il processo di Sebenico venne descritto come segue: "La prima [condanna] era dovuta all'uccisione proditoria (...) del giovane Scotton (...). Alle 13:00 del 13.10, dopo un effettivo troppo sommario giudizio e senza precisi indizi, venivano fucilati i 6 giovani elencati tutti minorenni". Castellani sbaglia però nell'indicare l'età dei fucilati: nessuno di essi era minorenne. Riguardo invece all'agguato e al processo di Vodice: "Il 28 ottobre 1941 una pattuglia di nostri militari, cadeva in un'imboscata tesagli presso il villaggio di Vodizze, e i quattro militari vennero uccisi. Nella stessa giornata, per rappresaglia, il villaggio veniva incendiato dalle nostre truppe e 26 uomini del villaggio vagamente indiziati di aver partecipato al fatto, deferiti al Tribunale. Il Tribunale si riuniva e dopo un'ora e mezza di seduta condannava a morte 14 e alla deportazione gli altri". Tale ricostruzione presenta degli errori in ordine alla data dell'agguato, al numero dei militari italiani uccisi, al numero delle persone deferite e al tipo di condanne inflitte[106].

Nelle testimonianze iniziali raccolte dagli italiani, in generale venne riconosciuta la veridicità delle violenze descritte dagli jugoslavi, affermando però che tali violenze erano state quasi sempre commesse come reazione ad aggressioni o a precedenti episodi di violenza dei partigiani jugoslavi[100]. Via via che passarono i mesi, si rafforzò sempre più la linea difensiva che tendeva a rappresentare le violenze e gli "eccessi" come risposta alle "barbare sevizie" subite dai soldati italiani, mentre le efferatezze più gravi venivano quasi sempre addossate ai tedeschi, agli ustascia e alle lotte intestine fra le diverse fazioni e i popoli jugoslavi, nel contempo evidenziando le gesta di "umanità e aiuto" prestate agli abitanti delle zone sotto controllo delle autorità italiane[107].

Vennero quindi preparate varie note e promemoria a difesa dei militari e dei politici che operarono nel teatro jugoslavo, contenenti allo stesso tempo dei memoriali contro ustascia e partigiani comunisti: l'obiettivo fu non solo quello di discolpare o giustificare il comportamento degli italiani nel territorio occupato, ma anche di lanciare delle precise accuse contro l'attività delle formazioni partigiane[108].

Ad aprile del 1945 gli italiani produssero un documento dal titolo Direttive seguite dalle autorità e dalle truppe italiane di occupazione nell'azione pacificatrice svolta in Jugoslavia[109]. Non avendo a disposizione gli archivi del Tribunale Straordinario della Dalmazia - rimasti in loco - per quanto riguarda la sua qualificazione ci si rifece esclusivamente alle testimonianze raccolte: "Tale tribunale fu in effetti arbitrario sia perché non trovava base in nessuna norma legislativa sia per la sua costituzione ed il modo di funzionare. Lo componevano, presidente compreso, solo tre membri (Gen. Gherardo Magaldi, Vincenzo Sorrentino [sic] e Pietro Caruso), la difesa vi era soltanto facoltativa, il presidente dettava le regole del rito e ne rendeva esecutiva la sentenza. In pratica, poiché, in forza del decreto su cui si fondava, aveva funzione solo per reati che venivano colpiti con la pena di morte, sembra abbia fatto ampio uso di tanta sua rigorosa potestà"[110]. Con riferimento al successivo Tribunale Speciale, le Direttive così conclusero: "Questo tribunale restituì alla giustizia dignità di funzionamento che il Tribunale straordinario aveva forse offuscato"[111].

