Caso degli emoderivati infetti
Il caso degli emoderivati infetti è un caso giudiziario causato dalla messa in commercio, a partire dagli anni settanta, di plasma ed emoderivati infetti prodotti da aziende farmaceutiche tra le quali la Bayer[1] e la Baxter. In Italia è attualmente ancora in corso un processo per stabilire le responsabilità penali.
I principali contagiati dai virus delle epatiti virali (HBV e HCV) e dell'HIV sono i soggetti emofilici che necessitano di infusioni di fattori della coagulazione (fattore VIII e fattore IX) ottenuti dal plasma umano. Secondo alcune stime, in Italia i decessi per infezione da emoderivati sono, al 2009, circa 2.600.
Il caso degli emoderivati infetti non è da confondere con lo scandalo del sangue infetto, sviluppatosi in contemporanea.
Storia
Alcune case farmaceutiche immisero sul mercato plasma raccolto da individui ad alto rischio infettivo come carcerati, tossicodipendenti e persone con comportamenti sessuali a rischio e di conseguenza i farmaci emoderivati ottenuti da quel plasma infettarono molte migliaia di persone in tutto il mondo con i virus dell'HIV, dell'epatite B e dell'epatite C.
Sebbene all'epoca non esistessero test specifici per rilevare la presenza dei virus HIV e HCV (epatite C), la scelta delle case farmaceutiche di usare plasma da persone ad alto rischio venne ritenuta criminale. Inoltre, la Bayer e la Baxter continuarono la vendita del plasma anche dopo che lo scandalo venne reso pubblico e ritardarono il trattamento dei prodotti mediante tecniche di inattivazione virale quando queste vennero messe a punto.
Le case farmaceutiche corruppero o fecero pressioni sia su politici che sul personale sanitario per vendere i loro prodotti che anche all'epoca erano conosciuti per essere facilmente infetti con i virus dell'HIV e delle epatiti.[1][2][3]
Le indagini in Europa risalgono ai primi anni novanta[4] e in Italia Duilio Poggiolini venne imputato di aver concesso la commercializzazione di plasma infetto.[5]
Anni dopo, fu nuovamente interrogato Poggiolini in seguito a nuovi filoni d'indagine.[6] Nel 2003, il New York Times riportò la notizia secondo cui a metà degli anni ottanta alcuni farmaci per la coagulazione del sangue, prodotti da multinazionali statunitensi, vennero dirottati a emofilici in Asia e in America Latina (in quanto le normative in questi Paesi erano meno restrittive), perché vi sarebbero state evidenze che tali prodotti stavano infettando gli utilizzatori con HIV, mentre dalla fine di febbraio 1984 la Bayer vendeva negli Stati Uniti un nuovo prodotto, più sicuro. La società implicata continuò tuttavia a vendere per oltre un anno il vecchio prodotto all'estero.[1]
Lo studio legale Lieff Cabraser sta seguendo le cause in Argentina, Germania, Hong Kong, Irlanda, Israele, Italia, Taiwan e Gran Bretagna, e in vari altri Paesi per intentare azioni legali presso i tribunali degli Stati Uniti contro le società responsabili.[7]
Secondo i dati dell'Associazione politrasfusi, tra il 1985 ed il 2008, sono state 2605 le vittime di trasfusioni con plasma infetto ed emoderivati mentre 66.000 sono le richieste di risarcimento giunte dai pazienti al Ministero della Salute. A dicembre 2008 circa 49.000 persone hanno ottenuto un assegno di 1080 euro a bimestre. Il risarcimento che lo Stato italiano ha chiesto a Duilio Poggiolini è di 60 milioni di euro.[8]
Nel 2009, il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali ha emanato un decreto per le transazioni giudiziarie per danni da emotrasfusioni e somministrazione di emoderivati infetti[9] che però a detta dell'avvocato Bertone, rappresentante di alcune parti civili nel processo penale in corso a Napoli, non soddisfa le parti in causa, in quanto escluderebbe molti danneggiati dal processo per il riconoscimento dei danni. Nel marzo 2009, viene nuovamente indagato Poggiolini.[10]
Normativa italiana
La normativa italiana in materia di raccolta di plasma e produzione di emoderivati è solamente in parte sovrapponibile rispetto a quella relativa alla raccolta di sangue, già vista in merito allo scandalo del sangue infetto.
