Prigionieri di guerra nella guerra d'indipendenza americana

Durante la Guerra d'indipendenza americana (1775–1783) la gestione ed il trattamento dei prigionieri di guerra (POW, in acronimo inglese) differivano notevolmente dagli standard della guerra moderna. Gli standard moderni, definiti dalle Convenzioni di Ginevra dei secoli successivi, prevedono che i prigionieri siano detenuti e assistiti da chi li ha catturati. Una differenza essenziale nel XVIII secolo era che cure e provviste dei prigionieri erano ritenute a carico della loro fazione [combattente] o di privati cittadini.

Interno della nave prigione britannica Jersey

Prigionieri americani

 
La nave prigione Jersey ancorata al Walkabout presso Long Island, nel 1782.
 
La Middle Dutch Church è il luogo in cui furono imprigionati gli uomini di truppa catturati nella battaglia di Long Island. La Sugar House divenne parimenti una prigione quando le Giubbe rosse (britanniche) catturarono un maggior numero di soldati di Washington durante la ritirata da New York. Il sito oggi è occupato dalla Chase Manhattan Bank. (Immagine del 1830 circa).[1][2]

Re Giorgio III del Regno Unito aveva dichiarato traditori i combattenti delle forze americane nel 1775, e di conseguenza negò loro lo status di prigionieri di guerra. Tuttavia, la strategia britannica all'esordio del conflitto comprendeva la ricerca di un componimento negoziale e di conseguenza le autorità non li impiccavano (come d'uso per i traditori), per evitare di compromettere inutilmente quel tanto di simpatia di cui potessero godere i britannici presso l'opinione pubblica americana.[3] L'incuria della Gran Bretagna portava agli stenti e alle malattie. Benché non avvenissero nominalmente esecuzioni capitali, la trascuratezza produceva lo stesso effetto della forca.[4][5]

 
Prison Ship Martyrs' Monument
Fort Greene Park

Spesso i prigionieri americani venivano ammassati in grandi siti che i britannici riuscivano ad occupare per lunghi periodi di tempo. New York City, Filadelfia nel 1777, e Charleston, South Carolina, furono tutte grandi città usate per detenere prigionieri di guerra americani. Le strutture in questi posti erano limitate. Talora, l'esercito di occupazione era in realtà più numeroso dell'intera popolazione civile. Il medico che presiedeva gli ospedali di New York che ospitavano prigionieri americani, Francis Mercier, fu accusato di ucciderli avvelenandoli e con l'aggressione, ed alla fine fu giustiziato per un omicidio non collegato a questa situazione.[6]

La soluzione britannica a questo problema era usare come prigioni navi obsolete, catturate o danneggiate.[7] Le condizioni erano spaventose: morirono molti più americani "marcendo in prigionia" di quanti ne caddero in battaglia.[8][9] Il Continental Army nominava dei commissari per il loro sostentamento, ma il compito era quasi impossibile. Elias Boudinot, uno di questi commissari, competeva con altri agenti nell'intento di raccogliere provviste per l'esercito di George Washington a Valley Forge. Lo storico Edward G. Burrows scrive che "dalla fine del 1776, malattie e stenti avevano ucciso almeno metà dei deportati a Long Island e forse due terzi di quelli catturati a Fort Washington — un numero tra 2 000 e 2 500 uomini nell'arco di due mesi."[10]

Nel corso della guerra almeno 16 hulk ("carrette del mare"), tra cui la famigerata HMS Jersey, furono piazzate dalle autorità britanniche nelle acque di Wallabout Bay, a largo di Brooklyn, come luogo di detenzione per diverse migliaia di soldati e marinai americani, grosso modo nel periodo 1776-1783. Questi prigionieri erano maltrattati e perseguitati dalle guardie che, con scarso successo, offrivano la liberazione a chi avesse accettato di prestare servizio nella British Navy.[11][12] Più di 10 000 prigionieri americani furono lasciati morire senza le minime cure. Spesso i cadaveri venivano gettati in mare, anche se talora erano approssimativamente seppelliti in fosse poco profonde sulle rive esposte alle maree.[13] Molte spoglie restarono di fatto insepolte o furono trascinate dal mare e recuperate dai residenti locali dopo lungo tempo e finalmente interrate nel Prison Ship Martyrs' Monument di Fort Greene Park, dove si era parzialmente svolta la battaglia di Long Island.[14] Tra i sopravvissuti a queste terribili navi prigione c'erano il poeta Philip Freneau, e il parlamentare Robert Brown.