Ad agosto dello stesso anno venne approntato un altro documento: Note alle prime quattro relazioni compilate dalla Commissione di Stato jugoslava per l'accertamento dei misfatti compiuti dagli occupatori e dai loro coadiutori[112], con l'obiettivo dichiarato di "esaminare in dettaglio" le accuse jugoslave. Un paragrafo intero fu dedicato alle accuse contro Magaldi, Sorrentino [sic] e Caruso, "accusati come responsabili di numerose condanne a morte emesse senza possedere elementi di prova". Rifacendosi sempre alle testimonianze raccolte e ai documenti jugoslavi all'epoca conosciuti - che riportavano solo la descrizione dei processi di Sebenico e Vodice - le Note alle prime quattro relazioni riconobbero che "il tribunale straordinario (...) ha dato luogo a molte critiche". In successione vennero nuovamente ricordati i termini generali dei due processi, ripetendo nuovamente gli stessi errori fattuali derivati dalle testimonianze: si affermò che i condannati di Sebenico furono tutti "compagni di scuola" di Scotton nonché "minorenni", aggiungendo che "sembra che in epoca susseguente alla esecuzione si sia potuto accertare che qualcuno dei condannati era effettivamente colpevole"[113]. Anche il racconto dei fatti di Vodice ripresentò gli stessi errori riportati nelle testimonianze in ordine alle date e al numero dei militari italiani uccisi dai partigiani jugoslavi, dei rinviati a giudizio e dei condannati a morte, nonché alla tipologia delle altre condanne inflitte[114].

 
La copertina delle Note relative all'occupazione italiana in Jugoslavia (settembre 1945)

A settembre vennero preparate le Note relative all'occupazione italiana in Jugoslavia, esplicitamente al fine di contrastare la "vasta campagna propagandistica" messa in campo dagli jugoslavi[115]. Il quadro descritto è quello di un Regio Esercito accolto dalla popolazione jugoslava "in un modo del tutto cordiale e, in talune zone, in modo veramente caloroso. (...) La naturale correttezza dei reparti italiani, il rigorosissimo controllo esercitato perché in modo assoluto fosse rispettata la proprietà privata e la istintiva cordialità dei soldati italiani contribuirono a creare un'atmosfera di reciproca intesa per cui la popolazione locale considerò le truppe italiane con stima e con ammirazione e queste guardarono al popolo jugoslavo con fiducia e simpatia"[116]. Alla situazione in Dalmazia è dedicato un paragrafo apposito. In esso non si fa alcun cenno al Tribunale Straordinario della Dalmazia e si rovescia totalmente la responsabilità delle tensioni e dei disordini agli "atti di banditismo o di efferata crudeltà che nulla avevano a che fare con una vera e propria guerra partigiana", laddove le responsabilità del regime vennero limitare a "certi sistemi amministrativi e provvedimenti del Governo della Dalmazia che, instaurando per ordine di Roma, anche nelle forme esteriori taluni metodi organizzativi e istituti fascisti già esistenti in Italia, ma non sempre aderenti agli usi e alla mentalità di quelle popolazioni, urtavano la suscettibilità di [taluni ambienti slavi]"[117].

Le Note elencano "alcuni esempi di atrocità e di atti di terrorismo commessi in Dalmazia da partigiani jugoslavi". Fra quelli di cui si occupò il Tribunale Straordinario della Dalmazia v'è l'omicidio di Antonio Scotton e l'attentato di Vodice del 28 ottobre 1941. Quest'ultimo è però descritto sulla base delle testimonianze raccolte, e si persevera nell'errore di ritenere che "quattro militari di pattuglia cadevano in un'imboscata e venivano barbaramente uccisi"[118], quando in realtà i morti furono due. Secondo le Note, ad agosto del 1941 sempre a Vodice ci sarebbe stato un altro attentato - la cui stringata descrizione è molto simile a quella dell'ottobre successivo - nella quale sarebbero caduti "due sentinelle e un carabiniere"[119]. Tale attentato non risulta da nessun'altra fonte.

All'interno della terza parte del documento, si trovano gli unici accenni all'operato degli organi di giustizia italiani nel teatro Jugoslavo, ma solo con riferimento ai tribunali militari: "L'azione della magistratura militare si svolse attraverso i tribunali di guerra (...). Questi tribunali ottennero ovunque attestazioni di equanime e corretto funzionamento e dimostrarono sempre una longanimità che è sicura prova della comprensione con la quale giudicarono (...)[120].

