Simposio (Platone)
Simposio | |
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Titolo originale | Συμπόσιον |
Altri titoli | Convito, Convivio |
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Autore | Platone |
1ª ed. originale | IV secolo a.C. |
Genere | dialogo |
Sottogenere | filosofico |
Lingua originale | greco antico |
Personaggi | Socrate, Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane, Agatone, Alcibiade |
Serie | Dialoghi platonici, III tetralogia |
Il Simposio (in greco antico: Συμπόσιον?, Sympósion, noto anche con il titolo di Convito, o a volte anche Convivio) è forse il più conosciuto dei dialoghi di Platone.[1] In particolare, si differenzia dagli altri scritti del filosofo per la sua struttura, che si articola non tanto in un dialogo, quanto nelle varie parti di un agone oratorio, in cui ciascuno degli interlocutori, scelti tra il fiore degli intellettuali ateniesi, espone con un ampio discorso la propria teoria su Eros ("Amore").
L'ambientazione e lo svolgimento
La cornice in cui si inseriscono i vari interventi è rappresentata dal banchetto, offerto dal poeta tragico Agatone per festeggiare la sua vittoria negli agoni delle Lenee, oppure alle Grandi Dionisie, del 416 a.C.[2]. Fra gli invitati, oltre a Socrate e al suo discepolo Aristodemo, il medico Erissimaco, il commediografo Aristofane, Pausania l'amante di Agatone e il suo amico Fedro, figlio di Pitocle ed esperto di retorica: ognuno di loro, su invito di Erissimaco, terrà un discorso che ha per oggetto un elogio di Eros.
Verso la fine, fa una clamorosa irruzione anche Alcibiade, completamente ubriaco, incoronato di edera e di viole, accompagnato dal suo komos, che si presenta per festeggiare Agatone, e che viene accolto con cordialità. Alla fine del banchetto, la mattina seguente, Socrate (uno dei pochi rimasti svegli per tutta la notte) lascia l'abitazione e, seguito da Aristodemo, si dirige verso il Liceo.
Prologo
Durante una notte ad Atene due amici, di cui uno si chiama Apollodoro, stanno passeggiando per le vie della città, conversando. A un certo punto il primo esorta Apollodoro a raccontargli del famoso banchetto tenutosi in casa di Agatone con Socrate, Pausania, Fedro e molti altri.
Apollodoro spiega a Glaucone che il banchetto era avvenuto molti anni prima e che era stato Aristodemo stesso a raccontargli di quella notte.
Una sera Socrate viene avvistato da Aristodemo il quale nota che il filosofo si è fatto incredibilmente bello e profumato ed ha indossato perfino dei sandali, cosa rara per uno come lui. Socrate spiega che si sta dirigendo in casa di Agatone il quale sta dando una festa per celebrare una sua vittoria e Aristodemo lo segue incuriosito.
Tuttavia per la strada Socrate rimane indietro a riflettere ed entra in casa solo a metà della festa[3], malgrado i continui richiami di Agatone. Dopo essersi puliti ed aver bevuto del buon vino mielato, il padrone di casa chiede agli invitati di cosa vogliano discutere quella sera e uno di loro, Erissimaco, propone la discussione su Eros, ovvero l'Amore. Tutti sono entusiasti dell'argomento e cominciano a dialogare.
Fedro
Il primo a parlare tra gli invitati è Fedro. Egli afferma che Eros è il più antico fra tutti gli dèi ad essere onorato, come attestano Esiodo, nella Teogonia, e Acusilao, i quali all'origine del mondo pongono il Caos e la Terra e quindi anche Amore. Inoltre, Parmenide sostiene che la Giustizia «per primo, fra tutti gli dei, si prese cura di Amore»[4]. È Eros a spingere amante e amato a gareggiare in coraggio, valore, nobiltà d'animo: gli eserciti, se costituiti da tutti amanti e amati, sono imbattibili:
Fedro porta alcuni esempi, primo fra tutti quello di Alcesti che superò in amore i genitori di Admeto, suo sposo, tanto da farli apparire estranei alla sua vicenda e da suscitare l'ammirazione degli dei; cosa che non avvenne a Orfeo, che tornò indietro dall'Ade senza risultato, poiché era apparso vile. Gli dei invece onorarono Achille che per sua scelta morì in aiuto e vendetta di Patroclo, suo amante, riservando a lui l'Isola dei Beati[5].
