Teatro meridionale della guerra d'indipendenza americana
Il teatro meridionale della guerra d'indipendenza americana ricomprende l'insieme delle operazioni belliche svoltesi nell'ambito della più ampia guerra d'indipendenza americana nelle più meridionali delle Tredici colonie originali, ovvero le attuali Virginia, Carolina del Nord, Carolina del Sud e Georgia.
| Teatro meridionale della guerra d'indipendenza americana parte della guerra d'indipendenza americana | |
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| Data | 1775-1782 | 
| Luogo | Virginia, Carolina del Nord, Carolina del Sud, Georgia | 
| Esito | Vittoria franco-statunitense | 
| Schieramenti | |
| Comandanti | |
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La rivoluzione prende piede, 1775-1778
Virginia e Georgia
Già pochi giorni dopo i fatti della battaglia di Lexington (19 aprile 1775) e lo scoppio formale della guerra d'indipendenza, nella maggior parte delle colonie i governatori di nomina regia si affrettarono ad abbandonare le loro capitali lasciando il potere in mano ai comitati dei rivoluzionari americani. Nella colonia della Virginia, tuttavia, il governatore John Murray, IV conte di Dunmore (Lord Dunmore), decise di oppore resistenza: il 20 aprile, nel corso del cosiddetto "incidente della polvere da sparo", il governatore ordinò di rimuovere un quantitativo di polvere da sparo ammassato in un magazzino di Williamsburg e di caricarlo a bordo di una nave britannica ancorata sul fiume James; davanti ai primi segni di ribellione nella colonia, la mossa era intesa a privare dei rifornimenti bellici la milizia locale, controllata dai patrioti americani. Un'unità della milizia della Virginia guidata da Patrick Henry minacciò di ricorrere alla forza per impedire la mossa del governatore, anche se poi la crisi rientrò pacificamente dopo che Dunmore ebbe offerto di pagare i virginiani per la polvere da sparo ottenuta. Il governatore tentò più volte nei mesi seguenti di procurarsi equipaggiamenti militari e rifornimenti, atti che però furono spesso anticipati dalla milizia che svuotò i magazzini prima dell'arrivo degli uomini del governatore[1].
Temendo per la sua incolumità, Dunmore lasciò Williamsburg nel giugno 1775 e si trasferì a Norfolk, città portuale sorvegliata dalle navi della Royal Navy e con una notevole presenza tra la popolazione di "lealisti" contrari alla rivoluzione[2]. Dunmore iniziò a mettere assieme una piccola forza militare composta da un pugno di truppe regolari del British Army, marinai della Royal Navy e miliziani lealisti, e per tutto il mese di ottobre condusse incursioni contro le posizioni dei rivoluzionari lungo la costa della Virginia. Dunmore si sentì sufficientemente sicuro della sua posizione da emettere, il 7 novembre, un proclama in cui si prometteva la libertà per tutti quegli schiavi africani che avessero abbandonato i loro padroni di tendenze rivoluzionarie e si fossero offerti di combattere per la Gran Bretagna; circa 600 schiavi fuggirono dalle piantagioni e si rifugiarono sotto la protezione di Dunmore[3].
Le incursioni delle forze di Dunmore approdarono al primo scontro campale il 15 novembre, quando nel corso della battaglia di Kemp's Landing un'inesperta forza di miliziani virginiani fu facilmente dispersa dalle unità regolari del governatore; tuttavia Dunmore subì una pesante sconfitta il 9 dicembre seguente nella battaglia di Great Bridge: lasciando la protezione delle sicure fortificazioni di Norfolk, Dunmore attaccò una postazione trincerata di miliziani della Virginia e della Carolina del Nord guidati da William Woodford, venendo però sanguinosamente respinto e perdendo nell'azione un terzo delle sue forze. Incalzato dai rivoluzionari, Dunmore si ritirò a Norfolk per poi ripiegare a bordo delle navi della Royal Navy, imitato dagli abitanti lealisti della città; il 1º gennaio 1776 i rivoluzionari occuparono Norfolk, dopo che nel corso di vari scontri e schermaglie un vasto incendio ebbe distrutto buona parte della città. Dunmore si ritirò su un'isola della Baia di Chesapeake, e non mise più piede sul suolo della Virginia[4].
