David Hartley il giovane

David Hartley il giovane (Bath, 1731Bath, 19 dicembre 1813) è stato un politico e inventore inglese, figlio del filosofo e medico David Hartley. Fu il plenipotenziario britannico, nominato dal re Giorgio III, che firmò per conto del Regno di Gran Bretagna, il trattato di Parigi del 1783 che pose fine alla guerra d'indipendenza americana.

Biografia

Hartley nacque a Bath nel Somerset, in Inghilterra nel 1731. Ha studiato al Corpus Christi College e conseguito il suo BA il 14 marzo 1750. Fu fellow del Merton College fino alla sua morte. Diventò un membro del Lincoln's Inn nel 1759. Durante gli anni successivi ottenne il riconoscimento come scienziato e, per interessi comuni, conobbe e divenne amico e corrispondente di Benjamin Franklin. Fu membro della Camera dei Comuni dal 1774 al 1780, e dal 1782 al 1784, in rappresentanza di Kingston upon Hull raggiungendo una notevole reputazione come oppositore della guerra contro le colonie americane e del commercio degli schiavi africani. Politicamente era un sostenitore dei Whig e del loro leader il Marchese di Rockingham.

Nel 1783 Hartley venne inviato a Parigi, dove si stavano trattando i termini della fine della guerra d'indipendenza americana e dei conflitti collegati, come rappresentante del Regno di Gran Bretagna in sostituzione del precedente negoziatore Richard Oswald, giudicato troppo filo-americano.[1]

Note

  1. ^ Edward Renehan, The Treaty of Paris: The Precursor to a New Nation, Infobase Publishing, 2007, p. 100-101, ISBN 1438104308.

Bibliografia

  • Hartley, David (1732-1813), in Dictionary of National Biography, 1885-1900, London: Smith, Elder & Co..

Voci correlate

Collegamenti esterni

  • David Hartley il giovane, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 01-11-2017.
 
Maria Mandl

Maria Mandl, anche conosciuta come Maria Mandel, detta "La bestia di Auschwitz", (Münzkirchen, 10 gennaio 1912Cracovia, 24 gennaio 1948) è stata una sS austriaca, guardia donna in numerosi campi di concentramento nazisti.. Nel 1945 fu catturata dall'esercito americano e estradata in Polonia dove venne processata e Cracovia nel Primo processo di Auschwitz, riconosciuta colpevole fu condannata a morte per impiccagione.

Biografia

Maria Mandl è nata a Münzkirchen, un paesino dell'Alta Austria presso il confine con la Germania, da genitori di nazionalità tedesca, ma cittadinanza austriaca, Franz Mandl e Anna Strobl. Era la quarte figlia della coppia. Il padre era calzolaio. Dopo la scuola elementare a Münzkirchen la giovane si trasferì nella non distante Baviera per diplomarsi. Dopo il diploma, non trovando lavoro fece ritorno a casa. Qui per motivi non precisati, forse legati alla malattia della madre, ebbe pesanti contrasti con questa e nel 1929 lasciò di nuovo la casa per andare in Svizzera dove trovò lavoro come cuoca presso presso una famiglia benestante di Brig-Glis, nel cantone Vallese. Dopo circa un anno fu costretta a rientrare a casa per aiutare il padre in quanto la idropisia di cui soffriva la madre si era aggravata. Nel 1934, essendo migliorata la situazione della madre andò ad Innsbruck a lavorare come domestica. Nel 1937 tornò nuovamente al paese nativo in quanto assunta come impiegata al locale ufficio postale, ma l'anno successivo, dopo l'annessione dell'Austria da parte della Germania, fu licenziata.

Nel 1938 si trasferì da uno zio a Monaco dove entrò come volontaria nella Lega delle ragazze tedesche. Quindi passò nei reparti femminili delle SS (SS-Gefolge) dove fu addestrata e inviata come Aufseherin al campo di concentramento di Lichtenburg nella Provincia di Sassonia.

Nel maggio del 1939 la Mandl fu trasferita nell'appena aperto campo di concentramento di Ravensbrück situato a nord di Berlino. Qui, come evidenziato dalle testimonianze rese da vari sopravvissuti del campo durante il processo di Cracovia, si distinse subito per la sua brutalità nei confronti dei prionieri, tanto che fu elevata al grado di Oberaufseherin nell'aprile del 1942.

Il 7 ottobre del 1942 la Mandl fu assegnata al campo di Auschwitz II (Birkenau), andando a sostituire Johanna Langefeld sotto il comando dell'Obersturmbannführer Rudolf Hoss, diventando quindi la donna con il più alto grado di Auschwitz. Anche qui la Mandl si contraddistinse per la sua crudeltà come documentato nel proesso suddetto nelle deposizioni dei testimoni sopravvisuti.[1]

La Mandl era appassionata di musica classica ed organizzò una banda musicale composta da sole donne prigioniere ad Auschwitz. L'orchestra aveva il compito di suonare in una serie di cicrostanze, nuovi arrivi al campo, durante la selezione delle persone che venivano inviate alle camera e gas, quando i prionieri venivano inviati alle camere a gas, durante la Hanno anche dovuto giocare durante la selezione quando il meno sani e malati erano separati da quelli sani che erano ancora in grado di lavorare, durante le esecuzioni dei prionieri, ed infine per soddisfare il piaceri degli uomini e donne delle SS, quando ne avevano voglia.[2]

Nel 1944 la Mandel ricevette la medaglia Kriegsverdienstkreuz di II Classe per i servizi resi al regime nazista.[3] Nel novembre dello stesso anno venne trasferita a Mühldorf, un sottocampo di Dachau. Nell'aprile del 1945, con la caduta della Germania oramai imminente e l'avvicinarsi delle truppe alleate, Maria Mandl fuggì da Dachau attraversando il sud della Baviera e dirigendosi verso il suo paese natale.

Il 10 maggio 1945 la Mandl fu arrestata dall'esercito deglòi Stati Uniti nel suo paese di Münzkirchen. Dopo circa un anno di detenzione, nell'ottobre del 1946, fu estradata in Polonia dove fu processata, insiema ad altri criminali nazisti, nel Primo processo di Auschwitz, tenutosi a Cracovia nel novembre 1947. Giudicata colpevole fu condannata a morte per impiccagione. La condanna venne eseguita il 24 gennaio 1948 nel carcere di Montelupich a Cracovia.

Note

  1. ^ Gibson, Op. citata, Cap. 8
  2. ^ The Holocaust - Lest we Forget - Orchestras, su holocaust-lestweforget.com, 7 ottobre 2016.
  3. ^ Mandl Maria, su tenhumbergreinhard.de, Familie Tenhumberg. URL consultato l'8 ottobre 2016.

Bibliografia

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Ratibor
Sovrano Obodrita
Samtherrscher
In carica1028/1029 - 1043
PredecessorePribignew
SuccessoreGodescalco
Morte1043
Religionecristiana

Ratibor, anche conosciuto come Racibor, o Ratse (... – Lürschau, 28 settembre 1043) è stato un sovrano polabo e Samtherrscher degli obodriti dal 1028/1029.

Pribignew viene chiamato cosi da Saxo Grammaticus,[1] mentre invece Adamo di Brema lo chiama Uto (o Udo) figlio di Mstislaw.[2] [3]

Con ogni probabilità Pribignew era il nome pagano, mentre Uto il nome assunto con il battesimo.[3]

Dopo che Mstislaw fu costretto a fuggire nel 1018 a causa dell'attacco dei Lutici, nel 1020 Pribignew divenne signore di una parte degli Obodriti. Infatti le cronache dell'epoca citano altri due principi Obodriti contemporane: Anadrag (Anatrog) e Gneus (Gnew),[2] mentre la tribù dei Wagri era sicuramente governata dal principe Sederich.[3]

Pribignew governò fino al 1028 (o 1029) quando fu ucciso da un Sassone.[3]

Note

  1. ^ Saxo Grammaticus, Lib 10, 17, in Gesta Danorum.
  2. ^ a b Adamo, Op. citata, LIB II, cap. 66
  3. ^ a b c d Fritze, Op. citata, pag. 163

Bibliografia

Il Processo di Francoforte, noto anche come Secondo processo di Auschwitz, è un processo tenutosi in Germania a Francoforte sul Meno fra il 1963 ed il 1965 nei confronti di 22 imputati accusati dei crimini commessi nel Campo di concentramento di Auschwitz fra il 1940 ed il 1945. Il processo fu il primo che si tenne di fronte ad una corte tedesca per i crimimi dell'Olocausto. Un ruolo fondamentale per la realizzazione di questo processo fu giocato dal giudice Fritz Bauer, al tempo procuratore distrettuale dell'Assia. In precedenza, nel 1947, si era tenuto a Cracovia, in Polonia un altro processo, noto come "Primo processo di Auschwitz", contro altri 40 responsabili e sorveglianti del campo di Auschwitz, fra cui Arthur Liebehenschel, Maria Mandl.