Verso la fine del discorso si assiste a un rovesciamento del concetto greco secondo il quale l'amato è superiore all'amante, perché autosufficiente, non soggetto a urti e scossoni. Perciò il greco ama l'uomo, ritenendo la donna indegna di essere superiore. Qui invece la superiorità è dell'amante e perciò il merito maggiore è dell'amato che ama: Achille, mentre Alcesti non amata, ma amante. L'ultima frase del discorso inoltre sottolinea l'importanza di Amore:
Pausania
Pausania è il secondo a parlare fra gli ospiti. Egli distingue due generi di Amore, poiché come esistono due Afroditi (l'Afrodite Urania, “celeste”, figlia di Urano, e l'Afrodite Pandèmia, “comune”, “volgare”, figlia di Zeus e di Dione) così esistono anche due Amori: il primo detto “Celeste”, si accompagna all'Afrodite “Urania”, il secondo detto “Volgare”, si accompagna invece all'Afrodite “Pandèmia”.
L'Amore Volgare è volto ad amare i corpi più che le anime e, partecipando di entrambe le nature dei suoi genitori, maschile e femminile, preferisce tanto le donne - considerate nella cultura greca antica oggetto inferiore d'amore - quanto i fanciulli imberbi, quindi facilmente plagiabili. L'Amore “Celeste”, invece, trascende quello corporale e si fa guida verso un elevato sentire e, parte modi mostrarsi compiacenti a causa della virtù». Il suo discorso si conclude con una ricerca della giustificazione dell'amore omofilo basandosi sui nomoi (cioè le norme, siano esse leggi scritte o no) delle varie regioni della Grecia (in Boezia e nell'Elide non è ritenuto vergognoso, ma poiché gli uomini di quelle parti non sanno parlare, è una legge molto semplice inabile nel persuadere) mostrando come questo sia disprezzato «nella Jonia e nelle altre regione dominate dai barbari» , mentre ad Atene il nomos è più complicato, poiché è considerato lecito farlo in privato, riprovevole farlo in pubblico.
Erissimaco
Come terzo, in sostituzione di Aristofane che è colto dal singhiozzo, interviene Erissimaco, il quale, da buon medico, considera l'amore un fenomeno naturale e ne distingue gli aspetti normali da quelli morbosi. Nell'esporre la sua teoria si trova d'accordo sulle due specie d'Amore individuate da Pausania: «che Amore dunque sia duplice, pare a me che sia un distinguere bene», con una piccola differenza però: al posto dell’Afrodite Pandemia (Volgare), Erissimaco pone l’Afrodite Polimnia (“dai molti inni”, cioè portatrice di disordine). Amore infatti, come ogni cosa in natura, deve essere armonico ed equilibrato in ogni sua azione - «comunione di opposti»: infatti la “soverchieria”, “il disordine” insiti in ogni forma di attrazione non possono riuscire a buon fine, ma determinano contagi, malattie, guasti e distruzione; «ma quando invece l'Amore diventa incontenibile e infuria violento durante le stagioni dell'anno, produce guasti e distrugge molte cose».
All'inizio del suo discorso, inoltre, Erissimaco ci propone una sua definizione di medicina, e di armonia, e afferma che «nella musica, nella medicina e in tutte le altre attività umane e divine, per quanto è dato, bisogna bene osservare l'uno e l'altro di questi amori: infatti sussistono ambedue».
Erissimaco infine, come Pausania, cerca anch'egli una giustificazione per l'amore omofilo, trovandola in maniera più fondata nella Physis (natura) piuttosto che nel Nomos.
Aristofane
Come quarto, rimessosi dal singhiozzo, interviene Aristofane[6], il quale spiega la sua devozione verso Amore per mezzo di un fantasioso, ma significativo mito. Per lui, all'origine del mondo, gli esseri umani erano differenti dagli attuali, formati da due degli umani attuali congiunti tramite la parte frontale (pancia e petto). Inoltre essi erano di tre generi: il maschile, il femminile e l'androgino, che partecipa del maschio e della femmina (cioè, appunto, ἀνδρόγυνος, “uomo-donna”). La forma degli uomini era inoltre circolare: quattro mani, quattro gambe, due volti su una sola testa, quattro orecchie, due organi genitali e tutto il resto come ci si può immaginare. Questa natura doppia è però stata spezzata da Zeus, il quale fu indotto a tagliare a metà questi esseri per la loro tracotanza, al fine di renderli più deboli ed evitare che attentassero al potere degli dei (d'altro canto, eliminarli del tutto avrebbe comportato la perdita dell'unica forma vivente da cui gli dei erano venerati).
Ma da questa divisione in parti nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva unità, tanto che le “parti” non fanno altro che stringersi l'una all'altra, e così muoiono di fame e di torpore per non volersi più separare. Zeus allora, per evitare che gli uomini si estinguano, manda nel mondo Eros affinché, attraverso il ricongiungimento fisico, essi possano ricostruire “fittiziamente” l'unità perduta, così da provare piacere (e riprodursi) e potersi poi dedicare alle altre incombenze cui devono attendere.
