Gran mufti d'Iraq
Consiglio Sunnita della Fatwa | |
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Tipo | autorità religiosa |
Gran Mufti | Abdul-Mehdi al-Sumaidaie |
Portavoce | Amer Al-Bayati |
Sede | Baghdad |
Indirizzo | moschea Umm al-Tubul |
Il Gran Mufti dell'Iraq è la suprema autorità giuridica islamica sunnita dell'Iraq.
Dalla nascita della Repubblica d'Iraq nel 1958, ed in particolare nell'epoca del regime Baath (1968-2003), il corpo dei giurisperiti islamici è stato sottoposto al diretto controllo del Partito. Successivamente alla caduta del regime, la rappresentanza della categoria nei rapporti col nuovo governo (e il relativo ufficio di emettere fatwe) è stata rivendicata da diverse organizzazioni di ulema, come pure diversi religiosi si sono attribuiti il titolo di mufti.
Storia
Origini
Nel marzo 1920, il Congresso panarabo di Damasco sancisce l’indipendenza dei territori arabi del Bilad al-Sham dall'impero ottomano, tuttavia il trattato anglo-francese di Sykes-Picot spartisce questi territori nel Mandato britannico della Palestina e della Mesopotamia e in quello francese della Siria.
Sebbene gli Inglesi avessero posto a capo di Transgiordania ed Iraq re di discendenza hascemita, risalenti al profeta Maometto, i musulmani arabi sunniti continuarono per molto tempo a perseguire il progetto politico di uno Stato arabo unitario, dapprima sotto la guida del Gran Mufti di Gerusalemme, Amin al-Husseini, che sostenne contro gli Inglesi la causa palestinese e il progetto panarabo della Grande Siria[1].
All'indomani della nascita di Israele nel 1948, la Cisgiordania e Gerusalemme furono conquistate dal re di Giordania Abd Allah I, che depose il Gran Mufti al-Husseini, nominando al suo posto Hussām al-Dīn Jār Allāh, mentre anche nel regno dell'Iraq, il re Faysal I, fratello di Abd Allah I, continuò a sostenere l’islam sunnita, con amministratori delle moschee, predicatori e muezzin equiparati a funzionari statali, e regolamentando le fondazioni caritative. L'ideale panarabo portò anche a un tentativo di federazione tra Giordania ed Iraq nel 1958, fermato repentinamente dal colpo di Stato di ʿAbd al-Karīm Qāsim, che diede origine alla Repubblica.
Da allora non vi è più stato un unico rappresentante ufficiale degli ulema, che tuttavia continuarono a rappresentare l'elite religiosa, unita dalla comune formazione erudita e visione della società, soggetta a regolamentazione e finanziamento statali (a differenza degli sciiti, che erano organizzati attraverso fondazioni private autogestite che si reggevano su donazioni private).[2]
Consiglio islamico degli ulema
Il partito Ba'th, al governo dal 1968, impose ai religiosi sunniti l'adesione all'ideologia secolarista del partito, e di includere nei sermoni riferimenti agli scopi della rivoluzione.[2][3][4] In particolare, negli anni della guerra con l'Iran successiva alla rivoluzione iraniana, una legge del 1980 incaricò le scuole superiori islamiche per la formazione dei predicatori di "dare agli studenti un'educazione patriottica, nazionalistica, spirituale e rivoluzionaria",[2] ed una nel 1985 trasformò l'istituto religioso tradizionale dell'Imam Abu Hanifa a Baghdad in una moderna università, l'Alta Accademia Islamica per la Formazione di Imam e Predicatori.[2]
Secondo alcuni analisti, l'intervento pubblico nella realizzazione di moschee e nella formazione dei predicatori incontrò il favore dei religiosi sunniti, per il rinnovato sostegno alla declinante pratica religiosa nel popolo, mancando nella tradizione sunnita l'esigenza di separazione tra Stato e religione.[2][4] Ciò indusse nel 1989 il presidente Saddam Hussein a dare una svolta religiosa all'ideologia baathista, attribuendo al fondatore del Ba'th, Michel Aflaq, la conversione all'islam sul letto di morte, aggiungendo il takbir alla bandiera irachena nel 1991 e rivendicando il Kuwait, iniziando la guerra del Golfo.