Bibliografia

Voci correlate

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Il Processo di Auschwitz, noto anche come Primo processo di Auschwitz, è un processo tenutosi a Cracovia in Polonia nel 1947 nei confronti di 40 nazisti responsabili a vario livello della gestione del Campo di concentramento di Auschwitz fra il 1940 ed il 1945. Nel processo furono comminate 21 condanne a morte, 8 condanne all'ergastolo e 10 condanne a pene dai 3 ai 15 anni di prigione. Un solo imputato fu assolto. Fra gli imputati condannati a morte vi furono: Arthur Liebehenschel, comandante del campo di Auschwitz dal 1943 al 1944, Maria Mendel, responsabile del personale femminile e delle detenute ad Auschwitz ed Erich Mußfeldt, responsabile dei forni crematori a Majdanek e Auschwitz.

Sentenza

N. Imputato Grado Funzione Sentenza
1 Arthur Liebehenschel SS-Obersturmbannführer Comandante del campo di Auschwitz uccisione per impiccagione
2 Hans Aumeier SS-Sturmbannführer Comandante del campo di Auschwitz I uccisione per impiccagione
3 Maximilian Grabner SS-Untersturmführer Capo della Gestapo ad Auschwitz uccisione per impiccagione
4 Karl Möckel SS-Obersturmbannführer Direttore dell'amministrazione di Auschwitz uccisione per impiccagione
5 Maria Mandel SS-Oberaufseherin Responsabile del personale femminile di Birkenau (Auschwitz II)) uccisione per impiccagione
6 Franz Xaver Kraus SS-Sturmbannführer Responsabile dell'informazione uccisione per impiccagione
7 Ludwig Plagge SS-Oberscharführer Aiutante del comandante uccisione per impiccagione
8 Fritz Buntrock SS-Unterscharführer Aiutante del comandante uccisione per impiccagione
9 Wilhelm Gerhard Gehring SS-Hauptscharführer Comandante di sottocampo uccisione per impiccagione
10 Otto Lätsch SS-Unterscharführer Vice-comandante di sottocampo uccisione per impiccagione
11 Heinrich Josten SS-Obersturmführer Comandante delle guardie uccisione per impiccagione
12 Josef Kollmer SS-Obersturmführer Comandante delle guardie uccisione per impiccagione
13 Eric Muhsfeldt SS-Oberscharführer Responsabile dei forni crematori uccisione per impiccagione
14 Hermann Kirschner SS-Unterscharführer Capo amministrazione di campo uccisione per impiccagione
15 Hans Schumacher SS-Unterscharführer Direttore degli approvvigionamenti alimentari uccisione per impiccagione
16 August Bogusch SS-Scharführer Capo Blocco uccisione per impiccagione
17 Therese Brandl SS-Aufseherin Guardia femminile uccisione per impiccagione
18 Paul Szczurek SS-Unterscharführer Capo Blocco uccisione per impiccagione
19 Paul Götze SS-Rottenführer Capo Blocco uccisione per impiccagione
20 Herbert Paul Ludwig SS-Oberscharführer Capo Blocco uccisione per impiccagione
21 Kurt Hugo Müller SS-Unterscharführer Capo Blocco uccisione per impiccagione
22 Johann Kremer SS-Obersturmführer Medico del campo uccisione per impiccagione (commutata in ergastolo)
23 Arthur Breitwieser SS-Unterscharführer Capo amministrazione di campo uccisione per impiccagione (commutata in ergastolo)
24 Detlef Nebbe SS-Sturmscharführer Sergente delle guardie Ergastolo
25 Karl Seufert SS-Hauptscharführer Capo blocco prigione Ergastolo
26 Hans Koch SS-Unterscharführer Disinfestazione Ergastolo
27 Luise Danz SS-Aufseherin Guardia femminile Ergastolo
28 Adolf Medefind SS-Unterscharführer Guardia Ergastolo
29 Anton Lechner SS-Rottenführer Guardia Ergastolo
30 Franz Romeikat SS-Unterscharführer Amministrazione 15 anni di prigione
31 Hans Hoffmann SS-Rottenführer Guardia della Gestapo 15 anni di prigione
32 Hildegard Lächert SS-Aufseherin Guardia femminile 15 anni di prigione
33 Alice Orlowski SS-Aufseherin Guardia femminile 15 anni di prigione
34 Johannes Weber SS-Sturmmann Responsabile delle cucine del campo 15 anni di prigione
35 Alexander Bülow SS-Sturmmann Guardia 15 anni di prigione
36 Eduard Lorenz SS-Unterscharführer Guardia 15 anni di prigione
37 Richard Schröder SS-Unterscharführer Responsabile contabilità 10 anni di prigione
38 Erich Dinges SS-Sturmmann Autista del campo 5 anni di prigione
39 Karl Jeschke SS-Oberscharführer Guardia 3 anni di prigione
40 Hans Münch SS-Untersturmführer Medico dell'Istituto di Igiene [Assoluzione

Note


Bibliografia

  • Hermann Langbein, Der Auschwitz-Prozess: eine Dokumentation, 1964.

Voci correlate

Collegamenti esterni

  • The Auschwitz Trials, su jewishvirtuallibrary.org, Jewish Virtual Library. URL consultato il 10 ottobre 2016.

L'Assedio di Jadotville, conosciuto anche come la Battaglia di Jadotville, fu un conflitto armato avvenuto presso la città congolese di Jadotville, (attuale Likasi), nel settembre del 1961, fra un reparto irlandese operante sotto il controllo ONU e reparti secessionisti katanghesi supportati da mercenari europei francesi e belgi. Lo scontro ebbe inizio il 13 settembre e, dopo cinque giorni di combattimenti, le truppe irlandesi, rimaste senza munizioni ed a corto di viveri ed acqua, si arresero agli assalitori la sera del 17 settembre. Gli irlandesi rimasero circa un mese prigionieri dell'esercito katangese e vennero rilasciati il 25 ottobre.

Storia

Antefatto

Il 30 giugno del 1960 la colonia del Congo Belga ottenne l'indipendenza dal Belgio diventando la Repubblica Democratica del Congo. Negli anni successivi l'area fu teatro di una serie di disordini alimentati dalle spinte indipendentiste di varie fazioni politiche ed etniche, noti come crisi del Congo, il cui apice fu rappresentato dalla secessione del Katanga proclamata nel luglio 1960 dal leader katangese Moise Ciombe. Questa secessione era vista di buon occhio da alcune potenze europee che temevano che le miniere del Katanga di uranio e rame potessero cadere sotto il controllo dell'Unione sovietica che era intervenuta a favore del leader del Movimento Nazionale Congolese (MNC) Patrice Lumumba. Un ruolo nella vicenda lo ebbe anche la multinazionale Union Minière du Haut Katanga, che temeva di perdere i suoi diritti di estrazione mineraria nella regione. Pertanto a partire dall'inizio del 1961 il Katanza venne equipaggiato con uomini, rifornimenti e aerei da Francia, Belgio, Sud Africa e Rhodesia del Sud.[1] Inoltre Ciombe, grazie ai finanziamenti ottenuti direttamente dalla Union Minière, (1,25 miliardi di Franchi belgi)[2] potè garantarsi l'assunzione di alcune centinaia di mercenari europei.[1]