La commissione d'inchiesta italiana

A febbraio del 1946 il ministro della guerra Manlio Brosio propose al presidente del consiglio De Gasperi di istituire presso il suo ministero un'apposita commissione che indagasse sui "presunti" criminali di guerra italiani: "sembra conseguirne ormai la necessità, per il Governo italiano, di compiere quegli accertamenti atti a stabilire la verità sui fatti denunciati, allo scopo: a) di salvaguardare l’onore e la dignità di quelli che possono ritenersi immuni dalle accuse loro lanciate; b) di sfatare la leggenda, che potrebbe crearsi all’estero, che lo Stato italiano voglia proteggere gli autori di odiosi reati, o che non voglia attenersi a quella deferente cortesia propria dei rapporti fra Stati sovrani; c) di eliminare la possibilità di arresti e di consegne di italiani agli Stati richiedenti, senza il concorso dello Stato Nazionale; d) di dimostrare che si tiene nel dovuto conto un grave problema quale quello dei criminali di guerra"[121]. De Gasperi accolse la proposta di Brosio: il 9 aprile 1946 annunciò al capo della Commissione alleata di controllo Ellery W. Stone l'intenzione del governo di iniziare una "severa inchiesta" volta ad accertare le responsabilità degli italiani macchiatisi di crimini di guerra nei paesi occupati. Il 6 maggio 1946 venne quindi istituita una Commissione d’inchiesta, presieduta dall’ex Ministro della guerra Alessandro Casati. In autunno a Casati subentrò l'ex ministro dell'aeronautica e futuro ministro della difesa Luigi Gasparotto[122].

La sorte dei giudici

Dei quattro giudici che formavano il Tribunale Straordinario della Dalmazia, Magaldi e Centonze sopravvissero alla guerra e non furono mai processati per la loro partecipazione a quest'organo. Le loro vicende personali sono qui sintetizzate.

Gherardo Magaldi

Gherardo Magaldi, nato ad agosto del 1882, proveniva dall'arma di artiglieria[123]. Ufficiale dal 1902, pluridecorato al valor militare (tre medaglie d'argento, una croce di merito), fu grande invalido e mutilato della Grande guerra. Fu riassunto in servizio presso il corpo d'armata di Firenze, dopo la guerra. Negli anni '30 fu segretario dell'Ordine militare di Savoia[124]. Nel 1937 fu nominato generale. Durante la seconda guerra mondiale fu comandante del presidio militare di Sebenico, poi presidente del Tribunale Straordinario della Dalmazia. Al suo scioglimento fu nominato presidente del Tribunale Militare d'Armata di Atene. Sostituito a causa della sua eccessiva severità, rientrò in Italia. Dopo l'8 settembre aderì alla Repubblica Sociale Italiana, divenendo comandante della Regione Militare di Roma e poi di Bologna. Qui presiedette anche un tribunale straordinario di guerra che condannò a morte diversi partigiani. Incarcerato a Milano nel dopoguerra, ad agosto del 1945 venne cancellato dai ruoli di ufficiale dell'esercito per aver "cooperato dopo il 13 ottobre 1943 con le forze armate in guerra contro l'Italia"[125]. Aperto un procedimento penale a suo carico dalla Procura di Bologna, il 18 novembre 1946 venne condannato a 18 anni di carcere - ridotti a dodici per condono e per la concessione delle attenuanti generiche - per le fucilazioni e le varie condanne comminate dal dicembre 1943 al gennaio 1944 dal tribunale straordinario di Bologna[126]. Interrogato in altro procedimento come testimone, Magaldi aveva rivendicato con tono "spavaldo e quasi arrogante" l'operato del tribunale straordinario[127], sull'attività del quale venne chiamato a testimoniare anche nel processo contro il questore di Bologna della RSI Giovanni Tebaldi[128]. In quanto invalido, scontò la sua condanna sia nella casa penale per minorati fisici e psichici di Soriano nel Cimino che a Viterbo[129].

Francesco Centonze

Negli anni '20 - giovane fascista in Umbria - polemizzò contro le le organizzazioni giovanili cattoliche[130]. Nel 1928 pubblicò il saggio Il diritto al nome[131]. Divenuto magistrato, nel 1939 fu pretore in Puglia[132]. Dopo l'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana. A Milano fu pubblico ministero del Tribunale Militare Straordinario che fra gennaio e marzo del 1945 emise 25 condanne a morte contro i partigiani. Nel 1947 fu processato per questo assieme al presidente del tribunale - generale Pasquale Spoleti - e al tenente Giuseppe Libois, giudice a latere. Tutti e tre erano latitanti. Spoleti venne condannato a 30 anni di reclusione, Libois a 10 anni, mentre Centonze venne assolto per amnistia[133]. Tornato a fare il magistrato, nel 1959 - mentre ricopriva la carica di consigliere della Corte d'Appello di Genova - si candidò alle prime elezioni per il Consiglio Superiore della Magistratura, non venendo eletto[134]. Andò in pensione nel 1972 col titolo onorifico di magistrato di Corte di Cassazione[135].