Mentre nelle colonie più a nord prendevano vita i primi scontri armati tra "ribelli" e "giubbe rosse", in Georgia la situazione rimase tranquilla al punto che il governatore regio James Wright poté rimanere in carica nonostante i rivoluzionari controllassero ormai l'assemblea coloniale; la situazione mutò nel gennaio 1776, quando una piccola flotta britannica gettò inaspettatamente l'ancora nel porto di Savannah. Tanto i lealisti che i rivoluzionari locali erano convinti che la flotta fosse incaricata di fornire supporto militare al governatore, che fu subito fatto arrestare per ordine dell'assemblea; in realtà, le navi erano incaricate di recuperare delle vettovaglie (in particolare, rifornimenti di riso) per la guarnigione britannica tagliata fuori e assediata a Boston. Wright fuggì dalla prigionia e si rifugiò a bordo delle navi; seguirono quindi, ai primi di marzo, scontri tra la milizia rivoluzionaria e le navi britanniche, la cosiddetta "battaglia delle navi del riso": i britannici riuscirono a impossessarsi di parte dei rifornimenti che erano stati inviati a prendere, ma dovettero lasciare Savannah e tutta la colonia in mano ai ribelli.
Le due Carolina
Quando la guerra ebbe inizio, la popolazione della Carolina del Sud si ritrovò politicamente divisa in due: le comunità insediate lungo la costa, dominate dalla grande città portuale di Charleston, erano fortemente schierate per la rivoluzione, mentre le regioni dell'entroterra vedevano invece la presenza di un gran numero di simpatizzanti lealisti[5]; entro l'agosto 1775, entrambe le parti stavano radunando milizie armate[6]. Le ostilità si aprirono in settembre, quando la milizia rivoluzionaria occupò senza incontrare opposizione Fort Johnson, la principale fortificazione di Charleston, e obbligò il governatore regio William Campbell a trovare rifugio a bordo di una nave briannica ancorata nel porto[7].
Il primo combattimento si ebbe il 19 novembre, quando la cattura da parte dei lealisti di un carico di polvere da sparo e munizioni destinato ai Cherokee portò all'inconcludente primo assedio di Ninety Six nella Carolina del Sud occidentale[8]. I ranghi dei rivoluzionari stavano ormai superando quelli dei lealisti, e tra novembre e dicembre una grande spedizione (battezzata "campagna della neve" per via delle abbondanti nevicate inusuali per la regione) di circa 5.000 miliziani ribelli al comando del colonnello Richard Richardson riuscì a catturare o obbligare alla fuga gran parte dei leader lealisti della Carolina. Parte dei lealisti trovò rifugio nelle terre dei Cherokee, i quali misero in atto una rivolta in supporto della Gran Bretagna; una combinazione di forze della milizia della Virginia e di entrambe le Carolina fu però ben presto in grado di domare la rivolta nel sangue, devastando un'ampia parte delle terre dei Cherokee[9].
Per poter organizzare qualsiasi operazione bellica nelle colonie del sud, era cruciale per i britannici impossessarsi di un grande porto in cui fosse possibile sbarcare con sicurezza uomini e rifornimenti. Una spedizione in tal senso fu organizzata con truppe provenienti dalla stessa Europa, mentre i lealisti della Carolina del Nord furono incoraggiati a radunarsi e organizzarsi; tuttavia, la partenza della spedizione subì un notevole ritardo e i lealisti della Carolina del Nord subirono una decisiva sconfitta campale nella battaglia di Moore's Creek Bridge il 22 febbraio 1776. Quando infine le navi con le truppe regolari del generale Henry Clinton arrivarono al largo della Carolina del Nord in maggio, le condizioni per uno sbarco in sicurezza erano svanite e il generale decise di dirigere altrove. Ricognitori segnalarono come miglior luogo di sbarco il porto di Charleston, le cui fortificazioni erano ritenute incomplete e vulnerabili; il 28 giugno le forze di Clinton diedero l'assalto alle fortificazioni dell'Isola di Sullivan, che dominavano l'accesso al porto: l'azione si rivelò un grave insuccesso per i britannici, e Clinton dovette abbandonare ogni progetto di spedizione nel sud e portare le sue forze in supporto dell'armata principale radunata a New York[10].
Gli attacchi alla Florida
I rivoluzionari della Georgia lanciarono varie spedizioni contro la guarnigione britannica insediata a St. Augustine nella colonia della Florida orientale: questa guarnigione supportava attivamente le attività dei lealisti qui rifugiati dalle colonie del sud, e da St. Augustine partivano frequenti razie di bestiame e altri rifornimenti nella Georgia meridionale.