Il 21 febbraio del 1961, dopo l'indignazione suscitata in tutto il mondo all'uccisione di Lumumba da parte dei katanghesi, le Nazioni Unite approvarono la Risoluzione 161 con la quale si chiedeva alle forze ONU di agire con tutte le misure necessarie, compreso l'uso della forza, per arrestare il dilagare della guerra civile congolese e per espellere dal paese tutto il personale militare, paramilitare e mercenario straniero.[3] La risoluzione non modificò la situazione e l'azione di Ciombe proseguì. Fra marzo ed aprile del 1961 le truppe dell'esercito katanghese, supportate da mercenari europei, si scontrarono in varie occasioni nell'area del Nord-Katanga (Manono, Kabalo) con i soldati dell'ONUC .[4] Questi eventi cpnvinsero i responsabili ONUC che il loro contingente era insufficiente per gestire efficacemente la situazione, ed esso venne quindi rinforzato, raggiungendo a luglio 1961 oltre 19.800 uomini.[5]

Nel giugno del 1961 giunge in Congo il nuovo rappresentante delle Nazioni Unite, il diplomatico irlandese Conor Cruise O'Brien. Il 29 agosto, in risposta ad una esplicitta richiesta del presidente Kasavubu, l'ONUC lanciò l'Operazione Rum Punch. Le truppe delle Nazioni Unite, al tempo al comando del generale irlandese Sean MacEoin, occuparono senza spargimento di sangue, le aree chiave del Katanga, arrestando circa 500 ufficiali fra belgi e altri mercenari operanti nelle forze armate katanghesi.[6] Qualche giorno dopo gli ufficiali vennero rilasciati a patto che lasciassero il territorio del Congo. Questi accettarono, ma un certo numero di essi rientrarono in Katanga passando per la Rhodesia.[7]

Nei giorni successivi all' operazione Rum Punch vi fu una intesa attività diplomatica portata avanti principalmente da Conor Cruise allo scopo di convincere Ciombe a consegnare tutti i mercenari operanti nella gendarmeria katanghese e andare a Leopoldville a negoziare con il governo centrale. Al rifiuto di Ciombe ad un ultimatim imposto, ed avendo notizie che le truppe katanghesi stavano preparndo degli attacchi alle posizioni e al personale dello ONUC, il 12 settembre venne deciso il lancio dell'Operazione Morthor per il successivo giorno 13.[8]

Mentre si svolgevano i fatti sopra descritti, un contingente di soldati irlandesi, la Compagnia A, facente parte del 35° Battaglione Irlandese, venne dislocato presso la città mineraria di Jadotville, a circa 120 km a nord-ovest di Elisabethville. Il 35° Battaglione si trovava in Congo solo dal 25 giugno 1961, ed era stato dislocato a Elisabethville. La compagnia A era formata da volontari provenienti dalle guarnigioni di Athlone, Mullingar, Galway e Finner Camp nel Donegal,[9] ed era comandata dal Comandante[10] Pat Quinlan.

Le ragioni dell'invio della Compagnia A a Jadotville non sono del tutto chiare, e non esiste un ordine scritto per questo trasferimento.[11] Sembra che all'origine vi sia stata una pressante richiesta del governo belga, apparentemente per proteggere la popolazione bianca della città da possibili insurrezioni dei katanghesi.[8] In realtà, come emergerà chiaramente in seguito, i belgi che risiedevano nella regione non volevano le truppe delle Nazioni Unite, e non temevano per la propria vita, inoltre essi avevano osteggiato l'intero operato delle Nazioni Unite opponendosi all'applicazione dei suoi ideali.[12] E' molto probabile quindi che la richiesta di protezione sia stato uno stratagemma per attirare l'unità in una posizione esposta.[8] Inoltre la decisione del comando ONUC di dislocare a Jadotville la Compagnia A, ha un altro punto interrogativo. Infatti, poco prima della arrivo della Compagnia A a Jadotville, eranto stati richiamate dallo stesso posto due reparti, la compagnia B del 35° Battaglione irlanderse, ed una compagnia di svedesi, entrambe meglio equipaggiate e con armamento più pesante della Compagnia A.[13]

Battaglia

La Compagnia A arrivò a Jadotville il 3 settembre e prese posizione nell'avamposto ONU situato alla periferia della città lungo la strada che conduce a Elisabethville. Il comandante Quinlan si rese subito conto che la posizione era troppo aperta e quindi difficile da difendere. Pertanto egli ordinò ai suoi uomini di scavare delle trincee tutto intorno all'avamposto. Come qualcuno osserverà successivamente questa fu una decisione molto saggia a cui e' probabilmente legata la sopravvivenza di molti dei suoi uomini.[14]

Nei giorni successivi Quinlan ebbe modo di verificare l'ostilità della popolazione bianca di Jadotville e di raccogliere una serie di segnali che facevano presagire un attacco imminente da parte dei katanghesi e dei numerosi mercenari loro alleati presenti nell'area. Il 9 settenbre egli decide di inviare il Capitano William Donnelly al quartier generale di Elisabethville per esporre la situazione e richiedere rinforzi. Purtroppo la cosa non diede i sisultati sperati e Donnely, dopo essere stato costretto ad aspettare alcune ore che Conor Cruise O'Brien finisse la cena, viene rassicurato che tutta la situazione e' sotto controllo, e rinviato a Jadotville con un plotone di scorta. Sulla strada del ritorno Donnelly scoprì che le milizie katanghesi avevano istituito un posto di blocco sul fiume Lufira. A lui fu consentito di passare, ma il plotonone dovette tornare indietro. La compagnia A era quindi completamente circondata ed isolata.[15]

1° giorno - 13 settembre

Mercoledi 13 settembre, alle ore 7:30 circa, poche ore dopo il lancio dell'Operazione Morthor, mentre la maggioranza dei soldati irlandesi assisteva alla Messa, una trentina fra soldati della gendarmeria katanghese e miliziani europei a bordo di alcune jeeps e a piedi si lanciarono contro la postazione irlandese aprendo il fuoco. Questi risposero al fuoco e dopo una decina di minuti di combattimenti, i gendarmi, forse anche sorpresi dalle truppe nascoste in trincea e dalla resistenza opposta del nemico, si ritirarono lasciando sul campo pesanti perdite. Per qualche ora non vi furono combattimenti e gli irlandesi ne approfittarono per consolidare le loro posizioni. Quinlan, immaginando che la loro situazione potesse protrarsi per parecchio tempo, diede ordine di fare scorta di acqua utilizzando ogni contenitore disponibile. Anche questa ri rivelerà una decisione importante in quanto nel corso della giornata gli assedianti chiusero le condutture di acqua che alimentavano l'avamposto. Alle 11:30 i katanghesi, ricevuti rinforzi, ripresero l'attacco preceduto da un intenso bombardamento con i mortai. Gli irlandesi risposero al fuoco distruggendo le postazioni dei mortai e respingendo diversi attacchi. A metà giornata gli attaccanti presero possesso di una casa posta a circa 300 metri dalle postazioni avanzate irlandesi e da qui presero a bombardare con i mortai, ma gli irlandesi riusciro a distruggere anche questa postazione recando pesanti perdite al nemico. In serata fu stabilito un "cessate il fuoco" per consentire ai katangjesi di intervenire con autoambulanze per recuperare i propri morti e feriti, ma questi appena recuperati i corpi, ripresero proditoriamente a sparare contro gli irlandesi. Quando la battaglia si era calmata, il comandante irlandese chiamò al telefono il Burgomaster, cioè la massima autorità della comunità che erano stati chiamati a difendere, chiedendogli di adoperarsu per porre fine ai combattimenti in quanto loro non avevano intenzioni ostili. Il borgomastro rispose, ad uno stupefatto Quinlan, che si dovevano arrendere e in caso contrario sarebbero statai attaccati e uccisi. Questa per Quinlan fu la conferma, se mai ce ne fosse staato bisogno, che erano stati attirati in una trappola.[16]