Nel giugno 1993, successivamente all'embargo internazionale contro l'Iraq, Saddam Hussein promosse, attraverso i media del partito ed il coinvolgimento dei religiosi sunniti, una Campagna per la fede ("al-Hamlah al-Imaniyyah" ), fondendo l'ideologia baathista del nazionalismo arabo e l'islam sunnita salafita, in una miscela di antiamericanismo e antisionismo. Secondo alcuni analisti, piuttosto che una reale islamizzazione della legislazione, che, a parte l'introduzione di alcuni elementi di Shari'a, rimase saldamente ancorata al sistema di diritto civile occidentale, la campagna aveva l'obiettivo di contenere il malcontento della popolazione sunnita dovuto alle conseguenze sociali dell'embargo, e di limitare l'affermazione nell'Iraq meridionale di movimenti sciiti sadristi ostili al regime.[2][4] Ciò indusse gli Stati Uniti a porre fine al regime con la guerra in Iraq.
All'indomani della deposizione di Saddam Hussein il 9 aprile 2003, gli ulema sunniti continuarono a rivendicare la guida dell'islam riunendosi dal 14 aprile 2003 nel Consiglio islamico degli ulema, presieduto dallo shaykh Harith Sulayman al-Dhari, già Professore di Diritto islamico all'Università di Baghdad,[6] e continuando ad amministrare gli edifici di culto attraverso un proprio fondo, a seguito dell'insediamento del Consiglio di governo iracheno. La Moschea Umm al-Qura, nella periferia occidentale di Baghdad, eretta nel 1998 da Saddam Hussein, divenne la sede del Consiglio degli ulema.[5]
Il portavoce degli ulema Muhammad al-Kubaysi dichiarò che "sotto occupazione è impossibile una reale democrazia",[7] non riconoscendo le istituzioni transitorie a causa della "presenza di una potenza straniera che occupa il Paese e rifiuta anche di pianificare il ritiro delle sue forze dall'Iraq".[8] Dopo il fallimento di una mediazione, nel gennaio 2005, con un diplomatico statunitense, che rifiutò la richiesta di definire il termine per il ritiro delle truppe straniere, il Consiglio degli ulema emise una fatwā, vietando ai fedeli sunniti la partecipazione al processo politico e alle elezioni,[9] sostenendo la "legittima resistenza irachena", pur distinguendola dalla violenza terroristica e settaria.[10] A differenza degli sciiti, il cui grande Ayatollah Ali al-Sistani aveva ottenuto un riconoscimento di primo piano dalle autorità internazionali,[11] l'Islam sunnita salafita non accettò alcuna rappresentanza nelle nuove istituzioni, avallando il jihād contro le forze occupanti.[12][13][14] Negli anni seguenti, le moschee controllate dagli ulema furono riprese dalle forze Sahwa e dell'esercito iracheno ed affidate alla cura dell'Ufficio del Waqf sunnita.[15]
Dopoguerra
Consiglio di legittimità giuridica
A seguito del ritiro delle truppe americane nel dicembre 2011, il governo sciita di Nuri al-Maliki cercò di integrare anche la componente salafita nel processo politico, avvalendosi del religioso salafita shaykh Mahdi al-Sumaidaie[13], fautore del tentativo velleitario di convincere i predicatori salafiti favorevoli al jihād a entrare a far parte di un Consiglio sulla Shari'a assieme ad ulema sciiti per formare un’autorità religiosa unificata[12]. Il tentativo di legittimare il processo politico a guida sciita rese lo sheikh al-Sumaidaie inviso ai gruppi insorgenti, che organizzarono diversi tentati attentati contro di lui[13].
Nell'ottobre 2012, il Parlamento iracheno, regolamentando la gestione e il sovvenzionamento delle dotazioni religiose sunnite e sciite[2][17], riconfermò il ruolo anche istituzionale svolto dal Grande Ayatollah sciita nella nomina del presidente dell'Ufficio delle Dotazioni religiose sciite[18], ed attribuì per la prima volta un analogo ruolo nella nomina del presidente dell'Ufficio delle Dotazioni religiose sunnite al "Consiglio del Fiqh degli Ulema per la predicazione e le fatwe" ( al-Mujamma’ al-Fiqhi li-Kibar ‘Ulama al-‘Iraq li-l-Da’wa wa-l-Ifta’), un'associazione composta da studiosi sunniti fuoriusciti dall'Associazione degli Ulema di Dhari e legati al Partito Islamico Iracheno. Alla presidenza del Consiglio del Fiqh vi era lo shaykh Dr. Ahmed Hasan al-Taha, uno dei fondatori nel 2003 dell'Associazione degli Ulema Islamici[19][16].
