Utente:Mrsmur456/Sandbox
Il campo di concentramento di Arbe fu creato dal comando della Seconda Armata italiana nel luglio del 1942 ad Arbe nel Carnaro ed ospitò complessivamente tra i 10.000 e 15.000 internati tra sloveni, croati ed ebrei diventando il più esteso e popolato campo di concentramento italiano per slavi[1][2] raggiungendo i 21.000 internati nel dicembre 1942[3]. Il campo si caratterizzò per la durezza del trattamento riservato agli internati di etnia slava[1], dei quali un gran numero perì di stenti e malattie. Per converso, oltre 3.500 ebrei fuggiti dagli ustascia croati e ivi internati dal Regio Esercito italiano evitarono grazie a questo la deportazione.[4][5][6].
Storia
Secondo lo storico Tone Ferenc la necessità di allestire un grande campo di concentramento sull'isola di Arbe si era già fatta sentire nel maggio 1942 a seguito della saturazione dei campi di Laurana, Buccari e Porto Re[7]. Nell'estate 1942, per far fronte alla necessità di provvedere all'internamento dei numerosi rastrellati nel corso delle operazioni estive in Slovenia, le autorità militari italiane della Seconda Armata costruirono in gran fretta ad Arbe[2][8] (più esattamente nella località di Campora), un campo di concentramento per i civili slavi delle zone occupate della Slovenia in cui furono internati anche alcuni civili della vicina Venezia Giulia.
Inizialmente era prevista la costruzione di quattro settori distinti, ma all'arrivo dei primi internati erano pronte solamente le baracche di servizio ed erano disponibili soltanto un migliaio di tende militari da sei posti[1][7]. Il primo gruppo di internati giunse ad Arbe il 28 giugno 1942 ed era composto da 198 sloveni provenienti da Lubiana mentre un secondo gruppo di 243 arrivò il 31 agosto[1] Complessivamente furono portati ad Arbe 27 gruppi di internati di cui il più cospicuo fu di 1194 persone giunte il 6 agosto[1]. Dei quattro campi inizialmente immaginati ne furono realizzati solo tre. Nel 1° e nel 3° furono inseriti i "repressivi" (soprattutto sloveni), mentre nel 2° furono inseriti i "protettivi" (soprattutto ebrei)[1].
Con l'arrivo della stagione autunnale la situazione nei campi divenne più difficile, soprattutto in quelli in cui erano reclusi i "repressivi" dove le piogge provocarono più volte il riversamento del liquame delle latrine del campo e la notte del 29 ottobre 1942 una violenta tempesta distrusse quattrocento tende e provocò l'annegamento di alcuni bambini[9]. Si iniziarono quindi a costruire le prime baracche di legno[2][7] ma per la lentezza dei lavori molti internati trascorsero comunque l'inverno al freddo dentro le tende[1]. Nel novembre 1942 il numero di internati diminuì come riporta Capogreco per la partenza di parte degli internati per altri campi di concentramento, soprattutto di donne e bambini destinati al campo di Gonars[7].
L'internamento repressivo degli slavi
Complessivamente ad Arbe furono internati circa 10.000 civili[10], tra cui vecchi, donne e bambini di famiglie sospettate di collaborare con il movimento partigiano ma anche residenti in aree sgombrate per esigenze belliche[8]. La cifra non comprende coloro che sono passati in transito verso altri campi, nei territori occupati o nel Regno d'Italia.
Periodo | Uomini | Donne | Bambini | Totale internati | ||
---|---|---|---|---|---|---|
27 luglio-31 luglio 1942 | 1.061 | 111 | 53 | 1.225 | ||
1º agosto-15 agosto 1942 | 3.992 | 0 | 1.029 | 5.021 | ||
16 agosto-31 agosto 1942 | 5.333 | 1.076 | 1.209 | 7.618 | ||
1º settembre-15 settembre 1942 | 6.787 | 1.563 | 1.296 | 9.646 | ||
16 settembre-30 settembre 1942 | 7.327 | 1.804 | 1.392 | 10.523 | ||
1º ottobre-15 ottobre 1942 | 7.387 | 1.854 | 1.392 | 10.633 | ||
16 ottobre-31 ottobre 1942 | 7.206 | 1.991 | 1.422 | 10.619 | ||
1º novembre-15 novembre 1942 | 7.207 | 2.062 | 1.463 | 10.732 | ||
16 novembre-27 novembre 1942 | 6.647 | 1.560 | 926 | 9.133 | ||
Fonte: Davide Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo, ed. Bollati Boringhieri, Torino 2003 |
A causa della precarietà in cui versava il campo ancora dall'estate del 1942, l'inverno fu molto duro per gli internati che avevano come unico riparo delle tende e spesso erano privi di vestiario adeguato[8]. A questo si aggiunsero episodi di brutalità da parte del comandante del campo, il colonnello dei carabinieri Vincenzo Cuiuli[12], il quale, nonostante ciò violasse le norme italiane, faceva incatenare a dei pali gli internati in punizione[13]. L'alimentazione insufficiente rese gli internati particolarmente deperiti e soggetti a diverse malattie, tra cui le infezioni intestinali che provocarono un tasso di mortalità molto alto[7][13][14][15]. Secondo alcuni ricercatori ciò rispondeva ad una precisa politica volta a mantenere sotto controllo gli internati[16].