2° giorno - 14 settembre

Il 14 alle ore 13:00 gli irlandesi furono attaccati da un aereo Fouga Magister dell'aviazione katanghese, che si ripresentò alle 15:00 ed alle 17:00 distruggendo tutti i veicoli da trasporto a disposizione della Compagnia A e ferendo due soldati. Dopo il primo attacco gli irlandesi presero di mira il jet con le mitragliatrici in dotazione alle auto costringendolo ad attaccare da posizione più elevata e quindi con minore precisione. Nel pomeriggio gli irlandesi catturarono due mercenari bianchi. Questi, interrogati, dichiararono che venivano dalla residenza di Ciombe dove avevano sentito che una compagnia irlandese era appena stata catturata e tenuta in ostaggio dai katanghesi. Anche questo episodio dà credito alla teoria che le truppe delle Nazioni Unite erano statae attirate in una trappola con un piano pre programmato. Durante il giorno vi furono anche attacchi da terra che comportarono il ferimento di altri due soldati irlandesi, ma tutti gli attacchi vennero respinti.[17]

3° giorno - 15 settembre

Il comandante viene informato via radio che il ponte sul fiume Lufira e' stato conquistato dai katangesi ed erano statai notati numerosi convogli transitare sul ponte. Non vi furono attacchi da terra, ma la situazione igienico-sanitaria cominciò a farsi pesante. Gli uomini nelle trincee poterno mangiare qualcosa solo in tarda serata e durante il giorno poteron0o solo bera acqua, che peraltro cominciava ad imputridirsi con gravi pericoli per la salute.[18]

4° giorno - 16 settembre

Il sabato mattina arrivò un elicottero ONU con rifornimenti di acqua bastevoli per circa 20 persone. Purtroppo, dopo averla scaricata si accorsero che i recipienti utilizzati per trasportarla erano stati in precedenza impiegati per contenere gasolio, e l'acqua risultò quindi inutilizzabile. Quando l'elicottero stava per ripartire arrivò il Fouga per intercettarlo. Grazie al fuoco dei soldati irlandesi l'elicottero non fu colpito ma, approfittando della situazione, i nemici a terra si avvicinarono notevolmente alle posizioni irlandesi. Quando il jet se ne andò gli irlandesi tornarono a fronteggiare i nemici a terra con un intenso fuoco di sbarramento che provocò molti morti e feriti negli attaccanti. La battaglia si protrasse per circa 4 ore. Al 14:00 il Borgomastro chiamò Quinlan per chiedere un cessate il fuoco per poter inviare delle ambulanze, ma Quinlan rifiutò perche temeva che la richiesta potesse nascondere una imboscata. Un'ora dopo la richiesta venne riformulata in termini diversi e pertanto concordarono per le 16:00 un incontro nella terra di nessuno per discuterne in dettaglio. L'obiettivo di Quinlan era quello di cercare diguadagnare tempo, nella speranza che la colonna dei rinforzi li potesse raggiungere. Non sapevano che colonna era stata fermata e i soccorsi non sarebbero mai arrivati. I termini furono quindi formalizzati e Quinlan informò i suoi superiori della cosa. Quella notte pertanto trascorse in modo relativamente tranquillo.[19]

5° giorno - 17 settembre

La mattina di domenica 17 settembre gli irlandesi notarono un notevole rafforzamento delle truppe nemiche che li circondavano. Tuttavia il giorno precedente avevano concordato che i katanghesi si sarebbero ritirati ed avrebbero ripristinato la fornitura di acqua. Durante la mattinata i katanghesi inviarono un loro ufficiale da Quinlan che lo informò che se voleva che fosse ripristinata l'acqua dovevano depositare tutte le loro armi in un edificio e loro spostarsi in un edificio diverso. Quinlan rifiutò di aderire alla richesta ma continuò a negoziare, sempre nella speranza dell'arrivo dei rinforzi. Quinlan informò quindi il suo comando della situazione e gli fu suggerito di provare ad intimidire i katanghesi dicendo che l'ONU avrebbe fatto intervenire gli aerei contro di loro. In realtà al comando sapevano perfettamente di non avere alcun aereo da combattimento a disposizione. Con il passare delle ore la situazione si andava facendo sempre più pesante: erano a corto di cibo e la poca acqua rimasta era diventata imbevibile. Quinlan contatttò quindi il comando di battaglione per avere aggiornamenti sull'arrivo dei rinforzi, ma seppe che questi erano stati costretti a tornare alla base. Egli convocò quindi un incontro con i suoi uomini più anziani. Essi si resero conto che non potevano contare sui rinforzi per almeno altri due-tre giorni, ma che senza acqua non avrebbero potuto resistere anche senza combattere. D'altra parte se fossero stati attaccati, visto oramai il gran numero di nemici, questo si sarebbe trasformato in un massacro. Decisero quindi che continuare il combattimento in quelle condizioni non sarebbe stato utile a nulla e che se veniva loro chiesta la resa, ed avessero ottenuto suffienti garanzie di rispetto degli accordi presi avrebbero accettato, altrimenti avrebbero combattuto fino alla fine. Alle 17:00 Quinlan ed i suoi ufficiali parteciparono ad un incontro con le loro controparti katanghesi. Questi resero omaggio agli irlandesi per aver fatto il loro dovere di soldati e poi ha chiesero loro la resa. Quinlan inizialmente rifiutò ma i katanghesi dissero che non c'era alternativa, che la loro sicurezza sarebbe stata garantita e che i soldati irlandesi potevano mantenere le armi, ma depositarle in albergo. Il comandante irlandese decise che in questa fase non avevano altra scelta che accettare le condizioni offerte e che ogni ulteriore azione avrebbe comportato la distruzione completa deilla sua compagnia.[20]

Epilogo e considerazioni storiche

 
Caserma di Athlone. Cerimonia di commemorazione della battaglia di Jadotville

Dopo la resa gli irlandesi vennero trasferiti per circa tre settimane nell'Hotel d'Eli Europe a Jadotville sotto il controllo dei paracadutisti. In questa fase assistettero al recupero da parte dei katanghesi dei loro morti, stimati in circa 2-300, e vennero da questi minacciti di terribili atrocità e di essere mangiati, ma sostanzialmente vennero trattati bene. Il 23 settembre giunsero altri prigionieri catturati ad Elizabethville che rimasero sorpresi nel trovarli vivi, in quanto si erano diffuse voci che la gran parte di loro fossero statai uccisi. L'11 ottobre vennero portati a Kolwezi dove vennero presi in carico dalla gendarmeria. In questa occasione vi furono anche percosse e minacce di morte. Il 16 ottobre venne detto loro cha sarebbero stati rilasciati a Elizabethville in uno scambio di prigionieri. Il giorno stesso furono caricati su un camion e portati a Jadotville, quindi il giorno successivo ad Elizabethville dove furono invitati da Mahmoud Khiary, Responsabile delle Operazioni Civili delle Nazioni Unite in Congo e da alcuni giornalisti irlandesi, ma quel giorno lo scambio non avvenne e furono riportati a Kolwezi. Finalmente il 25 ottobre, dopo quasi cinque settimane di prigionia, tutti i prigionieri vennero nuovamente spostati a Elizabethville e rilasciati. Nel mese di dicembre 1961 il 35° Battaglione fu sostituito dal 36° Battaglione giunto dall'Irlanda e pertanto essi fecero ritorno in patria.[21]

Per più di quarant'anni, gli uomini coinvolti nella battaglia di Jadotville sono stati criticato per le loro azioni e sono stati etichettati come codardi. Comandante Quinlan fu accusato di aver tradito i suoi uomini. La loro storia è stato dimenticato, mentre altre azioni di soldati irlandesi avvenute prima successivamente sono state ricordate. In realtà, fino a poco tempo fa, molti membri delle stesse forze armate irlandesi sapevano nulla degli eventi accaduti a Jadotville. Sembrerebbe che agli alti livelli si sia deciso di dimenticare tutta la vicenda, in quanto gli eventi furono sbrigativamente classificati come vigliaccheria, anche se nessuna commissione d'inchiesta fu stata mai convocata per accertare con esattezza gli eventi. Anche il comandante Quinlan venne trattato piuttosto male non ottenendo nessun riconoscimento. Finì la sua carriera come Tenente colonnello e morì nel 1997 senza aver avuto la soddisfazione di veder riconoscere i propri meriti, primo fra tutti quello di aver riportato a casa tutti i suoi uomini senza nessuna perdita e con soli 5 feriti.[22]