Tuttavia in occasione delle proteste del dicembre 2012, anche il Consiglio del Fiqh emise delle fatwe a sostegno degli insorgenti, contro il premier Nuri al-Maliki e il suo governo a prevalenza sciita, e continuò a sostenere gli insorgenti anche in seguito all'aggravarsi della rivolta nel governatorato di al-Anbar. In tale occasione, il muftī Rafi' Taha Al-Rifa'i Al-Anim, in un'intervista alla tv Al Jazeera, esortò anche i sunniti dei governatorati di Tikrit e Samarra a ribellarsi all'esercito iracheno, mentre l'emiro della tribù Dulaym, shaykh Ali Hatem Suleiman, invitava a boicottare le elezioni ed a ricercare l'autonomia dei governatorati sunniti[20]. Anche a seguito dell'affermazione dello Stato Islamico nel nord dell'Iraq e della proclamazione del Califfato a Mosul nel giugno 2014, condannato da numerose fatwe dal mondo islamico sia sciita che sunnita, incluso il Grande Imam di al-Azhar[21], il muftī Al-Rifa'i continuò a sostenere il diritto degli insorgenti a difendersi dagli attacchi dell'esercito iracheno[22], invitandoli a non combattere contro Daesh, come richiesto loro dal governo centrale, e rifiutandosi di riconoscerli come terroristi[23].
Lo Stato Islamico, assumendo il controllo dei territori insorgenti, vi istituì una serie di Ministeri, tra cui il Diwan al-Ifta' wa al-Buhuth, con il compito di emettere fatwe per la notifica a tutti gli abitanti dello Stato, concernenti una diversità di argomenti come la liceità di mangiare carne importata dalla Turchia e di giocare a calcio balilla[24]. A capo della Dar al-Ifta del Daesh vi fu il Gran Mufti Turki Al-Binali, ucciso da un raid americano nel giugno 2017[25].
Successivamente il Consiglio del Fiqh (al-Majma al Faqahi al-Iraqi) ha sostenuto il governo sciita di Haydar al-Abadi nella lotta all'ISIS, condannandone la violenza terroristica[26][16].
Consiglio sunnita della fatwa
In seguito all'affermazione dello Stato Islamico, il governo sciita di Nuri al-Maliki difese lo shaykh Mahdi al-Sumaidaie, alla presidenza del Consiglio Sunnita della Fatwa, dalle accuse di complicità con il terrorismo[27]. A seguito della proclamazione del Califfato a Mosul da parte di Daesh, l'ayatollah sciita Ali al-Sistani emise una fatwa di condanna contro quest'organizzazione, invitando "tutti gli iracheni abili" al jihad contro di essa, dando legittimazione religiosa alla lotta delle milizie delle Forze di Mobilitazione Popolare[28]. Nel giugno 2014, anche lo shaykh Mahdi al-Sumaidaie si pronunciò ufficialmente contro lo Stato islamico, definendolo un progetto straniero e invitando gli iracheni ad unirsi per combatterlo[29].
Sebbene non riconosciuto da tutti i sunniti iracheni[30], lo shaykh Mahdi al-Sumaidaie fu sostenuto nelle veci di Gran Mufti dei sunniti dal governo iracheno[31], essendo a capo della Dar al-Ifta Ahlus Sunnah wal Jamaah in Iraq, nella moschea Umm al-Tubul di Baghdad[32], per ricercare il sostegno anche dei cittadini sunniti nella lotta contro il Daesh intrapresa dall'esercito iracheno e dalle Forze di Mobilitazione Popolare[33].
Nel gennaio 2016, il Gran Mufti Mehdi al-Sumaidaie presenziò alla cerimonia di promozione di oltre 500 combattenti sunniti, al termine di due mesi di addestramento, per unirsi alle Forze di Mobilitazione Popolare contro Daesh[34]. Daesh rivolse anche contro di lui minacce ed un tentativo di attentato[35].