Un primo tentativo di prendere St. Augustine fu organizzato dal generale Charles Lee, comandante del Dipartimento meridionale del neonato "Esercito continentale" americano, ma fu abbandonato quando Lee venne richiamato in forza all'armata principale nel nord. Il governatore della Georgia Button Gwinnett organizzò una seconda spedizione nel 1777, con solo un minimo supporto da parte del nuovo comandante del Dipartimento del sud, generale Robert Howe; anche questa spedizione fu un fiasco: Gwinnett e il comandante della sua milizia, Lachlan McIntosh, si rivelarono incapaci di andare d'accordo, e le compagnie della milizia della Georgia penetrate in Florida furono sconfitte dai britannici nella battaglia di Thomas Creek il 17 maggio. Una terza spedizione prese vita all'inizio del 1778: più di 2.000 tra regolari dell'Esercito continentale e miliziani della Georgia furono radunati per l'occasione, ma i dissidi tra il generakle Howe e il governatore John Houstoun minarono ancora una volta lo sforzo americano. La sconfitta patita ad opera dei britannici nella battaglia di Alligator Bridge il 30 giugno 1778, combinata con il clima tropicale della regione e i dissidi in seno al comando americano, portarono infine all'abbandono di ulteriori spedizioni nella Florida orientale per tutta la durata della guerra.
La campagna britannica nel sud, 1779-1780
Un mutato quadro strategico
Nel corso della prima fase del conflitto, tra il 1775 e il 1778, gli scontri più importanti si erano svolti nel teatro di guerra settentrionale: dopo aver perso Boston, i britannici si erano riscattati respingendo un'invasione americana del Canada e quindi conquistando New York pur senza riuscire a infliggere una decisiva sconfitta all'Esercito continentale di George Washington. La situazione era tornata in bilico dopo la pesante sconfitta britannica nella campagna di Saratoga, mentre la spedizione lanciata dalle forze britanniche del generale William Howe in Pennsylvania si era rivelata sterile di risultati e si era conclusa con il rientro dell'armata a New York e la sostituzione di Howe come comandante in capo britannico in America con il generale Clinton.
Il quadro strategico del conflitto mutò nel febbraio 1778, quando il Regno di Francia siglò un trattato di alleanza con gli Stati Uniti e scese in guerra contro la Gran Bretagna. Messo davanti alla prospettiva di un conflitto su scala globale con una grande potenza europea, il govero di Lord North si rese conto di non avere le forze per sopprimere la ribellione americana e impedire l'indipendenza delle Tredici colonie, e dovette accontentarsi di puntare a un risultato di compromesso. Se prima la strategia britannica era stata rivolta alla conquista del New England, ritenuto non a torto come principale centro propulsivo della rivoluzione, ora invece fu rivolta a ottenere la sottomissione delle sole colonie meridionali: le esportazioni agricole del sud avevano grande importanza commerciale per la Gran Bretagna, e si riteneva che a regione ospitasse ancora un gran numero di lealisti che potevano essere reclutati per rimpolpare gli scarni ranghi dell'esercito britannico in America. Il mantenimento nell'Impero britannico delle quattro colonie del sud avrebbe reso un fatto meno rilevante l'indipendenza delle nove colonie del nord: economicamente impoveriti dalla perdita delle regioni agricole meridionali e circondati su tutti i lati da territori britannici, gli Stati Uniti indipendenti avrebbero probabilmente compreso con il tempo tutti i benefici di una riconciliazione con la loro ex madrepatria[11].
L'invasione della Georgia
La nuova "strategia del sud" britannica prese vita nel novembre 1778, quando una forza di spedizione forte di 3.500 uomini agli ordini del tenente colonnello Archibald Campbell salpò da New York diretta in Georgia. Il primo obiettivo fu il porto di Savannah, difeso da appena 850 truppe americane tra regolari continentali del generale Howe e miliziani locali: il 29 dicembre, al termine di duri scontri, le forze britanniche catturarono Savannah prendendo prigionieri i due terzi della forza americana. Nei giorni successivi fu restaurata l'autorità del governatore regio James Wright, l'assemblea coloniale tornò sotto il controllo dei lealisti e varie unità della milizia passarono sotto il controllo dei britannici[12].