Fortunatamente, nei primi anni del 2000, grazie alle azioni promosse da alcuni veterani, ed agli articoli di alcuni giornalisti e scrittori, quali Declan Power e Michael Whelan, il Ministero della Difesa irlandese riesaminò completamente gli eventi di Jadotville, riabilitando il Comandante Quinlan e la sua compagnia. Nel novembre 2005 l'allora ministro della difesa Willie O'Dea rese onore ai combattenti di Jadotville con una cerimonia tenutasi nella caserma di Athlone in cui venne inaugurato un monumento commemorativo recante due placce indicanti gli eventi accaduti e i nomi di tutti i soldati che combatterono a Jadotville.[23]

Note

  1. ^ a b David Renton, David Seddon, Leo Zeilig, The Congo: Plunder and Resistance, Zed Books, 2007, p. 103, ISBN 1842774859.
  2. ^ Renton, Seddon, Zeilig, Op. citata. Pag. 78
  3. ^ UN Resolution 161, su un.org, United Nations. URL consultato il 16 ottobre 2016.
  4. ^ E. O'Ballance, The Congo-Zaire Experience, 1960-98, Springer, 1999, p. 47-49, ISBN 0230286488.
  5. ^ ONUC - Facts and Figures, su un.org. URL consultato il 31 marzo 2013.
  6. ^ O'Ballance, Op. citata, pag. 52-53
  7. ^ Christopher Othen, Capitolo 14 - Rumpunch, in Katanga 1960-63: Mercenaries, Spies and the African Nation that Waged War on the World, The History Press, 2015, ISBN 0750965800.
  8. ^ a b c Thomas R. Mockaitis, Peace Operations and Intrastate Conflict: The Sword Or the Olive Branch?, Greenwood Publishing Group, 1999, p. 28-29, ISBN 0275961737.
  9. ^ Power, Op. citata, Capitolo 5 - Deployment
  10. ^ Il grado di Comandante (Commandant) nell'esercito irlandese corrisponde al grado di Maggiore in Italia, ovvero al grado NATO OF-3.
  11. ^ Declan Power, Capitolo 7 - Road to Jadotville, in Siege at Jadotville: The Irish Army's Forgotten Battle, Maverick House, 2015.
  12. ^ Sad tale of a sensible surrender, su irishtimes.com, The Irish Times. URL consultato il 17 ottobre 2016.
  13. ^ The True Story of the Heroic Battle That Inspired the New Netflix Film The Siege of Jadotville, su time.com, Time. URL consultato il 17 ottobre 2016.
  14. ^ Power, Op. citata, Capitolo 1 - Siege at Jadotville
  15. ^ Power, Op. citata, Capitolo 4 - The mercenary equation
  16. ^ Whelan, Op. citata, pag. 37-41
  17. ^ Whelan, Op. citata, pag. 41-42
  18. ^ Whelan, Op. citata, pag. 43
  19. ^ Whelan, Op. citata, pag. 43-45
  20. ^ Whelan, Op. citata, pag. 46-50
  21. ^ Whelan, Op. citata, pag. 55-56
  22. ^ Whelan, Op. citata, pag. 57-72
  23. ^ Speech By The Minister For Defence, Willie O’Dea T.D. At The Unveiling Of A Memorial to Commemorate the Events that Happened In Jadotville in 1961 (Novembre 2005), su defence.ie, Irish Department of Defence. URL consultato il 20 ottobre 2016.

Bibliografia

Voci correlate

Collegamenti esterni

Parco naturale regionale di Tepilora, Sant'Anna e Rio Posada
 
Lago del Posada (Torpè)
Tipo di areaParco regionale
Stati  Italia
Regioni  Sardegna
Province  Nuoro
Comunivedi testo
Superficie a terra7.877,81 ha
Provvedimenti istitutiviL.R. n° 21 del 24 ottobre 2014
GestoreEnte Parco di Tepilora
PresidenteGraziano Spanu (sindaco di Lodè)
Mappa di localizzazione
 
Sito istituzionale

Il Parco naturale regionale di Tepilora, Sant'Anna e Rio Posada è una area naturale protetta della regione Sardegna istituita nel 2014. Il 14 giugno 2017 il parco ha ottenuto dall’Unesco il riconoscimento di Riserva della biosfera.[1]

Territorio

Il parco si trova nel nord-est della Sardegna, nella provincia di Nuoro, ed interessa i comuni di Bitti, Lodè, Torpè e Posada. Il territorio interssa un'area di elevato valore naturalistico di circa 8.000 ettari che comprende la montagna di Tepilora e la foresta demaniale di Crastazza nel territorio del comune di Bitti, il complesso forestale di Sant'Anna nel comune di Lodè, la foresta demaniale di Usinavà nel comune di Torpè, ed il corso del rio Posada fino alla sua foce nel comune di Posada.[2]

Flora

Fauna

Note

  1. ^ 23 new sites added to UNESCO’s World Network of Biosphere Reserves, su en.unesco.org, UNESCO. URL consultato il 17-06-2017.
  2. ^ Legge Regionale 24 ottobre 2014, n. 21 (PDF), su parcotepilora.it, Regione Autonoma della Sardegna, pp. 1. URL consultato il 16-06-2017.

Bibliografia

Voci correlate

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Saccheggio di Amburgo
parte dell'espansione vichinga
Data845
LuogoAmburgo
EsitoSaccheggio vichingo di Amburgo
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
sconosciuti600 navi
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Il Saccheggio di Amburgo dell'845 fu ad opera dei Vichinghi danesi, guidati dal re Horik I, che occuparono la città per due giorni, bruciando la cattedrale, il monastero e la biblioteca.

Antefatto

Nella seconda meta dell'VIII secolo alcuni gruppi di norreni, che abitavavano la scandinavia meridionale e lo Jutland, attraversarono il mare del Nord ed iniziarono delle scorrerie, dapprima sulle coste dell'inghilterra orientale e della Frisia, poi nella Francia settentrionale spingendosi poi nella Spagna ed anche nel Mediterraneo. Questi guerrieri, che attraversavano il mare con le loro snelle imbarcazioni dette drakkar, presero il nome di Vichinghi.

La prima incursione sulle coste inglesi, che trova riferimenti in testi scritti, e' del 793 a spese del monastero di Lindisfarne di fronte alla costa settentrionale del Regno di Northumbria. Negli anni successivi i vichinghi si spinsero più ad ovest. Il primo attacco al Regno franco avvenne nel 799 nei confronti del monastero di San Filiberto sull'isola di Noirmoutier, presso l'estuario della Loira.[1]

L'area dell'Elba, abitata dai Sassoni fin dal III secolo, venne sottomessa da Carlo Magno nel corso delle guerre sassoni, all'inizio del IX secolo. La città di Amburgo si sviluppò intono ad Hammaburg, una fortezza fatta costruire da Carlo Magno nell'808, sopra una piccola altura, alla confluenza dell'Alster con l'Elba, come roccaforte di difesa contro gli Slavi. Nell'811 Carlo Magno fondò qui una chiesa, forse sul sito di un luogo di sacrificio sassone, da utilizzare come centro per la conversione al cristianesimo degli Slavi e dei popoli pagani del nord (Danimarca, Svezia e Norvegia).[2]

Nell'826 l'imperatore Ludovico il Pio, che era succeduto a Carlo Magno, inviò un monaco benedettino di nome Oscar di Brema (conosciuto anche come Anskar), nello Jutland alla corte del re Harald di Danimarca, che si era convertito al Cristianesimo[3] come forma di ringraziamento verso Ludovico il Pio che lo aveva aiutato a rientrare in possesso del suo regno dal quale era stato esiliato nell'814.[4]

Nell'827 Harald fu deposto da Horik, figlio del defunto re Godfred.[5] La ragione di questa deposizione non è menzionata, ma la sua conversione al cristianesimo potrebbe averlo reso impopolare fra i suoi sudditi e i nobili del regno. Un tentativo di reinsediare Harald fallì nell'828, e questo acuì l'ostilità di Horik nei confronti dei Franchi e di conseguenza del cristianesimo, che considerava la religione dei suoi nemici. Egli pertantanto rifiutò di convertirsi al cristianesimo, ed ostacolò i tentativi di Anskar di fare proselitismo fra i danesi.[6]

Nell'831 ad Hammaburg venne fondata una diocesi, che nell'834 venne elevata da Papa Gregorio IV ad arcidiocesi con giusprudenza non solo sui territori circostanti, ma anche su Islanda, Groenlandia e tutta la Scandinavia. Come arcivescovo venne nominato Oscar di Brema che fu chiamato l'apostolo del nord.[2]

Nel frattempo la posizione dell'imperatore Ludovico il Pio si era indebolita a causa delle guerre civili scatenate nell'830 dai suoi figli, per la suddivisione dell'impero, dopo la nascita del suo quarto figlio Carlo il Calvo. Approfittando di questa situazione di oggettiva debolezza dei franchi, i pirati danesi iniziarono a razziare nella Frisia.

