Frontespizio di una miniatura del Bellum Catilinae di Bartolomeo San Vito per Bernardo Bembo, 1471 - 84; custodito nella Biblioteca Apostolica Vaticana.
«Per chi sa il Latino, sarà senza alcun dubbio assai meglio di leggere questo divino autore nel testo. Per chi non lo sa, e desidera pur di conoscerne non solamente i fatti narrati, ma anche alcun poco l'indole, la brevità, l'eleganza, il meno peggio sarà di cercarsi quel traduttore che dal testo si verrà meno a scostare, senza pure aver faccia di servilità. Ogni traduttore, che ne ha durata la pena, crederà d'esser quello, benchè non lo dica. Io, non più modesto d'un altro, ma forse alquanto più sincero, non asconderò al lettore questa mia segreta speranza, di essere pur quello.»

Il De Catilinae coniuratione (in italiano La congiura di Catilina[1]) è la prima monografia della letteratura latina[2] e anche la prima di argomento storico scritta dallo storiografo e politico latino, Gaio Sallustio Crispo (86 - 34 a.C.).

Secondo una scansione narrativa suddivisa in 61 capitoli, l'opera narra la congiura ordita da Lucio Sergio Catilina nel 63 a.C., nel tentativo, rivelatosi poi fallimentare e costatogli la vita, di instaurare una dittatura a Roma.

Caratteristiche

Titolo e scansione narrativa

L'opera, composta probabilmente tra il 43 ed il 40 a.C. (inserire nota sulla data della presunta composizione), è stata tramandata per tradizione diretta da codici medioevali, in cui compare con i titoli Bellum Catilinae (o anche nella variante De bello Catilinae [3]), con cui è nota nei paesi anglosassoni, Bellum Catilinarium o Liber Catilinarius ; molti studiosi sostengono il titolo De Catilinae coniuratione, recuperando l'espressione dal capitolo 4,3 della monografia:

(latino)
«Igitur de Catilinae coniuratione quam verissume potero paucis absolvam [...].»
(italiano)
«Io perciò narrerò la congiura (di Catilina) quanto più veracemente e breve potrò [...].»

La scelta del titolo ha un valore preciso: il termine coniuratio [5] è carico di tutti quei connotati e giudizi negativi che Sallustio nutre nei confronti dell'evento. [2]

Si tratta nel complesso di uno degli argomenti più significativi della decadenza morale e sociale della classe dirigente romana nella metà dell'I secolo a.C., una corruzione che l'autore denuncia e critica duramente lungo tutta la narrazione.

Lo sviluppo del racconto non è lineare, ma i 61 capitoli che compongono l'opera sono scanditi secondo un'accurata regia, che alterna i fatti a numerosi excursus, frammentando notevolmente la continuità della storia e del testo. L'opera si presenta con la struttura tipica delle monografie della storiografia classica, secondo uno schema molto preciso: un proemio, il ritratto del protagonista, vari excursus politici e morali ed in fine l'analisi dei discorsi pronunciati dai personaggi e dei documenti. Questo modus operandi rende più variato il testo e più efficace il giudizio politico.[3]

Struttura del De Catilinae coniuratione.
Capitolo / -i Contenuti Argomenti trattati
Capp. 1-4 Proemio. Incipit in cui si spiega la scelta forzata dell' otium.
Cap. 5 Ritratto di Catilina. Descrizione fisica e psichica del protagonista.
Capp. 6-13 1° excursus («archaeologia»). Cause morali della congiura: si lega l'evento alla storia generale.
Capp. 14-36,4 Avvenimenti sino alla fuga di Catilina. Fatto storico.
Capp. 36,5-39 2° excursus. Cause sociali ed economiche della congiura; trascurate le vere cause politiche.
Capp. 40-61 Avvenimenti sino alla morte di Catilina. Conclusione.

Approfondendo l'analisi dell'opera emerge un'omogenea visione della storia romana dell'ultimo secolo della repubblica. Largo spazio è concesso al contesto sociale e politico, all'interno del quale, con Catilina, salgono alla ribalta degli eventi e della cronaca antica altri personaggi, in seguito molto famosi.[3]

L'arco di tempo coperto dalla narrazione va dai primi di giugno del 64 a.C., data di inizio della congiura secondo lo storico, fino al gennaio del 62 a.C., con l'epilogo nello scontro finale della battaglia di Pistoia e la morte sul campo di Catilina.

Vicenda

Di fronte alla grave crisi in cui si trovava la Repubblica, in seguito alla dittatura sillana, emerse una grande varietà di orientamenti politici, spesso tra loro violentemente contrapposti. Oltre alle posizioni moderatamente filo-senatorie o filo-democratiche entrarono in gioco, a partire dal 70 a.C. e lungo tutti gli anni 60, anche movimenti più radicali, legati ai ceti rimasti esclusi dal potere; tra essi si distinsero in particolare le frange più estremistiche del partito popolare.