Agatone
Per quinto parla il padrone di casa, Agatone, che definisce Amore il dio più bello e più nobile. Egli si incarica di dire «qual è e di quali beni artefice» è Amore. «Amore è il più felice perché è il più bello e il migliore. È il più bello perché è tale: anzitutto è il più giovane tra gli dei», e inoltre «è il più giovane e il più soave, e oltre a ciò è come flessuoso nell'aspetto. Non sarebbe infatti in grado di abbracciarsi ovunque, né di entrare in ogni anima di nascosto e poi uscirne se fosse inflessibile». Da sottolineare l'affermazione che «tra Amor e bruttezza c'è sempre guerra», poiché Amore simboleggia la bellezza, «la sua esistenza tra i fiori reca una testimonianza della bellezza della carnagione del dio». Egli non fa ingiustizia né la subisce, perché “giustizia”, “morigeratezza”, “potenza” e “sapienza” sono le virtù che lo contraddistinguono:
Agatone compone anche versi in onore di Amore:
E conclude il suo discorso tessendone un elogio molto poetico.
Socrate
Socrate Interviene per sesto e ultimo. Sulle prime tenta di schermirsi per la sua incapacità come oratore, ma sostenuto dalla convinzione che su ogni cosa «basta dire la verità», decide di fare lo stesso anche con Eros, scegliendo ed ordinando nel modo migliore le cose più belle. Infatti gli elogi di Eros fatti dai precedenti oratori poggiavano tutta la loro efficacia sul dispiego della retorica e su argomentazioni sofistiche, arrivando a gareggiare nell'associare ad Eros i migliori benefici[7]. Socrate invece, come detto, partirà dalla verità.
In sostanza, «Amore è amore di alcune cose», in particolare «di quelle di cui si avverte mancanza». A questo punto sul discorso di Socrate si innesta quello di Diotima, sacerdotessa di Mantinea, maestra di Socrate della concezione di Amore. Secondo essa «Amore non è bello [...] e non è neanche buono», fu concepito da Penìa (Povertà), che come detto dalla sacerdotessa approfittò di Póros (Espediente), ubriaco, alla festa del genetliaco di Afrodite: egli è quindi un essere intermedio tra il divino e l'umano che, assieme alle qualità positive, assomma in sé anche quelle negative. Socrate, come apprende da Diotima, era caduto nello stesso equivoco nel quale cadono tutti o quasi tutti gli uomini che in Amore vedono solo il lato più bello. Tutto questo deriva dal fatto che Amore viene identificato con l'amato e non con l'amante: il primo è delicato, compiuto, il secondo invece è quale appare nella descrizione che Diotima ne viene facendo. Ma qual è la molla che spinge l'amante verso l'amato? L'attrazione della bellezza può essere uno stadio, ma non se è fine a se stessa: tra gli uomini chi è fertile nel corpo è attratto dalla donna e cerca la felicità nella discendenza della prole e nella continuità, chi invece è fertile nell'anima cerca un'anima bella a cui unire la propria[8], e può creare con questa una comunanza più profonda di quella che si può avere con i figli. Su questo piano chi ama riuscirà «a capire che tutto il bello che riguarda il corpo è cosa ben da poco». Quindi accusa gli altri di aver attribuito false qualità ad Eros.
Alcibiade: «Socrate è un sileno»
Dopo che Socrate ha concluso il suo discorso, irrompe nella sala del banchetto Alcibiade ubriaco e, dopo una breve schermaglia con Socrate, ne tesse il più splendido elogio. Pur senza aver udito le considerazioni di Socrate, Alcibiade viene a darne la più viva e diretta dimostrazione: Socrate gli è stato maestro, amico, gli ha salvato la vita in battaglia, gli ha fatto attribuire dagli strateghi, in guerra, quei riconoscimenti che avrebbe meritato per sé.
Socrate gli ha resistito quando egli gli ha fatto dono della propria bellezza, perché non a questo mirava[9]. Era attratto piuttosto «dalla bellezza in sé, genuina, pura, non mescolata, non incorporata di carni umane, né di colori, né di ogni altra vacuità mortale». Era desideroso di contemplare la «bellezza divina nel suo unico aspetto».
Note
- ^ Platone, Simposio, intr. di B. Centrone, a cura di M. Nucci, Einaudi, Torino 2009.
- ^ K. J. Dover, The Date of Plato's "Symposium", Phronesis, Vol. 10, No. 1 (1965), pp. 2-20.