Sarebbe però ingiusto imputare tutto questo alla sola proverbiale perfidia britannica.
La Rivoluzione americana aveva scatenato una guerra dispendiosa, e fu (anche) la scarsità di denaro e di risorse a determinare le orribili condizioni delle navi prigione di sua maestà. Il clima di quello che un giorno sarebbe diventato il meridione statunitense peggiorava ulteriormente il già difficile contesto. La causa principale di morte nelle navi prigione risiedeva nelle malattie, piuttosto che nella denutrizione. I britannici non disponevano di provviste sanitarie adeguate (nel numero e nella qualità) neppure per i loro stessi soldati, tanto meno ne potevano destinare ai prigionieri. Al largo degli stati settentrionali, le condizioni sulle navi prigione inducevano molti prigionieri ad arruolarsi nelle forze britanniche per salvarsi la vita. Molti prigionieri americani sopravvissuti alla carcerazione furono trattenuti fino al 1779, e poi scambiati con prigionieri di guerra britannici. I prigionieri estremamente malati venivano spesso trasferiti alle navi ospedale, anche se le misere risorse azzeravano quasi ogni differenza pratica tra navi prigione e navi ospedale.[15]

Forzati delle prigioni ed altri prigionieri dei britannici

I prigionieri americani erano dislocati pure in altre parti dell'Impero Britannico. Oltre cento prigionieri furono impiegati come lavoratori-schiavi nelle miniere di carbone all'Isola del Capo Bretone — in seguito scelsero di entrare nella British Navy per ottenere la libertà.[16] Altri prigionieri americani furono trattenuti in Inghilterra (Portsmouth, Plymouth, Liverpool, Deal, e Weymouth), Irlanda e Antigua. Alla fine del 1782 Inghilterra e Irlanda ospitavano più di mille prigionieri americani, che nel 1783 furono trasferiti in Francia prima del loro definitivo rilascio.[17]

I prigionieri di guerra del Continental Army sopravvissuti al massacro di Cherry Valley vennero tenuti dai lealisti a Fort Niagara nei pressi di Niagara Falls e a Fort Chambly vicino a Montreal.[18][19]

Prigionieri britannici, assiani, e lealisti

Diritto bellico americano

Durante la guerra rivoluzionaria americana, George Washington e il suo Continental Army applicarono il diritto bellico, a differenza di come si regolarono i loro nemici. Gli americani credevano che tutti i catturati dovessero essere tenuti prigionieri. Il 14 settembre 1775 Washington, comandante della Northern Expeditionary Force, trovandosi accampato a Cambridge (Massachusetts), così scriveva al colonnello Benedict Arnold: "Se un qualunque soldato americano fosse così meschino ed infame da far del male a un [prigioniero] qualsiasi… Vi ordino assai fermamente di sottoporlo ad una punizione tanto severa ed esemplare quanto merita l'enormità del crimine."[20][21] Dopo la vittoria di Trenton, la mattina del 26 dicembre 1776 Washington si ritrovò tra le mani centinaia di combattenti assiani che si erano arresi agli americani. Washington ordinò alle sue truppe di prendersi in carico i prigionieri e "trattarli con umanità", come in effetti fecero. "Non date loro motivo di lamentare che avessimo copiato il brutale esempio di come l'esercito britannico ha trattato i nostri sfortunati fratelli caduti loro in pugno", disse Washington.[22] La linea ufficiale quanto al trattamento dei prigionieri nemici era ispirata ad umanità.