La prima disposizione in materia di controlli sui donatori di sangue e plasma è la circolare del Ministero della Sanità n. 50 del 28 marzo 1966 che dispone che si eviti di procedere alla donazione nel caso in cui il donatore abbia avuto manifestazioni di epatite virale o sia stato a contatto con malati di epatite nei sei mesi precedenti. Inoltre, la circolare prescrive la verifica periodica delle transaminasi di tutti i donatori, verifica che deve essere effettuata anche su ogni donazione effettuata. Nel caso di valori fuori dal normale, il donatore deve essere sottoposto a ulteriori accertamenti e il sangue donato deve essere destinato solamente alla produzione di gammaglobuline o albumine (il cui metodo di produzione si ritiene non comporti il rischio di diffusione di infezioni):[11] di conseguenza, un innalzamento delle transaminasi può essere segno di un'infezione da virus epatitici, sebbene non siano disponibili test diretti per la ricerca dei virus dell'epatite.[11]
La circolare ricorda anche che i derivati del sangue (con l'eccezione di gammaglobuline e albumina) sono veicoli di infezioni da virus epatitici e che non esistono metodi di purificazione del sangue e dei suoi derivati infetti. Inoltre, viene consigliato che qualora sia necessario mescolare più lotti (pool) di plasma per produrre emoderivati, il numero di donatori per ciascun lotto non sia superiore a dieci, così da limitare la diffusione di infezioni nel caso in cui un donatore risulti essere infetto.[11]
Nel 1968 si ha la scoperta che un antigene noto fin dal 1963 è l'antigene di superficie del virus che causa l'epatite B (da cui il nome di HBsAg, conosciuto anche come antigene Australia). Vengono messi a punto fin dall'inizio degli anni settanta dei test di prima generazione per la determinazione di questo antigene nel siero mentre i test di seconda generazione, più sensibili, si hanno a partire dal 1978.
La circolare n. 68 del 4 luglio 1978 della direzione generale del servizio farmaceutico dispone la ricerca mediante dosaggio radioimmunologico (test di seconda generazione) dell'HBsAg su ogni donazione di sangue, sul plasma e sul prodotto finito nel caso di emoderivati, a esclusione dell'albumina.[11] Inoltre, la circolare richiama al rispetto rigoroso del limite massimo di unità di plasma da utilizzare nella formazione dei lotti di partenza della lavorazione, così come previsto dalla Farmacopea Ufficiale. Il Centro Nazionale Trasfusione Sangue della Croce Rossa Italiana e molti centri trasfusionali italiani effettuano i test per la ricerca dell'antigene Australia fin dal 1972.[11]
Dal 1984 viene effettuata la ricerca delle transaminasi (ALT e AST) sui donatori e sulle sacche di sangue e plasma donate.[11]
Con la comparsa della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS), di cui solo si sospetta l'eziologia virale, nel maggio 1984 la direzione generale del servizio farmaceutico del Ministero della Sanità invia una lettera circolare alle ditte produttrici di emoderivati in cui comunica che l'AIDS può essere trasmessa anche tramite trasfusione di sangue e derivati (in particolare i fattori della coagulazione utilizzati dagli emofilici).
Inoltre, comunica che il Consiglio d'Europa ha suggerito di utilizzare pool di plasma basati su un numero ridotto di donatori e di evitare l'importazione di plasma e prodotti emoderivati da Paesi con popolazione a rischio e donatori a pagamento, invitando altresì le imprese importatrici a far conoscere lo stato delle ricerche in corso all'estero così da mettere a punto tecnologie tali da ridurre il rischio di contaminazione.
Nell'agosto dello stesso anno, con una circolare della direzione generale del servizio di igiene pubblica del Ministero della Sanità, viene ribadita la probabile eziologia virale dell'AIDS e la trasmissibilità attraverso sangue, suoi derivati e secrezioni infette.
Nel dicembre 1984, la ditta Immuno richiede l'autorizzazione alla commercializzazione di emoderivati trattati con il metodo di inattivazione virale al vapore umido e nel luglio 1985 il termotrattamento viene imposto alle imprese produttrici di emoderivati, senza però disporre il ritiro dal commercio dei prodotti non testati.