Note

  1. ^ a b Talpo 1985,  p. 146.
  2. ^ L'incontro si tenne a Vienna il 21 e 22 aprile 1941, ed era stato preceduto il 18 da una riunione di tutti i rappresentanti delle potenze che avevano partecipato all'invasione. Ampia trattazione dei colloqui Ciano - Ribbentrop in Talpo 2008, pp. 309-316.
  3. ^ Fra i motivi di frizione, la presenza di numerosi tedeschi etnici a Zagabria e in altre zone della Croazia: l'ingresso delle truppe tedesche in città era stato accolto da scene di giubilo. In merito si veda Burgwyn 2006, pp. 56-59.
  4. ^ R.D.L. 452/41, art. 1
  5. ^ Entrambe le regioni annesse dall'Ungheria erano abitate anche da popolazioni ungheresi, che in diverse zone costituivano la maggioranza.
  6. ^ Burgwyn 2006, pp. 49-76.
  7. ^ Monzali 2007, p. 351.
  8. ^ Monzali 2007, pp. 354-355.
  9. ^ Becherelli 2012, p.60.
  10. ^ Burgwyn 2006, pp. 81 ss.
  11. ^ Gobetti 2013, pp. 28-29.
  12. ^ La "Regia guardia nazionale croata" - sorta nel 1868 - era inserita nel "Regio esercito ungherese", essendo all'epoca la Croazia parte dell'Ungheria.
  13. ^ Burgwyn 2006, pp. 88-95.
  14. ^ Burgwyn 2006, pp. 86-88.
  15. ^ Becherelli 2012, pp. 134 ss.
  16. ^ Talpo 2008, pp. 501-517.
  17. ^ Burgwyn 2006, p. 92.
  18. ^ Burgwyn 2006, pp. 92-95.
  19. ^ Talpo 1985, p. 662.
  20. ^ Caccamo 2008, pp. 149-155, 161.
  21. ^ Caccamo 2008, p. 165.
  22. ^ Gobetti 2013, pp. 31 ss., Caccamo 2008, pp. 166 ss., Tomasevich 1975, Tomasevich 2001.
  23. ^ Il Montenegro contava all'epoca all'incirca 400.000 abitanti.
  24. ^ Gobetti 2013, p. 40, Tomasevich 2001, p. 141.
  25. ^ Alcuni autori arrivano a contare circa 100.000 uomini impegnati: Caccamo 2008, pp. 166-170.
  26. ^ Talpo 1985, p. 663
  27. ^ Talpo 1985, pp. 664-665
  28. ^ Talpo 1985, pp. 666-667
  29. ^ Talpo 1985, p. 667
  30. ^ L'episodio in cui Rodolfo Nigi ascese nel cielo degli eroi, in La Nazione, 29 agosto 1941.
  31. ^ L'evento colpì particolarmente gli spalatini, anche perché alcuni fra i partigiani fucilati erano dei calciatori della locale squadra dell'Hajduk. Kvesić 1960, pp. 135-145, Dckić 1979, pp. 48, 50, Ratna Kronika 2010, 14.-26. kolovoza, Borba u Dalmaciji 1981, p. 582. Le fucilazioni furono documentate da una serie di fotografie, dalle quali si ricava la presenza anche di militari italiani. In merito si veda (HR) Prvi splitski partizanski odred, su Antifašistički Split. Ratna kronika Split 1941.-1945. URL consultato il 10 marzo 2017.
  32. ^ Becherelli 2012, p. 266.
  33. ^ Talpo 1985, p. 665.
  34. ^ Ratna Kronika 2010, 13.-14. rujna
  35. ^ In Borba u Dalmaciji 1981, pp. 156 ss. sono riportati diversi documenti sulla vicenda, compresi i testi dei volantini.
  36. ^ Secondo Oddone Talpo (Talpo 1985, p. 671) Petraello morì a causa della ferita. Lo studioso spalatino Branko Dckić (Dckić 1979, p. 25) afferma invece che Zvonimir Kukoč Petraello era una nota spia italiana di Spalato e che venne pugnalato dal comunista Jerko Ivančić, riuscendo però a sopravvivere. Dopo l'8 settembre 1943 Petraello si sarebbe rifugiato in Italia. Simile ricostruzione in Borba u Dalmaciji 1981, p. 41; nello stesso studio si riporta il testo di un volantino comunista nel quale Petraello era indicato come filofascista e rapinatore, affermando in nota che in seguito sarebbe stato ucciso: Borba u Dalmaciji 1981, p. 159. Qualche decina di pagine dopo - però - si riafferma che Petraello scappò in Italia dopo l'8 settembre 1943: Borba u Dalmaciji 1981, p. 186. In un'altra fonte croata si afferma che Petraello era un dirigente del Partito Rurale Croato: Historijski Zbornik, vol. 10, Povijesno društro Hrvatske, Zagreb 1957, p. 14. Jerko Ivančić morì a Spalato il 27 gennaio 1942 come conseguenza delle torture ricevute dalla polizia italiana: Ratna Kronika 2010, 27. siječnja 1942.