Alla metà di gennaio 1779 il generale Augustine Prevost raggiunse Savannah da St. Augustine, prendendo diversi avamposti degli americani lungo la strada. Prevost assunse il comando delle forze britanniche in Georgia, e distaccò Campbell con una forza di 1.000 uomini in direzione di Augusta nell'entroterra per assicurarsi il controllo della città e reclutare nuove unità di lealisti[13]. I resti delle forze americane scampate al disastro di Savannah si erano rifugiati a Purrysburg, circa 20 km più a nord di Savannah al confine con la Carolina del Sud, dove furono raggiunti da una forza di continentali guidata dal generale Benjamin Lincoln, nominato nuovo comandante del Dipartimento del sud. Washington si rifiutò categoricamente di impoverire i ranghi della sua armata raccolta nella zona di New York per inviare rinforzi al sud, minimizzando l'importanza delle azioni britanniche nella regione; il Congresso dovette quindi predisporre il reclutamento di nuove truppe da inviare nel sud, e i ranghi della forza di Lincoln crebbero lentamente[14].
All'inizio del febbraio 1779, Prevost distaccò un piccolo contingente per occupare la città di Beaufort poco oltre il confine con la Carolina del Sud, una mossa probabilmente intesa a distogliere l'attenzione di Lincoln dall'avanzata di Campbell su Augusta; Lincoln rispose a sua volta inviando un distaccamento a contrastare i britannici, ma la battaglia di Beaufort il 3 febbraio si rivelò un episodio largamente indecisivo ed entrambe le forze rientrarono alle loro basi. Nel mentre, Campbell aveva preso il controllo di Augusta senza troppa resistenza e i lealisti locali iniziarono a radunarsi sotto le sue bandiere. Benché Campbell fosse riuscito a reclutare più di 1.000 uomini nell'arco di due settimane, non fu in grado di prevenire una sconfitta delle forze lealiste nella battaglia di Kettle Creek il 14 febbraio ad opera della milizia ribelle guidata da Andrew Pickens, una chiara dimostrazione dell'incapacità dei britannici nel fornire protezione ai lealisti della Georgia. Campbell abbandonò quindi Augusta, pressato anche dall'arrivo di più di 1.000 miliziani della Carolina del Nord al comando del generale John Ashe; nel rientrare a Savannah, Campebll cedette il comando della sua forza al tenente colonnello Jacques Marcus Prevost, fratello minore di Augustine Prevost: il giovane Prevost organizzò un'imboscata ai danni delle truppe di Ashe che lo inseguivano, finite quasi completamente distrutte nel corso della battaglia di Brier Creek il 3 marzo[15].
Il fallito tentativo di riprendere Savannah
Entro l'aprile 1779, Lincoln era stato rinforzato da un gran numero di reparti della milizia della Carolina del Sud nonché da rifornimenti militari sbarcati da contrabbandieri olandesi nel porto di Charleston, e decise quindi di muovere su Augusta. Lasciati 1.000 uomini a Purrysburg per sorvegliare i movimenti delle truppe di Augustine Prevost, Lincoln si mise in marcia verso nord il 23 aprile. Prevost reagì inviando il 29 aprile una forza di 2.500 uomini da Savannah a Purrysburg: gli americani rifiutarono lo scontro e indietreggiarono fino a Charleston, e Prevost avanzò fino a 16 chilometri dalla città prima di incontrare le prime resistenze il 10 marzo. Due giorni dopo, i britannici intercettarono un messaggio che riferiva che Lincoln, informato dell'avanzata di Prevost, stava velocemente rientrado da Augusta per difendere Charleston; privo di artiglieria pesante con cui condurre un assedio e con solo 2.100 uomini ai suoi ordini (meno dei miliziani che difendevano la città)[16], Prevost si ritirò su un'isola a sud-ovest di Charleston lasciando una retroguardia trincerata nei pressi del villaggio di Stono Ferry per coprire il suo ripiegamento. Una volta giunto a Charleston, Lincoln inviò una forza di 1.200 uomini, in maggioranza miliziani poco addestrati, all'inseguimento di Prevost; questa forza subì una dura sconfitta il 20 giugno nella battaglia di Stono Ferry, e poco dopo la retroguardia britannica si riunì alle forze di Prevost[17].
