Rocco (famiglia)
La famiglia Rocco è una casata originaria di Napoli, ascritta al Seggio di Montagna sin dal XIII secolo.
![]() Rocco del Seggio di Montagna | |
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Stato | ![]() ![]() ![]() |
Titoli | ![]() ![]() |
Fondatore | Guido († 3 ottobre 1267) |
Data di fondazione | XIII secolo |
Rami cadetti |
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![]() Rocco di Torrepadula | |
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![]() Cimato d'elmo posto in profilo, sormontato da un pennacchio di tre penne dei colori dello scudo, infilzate da quattro corone antiche d'oro, due nella penna di mezzo, una in ciascuna penna di lato.
Raccolto sotto un manto di velluto di porpora, soppannato di seta bianca e bordato d'oro, a sua volta sormontato da elmo d'oro, posto di fronte e semiaperto | |
Stato | ![]() ![]() ![]() |
Titoli | ![]() ![]() |
Fondatore | Carlo (*1 settembre 1588 - † 22 gennaio 1651) |
Data di fondazione | 1641 |
![]() Rocco di Lettere | |
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![]() Corona del Patriziato | |
Stato | ![]() ![]() |
Titoli | ![]() ![]() |
I suoi esponenti, insigniti dei titoli di nobile e patrizio napoletano, occuparono nei Regni di Napoli e delle Due Sicilie "fin dal tempo dei re angioini, importanti cariche in Corte ed uffici pubblici, nelle Milizie, nelle assemblee e nelle magistrature, distinguendosi specialmente nel campo giuridico, nel quale ebbero giureconsulti insigni"[1].
Dalla seconda metà del Cinquecento, rami collaterali si svilupparono, a Lettere, dove acquisì il titolo di Patrizio di quella città, e a Bovino, Rossano, Gallipoli, Cava dei Tirreni, dove si persero invece le qualifiche nobiliari.
Alla linea principale napoletana, trasferitasi nel frattempo in Casoria, fu conferito nel 1641 il titolo di Principe di Torrepadula.
Storia della famiglia
La storia della famiglia Rocco è stata oggetto di studio - già a partire dalla fine del XVI secolo - dei maggiori genealogisti del Mezzogiorno d'Italia.
L'epoca angioina (1266 - 1442). Il Seggio dei Rocchi ed il Seggio di Montagna
I primi membri della famiglia Rocco ad essere citati negli studi genealogici del XVI secolo sono due esponenti della classe mercantile di Amalfi che dopo il 1266 entrarono a far parte dei finanziatori della corte di Carlo I d'Angiò, impegnato in quel periodo nel conflitto contro Corradino di Svevia e, per questo motivo, gratificati dal sovrano angioino di riconoscimenti e privilegi:
- Guido († 3 ottobre 1267), dapprima Consigliere del Re[2], ne divenne presto Maestro Ciambellano[3][4][5] e successivamente inviato presso vari Paesi esteri come Ambasciatore del Sovrano.[6] Per effetto delle benemerenze maturate, Carlo I d'Angiò concesse a Guido Rocco ed ai suoi discendenti il diritto di essere seppelliti presso una cappella della Basilica di San Lorenzo Maggiore, appena ingrandita e rinnovata. Scipione Mazzella, che scrive nel 1601, ci ricorda che in quella chiesa "molte onorate sepolture di marmo fanno fede dell'antichità e nobiltà insieme della famiglia Rocco, tra le quali una ve n'era (...) nella quale si leggeva quest'epitaffio"[7]:
- Filippo, era ricordato tra quelli che ancora nel 1272 anticipavano denari per sovvenzionare le imprese militari di Carlo d'Angiò[8][9] e "tutti i suoi bisogni, aiutato da altri Mercadanti Gentil'uomini" della riviera amalfitana[10].
Anche sotto Carlo II d'Angiò "furono i Rocchi sempre impiegati ne servigi dei loro Re naturali e da essi fedelmente serviti"[11]:
- Marino, Dottore in Legge, anch'egli scelto dal Re quale suo Consigliere ed Ambasciatore [12][13];
- Giovanni, soldato, nominato dal Re Maestro Maresciallo, "per i suoi servigi ricevé dal Re in dono il Castello di Rocca di Baucio"[14][15] e fu inserito nel novero degli "Inquisitori dei feudatari" nell'ambito della campagna di accertamenti disposti da Re Roberto nel 1285 sul conto di____[16].