  37. ^ Originariamente nave greca di nome Athinai, fu requisita dagli italiani a giugno del 1941 mentre era ancorata nel porto di Napoli, venendo ribattezzata Palermo. L'8 settembre 1943 si trovava nel porto di Valona dove venne catturata dai tedeschi. Il 27 maggio 1944 la nave era in trasferimento da Venezia verso Parenzo quando alle ore 3:35 incappo in una mina che la fece colare a picco in pochi minuti. Nell'affondamento persero la vita due marinai.
  38. ^ Ratna Kronika 2010, 8. listopada. Senjanović fu uno dei condannati a morte in contumacia dal Tribunale Straordinario della Dalmazia: morirà in combattimento il 21 febbraio 1942, venendo in seguito onorato come Eroe nazionale della Jugoslavia. Il civile era un fornaio di nome Ante Polavić (riportato in: Talpo 1985, p. 672). Secondo Dckić 1979, p. 60 l'attentatore fu invece il comunista Ante Jonić.
  39. ^ Notizie biografiche su Scotton in Ante Bego Giljak, Šibenik ustaničke 1941: Sjećanje na događaje iz grada i okolice, Šibenik, Musej grada Šibenik, 1982., pp. 23 ss.
  40. ^ Slobodna Dalmacija 1945, p. 747
  41. ^ R.D.L. 453/41, artt. 2-3
  42. ^ Ordinanza 11 ottobre 1941, n. 34 - Costituzione del tribunale Straordinario e sua competenza, in Giornale Ufficiale del Governo della Dalmazia, 1/15 ottobre 1941, Anno I, nn. 6/7, riportato integralmente - in traduzione croata - in Zbornik 1969, pp. 438-439 e in gran parte anche in Begonja 2008, p. 836. Per estratto in italiano in Talpo 1985,  p. 711.
  43. ^ La costituzione di questo organo giudiziario ricalcava un'analoga disposizione del commissario civile della Provincia di Lubiana Emilio Grazioli, che l'11 settembre 1941 aveva istituito un Tribunale speciale dotato di ampi poteri. Questo Tribunale si riunì in un'unica occasione l'8 ottobre, condannando a morte tre sloveni (la condanna venne poi commutata nell'ergastolo), e venne sostituito il 7 novembre da un Tribunale militare della Seconda Armata che fino all'8 settembre 1943 giudicò 13186 imputati (di cui 1150 militari del Regio Esercito) in 8737 processi, comminando 83 condanne a morte. In merito si vedano Conti 2008, p. 13 e Kersevan 2008, p. 30.
  44. ^ a b Talpo 1985,  p. 711.
  45. ^ a b Begonja 2008, p. 836.
  46. ^ Begonja 2008, pp. 836-837.
  47. ^ Talpo 1985, p. 676
  48. ^ I nomi sono riportati nelle fonti con diverse varianti. qui s'è presa la dizione presente nel memoriale di Sebenico. Nel cippo del parco Šubićevac è indicato anche il nome di Ante Šantić, ucciso circa due mesi prima. Si veda in merito AA.VV., Zbornik instituta za historiju radničkog pokreta Dalmacije, Split 1972, p. 259.
  49. ^ Borba u Dalmaciji 1981, pp. 648-654.
  50. ^ Di questa opposizione, come delle altre dichiarate da Serrentino, non v'è però alcuna prova documentale. Si veda Begonja 2008, p. 837
  51. ^ Slobodna Dalmacija 1945, pp. 747-748.
  52. ^ a b Borba u Dalmaciji 1981, p. 664.
  53. ^ Borba u Dalmaciji 1980, pp. 672-673.
  54. ^ Borba u Dalmaciji 1981, pp. 656-661