Mentre Prevost tentava la sua mossa offensiva su Charleston, il grosso delle forze britanniche agli ordini di Clinton era rimasto sostanzialmente inattivo a New York, paralizzato dalla mancanza di rinforzi e dalle minacciose avvisaglie circa l'imminente arrivo nelle acque americane di una grossa flotta francese. A maggio, tuttavia, Clinton distaccò sei navi da guerra e 1.800 soldati sotto il generale Edward Mathew per compiere una campagna di incursioni lungo la costa della Virginia; giunto completamente inaspettato per gli americani, il cosiddetto "raid di Chesapeake" fu un buon successo per i britannici, che distrussero cantieri navali, affondarono o catturarono circa 130 navi, razziarono depositi, incendiarono piantagioni e liberarono 1.500 schiavi. L'incursione causò gravi danni economici alla colonia e scosse il morale dei rivoluzionari locali[18].
Se Washington attendeva la flotta francese per bloccare e assediare le forze di Clinton a New York, il Congresso fece invece pressioni perché le navi dell'ammiraglio Charles Henri d'Estaing, reduci da diversi successi contro le colonie britanniche nei Caraibi, facessero rotta su Savannah e aiutassero Lincoln a riprendere la città. D'Estaing accontentò quest'ultima richiesta e a inizio settembre raggiunse Tybee Island, collegandosi alle truppe di Lincoln per iniziare l'assedio di Savannah. La forza franco-statunitense poteva contare su circa 7.700 uomini, ma perse diverso tempo a radunare i reparti della milizia e a condurre inutili trattative per una cessione pacifica della città, consentendo a Prevost (le cui truppe erano più o meno la metà di quelle nemiche) di fortificarsi a dovere. Il 4 ottobre l'artiglieria alleata aprì il fuoco su Savannah, ma nonostante una settimana di cannoneggiamento le difese britanniche subirono pochi danni e quando il 9 ottobre i franco-americani sferrarono il loro attacco furono sanguinosamente respinti. Dopo essere rimasto a bloccare la città ancora per qualche giorno, d'Estaing fece vela per l'Europa mentre Lincoln riportò le sue truppe a Charleston, lasciando Savannah nelle mani dei britannici[19].
La caduta di Charleston
La partenza della flotta francese convinse infine Clinton ad agire, e il 25 dicembre 1779 il generale lasciò New York con una flotta di 90 navi e un'armata di 8.700 uomini facendo vela per Charleston; la destinazione dei britannici non rimase sconosciuta agli americani, e Washington si convinse a distaccare 2.500 regolari dalle sue forze per inviarli in aiuto di Lincoln, mentre il Congresso mobilitava altri continentali per rafforzare le difese della città[20].
Le truppe di Clinton presero terra a sud di Charleston l'11 febbraio 1780, iniziando la marcia verso la città attraverso un difficile terreno pieno di acquitrini. Ai primi di marzo i britannici avevano bloccato il porto di Charleston dal mare, mentre con l'arrivo di rinforzi da Savannah e il reclutameto di lealisti locali le forze di Clinton erano salite a più di 10.000 uomini; dentro la città, il generale Lincoln aveva ai suoi ordini circa 2.650 continentali regolari e 2.500 miliziani, ben protetti da una serie di estese fortificazioni. Pressato dai funzionari governativi locali che gli ordinavano di difendere la città, Lincoln dovette scartare l'opzione di ritirarsi nell'interno per condurre una guerriglia e accettare di resistere all'assedio dei britannici[21]. Clinton si affrettò a tagliare le ultime linee di comunicazione di Lincoln, un risultato pienamente ottenuto grazie alle vittorie riportate dai lealisti del colonnello Banastre Tarleton nelle battaglie di Monck's Corner il 14 aprile e di Lenud's Ferry il 6 maggio; Charleston si ritrovò così completamente circondata e sotto assedio[22].
Il bombardamento di Charleston iniziò la prima settimana di aprile; mentre Clinton portava avanti metodicamente le sue operazioni d'assedio, varie unità della milizia della Carolina del Sud provenienti dall'entreoterra della colonia si rifiutarono di dirigere su Charleston, decisione frutto della tradizionale inimicizia nei confronti della città. Senza possibilità di uscire dalla città e costantemente sottoposto a bombardamenti, alla fine Lincoln dovette capitolare. Dopo lunghi negoziati, Charleston si arrese il 12 maggio 1780: in quella che fu la più grande resa americana di tuttala guerra, i britannici catturarono circa 6.700 uomini (inclusi Lincoln, sei generali e due firmatari della Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America, Thomas Heyward e Arthur Middleton), 400 pezzi d'artiglieria e 5.000 moschetti[23]. Al prezzo di poche perdite, Clinton aveva catturato la più grande città e porto principale del sud, lasciando in rovina le forze americane nella regione: in effetti, a parte un contingente di continentali sotto il generale Johann de Kalb ancora in marcia per raggiungere Charleston dal nord, non vi era più alcun esercito americano in tutto il sud.