Nel giugno 2016, in occasione della liberazione dall'ISIS della città in maggioranza sunnita di Falluja, la Dar al-Ifta sunnita, attraverso il suo portavoce Sheikh Amer al-Bayati, dichiarò che la partecipazione alla battaglia di tutti gli iracheni di ogni etnia e religione mostrava la falsità della propaganda di Daesh che vorrebbe descrivere la guerra civile come quella di "una componente religiosa contro l'altra"[36]. Analoghi proclami sono stati fatti dallo Sheikh Abdul Mahdi al-Karbalai, portavoce dell'Ayatollah sciita di Najaf Al Sistani, e dallo Sheikh Sami al-Masudi, dell'Ufficio del Waqf sciita[36].
Nel dicembre 2016, il Consiglio giuridico islamico presieduto dallo Sheikh Mahdi al-Sumaidaie emise una fatwa invitando i predicatori e leader politici che avevano sostenuto la rivolta nell'Anbar e lo Stato Islamico a lasciare il Paese, in quanto il loro tentativo di ostacolare il processo politico è fallito ed ha portato solo distruzione[37].
Il 2 gennaio 2017, la moschea Umm al Tubul, sede della Dar al-Ifta, fu colpita da un'autobomba. L'attentato fu rivendicato da Daesh[35][38]. Nei giorni seguenti, lo sheikh Sumaidaie dichiarò in tv che i politici iracheni non dovrebbero chiedere l'intervento di Paesi stranieri occidentali in Iraq, che sono la causa dei continui attentati nel Paese[39].
Secondo il canale israeliano Memri Tv, nel marzo 2017 il portavoce della Dar al-Ifta sunnita Al-Bayati avrebbe dichiarato in un'intervista televisiva che gli iracheni, dopo aver combattuto contro ebrei e americani (quali sostenitori occulti di Daesh), avrebbero dovuto rivolgersi direttamente contro Israele per liberare la Palestina dagli ebrei[40].
Il 28 marzo 2017, a seguito di una conferenza interreligiosa internazionale, il Gran Mufti dei sunniti Sumaidaie visitò il santuario sciita dell'imam Husayn a Kerbela, invitando a rifiutare i discorsi di predicatori e politici che cercano di dividere la nazione irachena[41]. Nella stessa data, una delegazione della Darul Iftaa Ahl al-Sunna wa Jamaa'ah, guidata dallo shaykh al-Bayati, visitò l'università Mustansiriyya di Baghdad[42].
Nel febbraio 2018, il gran mufti Sumaidaie ha elogiato il ruolo delle milizie iraniane nella lotta all'ISIS e si è fatto promotore del ruolo della Repubblica Islamica in Iraq[43].
Nell'agosto 2018, il portavoce della Dar-al-Ifta, al-Bayati, ha denunciato in un'intervista televisiva la cooperazione di alcuni Paesi islamici del Golfo (come l'Arabia Saudita) con gli Stati Uniti nell'imporre sanzioni contro l'Iran e la Turchia, dichiarando che per la loro collaborazione tali Paesi si pongono "fuori dall'Islam"[44][45].
Nel dicembre 2018, il Gran Mufti ha ricevuto la visita del Comandante delle forze armate iraniane Qasem Soleimani, alla presenza del vice-comandante delle PMF sciite Abu Mahdi al-Muhandis, ottenendo dall'esercito iraniano un'importante onorificenza per la "salda posizione in difesa dell’Islam" e la "sincerità dei sentimenti e della spinta verso la liberazione della Palestina"[46], suscitando l'attenzione israeliana[47]. Secondo fonti israeliane, nell'incontro, svoltosi all'indomani delle elezioni legislative del 2018, si sarebbe discusso della formazione del nuovo governo[47].