  55. ^ a b c d Slobodna Dalmacija 1945, p. 748.
  56. ^ Kvesić 1960, pp. 183-184
  57. ^ a b Ratna Kronika 2010, 15. listopada.
  58. ^ Igor Kramarsić, Gli anni Trenta furono un’epoca d’oro per il canottaggio spalatino, in La Voce del Popolo - La Voce InPiù - Dalmazia, 12 marzo 2011..
  59. ^ Borba u Dalmaciji 1981, p. 248.
  60. ^ I nomi riportati sono come appaiono nella targa commemorativa eretta nella piccola località bocchese di Škaljari. I nomi riportati dalla fonte sono invece quelli di Ivan [G]rgurević, Nikola Korda, Krsto Petroković, Mate Petroković, Grazia Grgurević, Djuro Matković e Paško Čupić: si veda Commissione 1945 ss.
  61. ^ a b Begonja 2008, pp. 837-838.
  62. ^ Škaljari – sjećanje na pale borce (Škaljari – La memoria dei martiri), su bokanews.me, 19 ottobre 2015. URL consultato l'8 luglio 2016.
  63. ^ Kotor u oslobodilačkom ratu (Cattaro nella guerra di liberazione), su znaci.net. URL consultato il 5 luglio 2015.
  64. ^ Monzali 2007, p. 297.
  65. ^ La ricostruzione dei fatti e del processo è tratta principalmente da Borba u Dalmaciji 1981, pp. 682-684, 688-694: i nomi propri dei militi delle Camicie Nere sono stati tradotti nel corrispondente italiano. Notizie anche in Talpo 1985, pp. 679, 681, Benyovsky 2014, pp. 5-7, Slobodna Dalmacija 1945, p. 748. Per Talpo il processo si sarebbe celebrato a Sebenico, ma tutte le altre fonti parlano invece di Vodice.
  66. ^ Kvesić 1960, p. 113.
  67. ^ Nella documentazione non ne è indicato il nome, ma all'epoca la carica era ricoperta dallo zaratino Giuseppe Alacevich. Si veda in merito Conti 2008, p. 87, Di Sante 2005, pp. 224-225.
  68. ^ Il numero degli uccisi e le notizie sugli incendi sono contenuti nel rapporto ufficiale del comandante della 107° Legione CC.NN. "Francesco Rismondo" Ivan Scalchi al governatore Bastianini del 27 ottobre 1941 (Borba u Dalmaciji 1981, pp. 682-684). Talpo parla invece di tre morti (Talpo 1985, p. 679), mentre la Commissione jugoslava per l'accertamento dei crimini degli occupatori ne indica quattro: Commissione 1945 ss.
  69. ^ In un saggio pubblicato all'interno del sito della Città di Vodice e contenente i nomi dei 1422 abitanti che parteciparono alla lotta antifascista fra il 1941 e il 1945, sono presenti i nomi di solo tre condannati a morte, con grafie parzialmente diverse: Šime Bilan, Ivan Juričev Coto, Ante-Kule Udovičić. Si veda (HR) Vodičani u Drugom Svjetskom Ratu 1941.-1945. (PDF), su www.grad-vodice.hr. URL consultato il 17 maggio 2015.
  70. ^ Borba u Dalmaciji 1981, pp. 694.
  71. ^ L'interrogatorio di Serrentino ebbe luogo il 18 ottobre 1945. Begonja fa notare come di questo processo non sia però stato pubblicato nessun documento nella più importante opera di collazione di documenti del periodo bellico in Dalmazia apparsa in Jugoslavia, che è Borba u Dalmaciji 1981. In merito a tutta la vicenda si veda Begonja 2008, p. 838.
  72. ^ Begonja 2008, p. 838.
  73. ^ Dizdar 2005, p. 190.
  74. ^ Kersevan 2008, p. 39.
  75. ^ Bando 24 ottobre 1941.
  76. ^ Borba u Dalmaciji 1981, p. 716.
  77. ^ Cappellano 2008, pp. 40, 44.
  78. ^ Oramai ampia la bibliografia su questo complesso tema. Per quanto riguarda gli studi apparsi in Italia, si vedano a titolo d'esempio (in ordine cronologico) Focardi 2000, Battini 2003, Di Sante 2005, Conti 2011, nonché le relazioni dell'apposita Commissione parlamentare d'inchiesta Commissione parlamentare 2006; per una prospettiva dal punto di vista degli alleati occidentali si veda invece Pedaliu 2004.