La Frisia era in effetti il tallone d'Achille dell'impero carolingio. Allungata sulla costa del Mare del Nord a sud dello Jutland, in quella che è l'attuale Olanda, era impossibile da difendere senza una flotta, cosa che i Franchi non avevano. Questa vulnerabilità della Frisia era già stata evidenzia dal re danese Godfred che nell'810 attaccò la Frisia con 200 navi vichinghe. I suoi eredi, 20 anni dopo, volevano dimostrare di non essere da meno. Nell'834 assalirono la città di Dorestad, uno dei più importanti centri commerciali della Frisia posto sul ramo nord del Reno, distruggendo la città, massacrando persone, portando via prigionieri e incendiando i dintorni. Gli attacchi a Dorestad si ripeterono negli anni successivi 835 e 836 con gravi danni per la città che da questo momento inizierà a decadere come centro commerciale della regione.[7] Negli anni successivi si susseguirono numerosi altri saccheggi: nell'836 fu attaccata Anversa (Antwerp),[8] e nell'837 fu la volta di Walcheren.[8] Ma Horik non si limitò alle razzie e nell'838 chiese a Ludovico il governo della Frisia, richiesta che l'imperatore declinò sdegnosamente.[9]

Nell'840, alla morte di Ludovico il Pio, si scatenò una furiosa guerra civile fra i suoi figli (Lotario, Ludovico e Carlo - l'altro figlio Pipino era morto nel 838) per la spartizione dell'impero che terminò solo nell'843 con il Trattato di Verdun. Tale trattato assegnò la parte orientale dell'impero carolingio (in pratica tutta la parte ad est del Reno e a nord e ad est dell'Italia), che sarà chiamata Regno dei Franchi Orientali, a Ludovico. Durante questo periodo di instabilità, nella regione dell'Elba e dintorni, i nemici dei Franchi diedero luogo a varie azioni volte ad acquisire potere ai danni di detta potenza dominante. Tali azioni non cessarono con il riconoscimento di Ludovico a re del Regno Franco orientale, e Ludovico stesso dovette intervenire in più occasioni per riportare l'ordine nei suoi territori. Il primo di questi movimenti insurrezionali fu quello degli Stellinga sassoni. Durante la guerra interna all'Impero carolingio (840–843) gli Stellinga ottennero l'appoggio politico e militare di Lotario che li aveva fomentati contro il fratello Ludovico. Questi, nella tarda estate del 843, appena firmato l'armistizio con Lotario, marciò attraverso la Sassonia e stroncò la ribellione, sconfiggendo gli Stellinga ed uccidendo tutti i loro capi e quelli che gli si opponevano.[10] L'altra ribellione che Ludovico dovette sedare fu quella degli Obodriti, un popolo slavo che abitava l'area dell'odierno Meclemburgo. Questi si erano sollevati durante il periodo della guerra civile fra i figli di Ludovico sotto il comando di Goztomuizli, che aveva assunto il titolo di Samtherrscher costituendo una coalizione fra le principali tribù obodrite. Nell'estate dell'844, Ludovico, preoccupate che gli Obodriti potessero allearsi con i Danesi, attraversò l'Elba alla testa di una armata franca e marciò risolutamente nei territori degli Obodriti e li sconfisse in batttaglia sottomettendoli. Il loro capo Goztomuizli presumibilmente morì in battaglia ma le cronache del tempo non forniscono dettagli a tal proposito.[11]

Battaglia

All'inizio dell'845, Horik cercò di sfruttare la situazione di incertezza ancora in corso nella regione mandando una grande flotta sull'Elba. Secondo gli Annales Bertiniani si trattava di una flotta di 600 navi, numero che sembra incredibilmente alto. Tuttavia il fatto che la flotta fosse stata organizzata direttamente dal re Horik suggerisce che potesse essere insolitamente grande.[12] I nobili sassoni organizzarono una dura resistenza e costrinsero i danesi a fuggire sulle loro navi, ma non poterono impedire che i pirati danesi saccheggiassero la fortezza di Hammaburg. I danesi depredarono la città, che al tempo era un piccolo insediamento con circa 500 abitanti, e bruciarono la cattedrale, il monastero e la biblioteca contenenente preziosi manoscritti.[12] L'arcivescovo Oscar fu costretto a fuggire riuscendo a recuperare solo poche reliquie.[13]

Conseguenze

Mentre nel caso della rivolta degli Stellinga e degli Obodriti la risposta di Ludovico era stata affidata alla forza delle armi, nel caso del saccheggio di Amburgo egli si avvalse della diplomazia. Egli inviò pertanto una missione diplomatica, guidata dal conte Cobbo alla corte di Horik, chiedendo che il re danese si sottomettesse alla signoria dei Franchi e pagasse un indennizzo per i danni provocati dal saccheggio di Amburgo. Alla fine Horik accettò i termini e chiese un trattato di pace con Ludovico, promettendo anche di restituire il tesoro ei prigionieri catturati durante l'attacco ad Amburgo. Molto probabilmente Horik aveva delle sue motivazioni per accettare le richieste di Ludovico. Egli voleva infatti proteggere il confine con il regno franco mentre si preparava ad un conflitto con il re Olof di Svezia e affrontava i suoi nemici interni. Con il trattato, Louis chiese l'obbedienza di Horik, la sospensione al supporto ai razziatori vichinghi e l'invio regolare di ambasciate e regali per riaffermare l'alleanza.

Note

  1. ^ Sawyer, Op. citata, pag. 3
  2. ^ a b Britannica, Op. citata, History
  3. ^ Rimbert, Op. citata, Introduction to Life of Anksar
  4. ^ Annales regni Francorum, [812] DCCCXII, [814] DCCCXIIII.
  5. ^ Annales regni Francorum, [*827] DCCCXXVII.
  6. ^ Sawyer, Op. citata, pag. 23
  7. ^ Sawyer, Op. citata, pag. 23-24
  8. ^ a b Kohn, Op. citata, pag. 588
  9. ^ Sawyer, Op. citata, pag. 24
  10. ^ Goldberg, Op. citata, pag. 112
  11. ^ Goldberg, Op. citata, pag. 132-136
  12. ^ a b Goldberg, Op. citata, pag. 134
  13. ^ Jones, Op. citata, pag. 107

Bibliografia

Voci correlate

Hammaburg
 
Posizione di Hammaburg sulla mappa attuale di Amburgo
Ubicazione
Stato  Impero Carolingio
Stato attuale  Germania
CittàAmburgo
Coordinate53°32′59.5″N 9°59′51.8″E
 
Informazioni generali
CostruzioneVIII secolo (Hammaburg I)-
IX secolo (Hammaburg II)
CostruttoreCarlo Magno (Hammaburg II)
Informazioni militari
UtilizzatoreImpero Carolingio
Regno dei Franchi Orientali
Funzione strategicaroccaforte di difesa contro gli Slavi
EventiSaccheggio di Amburgo (845)
vedi Bibliografia
voci di architetture militari presenti su Wikipedia

Hammaburg era una fortezza costruita fra l'VIII e il IX secolo, sopra una piccola altura, alla confluenza dell'Alster con l'Elba. Scavi archologici, effettuati in più fasi fra il 1947 e il 2006, hanno confermato che Hammaburg è il sito su cui sorge l'attuale città di Amburgo in Germania.[1]

Etimologia

Il nome Hammaburg deriva dall'unione di due parole: burg che ha il significato di castello e hamma la cui origine rimane incerta. Nell'alto tedesco antico esistono sia la parola hamma = "angolo", che la parola hamme = "pascolo". Angolo potrebbe in questo caso riferirsi a una striscia di terra, o a una curva del fiume. Un'altra ipotesi deriva dalla considerazione che nella zona al tempo in questuione (inizio IX secolo) la lingua parlata era l'antico sassone che iniziò appunto a svilupparsi nel IX secolo. In questa lingua esiste sia la la parola hamm che significa qualcosa tipo "terra in una curva del fiume", che la paroLa ham che significa "riva di un fiume". Hammaburg sarebbe quindi "castello (o fortificazione) in una curva del fiume".