Nel periodo di Re Roberto d'Angiò emersero, tra gli altri:
- Marco, "dotto giureconsulto"[17] che inaugurò la tradizione familiare di esimi uomini di legge e che arrivò a ricoprire, nel 1332, la carica di Giudice della Gran Corte della Vicaria, la prima magistratura di appello di tutte le corti del Regno di Napoli per le cause criminali e civili. Conobbe diffusa popolarità poiché si fece promotore e autore di una legge che perseguisse "coloro che - sotto colore di matrimonio - rapivano le donzelle vergini"[18][19][20][21];
- Nardo († 1335), fu nominato "Giustiziere" in Terra di Lavoro (antica denominazione della provincia di Caserta) che, ci informa Tutini, "tanto era, quanto Viceré di quella provincia"[22][23][24][25]. Anche di Nardo Rocco si conservava memoria di una tomba all'interno di San Lorenzo Maggiore, recante la seguente iscrizione:[26]
- Luca, militare di professione e "Cavaliere preclarissimo, fu etiandio di molta stima di Re Roberto"[27] e per questo inviato come "Capitano a guerra" presso la città di Santa Severina in Calabria [28], ovvero quale Prefetto della Città e Governatore politico e militare[29][30].
Nell'interregno della Regina Giovanna I trovarono spazio nelle citazioni dei cronisti e dei genealogisti Simone, cavaliere citato in un indulto reale del 1380[31][32][33][34] e Francesco, anch'egli ricompreso tra i giudici della Gran Corte della Vicaria.
Sotto Re Ladislao I assunsero rilievo:
- Andrea che, quando il sovrano determinò la riorganizzazione della Regia Camera della Sommaria, fu nominato "Maestro Razionale" ed entrò a far parte della Magna Curia Magistrorum Rationarum ovvero del massimo organo di revisione dei conti del Regno[35][36][37][38]. Il rango rivestito dava diritto anche ad Andrea Rocco di essere sepolto nella cappella familiare di San Lorenzo Maggiore, sotto una lapide - anch'essa persa a seguito delle ristrutturazioni di fine '400 - molto consumata dal tempo, tanto di non consentire di rilevarne la data di morte:[39]
- Marino, "Ambasciatore in corti straniere"[40], al quale per i servigi resi fu conferito il cavalierato dell'Ordine della Leonza (o Leonessa)[41][42][43].
Al tempo della Regina Giovanna II, Bartolomeo seguì le orme del suo avo Andrea e divenne a sua volta Maestro Razionale della Camera della Sommaria. Nel 1417 fu incaricato di sovraintendere alla revisione dei confini delle varie universitates del Regno ed in particolare di risolvere una vertenza di confini tra l'Agro aversano e quello di Capua[44][45][46].