Nel novembre del 1942 il vescovo di Lubiana Gregorij Rožman si era già recato presso papa Pio XII per chiedergli di intervenire per evitare che il campo di Arbe diventasse un "campo di morte"[17]. La Croce Rossa jugoslava il 10 dicembre 1942 denunciò la scarsezza alimentare dei campi gestiti dagli italiani in Jugoslavia con particolar riferimento a quello di Arbe[18]. Pertanto il Vaticano intervenne presso le autorità italiane affinché si provvedesse alla liberazione della maggior parte delle donne e dei bambini[14]. Il generale Mario Roatta inviò al campo il generale Giuseppe Gianni che relazionò evidenziando l'alto tasso di mortalità, ma attribuendolo alle precarie condizioni fisiche degli internati in gran parte anziani[17]. Ciononostante tutti i bambini e quasi tutte le donne furono evacuati verso altri campi in Italia[17]. Il generale Umberto Giglio ancora il 19 gennaio 1943 scrisse un resoconto sulla situazione interna del campo in cui segnalò la necessità di migliorare le condizioni fisiche degli internati pur attribuendo la causa del grave deperimento fisico alle "privazioni precedenti all'arresto sia al trauma psichico dell'arresto stesso ed alle aggressioni da parte dei ribelli subite durante il viaggio di trasferimento"[7]. A partire da gennaio 1943 le condizioni migliorarono sensibilmente con la costruzione di baracche in muratura e il miglioramento delle razioni alimentari[14].
Il vescovo della diocesi di Veglia, Josip Srebrnič, il 5 agosto 1943 riferì a papa Pio XII che "secondo i testimoni, che avevano partecipato alle sepolture, il numero dei morti avrebbe superato le 3500 unità"[19] (tra cui circa 100 bambini di età inferiore ai 10 anni[20]). Le fonti slovene stimano che al suo interno avrebbero perso la vita circa 1400 internati slavi tra cui anche donne e bambini[21] Gli storici sloveni e croati, quali Tone Ferenc, Ivan Kovačić e Božidar Jezernik, indicano in un numero compreso tra i 1447 e i 1167 i decessi avvenuti al campo[22] e secondo James Walston[23] e Carlo Spartaco Capogreco[19], il tasso di mortalità annuo nel campo di concentramento di Arbe superava il tasso di mortalità medio nel Campo di concentramento di Buchenwald (che era il 15%).
L'internamento protettivo degli ebrei
Nell'area occupata dall'Italia si trovavano alcune centinaia di ebrei concentrati soprattutto nella città di Mostar e lungo la costa cui si aggiunsero migliaia di profughi in fuga dallo Stato Indipendente di Croazia per sfuggire ai massacri commessi dagli ustascia[5][24] e dai territori occupati dai tedeschi[25]. Tranne una parte respinta alla frontiera di Fiume gli ebrei furono accolti nella Dalmazia annessa dall'Italia[5] e la protezione fu estesa anche a quelli che si trovavano nelle zone occupate dalle truppe italiane in Croazia[25] i quali pur sottoposti a vigilanza continuarono a vivere liberamente[26]. Alla fine del 1942 la situazione si rese più complicata quando alle richieste croate di ottenere gli ebrei presenti nei territori occupati italiani si aggiunsero anche le pressioni tedesche[26][27].