Lagnanze

Edward G. Burrows osserva che, sebbene i prigionieri britannici ed assiani in effetti "se la passassero complessivamente meglio dei loro equivalenti americani", ci furono comunque "casi di vergognosa crudeltà" nei loro riguardi,[23] che "certi governi statali si macchiarono ripetutamente di maltrattamento ai prigionieri",[24] e che ci furono "numerose … lamentele negli anni da parte dei prigionieri per cibo scadente, squallore e maltrattamenti fisici".[25] Il trattamento dei prigionieri differiva da stato a stato. Anche gli accantonamenti per i prigionieri variavano, ma in generale si può dire che siano peggiorati notevolmente negli ultimi anni di guerra.

Prigionieri britannici e tedeschi

Britannici e tedeschi ebbero un'esperienza parzialmente simile come POW. La linea del Congresso continentale sul trattamento dei POW rimase la stessa per tutti i combattenti nemici, perciò il sistema verso i prigionieri fu generalmente il medesimo per le due nazionalità. Però le truppe inglesi godevano di maggior considerazione rispetto ai mercenari tedeschi, quindi ci sono molti più esempi di scambi prigionieri britannici che tedeschi. Di converso, gli americani nutrivano un odio maggiore verso i prigionieri britannici che verso i tedeschi. I prigionieri tedeschi erano molto meno maltrattati che i britannici. Erano i britannici che più spesso creavano agitazione, suscitavano sommosse, e in generale contrastavano le guardie e la milizia, e questo succedeva perché erano più idealmente coinvolti nel tentativo di soggiogare gli americani di quanto non fossero i (mercenari) tedeschi.[26]

Lealisti

I lealisti erano i POW più odiati. Il Congresso continentale assunse la posizione che i prigionieri di guerra fossero combattenti nemici e non criminali, pertanto il trattamento dei POW era diverso da quello usato ai criminali. Ad ogni modo, a seconda degli stati, spesso i lealisti erano trattati più da criminali che come POW. Si discusse lungamente nelle colonie se si dovessero trattare i lealisti come soldati nemici o cittadini traditori.[27]

Città prigione

Ci furono pochissime prigioni federali siccome le Tredici colonie e il Congresso continentale non erano in condizione di crearne di nuove per imprigionare soldati britannici e tedeschi. Il Congresso invece spediva la maggioranza dei prigionieri britannici ed assiani a città americane nei dintorni ordinando alle autorità locali di tenerli sotto rigida libertà vigilata.

Il Congresso continentale aveva l'autorità esclusiva di decidere dove sarebbero andati i prigionieri, e le autorità comunali avevano poco preavviso e nessuna voce in capitolo. Le città prigione si ritrovavano con il fardello di provvedere a migliaia di prigionieri tutti in una volta. Nelle città che non potevano permettersi di mantenere i prigionieri, essi erano messi a lavorare per sfamarsi. I prigionieri britannici e tedeschi coltivavano orti e lavoravano come contadini, artigiani, ed altre forme di lavoro non qualificato. Le comunità locali tentavano di rendere le città prigione più redditizie che fosse possibile e spesso aiutavano i prigionieri a trovare lavoro o li mandavano a lavorare in altre città o stati. Quanto più i prigionieri si rendevano utili, tanto minore era il loro peso economico sulla città. Le città che non erano in grado di costruire delle camerate per i prigionieri furono obbligate ad ospitarli nelle chiese delle comunità ed anche nelle case di cittadini. Il fatto che il Congresso continentale obbligasse gli americani ad alloggiare prigionieri era una questione molto controversa tra la gente.[28]

Anche quando i prigionieri britannici ed assiani non erano forzatamente accolti nelle case private, avevano comunque visibilità pubblica, e ciò causava diffusamente timore, risentimento e rabbia tra gli abitanti. Normalmente i prigionieri non erano ristretti nei loro alloggi, e potevano rimanere in giro per tutto il giorno. Non era facile garantire la sicurezza nelle città prigione. Senza un corpo di polizia ufficiale, con le forze armate assorbite dallo sforzo bellico, la sorveglianza dei POW era perlopiù demandata a milizie locali e volontari. Le proteste nelle città prigione erano frequenti, e quelli che si opponevano all'arrivo di prigionieri erano sanzionati per disobbedienza al Congresso continentale per mezzo di multe, arresto ed anche con l'esproprio di immobili.[29]

