Su Maimulu è un'antica manifestazione carnevalesca del paesi di Gairo e Ulassai, nella subregione barbaricina dell'Ogliastra, nella Sardegna centro orientale.

Su Maimulu, Gairo

Fa parte delle tipiche maschere sarde del Carnevale barbaricino e ogliastrino che rievocano riti legati ad antiche danze propiziatorie.

La manifestazione coincide con i vari riti Carrasegare della Barbagia e i Segariepetza campidanesi dell'ultimo periodo invernale (febbraio-marzo) [1], ma ha inizio il 17 gennaio con "sa primu essia", che avviene in occasione dei grandi falò di piazza in onore di Sant'Antonio (a Gairo) e San Sebastiano (a Ulassai). A Gairo l'evento è accompagnato anche dalla nota e tradizionale "Sagra del cinghiale".

Su Maimulu a Ulassai

Origine del nome

  Lo stesso argomento in dettaglio: Maimone.

Non esiste un'origine certa del nome Maimulu.

Per la studiosa Dolores Turchi, che propende per un'origine dionisiaca dei carnevali barbaricino-ogliastrini, il termine Maimone o Mamuthone, deriverebbe da Mainoles (pazzo scatenato), ossia la maniera con la quale in lingua greca veniva chiamato Dionisio, dio dell'estasi e dell'ebrezza, mentre le Menadi, sue seguaci, erano chiamate Mainades (pazze). In greco Maimoon indicava colui che desiderava essere posseduto dal dio. Sempre dalla stessa radice deriva Maimasso o Maimatto (il violento, il tempestoso), termini usati da Plutarco per identificare Giove Pluvio, nella mitologia greca spesso identificato con Dionisio. Secondo la studiosa, nella danza dei Mamuthones del carnevale barbaricino si intravede il rito dionisiaco rappresentato dal sacrificio del dio che muore per poi risorgere [2].

Il linguista Max Leopold Wagner nel suo Dizionario etimologico sardo traduce Maimone con "spauracchio" dando al termine origini semitiche e spiegando che - originariamente - indicava una scimmia e - successivamente - avrebbe definito una bestia immaginaria. Tale definizione animalesca è stata accolta anche dallo studioso Giulio Paulis.

File:Il Carnevale a Gairo.jpg
Gairo Vecchio, Su Maimulu

Giovanni Lilliu, padre dell'archeologia sarda, nel suo libro La civiltà dei Sardi scrive che Maimone era un essere demoniaco, invocato come facitore di pioggia a Cagliari ed a Ghilarza, mentre ad Iglesias era lo spirito di un pozzo.

Francesco Alziator riprendeva i significati dati da M. L. Wagner e ipotizzava un'affinità tra Maimone e le statue parlanti di Roma come Pasquino e Marforio.

Secondo altri studiosi, tra cui Mario Ligia, Maimulu è una variante di Maimone, termine sardo che stava ad indicare, secondo alcuni ricercatori, l'antica divinità fenicia [3] e protosarda della pioggia. La radice Maim'o, infatti, in fenicio significava "acqua" mentre in ebraico indicava un demone, un mostro ed anche la brama di denaro. Sempre lo stesso studioso lo identifica con la divinità pluvia libico-berbera di Amon, con la differenza che la radice del vocabolo sardo Maimone, per la presenza della vocale i, risulterebbe più antica e proverrebbe direttamente dall'Asia Minore e non dall'Africa [4].

Lessico

Su Maimulu: la mascherata, il periodo carnevalesco. Maimulu però significa anche, semplicemente, maschera.

Is maimulus: le maschere, in generale. La pronuncia nella variante ogliastrina del sardo è "Ir maimulus", in quanto l'articolo plurale is se seguito da determinate consonanti, si proncuncia "ir".

S'urtzu ballabeni: è uno dei personaggi principali de Su Maimulu. La pronuncia, nella variante ogliastrina del sardo, è "ursu"

Il Carnevale ogliastrino e barbaricino

  Lo stesso argomento in dettaglio: Mamuthones.
File:Gairo - Su Maimulu.jpg
Gairo, Su Maimulu. L'uccisione de s'urtzu ballabeni

La mascherata de Su Maimulu fa parte delle rappresentazioni carnevalesche ogliastrine e barbaricine, che si differenziano dagli altri carnevali isolani per le loro maschere orride e ancestrali.