La tragedia che avrebbe colpito gli ebrei in caso di consegna inizialmente solo ipotizzata fece sì che il Regio Esercito escogitasse pretesti e oppose una serie di rinvii per non procedere ad alcuna consegna degli ebrei internati anche ad Arbe[5], poi dal novembre 1942 la situazione fu più chiara e non consegnare gli internati divenne prioritario[28]. Si ipotizzò in un primo tempo di internare gli ebrei in locande e alberghi dismessi nella città di Grado, poi si preferì la soluzione del campo di Arbe dove fu allestita appositamente un'area[29] in cui furono fatti confluire complessivamente gli oltre 3.500 nuovi internati[30][31][32]. Qui vissero in una condizione sicuramente migliore degli internati slavi potendo ricevere visite esterne e svolgere attività ricreativa[29]. Le autorità militari e civili che operavano in Jugoslavia nel frattempo avevano esercitato pressioni su Mussolini che revocò le precedenti disposizioni e dispose che tutti gli ebrei sarebbero invece rimasti internati in territorio sotto giurisdizione italiana e per ovviare alle richieste del governo croato di ottenere la consegna degli ebrei con passaporto croato di avviare per costoro le pratiche per rinunciare alla cittadinanza[33]. Insieme ai numerosi ebrei furono internati ad Arbe a scopo "protettivo" anche molti serbi sfuggiti alle persecuzioni croate[5].
Ancora nell'agosto 1943 le autorità italiane si preoccuparono dell'incolumità degli internati ebrei immaginando, in caso di ritirata delle truppe italiane, di mantenere un presidio armato affinché gli internati protettivi non cadessero "in mani straniere"[29].
La chiusura del campo
Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 il campo fu temporaneamente occupato dalle forze partigiane di Tito. Gli internati ebrei - liberati - raggiunsero in massima parte la terraferma. Di costoro circa 240 giovani atti alle armi furono radunati in un battaglione ebraico[34] che combatté nell'EPLJ contro l'Asse; 200 persone rimasero sull'isola e furono catturate dai tedeschi durante la successiva occupazione nazista; infine, circa 200 persone raggiunsero via mare l'Italia[35]. Il comandante del campo, colonnello Vincenzo Cujuli dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 rimase di presidio al campo in base all'ordine giuntogli dal comando della seconda armata di collaborare con i partigiani jugoslavi[36]. Preso prigioniero dai partigiani secondo alcune fonti fu seviziato e ucciso[36], mentre secondo altre sarebbe morto suicida in prigionia[37].
Negli anni cinquanta, fu eretto un monumento ad opera dell'architetto sloveno Edvard Ravnikar.
Contesto storico
Con l'espandersi dei confini orientali, fino a prima della Seconda guerra mondiale, l'Italia aveva annesso molti territori storicamente non abitati da gente di nazionalità e lingua italiana. Lo stato italiano attuò fin dall'inizio una politica di violenza efferata, tesa alla cancellazione e all'annientamento delle popolazioni "slave" in territorio italiano. Già dal 1866, ossia dalla fine della Terza Guerra d'Indipendenza, l'Italia ebbe all'interno dei propri confini la Benecija, zona appartenente alle regioni di Veneto e Friuli, abitata da alcune migliaia di persone, la grande maggioranza di origine slovena. Per quanto già da subito tali popolazioni subirono da parte del Regno d'Italia una politica orientata alla completa snazionalizzazione, il problema si ripresentò con maggiore drammaticità dopo il 1918, quando cinquecentomila sloveni e croati divennero nuovi sudditi del Regno d'Italia. Negli anni di massima tensione interna alla Jugoslavia (1927-29), dovuta al problema dei rapporti tra serbi e croati, la politica estera fascista comincia a mostrare una certa aggressività nei confronti dell’area danubiano-balcanica: l’Italia, infatti, ambisce al controllo dell’Albania e del mare Adriatico (considerato dalla propaganda fascista un “golfo veneziano”) e, in più, nutre velleità irredentiste sui territori jugoslavi abitati da minoranze italiane (parti della Dalmazia), che rappresentano la “vittoria mutilata” della prima guerra mondiale.
L’Italia di Mussolini, dunque, comincia a prendere in considerazione l’invasione e si attiva nel tentativo di indebolire la Jugoslavia stringendo alleanze con paesi confinanti ad essa ostili (Ungheria e Bulgaria) e con movimenti estremisti e terroristici interni al paese.