- ^ Gerard J. Boter, Plato "Symposium" 175B1: ὉΣ as the Nominative Singular of the Indirect Reflexive Pronoun, Mnemosyne, Fourth Series, Vol. 59, Fasc. 1 (2006), pp. 129-134.
- ^ Friedrich Solmsen, Parmenides and the Description of Perfect Beauty in Plato's Symposium, The American Journal of Philology, Vol. 92, No. 1 (Jan., 1971), pp. 62-70.
- ^ JORDI PÀMIAS, PHAEDRUS' COSMOLOGY IN THE "SYMPOSIUM": A REAPPRAISAL, The Classical Quarterly, New Series, Vol. 62, No. 2 (DECEMBER 2012), pp. 532-540.
- ^ PAUL O'MAHONEY, On the "Hiccuping Episode" in Plato's "Symposium", The Classical World, Vol. 104, No. 2 (WINTER 2011), pp. 143-159.
- ^ Mary P. Nichols, Socrates' Contest with the Poets in Plato's Symposium, Political Theory, Vol. 32, No. 2 (Apr., 2004), pp. 186-206.
- ^ F. C. White, Beauty of Soul and Speech in Plato's "Symposium", The Classical Quarterly, New Series, Vol. 58, No. 1 (May, 2008), pp. 69-81.
- ^ Radcliffe G. Edmonds, III, Socrates the Beautiful: Role Reversal and Midwifery in Plato's Symposium, Transactions of the American Philological Association (1974-), Vol. 130 (2000), pp. 261-285.
Bibliografia
Edizioni critiche
- John Burnet, Platonis opera, recognovit brevique adnotatione critica instruxit, 4 (tetralogia VIII), 1ª ed., Oxford, 1902.
- G. Reale e John Burnet (testo critico), Platone: Simposio, su archive.org, 1ª ed., Milano, Fondazione Lorenzo Valla - Arnoldo Mondadori, Ottobre 2001, pp. 388, ISBN 88-04-48612-0 (archiviato il 16 Ottobre 2017).
Traduzioni italiane
- Platone, Simposio, a cura di G. Colli, Adelphi, Milano 1979
- Platone, Simposio, intr. di V. Di Benedetto, a cura di F. Ferrari, Rizzoli, Milano 1986
- Platone, Simposio, intr. di D. Susanetti, trad. di C. Diano, Marsilio, Venezia 2006
- Platone, Simposio, intr. di A. Taglia, trad. di G. Calogero, Laterza, Bari 200810
- Platone, Simposio, intr. di B. Centrone, a cura di M. Nucci, Einaudi, Torino 2009
- Platone, Simposio, a cura di G. Giardini, in: Tutte le opere, a cura di E.V. Maltese, Newton Compton, Roma 2009
- Platone, Simposio, intr. di U. Galimberti, trad. e cura di F. Zanatta, Feltrinelli, 1995
- Platone, "Simposio", a cura di G. Farinetti e F. De Luise, trad. R. Luca, La Nuova Italia, 2001
Saggi
- F. Adorno, Introduzione a Platone, Laterza, Bari 1997
- C. Kahn, Platone e il dialogo socratico, trad. it., Vita e Pensiero, Milano 2008
- G. Reale, Eros dèmone mediatore, Bompiani, Milano 1997
- F. Trabattoni, Scrivere nell'anima, La Nuova Italia, Firenze 1994
Articoli
- Henry G. Wolz, Philosophy as Drama: An Approach to Plato's Symposium, Philosophy and Phenomenological Research, Vol. 30, No. 3 (Mar., 1970), pp. 323-353
- Kenneth Dorter, The Significance of the Speeches in Plato's Symposium, Philosophy & Rhetoric, Vol. 2, No. 4 (Fall, 1969), pp. 215-234
- M. Johnson, H. Tarano, FAIRYTALES AND MAKE-BELIEVE, OR SPINNING STORIES ABOUT POROS AND PENIA IN PLATO'S SYMPOSIUM: A LITERARY AND COMPUTATIONAL ANALYSIS, Phoenix, Vol. 68, No. 3/4 (Fall-Winter/automne-hiver 2014), pp. 291-312
- Arlene W. Saxonhouse, Eros and the Female in Greek Political Thought: An Interpretation of Plato's Symposium, Political Theory, Vol. 12, No. 1 (Feb., 1984), pp. 5-27
Film
Nel 1988, il regista italiano Marco Ferreri ha trasposto filmicamente, per la televisione francese, alcuni dialoghi del Simposio ne Il banchetto di Platone.
Voci correlate
Altri progetti
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