L'accoglienza ricevuta dai prigionieri era diversa nei vari posti. Nel complesso, il soggiorno dei prigionieri a Boston era piuttosto pacifico. I prigionieri dichiararono che la popolazione di Boston era in genere civile e tollerante verso di loro. In Virginia ed in altri Stati Uniti meridionali, gli agricoltori benestanti e i proprietari di piantagioni erano lieti di avere prigionieri nella Contea di Albemarle perché così potevano contare su manodopera a basso costo in misura ancor maggiore (ossia, aggiuntiva rispetto a quella già consentita dall'economia schiavista imperante). Al contrario, le classi inferiori del sud erano solitamente assai meno propense a condividere i loro spazi con masse di prigionieri di guerra. Nel Maryland, la milizia di quello stato si oppose in maniera diretta ed aggressiva allo US Continental Army quando esso tentò di trasferirvi prigionieri di guerra. Nel sud aleggiava il timore collettivo che s'innescassero condizioni favorevoli ad una rivolta della popolazione schiava locale. Bisogna ricordare che Lord Dunmore, governatore della Virginia, nel 1775 era arrivato a promettere la libertà agli schiavi che avessero abbandonato i loro padroni "patrioti" per combattere a favore della Corona inglese.[30][31]

Il Convention Army

Il 17 ottobre 1777 quasi 6 000 soldati britannici ed assiani, in seguito[32] chiamati Convention Army,[33] si arresero agli americani.[34] Questo pose il Congresso continentale nella posizione di tenere un gran numero di prigionieri di guerra sul suolo americano, una cosa che non si era verificata su vasta scala fino a quel punto. Il Congresso continentale era già in difficoltà nel provvedere al Continental Army, e dopo Saratoga dovette provvedere pure ai combattenti nemici.

 
Surrender of General Burgoyne di John Trumbull, 1822; Questo quadro è esposto alla United States Capitol rotunda.
 
Un'incisione del 1789 raffigurante l'accampamento del Convention Army a Charlottesville (Virginia).

Contesto

Dopo che erano state sconfitte le truppe britanniche, tedesche, e canadesi, il generale Burgoyne e il generale Gates non riuscivano a concludere un accordo circa i 5 900 prigionieri. Nella convenzione di Saratoga si stabilì che le truppe avrebbero potuto far rientro in Europa, dopo aver promesso che non avrebbero mai più combattuto contro il Nordamerica. Il Congresso considerava queste condizioni come un accordo pessimo per una delle più grandi vittorie della Rivoluzione americana e rinviò ripetutamente la ratifica del trattato. Il generale Burgoyne fu amareggiato dalla condotta del Congresso e ne condannò le azioni riguardo la convenzione. Il Congresso usò le parole di Burgoyne come prova che egli progettava di rinnegare la convenzione, e ne sospese l'attuazione fino a che la Gran Bretagna non avesse riconosciuto l'indipendenza americana.[35] Gli Stati Uniti finirono per trattenere il Convention Army fino alla fine della guerra.

Le marce

"Dopo aver trascorso l'anno successivo in campi presso Cambridge e Rutland (Massachusetts), furono spinti dal Congresso in un'odissea via terra che, entro la fine dell'anno, li portò in Virginia, poi fino in Maryland, poi ancora in Pennsylvania, e alla fine daccapo a Rutland. Quasi ogni passo del cammino li vide lottare con razioni scarse, penuria di combustibile, sistemazioni inadeguate, e violenza fisica."[36]

Nel corso della Rivoluzione americana il Convention Army dovette marciare attraverso le colonie. Prima marciò fino in Massachusetts e vi restò un anno, poi nel 1778 fu trasferito in Virginia e vi rimase due anni, e poi nel 1780 furono trasferiti a nord e gradualmente si disperse in diversi stati, città più o meno grandi fino alla fine dell'ano.