Nel dicembre 2018, a seguito della decisione del governo iracheno di includere il Natale tra le festività nazionali, il gran mufti Sumaidaie ha emesso una fatwa invitando i musulmani sunniti a non prendere parte alle celebrazioni del Natale e del Capodanno, in quanto ciò equivarrebbe ad approvare il credo cristiano[48][30]. La fatwa ha suscitato la protesta del patriarca caldeo Louis Sako[49], che ha esortato alla "convivenza pacifica" e "rispetto reciproco" tra le religioni, ed ha esortato il governo iracheno a contrastare chi diffonde idee divisive "specialmente da una piattaforma ufficiale"[50]. Anche molti musulmani hanno preso le distanze da questa fatwa, inclusi il presidente dell'Ufficio del Waqf sunnita al-Heymem, che ha evidenziato che i cristiani sono una "componente essenziale" della nazione irachena, con "radici profonde" nella storia del Paese[50], il presidente del Ministero degli Affari religiosi della regione autonoma del Kurdistan, che ha chiesto di prendere un provvedimento legale contro il gran mufti, e l'associazione della minoranza yazida[50].
Lista
- Saddam Hussein (settembre 1980 - 9 aprile 2003)
- Harith Sulayman al-Dhari (14 aprile 2003 - 31 gennaio 2005) (Consiglio islamico degli ulema)
- Abdul Ghafur al-Samarrai (agosto 2005 - ottobre 2012) (Ufficio del Waqf sunnita)
- Ahmed Hasan al-Taha (ottobre 2012 - gennaio 2014) (Consiglio del Fiqh)
- Rafi' Taha Al-Rifa'i Al-Anim (gennaio 2014 - giugno 2014) (governatorato di al-Anbar)
- Abdul-Mehdi al-Sumaidaie (giugno 2014 - presente) (Consiglio sunnita della Fatwa)
Note
- ^ La prima tempesta nel deserto: Quando l’Iraq si alleò con l’Italia e la Germania (PDF), su difesa.it, 2009. URL consultato il 12 gennaio 2019.
- ^ a b c d e f g The Sunni Religious Leadership in Iraq, su hudson.org, giugno 2018. URL consultato il 17 gennaio 2019.
- ^ Ordinanza sull'Ufficio delle Istituzioni religiose e caritative, 1976
- ^ a b c Aaron M. Faust, The Ba'thification of Iraq: Saddam Hussein's Totalitarianism, University of Texas Press, pagg.130-132, 15 novembre 2015
- ^ a b Sunni and Shia unite against common enemy, in The Guardian, 10 aprile 2004. URL consultato il 21 gennaio 2019.
- ^ Who's who in Iraq: Sunni groups, in BBC news, 17 giugno 2004. URL consultato il 18 gennaio 2019.
- ^ Roel Meijer, The Association of Muslim Scholars in Iraq
- ^ Ams Critical Of Iraq Elections, in Al Jazeera (archiviato dall'url originale il 17 aprile 2007).
- ^ (EN) Us Rejects AMS' Poll Conditions, in Al Jazeera (archiviato dall'url originale il 20 aprile 2007).
- ^ Iraq blasts mar Muslim holy month, in BBC news, 16 ottobre 2004. URL consultato il 18 gennaio 2019.
- ^ Stephan Talmon, The Occupation of Iraq: Volume 2: The Official Documents of the Coalition Provisional Authority and the Iraqi Governing Council, Bloomsbury Editore, 8 febbraio 2013 - 1572 pagine. Cf. pagg. 582-586
- ^ a b new religious authority brings sects and terror groups together, in niqash, 1º febbraio 2012. URL consultato il 19 gennaio 2019.
- ^ a b c Bomb Wounds Iraqi Sunni Cleric Who Urged Cooperation With Shiites, in New York Times, 19 agosto 2012. URL consultato il 19 gennaio 2019.
- ^ U.S. Soldier Is Killed as Helicopter Is Shot Down in Iraq, in New York Times, 3 gennaio 2004. URL consultato il 19 gennaio 2019.
- ^ today was a good day, 28 novembre 2008, accesso 21 gennaio 2019
- ^ a b c The Speaker visits Fiqh Council of Senior Scholars and meets Sheikh Ahmed Hasan al-Taha, in Parlamento iracheno, 23 settembre 2018.
- ^ Cfr. Legge n. 56 del 2012 sugli Awqaf sunniti
- ^ Cfr. Legge n. 57 del 2012 sugli Awqaf sciiti
- ^ President of Al-Iraqia visits Fiqh Council of Senior Scholars, in Al-Iraqia University, 20 maggio 2015.
- ^ Sunni Iraqi Leaders Call to Fight "Invading" Government Forces, su memri.org, Memri TV, 7 gennaio 2014. URL consultato il 19 gennaio 2019.