Posizione e descrizione

 
Posizione di Hammaburg a inizio IX secolo

La fortezza venne costruita su una cresta del terreno (detta geest in tedesco) tipica delle pianure alluvionali della Germania settentrionale, posta alla confuenza dei fiumi Bille e Alster con l'Elba. Il luogo costituiva una roccaforte naturale il quanto si ergeva dalla pianura circostante ed era protetta su tre lati dal fiume (l'Alster a nord e ad est, ed il Bille a sud), mentre a ovest si trovava una vasta area paludosa e quasi invalicabile formata dall'Elba (detta Elbmarschen).

Hammaburg I

Anche se il territorio era abitato già in epoca precedente, la fortificazione più antica venne realizzata nell'VIII secolo. Si trattava di un fossato ovale di circa 50 x 57 metri che probabilmente circoscriveva una palizzata, anche se di essa non vi sono tracce. Una ipotesi è che il fossato potrebbe aver circondato un tempo il cortile di una famiglia alto rango sassone. Probabilmente c'erano edifici commerciali e residenziali accanto a questo cortile. Il fossato venne demolito nell'800 per espandere l'insediamento.[2] Questo insediamento viene chiamato dagli archeologi Hammaburg I e si trova nell'area attuale che sta a sud della chiesa di San Pietro (Speersort e parco Domplatz).[3]

Hammaburg II

La nuova trincea anulare aveva un diametro di circa 71 metri e può essere datata solo in modo impreciso a circa l'800. Anche in questo caso non si hanno prove archeologiche dell'esistenza di una palizzata, ne della struttura interna o della sua pianta.[4] Questo insediamento viene chiamato Hammaburg II ed è con ogni probabilità quello citato nei testi dell'epoca. Anche questo fossato venne riempito nella metà del IX secolo.[5]

Hammaburg III

La terza e più poderosa fortificazione sulla piazza della cattedrale, chiamata Hammaburg III, è stata costruita intorno al 900. L'enorme muro ad anello di circa 130 metri di diametro, con una larghezza della parete di fino a 22 m, era già stato scoperto durante gli scavi fatti dal 1949 al 1956. A quel tempo si credeva di aver localizzato l'Hammaburg citato nei documenti storici del tempo. In realtà gli scavi fatti nel 2005-2006 sono stati in grado di dimostrare che quella è una pianta molto più giovane, realizzata tra la fine del IX e l'inizio dell'XI secolo.

Storia

L'area del basso corso dell'Elba è stata abitata fin dal paleolitico superiore da diverse comunità di cacciatori-raccoglitori. Fra queste la cultura di Amburgo, così chiamata in quanto uno dei suoi siti più significativi, risalente al 12.700 a.C., è stato ritrovato appunto nella zona di Meiendorf nella periferia nord-orientale della città (quartiere Rahlstedt).[6] e la Cultura di Ahrensburg, successiva alla precedente, dal nome della cittadina di Ahrensburg a circa 25 km a nord-est di Amburgo.

In epoca antica il geografo Tolomeo, vissuto nel II secolo, cita nelle sue opere un posto sulle rive dell'Elba chiamato Treva che corrisponde alla moderna Amburgo. Non vi sono notizie di una presenza romana stabile nella zona. Vi furono tuttavia delle campagne militari romane ad opera del generale Decimo Claudio Druso che fra il 13 a.C. ed il 10 a.C. si spinse fino all'Ems, al Weser e all'Elba, costruendo una grandiosa rete di fortificazioni difensive. In epoca successiva gli abitanti della zona conservarono comunque contatti e scambi commerciali con i romani, come dimostrato da alcuni ritrovamenti di antiche monete d'oro romane avvenuti a Eppendorf e Lokstedt.[7]

In epoca successiva l'area dell'Elba, fu abitata dai Sassoni a partire dal III secolo e venne sottomessa da Carlo Magno nel corso delle guerre sassoni, all'inizio del IX secolo. L'insediamento di Hammburg venne costruito in più fasi (vedi sopra) fra l'VIII ed il IX secolo. Hammaburg probabilmente era originariamente un centro commerciale, come suggerisce la ceramica locale sassone del periodo tra il 700 e l'800, che è stata ritrovata durante gli scavi.[8] Dopo l'annessione definitiva all'impero carolingio, Hammaburg divenne un avamposto contro gli Slavi ed un centro per la diffusione della religione cristiana presso i pagani Norreni di Danimarca, Svezia e Norvegia. A questo scopo nel 831 l'imperatore carolingio Ludovico il Pio vi fondò una diocesi, che nell'834 venne elevata da Papa Gregorio IV ad arcidiocesi con giurisprudenza non solo sui territori circostanti, ma anche su Islanda, Groenlandia e tutta la Scandinavia. Come arcivescovo venne nominato Oscar di Brema,[9] un benedettino proveniente dall'Abbazia di Corvey.

Nell'845 Hammaburg venne saccheggiata da un attacco Vichingo in cui venne bruciata gran parte della città, la cattedrale, il monastero e la biblioteca.[10] Il vescovo Oscar riuscì a fuggire al saccheggio e riparò a Brema. Il clero e alcuni sopravvissuti all'attacco vichingo si stabilirono temporaneamente nel villaggio di Schmeessen nella foresta dei monti Solling, come determinato dai frammenti di ceramica. [11]

Scavi

 
Scavi nella Domplatz nel 2006

Amburgo è alla ricerca delle sue radici da secoli. Il sito di Domplatz è stato tre volte al centro di vaste campagne di scavo archeologico: negli anni 1949-56, 1980-87 e più recentemente nel 2005-06.

Note

  1. ^ (DE) Hammaburg - L'inizio di Amburgo, su hamburg.de, Sito ufficiale di Amburgo. URL consultato il 21 novembre 2017.
  2. ^ Steinke, Op. citata, pag. 8
  3. ^ (DE) Tabea Tschöpe, L'Hammaburg: la cellula germinale di Amburgo nella piazza della cattedrale, su ndr.de. URL consultato il 24 novembre 2017.
  4. ^ Steinke, Op. citata, pag. 9
  5. ^ (DE) Hammaburg und die Anfänge Hamburgs - THE HAMMABURG II, su amh.de, Archäologische Museum Hamburg. URL consultato il 24 novembre 2017.
  6. ^ Thomas Terberger, From the First Humans to the Mesolithic Hunters in the Northern German Lowlands – Current Results and Trends (PDF), Across the western Baltic : proceeding from an archaeological conference in Vordingborg : [March 27th - 29th 2003], Sydsjællands Museums Publikationer Vol. 1, ISBN 87-983097-5-7 (archiviato dall'url originale l'11 settembre 2008).
  7. ^ (DE) Michelle Kossel, Als Geld die Welt zu regieren begann, su abendblatt.de. URL consultato il 25 novembre 2017.
  8. ^ Weiss, Op. citata, pag. 74
  9. ^ Charles H. Robinson, Anskar, The Apostle of the North, 801-865, translated from the Vita Anskarii by Bishop Rimbert his fellow missionary and sucessor, London: SPCK, 1921.
  10. ^ Eric Joseph Goldberg, Struggle for Empire: Kingship and Conflict Under Louis the German, 817-876, Cornell University Press, 2006, pp. 134, ISBN 080143890X.
  11. ^ (DE) Ausgrabungen in Schmeessen lösen das Rätsel der ersten Hamburger, su tah.de, Täglicher Anzeiger. URL consultato il 24 novembre 2017 (archiviato dall'url originale il 24 settembre 2015).

Bibliografia

Voci correlate

Collegamenti esterni

Gli Annales Mettenses priores, o Annali di Metz, sono un'opera anonima scritta in latino e risalente all'inzio del IX secolo che descrive eventi del regno Franco e del successivo Impero carolingio nel periodo 678 - 830.