Note

  1. ^ William H. Hanford, Incidents of the Revolution: Recollections of the Old Sugar House Prison (PDF), in The New York Times, 15 gennaio 1852. URL consultato l'11 febbraio 2011.
  2. ^ Charles H. Lewis, Cut Off: Colonel Jedediah Huntington's 17th Continental (Conn.) Regiment at the Battle of Long Island August 27, 1776, Westminster, MD, Heritage Books, 2009, p. 206, ISBN 978-0-7884-4924-6.
  3. ^ West, Charles E.. "Horrors of the prison ships: Dr. West's description of the wallabout floating dungeons, how captive patriots fared." Eagle Book Printing Department, 1895.
  4. ^ Andros, Thomas. "The old Jersey captive: Or, A narrative of the captivity of Thomas Andros...on board the old Jersey prison ship at New York, 1781. In a series of letters to a friend." W. Peirce. 1833.
  5. ^ Lang, Patrick J.. "The horrors of the English prison ships, 1776 to 1783, and the barbarous treatment of the American patriots imprisoned on them." Society of the Friendly Sons of Saint Patrick, 1939.
  6. ^ Leffler CT, et al., Ophthalmology in North America: Early Stories (1491-1801), in Ophthalmology and Eye Diseases, vol. 9, 2017, pp. 1–51, DOI:10.1177/1179172117721902, PMC 5533269, PMID 28804247.
  7. ^ Dring, Thomas and Greene, Albert. "Recollections of the Jersey Prison Ship" (American Experience Series, No 8). Applewood Books. November 1, 1986. ISBN 978-0-918222-92-3
  8. ^ ‘Turn out your dead!’ In America’s War for Independence, POWs paid a terrible price., in The Washington Post, 4 luglio 2018.
  9. ^ Banks, James Lenox. "Prison ships in the Revolution: New facts in regard to their management." 1903.
  10. ^ Burrows, Edward G. (2008). Forgotten Patriots: The Untold Story of American Prisoners During the Revolutionary War. Basic Books, New York. ISBN 978-0-465-00835-3. p. 64.
  11. ^ Taylor, George. "Martyrs To The Revolution In The British Prison-Ships In The Wallabout Bay." (originally printed 1855) Kessinger Publishing, LLC. October 2, 2007. ISBN 978-0-548-59217-5.
  12. ^ Hawkins, Christopher. "The life and adventures of Christopher Hawkins, a prisoner on board the 'Old Jersey' prison ship during the War of the Revolution." Holland Club. 1858.
  13. ^ Henry Reed Stiles, Letters from the Prisons and Prison-ships of the Revolution, Thomson Gale (reprint), 1865, ISBN 978-1-4328-1222-5.
  14. ^ Onderdonk. Henry. "Revolutionary Incidents of Suffolk and Kings Counties; With an Account of the Battle of Long Island and the British Prisons and Prison-Ships at New York." Associated Faculty Press, Inc. June, 1970. ISBN 978-0-8046-8075-2.
  15. ^ Ranlet, Philip. Philip Ranlet, In the Hands of the British: The Treatment of American POWs during the War of Independence, 2000, JSTOR 24451269.
  16. ^ Thomas, Evan. John Paul Jones: Sailor, Hero, Father of the American Navy. Simon and Schuster, pages 67,74
  17. ^ Lindsay, William R. Treatment of American Prisoners During the Revolution. Emporia State Research Studies Kansas State Teachers College, Volume 23, Number 1
  18. ^ Campbell, William W.: Annals of Tyron County; or, the Border Warfare of New-York during the Revolution, J. & J. Harper, New York (1831) pp. 110–11, 182, regarding prisoners (i.e., Lt. Col. William Stacy) held at Fort Niagara.
  19. ^ McHenry, Chris: Rebel Prisoners at Quebec 1778-1783, Being a List of American Colonists were Held by the British during the Revolutionary War, Lawrenceburg, Indiana (1981).
  20. ^ The torture report represents a heartbreaking decline in America's values
  21. ^ George Washington and Jared Sparks, The writings of George Washington: Being his correspondence, addresses, messages, and other papers, official and private, Benchmark Books, 1847, p. 90, ISBN 978-1286400098.
  22. ^ Ron Fridell, Prisoners of War, Harper & Bros, September 2007, p. 19, ISBN 9780870139406.
  23. ^ Burrows, Edward G. (2008). Forgotten Patriots, p. 190.
  24. ^ Burrows, Edward G. (2008). Forgotten Patriots, p. 188.
  25. ^ Burrows, Edward G. (2008). Forgotten Patriots, p. 187.
  26. ^ Dabney, William M. (1954). After Saratoga: The Story of the Convention Army. The University of New Mexico Press, Albuquerque. OCLC 3486843 p. 39-46.
  27. ^ Metzger, Charles H. (1962). The Prisoner in the American Revolution. Loyola University Press, Chicago. ISBN 0-8294-0175-X. p. 31-63.
  28. ^ Laura L Becker, Prisoners of War in the American Revolution: A Community Perspective, Military Affairs 46, no. 4, 1982.
  29. ^ P Marsteller, Extracts from the Records of the Moravian Congregation at Hebron, Pennsylvania, 1775-1781, The Pennsylvanian Magazine of History and Biography 18, no. 4, 1894.
  30. ^ Andrew Levy, The First Emancipator: Slavery, Religion, and the Quiet Revolution of Robert Carter, Random House Trade Paperbacks, Jan 9, 2007, p. 74, ISBN 978-0-375-76104-1.
  31. ^ Robert L. Scribner, Revolutionary Virginia, the Road to Independence, University of Virginia Press, 1983, xxiv, ISBN 978-0-8139-0748-2.
  32. ^ L'espressione viene dalla Convenzione di Saratoga, cioè l'accordo contenente i termini della capitolazione.
  33. ^ Brendan Morrissey, Saratoga 1777: Turning Point of a Revolution, Oxford, Osprey Publishing, 2000, ISBN 978-1-85532-862-4.
  34. ^ Scott Craig, Prisoners of War, in Prisoners of War, Mount Vernon's Ladies' Association. URL consultato il November 1, 2016.
  35. ^ Dabney, William M. (1954). After Saratoga, p. 7-26.
  36. ^ Burrows, Edward G. (2008). Forgotten Patriots, p. 188.