La repressione fascista contro sloveni e croati degli anni Venti e Trenta divenne una vera e propria persecuzione razziale di massa con la Seconda Guerra mondiale e l'aggressione nazifascista alla Jugoslavia. Questa avvenne, senza alcuna dichiarazione di guerra, il 6 aprile 1941, per mano dell'esercito tedesco e dell'esercito italiano, la II Armata del generale Ambrosio. come reazione al colpo di stato anti-tedesco avvenuto il 27 marzo a Belgrado, dopo che il reggente Paolo Karađorđević aveva aderito al Patto Tripartito.
Quando le truppe italiane arrivano a Lubiana, l’esercito jugoslavo, già sbandato a causa dell’attacco tedesco, non oppone la minima resistenza.
A questo punto l’Italia tratta direttamente con la Croazia, sottoposta al predominio tedesco, la delimitazione dei confini e ottiene ufficialmente l’annessione della Dalmazia da Zara a Spalato, istituendo il Governatorato di Dalmazia.
Trionfa così una linea di compromesso che non tiene assolutamente conto delle istanze croate e che ha necessariamente come risultato la diffusione di un sentimento antitaliano, non solo nelle popolazioni slave soggette all’Italia, ma anche negli organi di amministrazione e di governo dello Stato indipendente croato, che, inoltre, si trova a dover accettare l’ingiustificata presenza di truppe delle forze armate italiane stazionanti, senza uno scopo preciso, sul suo territorio.
Il neonato Stato indipendente croato, era sotto la guida del poglavnik (duce) Ante Pavelić, capo degli ustascia. Gli ustascia portano avanti una politica fortemente nazionalista cosicché ebrei, rom e serbi sono colpiti da violente persecuzioni: la maggior parte delle uccisioni avviene tra la primavera e l’estate del 1941; ciò provoca due fenomeni paralleli, ossia le conversioni di massa al cattolicesimo e la fuga verso le montagne o Serbia, Dalmazia e Montenegro.
Il 22 giugno dello stesso anno scoppia una rivolta, destinata a trasformarsi in una vera e propria guerra civile tra la fine del ’41 e il ’42. La rivolta si diffonde in tutto il territorio e ne segue una violenta repressione da parte dell’esercito italiano che cerca anche l’appoggio di forze collaborazioniste: è il caso dell’esercito jugoslavo in Serbia guidato da Draza Mihailović e del movimento cetnico, un’organizzazione politico-militare nata per contrastare le forze comuniste. La guerra civile jugoslava vedrà appunto contrapposti il fronte collaborazionista e il movimento partigiano guidato dal generale comunista Josip Broz Tito, a capo del neonato Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia.
Per contrastare le rivolte in atto e mantenere l’ordine pubblico, la II Armata (Regio Esercito) istituisce un tribunale di guerra che adotta maggiormente come soluzione l’internamento: Per tutta l’estate del 1941 gli scontri generano un gran numero di prigionieri, che iniziano a essere dislocati in vari campi di concentramento come quelli di Lovran, Bakar e Kraljevica; il sovraffollamento di questi ultimi fu la causa, nel maggio del 1942, dell’istituzione del campo di concentramento di Arbe per ordine del prefetto di Fiume Temistocle Testa.
Il campo, divenuto il più famoso di quelli italiani in Jugoslavia per il suo alto tasso di mortalità, aveva una capienza di circa 10.000 persone.
- ^ a b c d e f g Gianni Oliva, p. 131
- ^ a b c Gobetti, Alleati del nemico, p. 87
- ^ Ferenc
- ^ Renzo De Felice a proposito della vicenda degli ebrei internati ad Arbe, su Rosso e Nero, p. 161,
- ^ a b c d e Marina Cattaruzza, p. 214
- ^ Gianni Oliva, p. 131, 271 secondo Gianni Oliva
- ^ a b c d e f I CAMPI FASCISTI - Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò
- ^ a b c Marina Cattaruzza, p. 230
- ^ Gianni Oliva, pp. 131-132
- ^ Rossi & Giusti, p. 62 Secondo il generale Mario Roatta sarebbero stati al massimo 10552
- ^ Rabski zbornik, 1953.
- ^ Gobetti, Alleati del nemico, p. 88
- ^ a b Gianni Oliva, p. 132
- ^ a b c Marina Cattaruzza, p. 231
- ^ Gobetti, Alleati del nemico, p. 88: "Tuttavia la privazione della libertà, la fame, le malattie connesse con la denutrizione e le pessime condizioni igieniche, concorrono a portare alla morte un notevole numero di persone."