L'epoca aragonese (1442 - 1516): da Simonello a Giacomo Rocco
Anche sotto la dominazione aragonese la famiglia Rocco continuò a fornire esponenti di primo piano nelle gerarchie civili, giudiziarie e diplomatiche del Regno di Napoli. Di quel periodo, si ricordano, in particolare:
- Simonello (o Simonetto), "Cavaliero e Consigliero di Re Alfonso I"[47], rivestì varie cariche della gerarchia nell'ordinamento civile e giudiziario aragonese, fino a diventare Presidente della Regia Camera della Sommaria e, sotto Ferdinando I, Consigliere di Stato. Sposò Francesca Ferrillo dei Conti di Muro, dalla quale ebbe ben dodici figli[48][49][50][51][52][53];
- Mattia, primogenito di Simonello, anch'egli membro di rilievo della corte aragonese, al quale Ferdinando I donò il feudo di Casella in Principato Citra (secondo alcuni corrispondente alla Rocca di Caselle in Pittari, in provincia di Salerno, già appartenuta al ribelle Guglielmo Sanseverino Conte di Capaccio e a questi requisita dal demanio dopo la repressione della "Congiura dei Baroni" [54][55][56];
- Giacomo († 1503), quintogenito di Simonello, a buon diritto considerato come l'esponente di maggior rilievo della famiglia, almeno per i primi quattro secoli di storia della casata. Collaboratore di primo piano di Re Federico, Ambasciatore della Casa aragonese in Egitto e Turchia, fu protagonista di delicate missioni diplomatiche tra il 1501 ed il 1503, tra il periodo di interregno della Casa Valois-Orléans e la riconquista del Regno di Napoli da parte di Ferdinando il Cattolico, a cui Giacomo prestò giuramento di fedeltà il 23 maggio 1503, pochi mesi prima di morire. Nella sua carriera diplomatica ebbe la singolare ventura di servire ben quattro re aragonesi (Alfonso I, Ferdinando I, Alfonso II, Ferdinando il Cattolico) ed in ricordo di ciò qualche tempo dopo lo stemma di famiglia fu arricchito del cimiero da Patrizio napoletano, decorato da quattro grandi piume, ognuna caricata da una corona regale. La circostanza è eternata anche nei bassorilievi e nell'iscrizione che decorano il sarcofago marmoreo che ancora oggi si può ammirare presso uno degli ingressi laterali di San Lorenzo Maggiore:[57][58][59][60][61][62][63][64]
Detto di Fra Girolamo Rocco e dei suoi nipoti Fabio, Marcello, Annibale e Ferrante, stimati cavalieri dell'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme alla fine del Quattrocento, ed in particolare gli ultimi due, che si distinsero in alcune delle battaglie contro i Turchi[65], nei primi decenni del secolo successivo conobbe altresì posizioni di rilievo Giovanni Tommaso, che rivestì la carica di Regio Ciambrerio (o Cimbrerio o Assimbrerio) ovvero l'alto funzionario deputato alla convocazione dei "parlamenti regali e assemblee che si facevano in Regno"[66][67][68].
L'epoca degli Asburgo di Spagna (1516 - 1700)
Dopo la morte di Ferdinando III, i territori legati alla Corona d'Aragona (e dopo la morte della figlia Giovanna, anche quelli della Corona di Castiglia) passarono alla Casa d'Asburgo, che tramandò il Regno di Napoli attraverso la sua linea spagnola, iniziata da Carlo V (che come Re di Napoli assunse l'ordinale di Carlo IV).
Assunsero rilievo in quel periodo le figure di:
- Pietro († 1518), cavaliere dell'Ordine della Leonza, che sposò Porfida Molosacchia (o Musacchia, o Musachi), principessa di sangue reale della stirpe dei Comneno Ducas, in quanto figlia di Giovanni Musachi despota dell'Epiro, ritiratosi a Napoli nel 1476 dopo la definitiva conquista del despotato da parte degli Ottomani[69]. Anche Pietro e Porfida furono seppelliti in San Lorenzo Maggiore e la loro storia succintamente raccontata nell'epigrafe posta sul sacello funebre[70][71][72][73][74]:
- Francesco, "savio amministratore della cosa pubblica"[76] e "Cavalier assai lodato ne'maneggi de'publici affari della Città e testimonio ne fu la sua morte pianta e compassionata da tutti i buoni"[77]. Quale rappresentante del Seggio di Montagna, fu chiamato a far parte - insieme ad altri due Rocco, Giovan Simone e Piero - della cerimonia solenne dell'ingresso trionfale di Carlo V a Napoli, il 25 novembre 1535[78]. Il ruolo di primo piano rivestito dai tre Rocco in quella circostanza fu sottolineato dal poeta coevo Giovanni Battista Pino[79] nella sua opera maggiore Triompho di Carlo Quinto a’ cavalieri et alle donne napoletane, edito a Napoli l'anno successivo, nel quale si leggono i seguenti versi, tra quelli che descrivevano le maggiori personalità napoletane, in attesa dell'arrivo dell'Imperatore d'Asburgo:[80]
- Decio, figlio di Giovanni Antonio e Livia Pisanella, fu "Preside e Governatore delle Provincie di Capitanata e Contado di Molise[81][82][83]. Nel 1591 e 1593 fu deputato al Parlamento Generale di Napoli, in rappresentanza del Seggio di Montagna.[84] Sposò Camilla Carafa della Spina, dalla quale non ebbe figli. Ancora oggi la cappella di famiglia in San Lorenzo Maggiore, adornata dello stemma congiunto bipartito Rocco-Carafa, ospita la tomba dei due con l'iscrizione:[85]
- Cesare, citato nell'epigrafe precedente, fratello di Decio e suo "erede per testamento", sposò Ippolita Carafa della Spina, sorella della cognata Camilla, dalla quale ebbe dodici figli maschi "cavalieri degnissimi tra quanti ne nacquero in questa Città di Napoli".[86] Cesare Rocco fu militare di professione, dapprima "Capitano di una Compagnia di 300 lance albanesi"[87] e poi "Governatore di otto Compagnie d'Infanterie Napoletane",
con le quali fu tra i protagonisti dell'assedio di Milano del 1524, uno dei maggiori fatti d'arme della guerra d'Italia del 1521–1526, avvenuto pochi mesi prima della definitiva vittoria delle truppe imperiali di Carlo V nella battaglia di Pavia.[88][89]Al termine della guerra, Cesare fu eletto dapprima Deputato per il Seggio di Montagna al Parlamento Generale di Napoli (1586)[90] e successivamente nominato Sindaco in rappresentanza dell'intera città nel medesimo alto consesso, convocato nel 1621. [91] Essendosi dimostrato anche "nei magistrati civili, operoso e solerte ed eloquentissimo nei parlamenti",[92] gli fu concesso il titolo di Barone di Montedimezzo[93]
Dei dodici figli di Cesare Rocco e Ippolita Carafa furono ricordati Bernardo, Razionale della Regia Camera della Sommaria[94], Ottavio, che seguì le orme militari paterne "militando Fiandra, Alemagna e Ungheria, nei quali combattimenti si segnalò per tratti di valore",[95] "al suo comando ebbe più di mille soldati e tiene oggi (1644) carico di Sergente Maggiore del Battaglione nella Provincia di Terra d'Otranto",[96][97] Fra Gennaro dei Conventuali Francescani, "Diffinitore Generale perpetuo" nella provincia di Napoli (massima carica onorifica dell'Ordine), curatore della Basilica di San Lorenzo Maggiore e promotore di cospicui restauri della chiesa, che recuperò da rovina certa e che è ricordato dal Capecelatro per essere stato protagonista in un episodio della rivolta popolare del 1647:[98]
I Principi di Torrepadula
Carlo Rocco, primo Principe di Torrepadula
La linea principesca della famiglia Rocco ha origine con Carlo (*1 settembre 1588 - † 22 gennaio 1651), figlio primogenito di Cesare, che con privilegio di Filippo IV del 13 febbraio 1641, poté associare al baronato di Montedimezzo, ereditato dal padre, anche il titolo di Principe di Torrepadula, conferito suosque heredes et successores, in riconoscimento dell'"antica nobiltà della sua casa, dei meriti di suo padre e dei suoi maggiori e dei servigi resi alla Corona".[99]
Andrea[100] Maestro Razionale | ||||||||||
Simonello Presidente della Camera della Sommaria | ||||||||||
Mattia Titolare del Feudo di Casella | Giacomo Ambasciatore presso quattro re aragonesi | Giovanni Tommaso Regio Ciambrerio | ||||||||
Giovanni Ferrante | Giovanni Antonio | |||||||||
Decio Governatore di Capitanata e Molise | Cesare Barone di Montedimezzo | |||||||||
Carlo (*1558-†1651) I Principe di Torrepadula (1641) Rinuncia (1649) | Giovanni (*1559-†1652) Si trasferisce a Casoria (1610) | Ottavio | ||||||||