Proprio alla guida di uno di questi movimenti si distinse Lucio Sergio Catilina, di nobile famiglia economicamente decaduta, che nel 63 si candidò alle elezioni per il consolato; lo appoggiarono discretamente anche Cesare e Crasso, determinati ad indebolire il potere della nobilitas senatoria.

Sconfitto alle elezioni dal rivale Cicerone, Catilina decise di ordire un colpo di stato, raccogliendo intorno a sé un gruppo di congiurati, provenienti dai ceti più vari (e lontani) della società romana, ma accomunati dal disprezzo per la legalità e dall'uso della violenza. Tra di essi si annoverano sia individui appartenenti ai ceti più alti della societas romana - nobili fortemente indebitati ed equites (cavalieri) - sia personaggi meno altolocati - plebei, proprietari terrieri falliti, veterani di Silla[6], donne, schiavi e popolazioni straniere, come i Galli Allobrogi, scontente del dominio di Roma. Catilina, con abili manovre demagogiche, riunì tutti intorno ad un programma estremistico, ma democratico: i suoi obbiettivi fondamentali erano il condono dei debiti, la distribuzione di terre ai meno abbienti ed il riscatto dei cittadini più miseri.

Crasso e Cesare, in un primo tempo, simpatizzanti occulti (controllore l'espressione), poco dopo, abbandonarono il tentativo insurrezionale ed il console Cicerone ebbe l'opportunità di sventare e reprimere l'intero piano eversivo.

Riassunto dei capitoli

Template:Trama

Capitoli 1 - 4 (proemio)

 
Frontespizio di un codice medioevale del De Catilinae coniuratione.
(latino)
«Omnis homines, qui sese student praestare ceteris animalibus, summa ope niti decet ne vitam silentio transeant, veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientia finxit.»
(italiano)
«A tutti gli uomini, che ambiscono esser da più degli altri animali, conviene con intenso volere sforzarsi di viver chiari, e non come bruti, cui natura a terra inchinò, ed al ventre fe' schiavi.»

Il De Catilinae coniuratione, come il successivo Bellum Iugurthinum, si apre con un ampio proemio in cui l'autore illustra le sue considerazioni ideologiche.[7]
L'uomo, costituito da un'anima e un corpo, deve coltivare soprattutto le qualità spirituali [8][9] se vuole ottenere una gloria vera ed eterna;

(latino)
«Quo mihi rectius videtur ingenii quam virium opibus gloriam quaerere [...].»
(italiano)
«Parmi perciò, che assai più gloriarci dobbiam dell'ingegno, che della forza [...].»

l'ingegno è dunque più importante della forza fisica sia in periodo di pace che in guerra. L'attività storiografica, scelta dall'autore subito dopo il ritiro dalla vita politica, fa parte di quelle attività che arrecano fama e consentono allo stesso tempo di servire al meglio la patria, esattamente come se si adempisse in maniera diretta ad incarichi pubblici. La scelta della congiura di Catilina come tematica principale della monografia storica è dovuta all'eccezionalità e alla pericolosità di quell'avvenimento.

Capitoli 5 - 19 («archaeologia»)

Il capitolo si apre con la descrizione di Catilina, aristocratico corrotto, la cui figura è messa in luce sullo sfondo della decadenza dei costumi romani, dovuta all’accrescersi dell’Impero e alle ricchezze sfrenate. Sallustio inserisce una digressione storica (definita «archaeologia» ) per motivare le cause di questa decadenza: illustra il passaggio dalla felice condizione delle origini di Roma alla decadenza dei tempi contemporanei, in cui si è sviluppata la congiura. In questa situazione Catilina raduna attorno a sé personaggi che per i motivi più diversi auspicano un cambiamento di regime (5-18). A questo punto si presenta una nuova digressione storica, incentrata su un precedente tentativo di congiura operato dallo stesso Catilina [10], dimostrando che evidentemente egli non è nuovo a simili atti.

Capitoli 20 - 25

Catilina raduna nella sua domus i congiurati, promettendo loro in caso di buona riuscita della congiura grossi vantaggi e laute ricompense, e li congeda dopo un solenne discorso, seguito da un giuramento.

(latino)
«Ni virtus fidesque vostra spectata mihi forent, nequiquam opportuna res cecidisset; spes magna, dominatio in manibus frustra fuissent, neque ego per ignaviam aut vana ingenia incerta pro certis captarem.»
(italiano)
«Se il valor vostro e la fede non conoscessi per prova, indarno opportuna occasione ed altra speranza di dominio mi si sarebbero appresentate: né io per dappocaggine o leggerezza il certo abbandonerei per l'incerto.»

La congiura non resta a lungo segreta, dato che Fulvia, amante del congiurato Curio, confida ad alcune nobildonne l'esistenza del piano rivoluzionario. La nobilitas, in preda al panico, sceglie allora di affidare il consolato a Gaio Antonio Ibrida ed all'homo novus Marco Tullio Cicerone. Catilina, ottenuto l'ennesimo insuccesso elettorale, vista la reazione della nobilitas non si perde d'animo ed inizia a raccogliere armi e nuovi complici, tra cui la corrotta Sempronia, cui Sallustio dedica un efficace ritratto (cap. 25).