- ^ Ma il vero islam è un'altra cosa, su famigliacristiana.it, Famiglia Cristiana, 25 settembre 2014. URL consultato il 12 gennaio 2019.
- ^ Gran Muftì dell’Iraq appoggia i terroristi islamici: «È una rivoluzione popolare», in Tempi, 26 giugno 2014. URL consultato il 19 gennaio 2019.
- ^ Sunni Mufti of Iraq Rafi' Taha Al-Rifa'i: We Are Not Stupid Enough to Fight ISIS; The Shiites Would Slaughter Us, in Memri TV, 4 dicembre 2014. URL consultato il 19 gennaio 2019.
- ^ Aymenn Jawad Al-Tamimi, The Evolution in Islamic State Administration: The Documentary Evidence, su aymennjawad.org, 5 agosto 2015. URL consultato il 19 febbraio 2019.
- ^ Siria: ucciso il Gran Mufti dello Stato Islamico, in sicurezzainternazionale.luiss.it, 22 giugno 2017. URL consultato il 12 gennaio 2019.
- ^ Hamza Mustafa, ISIS Claims Responsibility for Kadhimiya Blast, in asharq al-awsat, 25 luglio 2016. URL consultato il 19 febbraio 2019.
- ^ MoI denies news reported about Sheikh Mahdi Sumaydai, in Iraqi news, 4 febbraio 2014. URL consultato il 19 gennaio 2019.
- ^ Ayatollah al-Sistani’s jihad fatwa disturbed enemies’ equations: Head of the Union of Iraqi Sunni Scholars, su shiitenews.org, Shiite News, 23 settembre 2016. URL consultato il 19 febbraio 2019.
- ^ Grand Sunni Mufti in Iraq: ISIS Must be Stopped (English Subs), in Monitor Mideast, 14 giugno 2014. URL consultato il 19 febbraio 2019.
- ^ a b Iraqi Grand Mufti says New Year’s celebrations ‘not permissible’, su kurdistan24.net, Kurdistan 24, 28 dicembre 2018. URL consultato il 17 gennaio 2019.
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- ^ The Sunnah in Iraq- Reality and Future, su fikercenter.com, 16 ottobre 2015. URL consultato il 19 gennaio 2019.
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- ^ Ali Tekmaji, Sunni Iraqi Religious Authority Fends Off Accusations of Sunni Collaboration with ISIS, States: We Will Fight on the Golan to "Liberate Palestine from the Claws of the Jews", in Memri TV, 10 marzo 2017. URL consultato il 19 febbraio 2019.
- ^ Ali Tekmaji, Iraq’s Grand Sunni Mufti calls for unifying Iraq and the public opinion from Imam Hussein Holy Shrine, in Imam Hussein Holy Shrine, 29 marzo 2017. URL consultato il 19 febbraio 2019.
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- ^ Sunni Mufti praises Iran position in region, world, su irna.ir, Islamic Republic News Agency, 10 febbraio 2018. URL consultato il 12 gennaio 2019.
- ^ Iraqi Sheikh al-Bayati Denounces the Cooperation of Some Arab and Islamic Countries with the US, su u-news.net, Unews Press Agency, 16 agosto 2018. URL consultato il 19 febbraio 2019.
- ^ Sheikh al-Bayati: All Muslims Should Stand with Iran and Turkey to Defeat the American Blockade, su u-news.net, Unews Press Agency, 16 agosto 2018. URL consultato il 19 febbraio 2019.
- ^ Iraq-Iran: generale Soleimani ricevuto a Baghdad dal Gran muftì dei sunniti al Sumaida’i, su agenzianova.com, Agenzia Nova, 5 dicembre 2018. URL consultato il 19 febbraio 2019.
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- ^ Il governo iracheno eleva a festività nazionale il Natale, su lanuovabq.it, la nuova Bq, 31 dicembre 2018. URL consultato il 12 gennaio 2019.
- ^ Iraq: Muslim scholars should fight Islamist ideas, su gfbv.de, 8 gennaio 2019. URL consultato il 19 febbraio 2019.
- ^ a b c Iraq: Muslim scholars should fight Islamist ideas, su gfbv.de, 3 gennaio 2019. URL consultato il 19 febbraio 2019.