Agostino | Ippolita (†1672) 1 | |||||||||
Giovanni(*1611) II Principe di Torrepadula (1649) | ||||||||||
Giuseppe(*1639) | ||||||||||
Giovanni(*1660) | ||||||||||
Marco(*1685) | ||||||||||
Innocenzo(*1731) | ||||||||||
Marco(*1770-) | ||||||||||
Niccola (*1811-†1877) | Giovanni (*1806-†1864) VIII Principe di Torrepadula 2Sent. 20.8.1860 | Gennaro (*1814-†1899) | Giuseppe (*1815-†1884) | |||||||
Marco (*1848-†1916) Conte di Torrepadula Deputato dalla XV alla XXI leg. Regno d'Italia | Innocenzo (*1851-†____) IX Principe di Torrepadula | Marco (*1859-†1938) Deputato XXII e XXIII leg. Regno d'Italia Sindaco di Casoria | Pietro (*1851-†1898) Deputato XV leg. Regno d'Italia | Giovanni (*1853-†1894) | ||||||
Giovanni (*1874-†1940) X Principe di Torrepadula | Giuseppe (*1883-†1967) XI Principe di Torrepadula 3 | Marco (*1887-†1943) Deputato XXV e XXVI leg. Regno d'Italia Sindaco di Casoria | Luigi (*1894-†1951) Deputato alla Costituente Sindaco di Casoria | |||||||
Discendenza dei Principi di Torrepadula dalla famiglia Rocco del Seggio di Montagna
Stralcio riferito ai soli nominativi citati nel testo
1 Ippolita Rocco, di Ottavio, ottenne da Filippo IV di Spagna l'assenso a trasferire il titolo di Principe sul feudo di Trebisacce, di proprietà del marito Andrea Petagna
2 Con sentenza del Tribunale civile di Napoli del 20 agosto 1860, Giovanni Rocco ottenne il riconoscimento della validità del titolo di Principe di Torrepadula, retroattivo per otto generazioni sulla linea di successione maschile
3 Nel 1940, alla morte di Giovanni, privo di eredi maschi, Giuseppe divenne undicesimo Principe di Torrepadula. Con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana (XIV disposizione transitoria) i titoli nobiliari cessarono di essere riconosciuti. Nel 1954, tuttavia Giuseppe Rocco ottenne dal Tribunale civile di Roma l'autorizzazione ad aggiungere il predicato nobiliare al cognome, che da quel momento divenne "Rocco di Torrepadula"
Carlo Rocco, oltre che massimo rappresentante del Seggio di Montagna, fu eletto dal Patriziato napoletano nel Corpo della Città di Napoli (la giunta municipale ante litteram)[101] e più tardi nominato Regio Consigliere. Per i meriti acquisiti, lo stesso sovrano Filippo IV - che già in precedenza lo aveva insignito del cavalierato dell'Ordine di Calatrava, una delle massime onorificenze della monarchia spagnola - nel decreto di investitura a Principe lo definì "consanguineo nostro fedele diletto"[102].
Il titolo era del tutto onorifico e ad esso non corrispondeva un principato reale su cui esercitare uno jus territoriale. Il feudo di Torrepadula, infatti, oggi Torrepaduli in terra d'Otranto, era passato di mano in mano a diversi acquirenti, ma non era mai appartenuto a casa Rocco: come è stato sottolineato "la concessione del titolo infisso su di un feudo posseduto da altri è rarissima e mostra la speciale benevolenza del sovrano" .
La notoria devozione alle istituzioni monarchiche costarono a Carlo le irose attenzioni dei rivoltosi del 1647, durante la sollevazione popolare di Masaniello. Agli insorti era giunta voce che il Principe di Torrepadula, in combutta con il Viceré Rodrigo Ponce de Leon, celasse nel suo palazzo l'originale di un decreto di Carlo V che assicurava alla popolazione l'affrancamento da una serie di tasse e gabelle, diceria rivelatasi poi infondata.
Nella furiosa ricerca del documento, che avrebbe fornito sostanza giuridica alle rivendicazioni popolari, "le turbe crudeli ed irragionevoli (si slanciarono) contro di lui (e) non solo gli bruciarono i mobili della sua casa in Napoli, ma gli spianarono un'altra sua casa a Posilipo e gli tagliarono gli alberi fruttiferi e le viti di un nobil podere che vi aveva.[103]
Nonostante gli attacchi ricevuti e pur potendo ricorrere ai possedimenti della più tranquilla Casoria, Carlo Rocco non si diede alla fuga e rimase fedele al fianco del Viceré riparato in Castel Nuovo, fino alla conclusione della rivolta[104].