Il 17 luglio 1985, la direzione generale del servizio igiene pubblica emana una circolare con cui dispone la determinazione su ogni unità di sangue donato della presenza degli anticorpi anti-LAV/HTLV-III (come inizialmente identificati i virus HIV).[11]
Nell'aprile 1986 la direzione generale del servizio farmaceutico, attraverso una circolare indirizzata alle imprese produttrici, dispone che gli emoderivati devono essere preparati a partire da plasma negativo alla ricerca degli anticorpi anti-HTLV-III e che il numero massimo di unità di plasma che vanno a costituire i lotti di lavorazione deve essere rispettato. Ancora una volta, non viene disposto il ritiro dal commercio dei prodotti ma viene solamente richiesto il numero di lotti di ciascun emoderivato e la sua data di presumibile esaurimento nel ciclo commerciale.[11]
Nel dicembre 1987, in una relazione a Ministro della Sanità, la direzione generale del servizio farmaceutico afferma che l'Istituto Superiore di Sanità ha ritenuto accettabili i metodi di inattivazione virale al calore secco e al calore umido proposti dalle imprese produttrici di emoderivati, facendo notare che il trattamento al calore umido è più efficace nella prevenzione dell'epatite non-A non-B (NANB, come inizialmente denominata l'epatite C causata dal virus HCV, non ancora scoperto)
Solamente con la legge n. 531 del 29 dicembre 1987 si ha un atto normativo propriamente detto con cui le unità sanitarie locali vengono obbligate a eseguire la determinazione della presenza del virus HIV nelle unità di sangue raccolte.[11]
Nel maggio 1988 il Ministero della Sanità emana un decreto che rende obbligatorio il trattamento dei prodotti emoderivati con vapore umido sotto pressione.
Nonostante il fatto che dal settembre 1989 sia disponibile in Italia il test per la ricerca degli anticorpi anti-HCV (virus causante l'epatite C), la direzione generale del servizio farmaceutico, con lettera circolare del 1° ottobre 1989 indirizzata solamente alle aziende produttrici di emoderivati e non ai centri trasfusionali, invita alla determinazione sulle singole donazioni di plasma dei soli valori dell'alanina transaminasi (ALT).
Con decreto ministeriale del 21 luglio 1990 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il successivo 22 agosto)[12] il ministro De Lorenzo richiama l'obbligo da parte dei servizi trasfusionali di effettuare su ogni unità di sangue e plasma donato la ricerca dell'antigene di superficie del virus dell'epatite B (HBsAg) e degli anticorpi anti-HIV e impone, in aggiunta, la ricerca degli anticorpi anti-HCV e la determinazione dell'alanina transaminasi (ALT). Nel caso dell'ALT, si considerano da eliminare le donazioni con valori superiori a 1,5 volte il valore normale (contro un valore di 1,2 volte stabilito dalla comunità scientifica), valore però che non esclude il rischio di infezione, considerato il decorso della malattia epatica da infezione da HCV. La norma non dispone, invece, l'utilizzo della tecnica PCR (NAT) per la determinazione della presenza del virus HCV, tecnica ideata da Saiki nel 1985 e dal 1989 diffusamente disponibile anche in modalità automatizzata.
Nel dicembre 1990, mediante una lettera indirizzata alla Farmindustria, la direzione generale del servizio farmaceutico informa che il Ministero della Sanità ritiene opportuno non imporre la determinazione degli anticorpi anti-HCV sulle singole unità di plasma importato dall'estero, diversamente da quanto disposto per il plasma raccolto in Italia.
Nel decreto ministeriale datato 15 gennaio 1991[13] in cui vengono aggiornati i protocolli per l'accertamento dell'idoneità dei donatori di sangue e plasma, si ribadisce la necessità della determinazione su ogni donazione, tra gli altri, dell'alanina transaminasi con metodo ottimizzato, degli anticoripi anti-HIV, dell'antigene di supeficie del virus dell'epatite B (HBsAg) e degli anticorpi anti-HCV.