  79. ^ Conti 2011, p. 242
  80. ^ Mosconi 2002, p. 770
  81. ^ Francia, Grecia, Norvegia, Olanda, Australia, Canada, Usa, Regno Unito, Polonia, Jugoslavia, Cecoslovacchia, Belgio, Cina, India, Nuova Zelanda, Lussemburgo. Il Sud Africa in seguito non partecipò ai lavori, la Danimarca fu ammessa nel luglio 1945.
  82. ^ Un'ampia trattazione storica sull'UNWCC in (EN) 1948 History of the United Nations War Crimes Commission and the Development of the Laws of War (PDF), su http://www.unwcc.org, UNWCC, 1948. URL consultato il 14 febbraio 2016.
  83. ^ Il testo esatto della dichiarazione così recita: "those German officers and men and members of the Nazi party who have been responsible for or have taken a consenting part in the above atrocities, massacres and executions will be sent back to the countries in which their abominable deeds were done in order that they may be judged and punished according to the laws of these liberated countries and of free governments which will be erected therein". Il virgolettato è tratto da Mosconi 2002, p. 770. Il testo della dichiarazione è anche leggibile dal sito dell'ONU (EN) Declaration of German Atrocities, su http://unterm.un.org/, 1º novembre 1943. URL consultato il 14 febbraio 2016..
  84. ^ Notizie dettagliate in (HR) Martina Grahek Ravančić, Ustrojavanje organa nove vlasti: Državna/Zemaljska komisija za utvrđivanje zločina okupatora i njihovih pomagača – organizacija, ustroj, djelovanje, in Historijski zbornik, n. 1, 2013, pp. 149-172. e in (HR) ARHiNET, Zemaljska komisija za utvrđivanje zločina okupatora i njihovih pomagača Hrvatske, su http://arhinet.arhiv.hr. URL consultato il 5 luglio 2015.. Si veda anche Di Sante 2005, pp. 17 ss.
  85. ^ La relazione è leggibile integralmente - pur presentando essa diversi errori fattuali, di trascrizione e traduzione - in Commissione 1945 ss..
  86. ^ La relazione completa della Commissione venne pubblicata a partire dal 1945 a Belgrado in serbo-croato, francese ed inglese. Per la parte riguardante gli italiani è stata ripubblicata in riduzione in Dokumenti 1999: la parte relativa al Tribunale Straordinario della Dalmazia è a p. 35. In italiano in Di Sante 2005, pp. 59-72.
  87. ^ Report 1946.
  88. ^ Report 1946, pp. 33-34.
  89. ^ Le liste provenivano da Unione Sovietica, Jugoslavia, Gran Bretagna, Grecia, Albania ed Etiopia.
  90. ^ Diverse persone richieste con nota verbale non vennero incluse nella lista UNWCC.
  91. ^ La tabella e le notizie relative alle liste sono in Commissione parlamentare 2006, pp. 410-412
  92. ^ Conti 2011, p. 159
  93. ^ Commissione parlamentare 2006, pp. 420-421
  94. ^ La Jugoslavia esige la consegna dei criminali fascisti di guerra (PDF), in l'Unità, 11 febbraio 1945, p. 1. URL consultato il 28 febbraio 2016..
  95. ^ Pedaliu 2004, p. 506
  96. ^ Pedaliu, pp. 507-512
  97. ^ Conti 2008, pp.205 ss.
  98. ^ All'epoca organo del movimento partigiano, la Slobodna Dalmacija oggi è il principale quotidiano della città dalmata.
  99. ^ Slobodna Dalmacija 1945.
  100. ^ a b Di Sante 2005, p. 18
  101. ^ Di Sante 2005, p. 17.
  102. ^ Conti 2011, pp. 7 ss.
  103. ^ Di Sante 2005, p. 111