Bibliografia

  • Armbruster. Eugene L. The Wallabout Prison Ships: 1776-1783. New York, 1920.
  • Boyle, Joseph Lee, ed. Their Distress is Almost Intolerable: The Elias Boudinot Letterbook, 1777-1778; 2002, Heritage Books (paperback), ISBN 0-7884-2210-3.
  • Burrows, Edwin G. Forgotten Patriots: The Untold Story of American Prisoners During the Revolutionary War (NY: Basic Books, 2008)
  • Cray, Robert E., Jr. "Commemorating the Prison Ship Dead: Revolutionary Memory and the Politics of Sepulture in the Early Republic, 1776-1808," William and Mary Quarterly (1999) 56#3 pp. 565–590 in JSTOR
  • Dabney, William M. After Saratoga: The Story of the Convention Army. Albuquerque: University of New Mexico Press, 1954.
  • Dandridge, Danske. American Prisoners of the Revolution. The Michie Company, Printers, Charlottsville, Va. 1911.
  • Dandridge, Danske. American Prisoners of the Revolution. Baltimore. Genealogical Publishing Company. 1911.
  • Krebs, Daniel. A Generous and Merciful Enemy: Life for German Prisoners of War during the American Revolution. Norman: University of Oklahoma Press, 2013.
  • Lowenthal, Larry. Hell on the East River: British Prison Ships in the American Revolution. Fleischmanns, New York. Purple Mountain Press. 2009.
  • Metzger, Charles H. The Prisoner in the American Revolution. Chicago: Loyola University Press, 1971.
  • Pope, Johnathan. "Law, Tradition, and Treason: Captured Americans During the American Revolution, 1775--1783" (M.A. Thesis, University of New Brunswick 2003). online
  • Ranlet, Philip. In the Hands of the British: The Treatment of American POWs during the War of Independence. The Historian 62, no. 4 (2000): pp. 731–57 in JSTOR.

Collegamenti esterni