Attraverso un telegramma del novembre 1992, la direzione generale del servizio farmaceutico dispone cha a partire dal 1993 siano messi in commercio solamente emoderivati preparati da plasma controllato per la presenza di anticorpi anti-HCV e dispone il ritiro dal ciclo distributivo entro il 31 dicembre di tutti gli emoderivati preparati da plasma non testato, autorizzando l'utilizzo fino al 31 marzo 1993 di quelli già distribuiti.
Nel settembre 1994, una lettera circolare dell'Istituto Superiore di Sanità indirizzata alle imprese farmaceutiche porta a conoscenza delle stesse la raccomandazione III/5193/94 del Consiglio delle Comunità Europee ("Plasma pool testing") che richiede la ricerca dell'antigene Australia e degli anticorpi anti-HIV1/2 e anti-HCV anche sui lotti di plasma destinati alla produzione di emoderivati e non solo sulle singole donazioni.
Con decreto ministeriale del 29 marzo 1999 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il successivo 15 aprile),[14] viene disposta la ricerca del virus HCV mediante la tecnica di biologia molecolare NAT sui lotti di plasma utilizzati per produrre emoderivati mentre solamente con il decreto ministeriale del 27 marzo 2008[15] viene disposta la stessa ricerca sulle singole donazioni di sangue e plasma.
Procedimenti penali in Italia
Indagini di Napoli
Le prime indagini si hanno a partire dal 1993 da parte dei procuratori Miller e Cordova[16][17] e del nucleo antisofisticazioni e sanità dei Carabinieri di Napoli in merito all'importazione dall'estero di plasma ed emoderivati in violazione delle normative vigenti, favorita da una serie di proroghe all'adozione di provvedimenti concesse dalla direzione generale del servizio farmaceutico del Ministero della Sanità di cui Duilio Poggiolini è il direttore generale.[17]
Indagini di Roma
Fin dal 1993, il procuratore Marini della procura di Roma svolge un'indagine sull'importazione di plasma per la produzione di emoderivati che coinvolge anche il Ministero della Sanità per quanto riguarda il rilascio delle autorizzazioni all'importazione di plasma dall'estero.[18]
Processi di Trento
Fase preliminare
Le indagini hanno inizio nel maggio 1994 in seguito a un esposto presentato alla procura di Trento dall'ex giudice e consigliere provinciale Carlo Palermo relativo alla presenza, tra i centri trasfusionali in cui viene raccolto il plasma dai donatori e le imprese farmaceutiche che lo utilizzano per produrre emoderivati, di società di intermediazione che sarebbero in realtà delle società di comodo che hanno lo scopo di nascondere operazioni in nero e pagamento di tangenti.[19][20][21]
Nel corso delle indagini per epidemia colposa[22] vengono acquisite anche circa 500 cartelle cliniche di bambini emofilici infetti da HCV e 399 cartelle cliniche di militari riformati per la stessa ragione che avevano fatto uso di emoderivati (fattori della coagulazione i primi e principalmente immunoglobuline antitetaniche i secondi).[23]
Il 27 marzo 1995 il nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Trento, nell'ambito dell'indagine per corruzione, intercetta una conversazione telefonica tra due soggetti legati alla Co.Pla (azienda attiva nel trasporto di plasma ed emoderivati) in cui si fa riferimento a del materiale risalente agli anni ottanta, non testato per la presenza del virus HIV e che era conservato in una cella frigorifera anziché essere stato distrutto.[21][24]
Una volta identificati i magazzini generali di Padova come il luogo in cui si trova la cella frigorifera, il 30 maggio 1995 la Guardia di Finanza (coordinata dai procuratori Granero e Giardina) sequestra 35 tonnellate di plasma umano congelato[21][24][25] di provenienza italiana in attesa di essere lavorato per conto delle Regioni mentre il 6 giugno viene sequestrata una seconda cella contenente plasma proveniente dall'estero.[26] Il materiale, per complessive 60 tonnellate, è stato conferito ai magazzini da parte della Sclavo di Siena (gruppo Marcucci), è stipato tra i generi alimentari e in alcuni casi i contenitori sono danneggiati.[21][24][25][26]