Gli eventi rocamboleschi vissuti nel periodo rivoluzionario dovettero segnargli la vita e "gli fecero venire in fastidio il secolo. Decise allora di cambiare drasticamente vita e "entrò nel chiostro dei chierici regolari dell'Ordine teatino in Santa Maria della Vittoria, ove visse e morì assai esemplarmente"[105].
Non ebbe figli dalla moglie Maria Rossi del Barbazzale[106], la cui presenza ingombrante non fu probabilmente estranea alla decisione del ritiro monastico, se è vero che il Capecelatro ce la descrive "vecchia, brutta, infermiccia e fastidiosa".[107]
L'inizio della nuova vita claustrale indusse in Carlo Rocco la rinuncia al titolo principesco che il 2 settembre 1649[108] decise di trasferire al pronipote Giovanni (nipote del suo omonimo fratello), che si era trasferito a Casoria già da qualche anno.
Il trasferimento del titolo sul feudo di Trebisacce
L'atto di rinuncia del titolo in favore di Giovanni rimase però un mero documento notarile, mai sottoposto all'assenso del re, come previsto dall'ordinamento dell'epoca. Alla morte di Carlo (1651), il titolo principesco venne rivendicato dalla nipote Ippolita, che aveva sposato Andrea Petagna, da poco proprietario del feudo di Trebisacce. Ippolita fece istanza al sovrano affinché il titolo di principe di Torrepadula fosse trasferito sul feudo di Trebisacce e dunque conferito direttamente al marito. Nel 1655 Filippo IV concesse formale assenso alla richiesta e Ippolita e Andrea Petagna poterono fregiarsi del rango di Principi di Trebisacce. Il principato di Torrepadula veniva pertanto cancellato dagli elenchi nobiliari napoletani.
A sua volta, la linea principesca di Trebisacce scomparve dopo un secolo e mezzo, quando cioè si estinse del tutto la famiglia veneziana dei Correr, che aveva ereditato il feudo per successione dai Petagna.(Shamà, 49)
Per circa un secolo e mezzo gli esponenti casoriani della famiglia "menarono vita modesta e intenta alle loro faccende"[109] Alla fine del Settecento si mise in evidenza Marco (*1770), discendente in linea di retta da Giovanni, già brillante avvocato e poi elemento di spicco della magistratura napoletana, per essere stato prima giudice della Gran corte della Vicaria e poi Consigliere della Gran Corte Criminale[110][111].
I quattro giuristi di Casoria ed il nuovo riconoscimento del titolo principesco
Marco Rocco sposò la baronessa Orsola Perillo. Dei suoi cinque figli, quattro si diedero alla giurisprudenza e risultarono giuristi di chiara fama:
- Giovanni (*1806-†1864), fu dapprima giudice nella Gran Corte de' Conti, organo di controllo e di giurisdizione in materia contabile e amministrativa, istituita in luogo della Camera della Sommaria, e divenne poi Sostituto Procuratore del Re presso il tribunale civile di Palermo, nel 1842. Tornato a Napoli, fu nominato prima Avvocato Generale della Gran Corte e, nel 1856, Procuratore Generale. Ferdinando II lo nominò nel 1859 Cavaliere di grazia del Sacro militare ordine costantiniano di San Giorgio, mentre Francesco II - negli ultimi giorni del Regno delle Due Sicilie - gli conferì l'incarico di formare un governo, l'ultimo dell'epoca borbonica. Ma Giovanni declinò la proposta, un po' perché titubante nel lasciare gli incarichi prestigiosi rivestiti in magistratura, e un po' per l'intempestività dell'offerta, approssimandosi ormai il settembre 1860 ed i vari plebisciti di annessione delle Due Sicilie al Regno d'Italia. Appassionato cultore di arte e scavi, negli ultimi anni della sua vita fu eletto vicepresidente dell'Accademia di archeologia, lettere e belle arti di Napoli[112]. Inoltre, Giovanni si impegnò a fondo per ricostruire il blasone familiare, a partire dal riconoscimento giuridico dell'atto di rinuncia e cessione del titolo principesco voluto da Carlo nel 1649. Finalmente, nel luglio 1860, il Tribunale di Napoli riconobbe la legittimità della discendenza e sancì il diritto di Giovanni a fregiarsi del titolo di ottavo Principe di Torrepadula[113];