Queste rappresentazioni, di origine pre-cristiana e pre-romana, mettono in scena l'atavica lotta tra il bene e il male. Una figura malvagia, (a Gairo s'urtzu ballabeni), che rappresenta la natura selvaggia, l'inverno, attacca chiunque gli si pari davanti, così come l'inverno in passato aggrediva le comunità. Delle figure benigne invece (a Gairo is omadoris o peddincionis) lo tengono in catene e attraverso le percosse lo obbligano prima a seguire un ritmo regolare (dettato dai campanacci che portano sul dorso) poi lo uccidono. La danza ad un ritmo regolare (il nome del personaggio deriva proprio dall'incitamento "Urtzu, ballabeni!" ovvero "Urtzu, balla bene!") è da auspicio ad una natura che danzi al ritmo voluto dalla comunità, con piogge regolari etc... La morte de s'urtzu è invece il simbolo della fine dell'inverno, del periodo di sofferenza quindi. Alla morte iniziano i festeggiamenti della comunità, interrotti solo da una repentina rinascita de s'urtzu. La rinascita serve a ricordare alla comunità il ciclo delle stagioni. S'urtzu per l'anno è stato sconfitto, ma la vittoria non è permanente: l'anno successivo tornerà, aggressivo come sempre.

Considerate di interesse etnologico in quanto legate ai cicli naturali della morte e della rinascita della natura, le maschere antropomorfe e zoomorfe ripropongono in chiave grottesca il rapporto uomo-animale, base dell'economia agro-pastorale della zone interne, rievocando rituali apotropaici e danze propiziatorie legate ai ritmi della natura e al culto delle divinità pluviali precristiane [5].

 
Scene del carnevale ulassese: le maschere de ''s'Ursu'' e de ''s'omadori''.

Questo carnevale è tipico della parte centrale e più montuosa della Sardegna dove le tradizioni ancestrali sono state tramandate nel tempo per arrivare fino ai nostri giorni. Di grande interesse antropologico, queste particolari manifestazioni carnevalesche sono oggetto di approfonditi studi, ma nonostante le ipotesi più disparate, resta il mistero sul loro antico significato.

Secondo lo studioso Massimo Pittau questa antica usanza proviene direttamente dalla Civiltà nuragica ed altro non era che un rito religioso mediante il quale si uccidevano i vecchi divenuti un peso per la comunità. L'ipotesi però non ha alcuna prova storica.

Altri ricercatori fanno risalire queste tradizioni a ciò che resta di un antico rito dionisiaco che rappresentava il sacrificio del dio stesso che moriva per poi risorge all'inizio della stagione agricola. Maimone (maimulu, mamuthone) altro non era che Dionisio medesimo. La stessa parola con la quale in sardo si identifica il carnevale ossia carrasecare, starebbe a significare carre'e secare, dove il termine carre (carne, diversa da petza, altra parola per carne) designerebbe la carne umana, per cui il termine carrasecare rimanderebbe all'antico rito dionisiaco vero e proprio, dove la carne viva di capretti e vitelli veniva dilaniata per rendere omaggio a Dionisio bambino sbranato dai Titani.

Altri segni molto eloquenti sono riscontrati nella gestualità degli individui mascherati, nel loro particolare abbigliamento, negli strumenti agricoli e nell'atmosfera tragica e lugubre della rappresentazione della morte.

Anche la Linguistica ha aiutato a decifrare il rito chiarendo l'origine delle parole legate alle maschere come Maimone (Maimulu, Mamuthone) Orcu-Ocru, Urcu-Urtzu, Bovette, Zorzi.[6].

 
Su Maimulu, (murale a Gairo Sant'Elena, creato da Anna Ascedu, artista locale)

Per la studiosa Pierina Moretti le manifestazioni carnevalesche ogliastrine rivelano rituali primitivi, e la regione storica stessa con le sue caratteristiche storiche e geografiche e con il suo isolamento plurisecolare, costituisce un'area etnograficamente multiforme e conservativa. Per la studiosa, varie maschere rappresentano l'orso e i suoi giustizieri (urtzu, peddinciones e poddinaios), e sono elementi di un arcaico rituale agrario basato su eliminazione e rinnovamento, demoni della natura e della fecondità, distruzione delle forze malefiche e propiziazione della rinascita. Uguali motivi apotropaico-propiziatori, secondo la studiosa, « sono presenti in rituali agrari di alcune popolazioni balcaniche e idoli in tutto simili a mamuthones e peddinciones in miniatura, erano usati da tribù dei Ma-Yombe nel Congo occidentale durante le cerimonie di circoncisione. Le affinità tra la mascherata dell'orso ed altri schemi primitivi del Carnevale sardo sono palesi e fondamentalmente si riconducono ad una radice unica ed esprimono un comune significato» [7].