Gli annali furono pubblicati per la prima volta in latino nel 1626 da André Duchesne con il nome Annales Francorum Mettenses. Dato che questi annali contenevano grandi lodi all'operato di Arnolfo di Metz, e poiché il loro unico manoscritto sopravvissuto al tempo proveniva dal monastero di Sant'Arnolfo a Metz, Duchesne pensò che fossero stati scritti lì.[1] Studi più recenti hanno portato tuttavia ad ipotizzare che gli annali potrebbero essere statai scritti altrove, anche se fra gli studiosi non c'e' accordo su questo. Le altre due ipotesi più accrditate sono che il documento sia stato scritto nell'Abbazia di Saint-Denis o nel monastero femminile di Chelles. Entrambe queste sedi erano al tempo in uno stretto rapporto di affiliazione con la corte carolingia e questo e' in linea con il fatto che gli annali descrivono gli eventi in un modo che rende evidente che siano stati prodotti da qualcuno che, o faceva parte della corte carlongia, o era molto vicino ad essa. A favore di Chelles c'e' anche qualche elemento in più, il fatto che Chelles venga nominata due volte nel testo, il fatto che Gisella, la sorella di Carlo Magno, diventò badessa di Chelles nell'806, quando gra parte del testo era stato proodotto. Ulteriore elemento, anche se non decisivo, è dato dallo stile in cui e' scritto il documento ed il fatto che alcune donne che ebbero un ruolo importante nella storia della dinastia calolingia quali Begga di Andenne, Anseflède (moglie di Warattone di Neustria), Gertrude di Nivelles, e Plectrude, sono descritte lungamente e ponendole in grande e positivo risalto.[2] Questo porta a supporre che gli annali sino stati scritti da una mano femminile sotto la supervisione di Gisella o direttamente da lei stessa.[3]

Gli annali sono composti da tre sezioni: la prima copre gli anni dal 678 al 805 ed e' opera di un singolo autore, scritta nel'806 o dintorni; la seconda sezione copre gli anni dall'806 all'829 ed e' una copia fedele degli Annales Regni Francorum ed è stata aggiunta in un secondo tempo, probabilmente intorno all'830 o subito dopo, quando la terza parte, che descrive dettagliatamente gli eventi dell'anno 830, fu composta.[4]

Note

  1. ^ FouracreOp. citata, pag. 331-333
  2. ^ HenOp. citata, pag. 176-177
  3. ^ Tiziana Lazzari, Donne che scrivono di storia nel Medioevo. Intrecci, passioni e avventure tra VIII e X secolo, su storicamente.org. URL consultato il 16 dicembre 2017.
  4. ^ HenOp. citata, pag. 176

Bibliografia

Collegamenti esterni

Battaglia del Raxa
parte guerre slavo-germaniche
 
Data16 ottobre 955
Luogofiume Raxa, Marca dei Billunghi, presso l'attuale Ribnitz-Damgarten
Esitovittoria germanica
Schieramenti
  Regno di Germania  Obodriti, Veleti e altre tribù slave
Comandanti
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La Battaglia del Raxa fu una battaglia combattuta sul fiume omonimo (attuale Recknitz) nel 955 d.C. fra le truppe germaniche comandate da Ottone I di Sassonia e una coalizione formata da Obodriti, Veleti e altre tribù slave comandate dai samtherrscher obodriti Stoignew e suo fratello Nakon.

La battaglia si concluse con la vittoria delle truppe germaniche e l'uccisione del capo obodrita Stoignew e costituì una tappa fondamentale nella cristianizzazione dei popoli slavi.

La principale fonte storica sulla battaglia è fornita da Widukind di Corvey nella sua cronaca detta Rerum gestarum Saxonicarum.[1]

Antefatto

Nell'estate del 955 Ottone intervenne con il suo esercito in Baviera che era stata invasa dai Magiari che avevano posto l'assedio di Augusta lungo il fiume Lech. Pur numericamente superiori, i Magiari vennero pesantemente sconfitti il 10 agosto nella Battaglia di Lechfeld sul pianoro omonimo.[2]

Agli inizi del 955 il duca sassone Wichmann il Giovane, insieme al fratello Ecberto di Ambergau, da sempre oppositori di Ottone, si ribellarono contro lo zio Hermann Billung, al tempo Viceduca di Sassonia e margravio della Marca dei Billunghi nonchè fedele alleato di Ottone. Ai primi di marzo Wichmann e suo fratello entrarono in Sassonia e saccheggiarono varie città dell'Angria. Fra marzo e aprile Hermann Billung tentò di contrastare i fratelli ribelli, ma senza successo. Essi infatti avevano trovato sostegno e alleanza nei popoli slavi a nord dell'Elba, Abodriti, Veleti e altri, che erano stati conquistati da Ottone.[3]

All'indomani della notizia della schiacciante vittoria di Ottone con i magiari, gli slavi cercarono di trattare con questo promettendo tributi e pace, a patto che le terre da loro invase restassero loro assegnate. Ottone non accettò la proposta, chiedendo invece il pagamento dei danni arrecati e la sottomissione. Al rifiuto di queste richieste Ottone condusse il suo esercito a nord effettuando varie incursioni nei territori dei ribelli.[3] Dopo una marcia di circa 300 chilometri, il 15 ottobre, ad un guado del fiume Recknitz presso la moderna città di Ribnitz-Damgarten, l'esercito di Ottone si trovò la strada sbarrata da un imponente esercito di Obodriti e loro alleati, guidato dai due principi fratelli Stoignew e Nakon.[4]

Battaglia

Ottone ed i suoi comandanti capirono subito che la loro posizione era tatticamente sfavorevole rispetto a quella dei nemici che si trovavano su un alto terrapieno protetto ai lati dal fiume e dalle paludi. D'altra parte essi non potevano nemmeno aspettare troppo, in quanto erano scarsi a viveri e la loro rapida avanzata li aveva portati lontani da possibili linee di rifornimento. Ottone decise pertanto di inviare il margravio Gero con una parte del suo esercito e degli alleati Rani qualche chilometro a monte del fiume per costruire dei ponti di barche. Quando Gero informò Ottone di aver ultimato la costruzione di tre pontoni, questo diede ordine alle sue truppe a cavallo di attraversare i ponti ed attaccare gli Obodriti sul fianco. Contemporaneamente le truppe di fanteria germaniche, protette dagli arceri, attraversarono il guado e si lanciarono in un attacco frontale. Gli Obodriti, presi a tenaglia su due lati, non ressero l'impatto e si ritirarono scompostamente.[5] In questa ritirata il principe Obodrita Stoignew rimase ucciso. [6]

Conseguenze

Dopo la battaglia la repressione attuata da Ottone fu molto dura. Widukind ricorda che, una volta conquistato l'accampamento nemico Ottone fece giustiziare 700 prigionieri, inoltre a tutti i consiglieri di Stoignew furono strappati gli occhi e la lingua e gettati nella fossa comune con gli altri soldati uccisi.[7]

Wichmann ed Ecberto riuscirono a fuggire e si rifugiarono in Francia dal duca Ugo il Grande, ma non è noto se abbiano partecipato alla battaglia o siano fuggiti prima.[7]

Il risultato finale di questa vittoria fu la sottomissione degli Obodriti per i 27 anni successivi e l'imposizione di una rete di fortificazioni e guarnigioni germaniche in tutti i loro territori. Inoltre, nel periodo immediatamente successivo vennero istituite delle sedi vescovili nei territori slavi che fino ad allora ne erano privi, iniziando di fatto l'opera di conversione al cristianesimo di quelle popolazioni. Fra queste una sede importante fu il vescovado di Oldemburg costruito nel 968 nella città Obodrita di Starigard.

Note

  1. ^ WidukindOp. citata, LIB III, Cap. LIII-LV, pp. 132-135.
  2. ^ BachrachOp. citata, pag. 56
  3. ^ a b DuckettOp. citata, pag. 78
  4. ^ BachrachOp. citata, pag. 57-58
  5. ^ BachrachOp. citata, pag. 213-220
  6. ^ Annales Sangallenses maiores, p.79 "955 ...occiso duce illorum nomine Ztoignavo...
  7. ^ a b WidukindOp. citata, LIB III, pag. 135.

Bibliografia