  104. ^ Il ruolo di Meranghini nel Tribunale Speciale è indicato in Giacomo Scotti, «Bono Taliano». Gli italiani in Jugoslavia (1941-1943), Milano, La Pietra, 1977., p. 49.
  105. ^ Di Sante 2005, p. 19
  106. ^ La testimonianza in Di Sante 2005, pp. 19-20.
  107. ^ Di Sante 2005, p. 20.
  108. ^ Di Sante 2005, p. 23.
  109. ^ Di Sante 2005, pp. 113-130
  110. ^ Di Sante 2005, p. 127
  111. ^ Di Sante 2005, p. 128
  112. ^ Di Sante 2005, pp. 139-168
  113. ^ Di Sante 2005, p. 144
  114. ^ Di Sante 2005, pp. 144-145
  115. ^ Note 1945, p. 3. Il testo è riportato integralmente in Di Sante 2005, pp. 171-204
  116. ^ Note 1945, p. 6.
  117. ^ Note 1945, p. 25.
  118. ^ Note 1945, p. 27.
  119. ^ Note 1945, p. 26.
  120. ^ Note 1945, pp. 91-92.
  121. ^ Commissione parlamentare 2006, pp. 427-428
  122. ^ Commissione parlamentare 2006, pp. 431-432
  123. ^ Le informazioni biografiche sono tratte - salvo diversa indicazione - da Cappellano 2008, pp. 44 ss.
  124. ^ Giornale Ufficiale del Regio Esercito, Roma, 1934, p. 662.
  125. ^ Ufficiali dell'Esercito cancellati dai ruoli, in La Stampa, 18 agosto 1945, p. 1..
  126. ^ Diciott'anni al Gen. Magaldi che condannò a morte molti patrioti, in Corriere d'Informazione, 18 dicembre 1946, p. 1.
  127. ^ Testimone arrestato in udienza alla Corte d'Assise speciale, in Corriere d'Informazione, 5-6 settembre 1946, p. 2.
  128. ^ La deposizione dei congiunti di dieci ostaggi fucilati a Bologna, in Corriere della Sera, 4 ottobre 1953, p. 6.
  129. ^ Anna Laura Sanfilippo (a cura di), Le carte Pasquali Coluzzi. Le corrispondenze dei fascisti detenuti a Viterbo (1946-1953), Brescia, Cavinato Editore International, 2016, pp. 94-95, ISBN 9788869823787.
  130. ^ Alberto Monticone, Cattolici e fascisti in Umbria: (1922-1945), Bologna, Il Mulino, 1978, pp. 308 ss..
  131. ^ Francesco Centonze, Il diritto al nome, Città di Castello, Leonardo Da Vinci, 1928.
  132. ^ Italy Zone Handbook: Apulia, Foreign Office, 1943, p. 17.
  133. ^ Trent'anni di reclusione al generale Spoleti, in Corriere della Sera, 11 gennaio 1947, p. 2.
  134. ^ Le elezioni per il Consiglio superiore della Magistratura, in Corriere della Sera, 20 gennaio 1959, p. 4.
  135. ^ Il Consiglio superiore della magistratura, vol. 2, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1972, pp. 59, 93.

Bibliografia

Regi Decreti

Atti parlamentari

  • Commissione parlamentare d'inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, Proposte di relazione dei deputati Raisi e Carli (PDF), in Atti Parlamentari - XIV Legislatura, Roma, Camera Deputati–Senato Repubblica, 24 gennaio 2006, pp. 39-293, 294-847. URL consultato il 17 maggio 2015.

Articoli giornalistici

  • Nell'ottobre 1941 il Tribunale militare straordinario per la Dalmazia ha condannato a morte 43 patrioti dalmati, in Slobodna Dalmacija, n. 221, 12 ottobre 1945. L'articolo è riportato in traduzione in Oddone Talpo, Dalmazia. Una cronaca per la storia (1941), Roma, Ufficio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, 1985, pp. 745-749.

Studi a stampa

Sentenze del Tribunale - pp. 264-272-304 Ratna Kronika Splita Inventario Commissione jugoslava sui crimini degli occupatori (1) Commissione jugoslava sui crimini degli occupatori (2) Articolo La Stampa su criminali di guerra Libro "Pagine di storia rimosse..." Borgomaneri, "Crimini di geurra..." Libro sulla ricostruzione giudiziale dei crimini nazifascisti in Italia

Collegamenti esterni