L'orso non appartiene alla fauna della Sardegna e si tratterebbe di un animale-simbolo, reminiscenze delle popolazioni neolitiche che giunsero sull'Isola attraverso il Ponte corso.

 
Immagine del carnevale Su Maimulu del 1968 a Ulassai

Caratteristiche del carnevale ulassese

Ulassai conserva oggi la manifestazione solo in parte rispetto a quelle dei secoli passati, poiché varie dinamiche sono andate perse nel tempo.

Le caratteristiche che lo contraddistinguono rispetto agli altri carnevali sono:

  • la presenza della personificazione della madre nel rituale chiamato sa Ingrastula;
  • la personificazione vivente nel rituale de su Maimulu;
  • i pastori provvisti di lacci denominati Assogadoris;
    File:S'urtzu e is omadoris.jpg
    Gairo, s'urtzu ballabeni e is omadoris
  • l'uomo trattenuto con una catena, ossia s'Urcu aresti (simbolo della malvagità);
  • sa Martinica (la donna-scimmia);
  • il fantoccio Martisberri.
 
Gairo, "sa primu essia". Le maschere anneriscono il loro viso con la fuliggine del falò di Sant'Antonio.

Caratteristiche del carnevale di Gairo

File:Su cuadderi, Gairo.jpg
Gairo, Su cuadderi

Nel paese di Gairo, Su Maimulu, sinonimo di "mascherata", aveva inizio il 17 gennaio e durava fino al mercoledì delle ceneri. Il 17 gennaio era la cosiddetta "Primu essia" e coincideva col falò di Sant'Antonio. S'omini 'e facci (solitamente appartenente alla categoria dei macellai), assumeva pubblicamente la responsabilità dell'organizzazione dei festeggiamenti, mentre le maschere si annerivano il viso con la fuliggine generata dal falò.

Su Maimulu era ed è una rappresentazione dell'atavica lotta tra il bene e il male, come veniva vissuta da una comunità rurale. Le origini di queste rappresentazioni risalgono infatti all'epoca pre-romana e pre-cristiana. Rientra quindi nel novero dei carnevali barbaricino-ogliastrini, con cui ha in comune i principali significati. Ha però una particolarità: conserva infatti una ricchezza di figure eccezionali, che lo hanno reso e lo rendono uno dei più particolari dell'isola. Accanto alla figura malvagia de s'urtzu ballabeni e a quelle benigne de is maimulus (alcuni dei quali, in virtù del particolare ruolo, venivano chiamati omadoris e buccinu) ci sono altre figure uniche, come su cuadderi e is poddinaius.

Su cuadderi ("il cavaliere") era l'unica figura parlante della mascherata. Vestito da cavallo, portava un lungo bastone al cui apice era infilato un teschio di cavallo e urlando annunciava il passaggio de Su Maimulu, il corteo delle maschere, e ne annunciava le fasi (es. "Accodei ca dd'oceus", "venite che lo uccidiamo", riferendosi a s'urtzu).

Su poddinaiu (o is poddinaius, visto che poteva essere più di uno) era invece un'altra figura particolare e molto importante. All'uccisione de s'urtzu dava infatti il via ai festeggiamenti per la fine dell'inverno. Cospargeva infatti le altre figure de Su Maimulu con abbondanti manciate di crusca ("su poddini"), simbolo di abbondanza. Era in pratica un auspicio per la nuova stagione. Si riteneva, in passato, che essere colpiti dalla crusca lanciata da su poddinaiu fosse di buon auspicio.

Seguivano is filadoris con in mano antichi strumenti per filare la lana quali rocca e fuso.

E poi is bendidoris forniti di strumenti che creavano un frastuono assordante come latte vecchie, mestoli e coperchi;

su dottori con indosso un camice bianco e sempre intento a molestare giovani donne [8].

Legato alla catena di un aratro, seguiva la figura de s'Ursu (s'omini aresti), simbolo del male, avvolto in pelli spesso ancora fresche e attorniato da tre peddinciones, figure vestite con pelli di capra e che portavano collari provvisti di pittiulus, dei campanacci di ogni dimensione.

Uno dei tre peddinciones (s'omadori) teneva la catena dell'aratro e gli altri due camminavano a fianco de s'Ursu con saltelli ritmici che provocavano il suono dei campanacci, mentre s'Ursu veniva avanti saltellando, sotto i colpi della zironia (un grosso nervo di bue).