Il plasma congelato appartiene per una minima parte alla Co.Pla, la gran parte è di proprietà della Sclavo mentre circa 5 tonnellate di materiale appartengono alla Padmore, una società con sede alle Isole Vergini Britanniche,[21][25] e sono privi dei certificati di analisi virologica.[20] Gli esami effettuati sul materiale della Padmore fanno emergere che si tratta di emoderivati scaduti da anni e contaminati dai virus dell'epatite C (HCV) e da HIV. Il materiale di proprietà della Co.Pla e della Sclavo, di provenienza italiana, risulta essere in regola e non contaminato.[24]
Nel corso delle perquisizioni eseguite dalla Guardia di Finanza presso la Sclavo alla ricerca di documentazione relativa al plasma della Padmore, emerge non solo l'assenza della documentazione della Padmore ma anche importanti carenze documentali relative al plasma importato e lavorato dalla Sclavo (mancanza di certificati di analisi e assenza di verbali di distruzione di sacche di plasma risultato contaminato). A questo punto l'indagine viene estesa alle diverse società del gruppo Marcucci, al Ministero della Salute e a diversi centri trasfusionali italiani.[24]
Dalle indagini emerge che le 5 tonnellate di emoderivati infetti della Padmore erano state vendute a quest'ultima dalla Sclavo per circa 13 miliardi di lire il 15 novembre 1993 mentre la Padmore era stata fondata solamente il 4 gennaio 1994. Di conseguenza, il contratto di vendita era fittizio, così come diversa corrispondenza tra Padmore e Sclavo, ottenuta attraverso rogatorie internazionali, risultava retrodatata.[21][24]
Il contratto di vendita era stato firmato per la Padmore da parte di Dennis Lavin (membro dello studio CMM dell'avvocato David Mills) che, interrogato, afferma che gli ordini avvenivano da parte di Guelfo e Paolo Marcucci:[21][24] la Padmore è quindi un'entità del gruppo Marcucci.[25]
A questo punto, i pubblici ministeri Giardina e Granero ritengono che la falsa compravendita Padmore-Sclavo sia prova della volontà di sottrarre alla distruzione come disposto dal ministro della Salute Garavaglia nel novembre 1993 i prodotti non testati, commercializzandoli in altri Stati con normative meno stringenti, e quindi chiedono il rinvio a giudizio per 25 indagati tra cui Guelfo e Paolo Marcucci per il reato di epidemia dolosa.[21][24][27]
Nel 1999 viene presentata da parte dei pubblici ministeri una prima richiesta di rinvio a giudizio ma, essendo viziata da nullità come eccepito dalle difese degli imputati, non viene accolta dal giudice dell'udienza preliminare.[28] Dopo la presentazione della seconda richiesta di rinvio a giudizio, l'udienza preliminare si svolge il 26 luglio 2001.
Il giudice dell'udienza preliminare Flaim, mancando prove del comportamento doloso, il 12 luglio 2002 dispone 12 rinvii a giudizio per il reato di epidemia colposa (per assenza di controlli) a carico di:[29][30]
- Guelfo Marcucci, fondatore dell'omonimo gruppo;
- Edo Rinaldi, Enzo Bucci, Faustino Boschi, Enrico Romano, Giovanni Rinaldi, Roberto Morini, Roberto Passino, dirigenti del gruppo Marcucci;
- Duilio Poggiolini, ex direttore generale del servizio farmaceutico del Ministero della Sanità;
- Anna Maria Tonsa, titolare della Co.Pla;
- Francesco Degli Onofri, autista della Co.Pla;
- Carlo Grassi, infermiere dell'ospedale Cardarelli di Napoli.
A carico degli imputati Tonsa, Degli Onofri e Grassi pende anche, in un diverso procedimento, l'accusa di furto aggravato per aver sottratto al Cardarelli, nel corso di diversi anni, circa 200 kg al mese di plasma e conferito poi al gruppo Marcucci.[29][31]
Per i rimanenti 13 indagati (Paolo Marcucci, un dipendente della Farmabiagini e undici primari trasfusionisti) viene pronunciata una sentenza di non luogo a procedere,[29][32] appellata dai pubblici ministeri limitatamente alle posizioni di Guelfo e Paolo Marcucci per epidemia dolosa, considerata la complessità del procedimento e l'esiguità dei termini per l'impugnazione della sentenza del GUP.[21]
Dall'istruttoria hanno quindi origine due stralci: uno relativo alle aziende del gruppo Marcucci (derivante dal decreto di rinvio a giudizio del giudice Flaim) e uno relativo all'operazione Padmore (derivante dall'accoglimento del ricorso contro la sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Guelfo e Paolo Marcucci).