- Niccola (*1811-†1877) è considerato a buon diritto il padre fondatore del Diritto civile internazionale per aver pubblicato nel 1837, a soli ventisei anni, Dell’uso e autorità delle leggi del Regno delle Due Sicilie considerate nelle relazioni con le persone e col territorio degli stranieri, subito accolto da lusinghiere recensioni in patria e all'estero. Anch'egli esercitò l'incarico di giudice della Gran Corte criminale e fu poi nominato Sostituto Procuratore presso il tribunale civile di Palermo. La sua carriera nell'amministrazione giudiziaria proseguì anche dopo l'unità d'Italia con l'incarico di Presidente di Sezione della Corte d'Appello di Napoli;[114]
- Gennaro (*1814-†1899) condivise con i fratelli la brillante carriera in magistratura, arrivando a ricoprire le cariche di Procuratore del Re presso il tribunale civile di Napoli e di Sostituto procuratore generale presso la Corte d'Appello della capitale del regno. Appassionato di filosofia, pubblicò alcune opere critiche come l'"Elogio storico di Giambattista Vico del 1844 e i Pensieri sulla storia civile dell’Italia nuova del 1897;
- Giuseppe (*1815-†1884), insegnante di diritto amministrativo e diritto civile presso la Scuola del Ministero delle Finanze borbonico e nella Scuola di applicazione de' ponti e strade, fu considerato tra i massimi amministrativisti napoletana, per la pubblicazione dei volumi "Quistioni di diritto amministrativo" del 1860 e "La filosofia del diritto amministrativo e delle leggi che lo conservano" del 1867.
Niccola, Gennaro e Giuseppe, unitamente ai loro discendenti, non appartenenti alla linea di successione principesca, assunsero il titolo di "Conte di Torrepadula".
La generazione successiva a quella dei quattro giuristi, ormai in piena epoca sabauda, fu notevolmente impegnata in politica:
- Marco (*1848-†1916), figlio di Niccola, fu eletto alla Camera dei Deputati ininterrottamente dalla XV alla XXI legislatura, dal 1882 al 1904[115];
- Pietro (*1851-†1898), figlio di Gennaro, fu Deputato della XV legislatura (1882-1886)[116];
- Marco (*1859-†1938), figlio di Giovanni, rimase in Parlamento per la XXII e XXIII legislatura (1904-1913) e fu nello stesso periodo anche Sindaco di Casoria[117];
- Marco (*1887-†1943), figlio di Pietro, fu Deputato per la XXV e XXVI legislatura (1904-1913)[118].
Più tardi, nel 1949, anche Luigi(*1894-†1951), figlio di Giovanni fece la sua esperienza parlamentare nella I legislatura repubblicana (1949-1952), reggendo anche, al pari dei suoi cugini, il Municipio di Casoria.[119]
- Ulteriore conferma venne nel 1936, quando Vittorio Emanuele III, con Regio Decreto motu proprio, "rinnovò ai discendenti legittimi e naturali, maschi da maschi in linea e per ordine di primogenitura, da Marco Rocco, nato nel 1770".[120]
M
Diffusione della famiglia nelle altre provincie del Regno
Il ramo di Lettere
Il ramo di Bovino
Altri rami minori
Rocco del Seggio di Montagna
Blasonatura: Di azzurro con tre bande d'oro al capo di rosso, caricato di tre rocchi d'argento posti in fascia.
Le prime raffigurazioni dello stemma della famiglia Rocco sono visibili presso le tombe cinquecentesche presenti nella Basilica napoletana di San Lorenzo Maggiore.
Il campo azzurro con tre bande d'oro si riferisce ai colori della monarchia angioina, in particolare allo stemma di Borgogna antica e quindi alla figura di Margherita di Borgogna, seconda moglie di Carlo I d'Angiò, sotto la cui protezione si posero i capostipiti della famiglia, Guido e Filippo Rocco.