Clinton sfruttò rapidamente il suo successo: colonne di truppe britanniche si spinsero sino a Georgetown e Augusta, occupando l'intera costa compresa tra Charleston e Savannah; entro sei mesi dalla caduta della città, almeno 6.000 lealisti provenienti da entrambe le Carolina e dalla Georgia si erano arruolati nelle forze britanniche, mentre più di 1.000 schiavi abbandonarono le piantagioni dopo un proclama di emancipazione emesso dallo stesso Clinton. Il comandante britannico offrì anche un'amnistia a tutti coloro che avessero giurato fedeltà alla Gran Bretagna, mossa che ottenne un'ampio successo ma che, combinandosi con un decreto che proclamava come "ribelli" tutti coloro che non avessero prestato tale giuramento, rese anche impossibile per gli abitanti locali di rimanere neutrali; questo, unito al fatto che non fu ristabilito alcun governo civile per la Carolina del Sud occupata, allontanò una grossa parte della popolazione e rallentò gli sforzi britannici per riottenerne la fedeltà[24].
Cornwallis prende il comando
All'inizio di giugno Clinton rientrò a New York lasciando il generale Charles Cornwallis alla guida delle forze britanniche schierate nel sud; gli ordini per Cornwallis erano di non lasciare la Carlina del Sud sino a quando la colonia non fosse stata completamente pacificata e riportata sotto il controllo britannico. Cornwallis non perse tempo a rintracciare le poche forze regolari americane sopravvissute alla disfatta di Charleston: il 29 maggio un contingente lealista al comando del colonnello Tarleton distrusse nella battaglia di Waxhaws una forza di continentali della Virginia intenta a ritirarsi verso la sua colonia natale; l'episodio si tradusse in un massaccaro quando i cavalleggeri di Tarleton non offrirono alcun quariere ai fanti americani che pure si erano arresi, uccidendone più di 260. L'episodio costò a Tarleton la nomea di comandante sanguinario e indignò profondamente i rivoluzionari[25].
Note
- ^ John E. Selby, The Revolution in Virginia, 1775–1783, 1988, capitolo 1.
- ^ Russell, pp. 54-55.
- ^ Ferling, p. 228.
- ^ Ferling, p. 229.
- ^ Alden, pp. 199–200.
- ^ Cann, p. 204.
- ^ McCrady, pp. 68–69.
- ^ Cann, pp. 207–213.
- ^ Ferling, p. 211.
- ^ Ferling, pp. 249, 272.
- ^ Ferling, pp. 330-331.
- ^ Ferling, pp. 369-370.
- ^ Morrill, pp. 46–47
- ^ Ferling, p. 370.
- ^ Morrill, pp. 48–50.
- ^ Ferling, p. 393.
- ^ Morrill, pp. 53-54.
- ^ Ferling, p. 376.
- ^ Ferling, pp. 378-379.
- ^ Ferling, pp. 393-394.
- ^ Ferling, pp. 396.
- ^ Hibbert, p. 266.
- ^ Ferling, pp. 398-399.
- ^ Ferling, pp. 400-402.
- ^ Ferling, pp. 4002-403.
Bibliografia
- John Alden, The South in the Revolution, 1763 to 1789, Baton Rouge, Louisiana State University Press, 1981, ISBN 978-0-8071-0003-5.
- Marvin L. Cann, Prelude to War: The First Battle of Ninety Six: November 19-21, 1775, in The South Carolina Historical Magazine, n. 4, South Carolina Historical Society, ottobre 1975, pp. 197-214.
- John Ferling, La rivoluzione americana, 21 Editore, 2018, ISBN 978-88-99470-26-5.
- Christopher Hibbert, Rebels and Redcoats: The American Revolution Through British Eyes,, Londra, Pen and Sword, 2001.
- Edward McCrady, The History of South Carolina in the Revolution, Volume 3, New York, Macmillan, 1901.
- Dan Morrill, Southern Campaigns of the American Revolution, Baltimora, Nautical & Aviation Publishing, 1993, ISBN 978-1-877853-21-0.
- David Lee Russell, The American Revolution in the Southern colonies, McFarland, 2000, ISBN 978-0-7864-0783-5.