Stralcio "gruppo Marcucci"
Il filone giudiziario riguarda la lavorazione e commercializzazione di prodotti emoderivati da parte della Farmabiagini, dell'Aima Plasmaderivati e dell'Istituto Sierovaccinogeno Italiano (ISI) facenti parte del gruppo Marcucci.[25]
Secondo la richiesta di rinvio a giudizio, le parti offese sono 318[30] mentre secondo il capo d'imputazione dei pubblici ministeri, l'epidemia avrebbe causato 409 morti per AIDS, 924 infettati da HIV, 2142 infettati dal virus dell'epatite C e 443 infettati dal virus dell'epatite B.[33]
Dopo sei anni di indagini, il dibattimento ha inizio nel novembre 2002[34] ma già l'8 aprile 2003 il tribunale dichiara la propria incompetenza territoriale per gran parte del processo, pronunciandosi a favore della richiesta di trasferimento del processo avanzata dalla difesa del gruppo Marcucci.[35] Alla base della decisione vi è il fatto che la procura di Napoli era stata la prima a indagare sulle infezioni dovute alla somministrazione di sangue infetto,[36] avendo il pubblico ministero di Napoli iscritto la notizia di reato nel luglio 1994 mentre quello di Trento solamente nel marzo 1995.[34]
A questo proposito, la procura di Trento si è sempre opposta (l'eccezione di incompetenza territoriale era infatti già stata avanzata in fase di udienza preliminare e respinta dal GUP) in quanto l'inchiesta di Napoli riguardava infezioni dovute a trasfusioni infette e non alla lavorazione e commercializzazione di emoderivati prodotti da plasma infetto come nel caso di Trento.
Il processo, assieme alla corposa documentazione consistente in circa mille faldoni e un milione di pagine, viene così trasferito a Napoli.[36] A Trento il procedimento prosegue solamente nei confronti dei Marcucci per l'operazione Padmore.
Stralcio "Padmore"
Il filone vede imputati Guelfo e Paolo Marcucci per il reato di epidemia colposa (per fatti avvenuti a partire dal marzo 1994 e fino al maggio 2005) per aver venduto alla Padmore plasma risultato essere infetto.[25] Il procedimento deriva dall'impugnazione da parte dei pubblici ministeri[21] della sentenza di non luogo a procedere del 12 luglio 2002,[29][32] ricorso accolto dalla corte d'appello che dispone il giudizio per il reato di epidemia colposa.
In dibattimento, Guelfo Marcucci afferma che la vendita del materiale era solamente un'operazione finanziaria di abbellimento dei bilanci della Sclavo così da non far emergere le perdite causate dal provvedimento cautelativo del novembre 1993 con cui il ministro della salute Mariapia Garavaglia ordina la distruzione di tutte le scorte di plasma non testato. Secondo Marcucci, non vi era quindi alcuna intenzione di mettere in commercio quei prodotti.
Nell'aprile 2004, i due imputati vengono assolti[37] perché non esiste prova dell'epidemia in quanto non ci sono stati casi di infezioni da emoderivati dopo il 1994.[25][31] La sentenza è passata in giudicato, non essendo stata appellata.
La sentenza rileva comunque la gravissima condotta dei Marcucci in quanto «lo scenario entro il quale hanno operato gli imputati non sempre è parso limpido, altre volte opaco, altre volte ancora decisamente inquietante, le cui ombre, non diradate non possono rimanere velate da questo verdetto assolutorio. [...] Inquietante era lo stato di assoluta superficialità e negligenza con cui venivano custoditi questi delicati prodotti biologici per uso umano. [...] E parliamo non certo di irregolarità formali, ma di vere e proprie violazioni della legge e dei regolamenti».[31][38]
Stralcio "imprese farmaceutiche estere"
In seguito alla dichiarazione di incompetenza territoriale del tribunale di Trento nello stralcio "gruppo Marcucci", con trasferimento a Napoli del procedimento, la procura di Trento rimette alla procura di Napoli anche il procedimento relativo alle imprese farmaceutiche estere (importazione di emoderivati infetti) che si trova ancorannella fase di conclusione delle indagini preliminari. Il ritardo nell'avvio del procedimento a Trento è dovuto a difficoltà nelle rogatorie internazionali necessarie all'identificazione dei legali rappresentanti delle imprese farmaceutiche straniere.