Ancora oggi, lo stemma del Regno delle Due Sicilie riporta quei colori in alcune partizioni del proprio blasone, comuni anche ad altre famiglie napoletane che gravitarono nell'ambito della corte angioina, come i Sersale, i Pagano, gli Aldimari.
Il capo di rosso, caricato di tre rocchi d'argento posti in fascia, fa dell'arma dei Rocco un tipico "stemma parlante"[121] ossia dove il nome delle figure caratterizzanti l'insegna coincide con quello della famiglia: il rocco di scacchiera, "termine utilizzato in araldica per indicare la torre degli scacchi"[122].
Il termine "rocco" deriva dal persiano “rukh”[123][124], a sua volta derivante dall’indiano “rat-ha”[125], antico carro da guerra recante una sovrastruttura turrita utilizzata per lo scavalcamento delle mura delle città assediate; non a caso, la torre degli scacchi (in inglese rook, in spagnolo roque) era intesa non come “rocca”, ovvero parte di una fortezza, ma come macchina da guerra, uno strumento di attacco dinamico al pari di alfiere e cavallo.
Il segno grafico convenzionale del rocco era la figura delle “due corna (o due rostri) sopra un piede"[126] e mantenne tale forma nella simbologia scacchistica, come in quella araldica, fino a tutto il Settecento.
Successivamente, la modernizzazione delle forme grafiche portò il rocco ad assumere il disegno della torre vera e propria.
Rocco di Torrepadula
Blasonatura = Di azzurro con tre bande d'oro ed il capo di rosso, caricato di tre rocchi d'argento posti in fascia, cucito sostenuto da una fascia pure d'oro.
Le differenze dell'arma rispetto a quella della linea originaria sono efficacemente descritte da Carlo Padiglione, nel suo "Della Casa Rocco e del diritto che ha di fregiarsi del titolo di Principe di Torrepadula"[127]
Le penne, che tremole son ma salde e benché mosse dal vento, non però ne son portate via dal soffio, indicano fermezza contro qualsiasi avverso suggerimento e quindi accennano all'attaccamento che ebbe ai re aragonesi Giacomo Rocco, che insieme con le quattro corone primo le usò a mostrare la sua fedeltà ai quattro re di Casa d'Aragona, dei quali era stato ambasciatore in Turchia e in Egitto, rappresentandoli presso quelle Corti con senno, prudenza e dignità cavalleresca. L'intero stemma è raccolto sotto un manto sormontato dall'elmo con corona principesca. Il manto è di velluto di porpora soppannato di seta bianca e bordato d'oro. L'elmo è tutto d'oro, rabescato, posto di fronte e semiaperto, senza alcuna graticella, colla visiera alta a metà e colla gorgieretta. La corona è un cerchio d'oro, tempestato di gemme di varii colori, brunito ai margini, sostenente cinque fioroni d'oro, di cui i due ultimi laterali in profilo, caricati ciascuno da una perla nel cuore: essa corona cinge la base di un tòcco di velluto color di porpora, sormontato da un fiocco d'oro a pennello»
Rocco di Lettere
Blasonatura: Di azzurro con tre bande d'oro al capo di rosso, caricato di tre rocchi d'argento posti in fascia, sostenuto da una fascia pure d'oro. Sormontato da corona del Patriziato.
Famiglie apparentate
Note
- ^ Libro d'oro della nobiltà italiana, p. 490.
- ^ Pansa, p. 199.
- ^ Mazzella, p. 199.
- ^ Candida Gonzaga, p. 199.
- ^ Padiglione, p. 199.
- ^ Pansa, p. 199.
- ^ Mazzella, p. 199.
- ^ Candida Gonzaga, p. 199.
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Voci correlate
Linea principale (Napoli-Casoria):
- Gregorio Maria Rocco 1700-1782
- Nicola Rocco di Torrepadula 1811-1877
Ramo di Bovino:
- Carlo Rocco 1799-1849
- Italo Alessandro Rocco 1898-1998
Ramo di Lettere:
- Francesco Rocco 1629-1706