- ^ Gobetti, Alleati del nemico, p. 88-89
- ^ a b c Gianni Oliva, p. 133
- ^ Rossi & Giusti, p. 486
- ^ a b Cresciani, Gianfranco (2004), Italian Historical Society Journal, Vol.12, No.2, p.7
- ^ Italijanska koncentracijska taborišča za slovence med 2. svetovno vojno, Božidar Jezernik, Revija Borec - Društvo za preučevanje zgodovine, literaure in antropologije, Lubiana 1997, ISSN 0006-7725.
- ^ Rossi & Giusti, p. 62
- ^ Rossi & Giusti, p. 486: Riportati nel saggio di Capogreco: Tone Ferenc parla di 1435 decessi, per Ivan Kovacic 1447, mentre per Bozidar Jezernik 1167
- ^ James Walston (1997) History and Memory of the Italian Concentration Camps, Historical Journal, 40.
- ^ "(...) nell'agosto-settembre 1941, per fermare la violenza antiebraica e stroncare gli eccidi in corso fra serbi e croati, l'Esercito italiano assunse provvisoriamente il controllo di una nuova zona ceduta dalla Croazia di Pavelic. (...) Mentre Mussolini per non sfidare apertamente i tedeschi si opponeva all'ipotesi di un trasferimento dei rifugiati in Italia, in gran parte ebrei stranieri formalmente impediti all'ingresso nella penisola da una legge del 1939, nel 1942, fu finalmente escogitata la formula che avrebbe permesso di sfuggire alle pretese dell'alleato pur senza affrontarlo in un rifiuto diretto. I circa 3000 ebrei croati e stranieri (...) dal mese di ottobre (furono) internati in appositi campi (...) allo scopo di tacitare le accuse tedesche di spionaggio a favore del nemico, sarebbero stati sottoposti ad un lungo e laborioso censimento (...). La tattica temporeggiatrice funzionò fino al febbraio 1943 (...) quando Mussolini cedette alle richieste di trasferire gli ebrei a Trieste dove sarebbero stati prelevati dai tedeschi, autorizzando però i suoi generali a trovare nuovi pretesti per il rinvio. (...) nel marzo 1943 si decise di concentrare tutti i rifugiati in un campo dipendente dalla II Armata nell'isola dalmata di Arbe, (...) cioè in un territorio sottoposto alla sovranità italiana, al sicuro da qualsivoglia insidioso tentativo di colpo di mano". Anna Millo, L'Italia e la protezione degli ebrei, in L'occupazione italiana della Iugoslavia, Le Lettere, 2009, pp. 367 e 367.
- ^ a b Gobetti, Alleati del nemico, p. 129
- ^ a b Gobetti, Alleati del nemico, p. 130
- ^ Jonathan Steinberg, p. 81
- ^ Jonathan Steinberg, p. 85:"La documentazione suggerisce che da quel momento, all'inizio del novembre 1942, le autorità italiane del ministero degli Esteri e le forze armate seppero di non dover consegnare quelle migliaia di ebrei"
- ^ a b c Gobetti, Alleati del nemico, p. 131
- ^ 3.577 secondo un elenco fornito da Jasa Romano, Jevreji u logoru na Rabu i njihovo uklucivanje u Narodnooslobodilacki rat, in: Zbornik 1973 n. 2 p. 70
- ^ Marina Cattaruzza, p. 214 circa 4000 secondo la storica Marina Cattaruzza
- ^ Gobetti, Alleati del nemico, p. 131 3577 anche secondo Igor Gobetti
- ^ Jonathan Steinberg, p. 92: Appunto per il gabinetto AP, firmato dal generale Vittorio Castellani "Il Duce ha disposto:1)che detti ebrei vengano mantenuti tutti in campi di concentramento; 2) che si proceda intanto, oltre che a determinare la pertinenza dei singoli internati, a raccogliere -in analogia alle richieste contenute nella soprariferita proposta del Governo croato- le istanze che gli interessati stessi volessero liberamente presentare per rinunciare alla cittadinanza croata ed alla proprietà di ogni bene immobile posseduto in Croazia"
- ^ Per una foto del reparto si veda http://emperors-clothes.com/croatia/rab.jpg
- ^ Menachem Shelah, Un debito di gratitudine. Storia dei rapporti tra Esercito Italiano e gli ebrei in Dalmazia (1941-1943), USSME, 1991, pp. 156-168.
- ^ a b I CAMPI FASCISTI - Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò
- ^ Anton Vratuša, Dalle catene alla libertà - La "Rabska brigada", una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista, Kappa Vu, 2011, ISBN 978-88-89808-627