La sfilata terminava con sos poddinaios che distribuivano a tutti manciate di crusca.[7]

Resta ancora un mistero la figura del Martisberri ritenuto dalla tradizione popolare sia ulassese che gairese, capace di provocare disturbi a chi il giorno di Martedì Grasso era intento nel lavorare nei campi, recitando un ritornello che diceva: «Deu soi Martis Berri, beniu sò po ti ferri (sono Martisberri e sono venuto per farti male».

Secondo il linguista Salvatore Dedola, il termine Martisbèrri è un composto sardiano basato sull'accadico martu + berû e indicava un palo sacro (o u-a statua menhir) che veniva festeggiato per scongiurare la carestia [9].

Altre particolari figure sono sa Martinicca e sa Ingrastula che animano il rituale carnevalesco con una questua in onore de su Maimolu [10]. L'ultimo giorno si arde il fantoccio del Martisberri per propiziare i campi arati e la nascita degli armenti.

In passato Su Maimulu era presente anche negli altri due centri ogliastrini della Valle del Pardu, (Osini, e Jerzu), mentre nei restanti il carnevale veniva festeggiato sotto il nome di Maimone/i.

Note

  1. ^ Sardegna Cultura, Carnevale in Sardegna, su www.sardegnacultura.it, Regione Autonoma della Sardegna. URL consultato il 4 aprile 2011.
  2. ^ Dolores Turchi, Maschere, miti e feste della Sardegna (PDF), su www.mamoiada.org, mamoiada.org. URL consultato il 5 aprile 2011.
  3. ^ Sardegna Cultura, La Grande Enciclopedia della Sardegna, Vol V (pag. 407 - PDF pag 413) (PDF), su www.sardegnacultura.it, La Nuova Sardegna Edizioni. URL consultato il 4 aprile 2011 (archiviato dall'url originale il 26 maggio 2012).
  4. ^ Mario Ligia, Mam (PDF), su www.mamoiada.org, mamoiada.org. URL consultato il 5 aprile 2011.
  5. ^ Franco Stefano Ruiu, Giulio Concu, Maschere e carnevale in Sardegna (PDF), su www.sardegnadigitallibrary.it, Imago Edizioni Nuoro. URL consultato il 4 aprile 2011.
  6. ^ Dolores Turchi, Perché il carnevale sardo è dionisiaco (Bonaventura Licheri e le maschere del Settecento) (PDF), su www.mamoiada.org, Mamoiada.org. URL consultato il 6 aprile 2011.
  7. ^ a b Pierina Moretti, La maschera dell'orso in Sardegna ed il significato dei mamuthones (PDF), su www.mamoiada.org, Mamoiada.org. URL consultato il 6 aprile 2011 (archiviato dall'url originale il 28 agosto 2008).
  8. ^ Nino Melis, Maimolu torna in corteo. Rivivono le antiche maschere, su unionesarda.it, L'Unione Sarda S.p.A. URL consultato il 4 aprile 2011.
  9. ^ Dedola Salvatore, Carnevali sardi, su www.linguasarda.com, Linguasarda.com. URL consultato il 6 aprile 2011 (archiviato dall'url originale il 16 gennaio 2010).
  10. ^ Original Italy, Eventi (Provincia di Ogliastra, su www.originalitaly.it, Originalitaly. URL consultato il 4 aprile 2011.

Bibliografia

  • Francesco Alziator, Il Folklore sardo, Cagliari, Zonza Editori, 2005, ISBN 88-8470-135-X.
  • Giulio Angioni, Pane e formaggio e altre cose di Sardegna:, Cagliari, Zonza, 2000.
  • Mario Atzori, Tradizioni popolari della Sardegna: identità e beni culturali, Cagliari, Edes, 1997, ISBN 88-86002-09-2.
  • Mario Ligia, La lingua dei Sardi, ipotesi filologiche, Edizioni Iskra, 2002.
  • Raffaello Marchi, Piero Calamandrei (a cura di), Le maschere barbaricine in Il Ponte, Vol. VII, La Nuova Italia, 1951.
  • Luisa Orrù, Maschere e doni, musiche e balli: carnevale in Sardegna, Cagliari, Cuec, 1999, ISBN 88-87088-66-7.
  • Vincenzo Santoni, Maimone! Maimone! Teoria e sociologia dell'organizzazione culturale, Cagliari, Edizioni Della Torre, 2005, ISBN 88-7343-393-6.
  • Dolores Turchi, Maschere, miti e feste della Sardegna: dai Mamuthones alla Sartiglia, dai millenari riti agresti al culto delle acque, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1990, ISBN 88-541-2345-5.

Collegamenti esterni