Processi di Napoli
Stralcio "gruppo Marcucci"
La procura di Napoli, a cui viene trasferita l'inchiesta nel 2003 da parte del tribunale di Trento, il 18 giugno 2005 richiede l'archiviazione[39] per il reato di epidemia colposa per prescrizione dei termini, impossibilità di prova del nesso di causa e incompetenza territoriale.[25][40][41]
Nel mese di luglio 2007 si tengono alcune udienze davanti al giudice per le indagini preliminari di Napoli De Simone nel corso delle quali le parti civili espongono le motivazioni della loro netta opposizione alla richiesta di archiviazione.
Il 27 dicembre 2007 il giudice De Simone, in accoglimento dell'opposizione, archivia il procedimento relativamente al reato di epidemia colposa e contemporaneamente ordina alla procura di Napoli di formulare l'imputazione coatta di omicidio colposo plurimo aggravato dalla previsione dell’evento e dall’abuso di pubblici poteri[42] a carico di Duilio Poggiolini e degli altri 10 indagati (Edo Rinaldi è nel frattempo deceduto),[31] richiesta di rinvio a giudizio per 55 casi di omicidio colposo che viene effettuata da parte della procura il 31 luglio 2008.[40]
Essendo variato il reato da epidemia colposa a omicidio colposo plurimo, il procedimento ritorna brevemente nella fase delle indagini preliminari e nel dicembre 2013 il pubblico ministero Ucci richiede il rinvio a giudizio degli imputati per dieci casi di omicidio colposo plurimo aggravato (i restanti sono prescritti), richiesta accolta dal GUP il 9 maggio 2014 per nove casi (uno è ulteriormente prescritto).[43]
Dopo uno stralcio per difetto di notifica nei confronti di Duilio Poggiolini, i procedimenti vengono riuniti e il dibattimento si apre nel dicembre 2015 (giudice Palumbo e pubblico ministero Giugliano).[43] Nel corso del processo decedono gli imputati Guelfo Marcucci[44] (la cui posizione è stata stralciata prima dell'inizio del dibattimento per le condizioni di salute in cui versava) e Anna Maria Tonsa.
Si sono costituite parti civili non solo i familiari dei deceduti ma anche alcune associazioni di emofilici, così come il Ministero della Salute che ha richiesto un risarcimento nei confronti degli imputati di cinquantacinque milioni di euro.[45]
Il processo è attualmente ancora in corso: l'istruttoria dibattimentale si è conclusa il 10 dicembre 2018 e si trova attualmente nella fase di discussione finale con udienza di decisione prevista per il 25 marzo 2019.[46] Il pubblico ministero ha richiesto l'assoluzione di tutti gli imputati perché il fatto non sussiste,[47] così come alcune parti civili per prescrizione.[48]
L'intero procedimento è stato audioregistrato e reso disponibile sul proprio sito da Radio Radicale.[49]
Stralcio "imprese farmaceutiche estere"
Il processo a carico di Duilio Poggiolini e altri quaranta imputati stranieri (statunitensi, svizzeri, austriaci e tedeschi),[50] rappresentanti delle aziende Immuno (austriaca), Bayer e Baxter (entrambe statunitensi), trasferito dalla procura di Trento, viene archiviato nel 2008 dal giudice Primavera su richiesta della procura del maggio 2005 per difficoltà incontrate con le rogatorie internazionali, successivamente per prescrizione dei reati e per non dimostrabilità degli stessi.[25][40][51]
Procedimenti civili in Italia
Sul piano civilistico, sono migliaia le cause intraprese contro il Ministero della Salute da parte di soggetti danneggiati da emoderivati al fine di vedersi riconosciuto il diritto all'indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992 e il risarcimento dei danni subiti. Il ministero è responsabile per omessa attività normativa e carenza di pratica vigilanza circa la produzione, commercializzazione e distribuzione del sangue e suoi derivati.
Al novembre 2014, risultano pendenti circa 7500 procedimenti civili contro il Minstero da parte di persone infette in vita e dei familiari delle persone decedute, con un risarcimento medio richiesto di circa centomila euro.[52]
La prima sentenza in Italia venne emessa il 17 novembre 1998 dal Tribunale Civile di Roma a cui seguirono altre numerose sentenze di altri uffici giudiziari. Dopo circa dieci anni di orientamenti contrastanti della giurisprudenza, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione emisero dieci sentenze gemelle (dalla n. 576 alla n. 585) che hanno riordinato la responsabilità da trasfusioni di sangue infetto e somministrazione di emoderivati incidendo, indirettamente, sull'intera materia della responsabilità civile.
L'aumento esponenziale delle condanne a ingenti risarcimento dei danni, quasi esclusivamente nei confronti del Ministero della Salute, ha causato un ritardo nei pagamenti che ha sollevato un ulteriore scandalo in quanto molti dei danneggiati, beneficiari di sentenze a loro favore, sono deceduti a seguito delle malattie infettive prima di essere pagati dallo Stato. Nel 2013, per ovviare al ritardo della liquidazione delle sentenze, una cordata di danneggiati, a cui hanno poi aderito diversi studi legali, ha tentato la vendita in blocco dei crediti complessivi per decine di milioni di euro.[53]
Indennizzo del danno da somministrazione di emoderivati infetti
In Italia esiste una legge dello Stato, la n. 210/92, che offre un indennizzo economico a tutti coloro che hanno contratto i virus dell'epatite B, dell'epatite C e HIV (e di cui si abbia conclamazione accertata) da trasfusioni di sangue, emoderivati infetti oppure vaccini. L'indennizzo consiste in un assegno bimestrale di importo variabile a seconda della gravità della patologia contratta e in un importo una tantum in caso di decesso.
Note
- ^ a b c (EN) Walt Bogdanich e Eric Koli, 2 Paths of Bayer Drug in 80's: Riskier One Steered Overseas, in The New York Times, 22 maggio 2003. URL consultato il 22 luglio 2009 (archiviato dall'url originale il 20 febbraio 2019).
- ^ (EN) Bayer Documents: AIDS Tainted Blood Killed Thousands of Hemophiliacs, su Alliance for Human Research Protection, 22 maggio 2003 (archiviato dall'url originale il 22 febbraio 2019).
- ^ (EN) Deborah Josefson, Haemophilia patients launch action against Bayer over contaminated blood products, in British Medical Journal, vol. 326, n. 7402, 14 giugno 2003, p. 1286, DOI:10.1136/bmj.326.7402.1286-g, PMID 12805147.
- ^ Sangue all'AIDS scandalo in Germania, in La Repubblica, 24 novembre 1992. URL consultato il 22 luglio 2009 (archiviato dall'url originale ).
- ^ Enzo D'Errico, Scandalo sangue infetto: si indaga su Poggiolini, in Corriere della Sera, 30 ottobre 1993. URL consultato il 22 luglio 2009 (archiviato dall'url originale il 1º gennaio 2016).
- ^ Scandalo sangue infetto interrogato Poggiolini, in La Repubblica, 7 ottobre 1999 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
- ^ Causa Emofilici, su causaemofilici.com. URL consultato il 22 luglio 2009 (archiviato dall'url originale l'11 giugno 2009).
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Bibliografia
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Voci correlate
Collegamenti esterni
- (EN) Hemophilia Litigation - A newsletter from the national lawfirm of Lieff Cabraser Heimann & Bernstein, LLP, su Hemophilia Litigation. URL consultato il 22 luglio 2009 (archiviato dall'url originale il 29 marzo 2009).
- Causa emofilici - Una newsletter dello studio legale a livello nazionale Lieff Cabraser Heimann & Bernstein, LLP, su Causa Emofilici. URL consultato il 22 luglio 2009 (archiviato dall'url originale l'11 giugno 2009).
- Sangue infetto e danni da emotrasfusioni, su Sangue Infetto. URL consultato il 22 luglio 2009.