 
Cicerone pronuncia in Senato la prima Catilinaria - 1880, affresco di Cesare Maccari; Roma, Palazzo Madama, Sala Maccari.

Capitoli 26 - 36

I congiurati si riuniscono in casa di Porcio Leca, mentre Catilina affretta i preparativi della congiura; in seguito tenta di eliminare Cicerone, organizzando contro di lui un attentato, che però fallisce. Il console illustra in Senato la pericolosità della situazione ed ottiene i pieni poteri per fronteggiare la congiura; quindi pronuncia contro Catilina, presentatosi in Curia, la prima delle sue Catilinarie. Catilina è costretto a fuggire da Roma per raggiungere in Etruria il campo del congiurato Manlio. A questo punto l'autore riferisce il contenuto di un messaggio di Manlio a Marcio Re e di una missiva di Catilina a Catulo; nonostante le giustificazioni date dai due via epistola, il senato decide di nominare entrambi nemici dello stato.

Capitoli 37 - 47

Sallustio inserisce un altro excursus in cui tratta le cause della congiura, individuando solamente quelle di natura politica e sociale. In seguito passa ad esaminare il tentativo di coinvolgere nella congiura i Galli Allobrogi; sotto consiglio di Cicerone, questi fingono di accordarsi con i congiurati per ottenere da costoro documenti compromettenti. Le lettere entrate in loro possesso permettono l'arresto dei congiurati rimasti a Roma, tra cui Publio Lentulo Sura e Gaio Cetego.

Capitoli 48 - 54

Dopo aver descritto l'improvviso cambio di fronte della plebs, prima desiderosa di rivoluzioni ed ora tutta al fianco di Cicerone, l'autore notifica le accuse, a parer suo infondate, mosse contro Crasso e Cesare. Mentre vengono presi provvedimenti in merito alla scarcerazione di alcuni prigionieri, il Senato si riunisce per decidere il loro destino. Il console Decimo Giunio Silano chiede per gli imputati la pena di morte, incontrando così l'opposizione di Cesare, che auspica un trattamento meno duro. A favore della pena capitale si pronuncia anche Catone l'Uticense e pertanto il senato accoglie la mozione di Silano. Dopo varie considerazioni sulla potenza di Roma, Sallustio traccia un confronto tra Cesare e Catone, sottolineando le loro virtù opposte ma essenziali per il benessere dello Stato.

Capitoli 55 - 61

Cicerone ordina l'immediata esecuzione della sentenza di morte per i congiurati.[11] Catilina nel frattempo fugge verso nord, in direzione della Gallia Cisalpina, ma si viene a trovare in una situazione di stallo, chiuso tra l'esercito al comando di Quinto Cecilio Metello Celere, stanziato con tre legioni nel Piceno, e l'esercito di Antonio, inviato contro di lui dal Senato. A questo punto Catilina si vede costretto ad affrontare uno dei due eserciti, nell'ager presso Pistoia. L'esercito catilinario viene sbaragliato dall'esercito consolare e lo stesso Catilina muore in battaglia, dopo aver combattuto valorosamente. Template:Finetrama

Personaggi

La vicenda narrata nella monografia ruota su tre personaggi principali: Catilina (il protagonista), Cesare e Catone l'Uticense. Cicerone, che dalla realtà dei fatti ci si aspetterebbe come un protagonista, viene relegato ad un ruolo di secondo piano, assieme ad altri personaggi minori.

Catilina, il protagonista

 
Catilina ; dettaglio dell'affresco di Cesare Maccari Cicerone denuncia Catilina, Palazzo Madama (Roma)

Lucio Sergio Catilina è il protagonista indiscusso della vicenda trattata nella monografia, nonché il capo della congiura; a lui Sallustio dedica un intero capitolo descrittivo: il quinto. È la figura emblematica del degrado della società romana, un uomo crudele ma non privo di un'ambigua grandezza, esattamente come appariva la Roma del I secolo a.C.. [3]

Il fatto che la figura di Catilina spicchi tra tutti gli altri personaggi dell'opera non è con ogni probabilità un risultato che lo storico si auspicava. Ciò si deve in gran parte alla cosiddetta tecnica del "ritratto paradossale", un metodo di trattare e descrivere i personaggi che consiste nel creare figure in cui gravi vizi si affiancano e si contrappongono a virtù eccezionali. Questa tecnica crea dunque dei personaggi afflitti da profondi conflitti interiori.

(latino)
«L. Catilina, nobili genere natus, fuit magna vi et animi et corporis, sed ingenio malo pravoque. Huic ab adulescentia bella intestina, caedes, rapinae, discordia civilis grata fuere ibique iuventutem suam exercuit.»
(italiano)
«Lucio Catilina, di nobil prosapia, d'animo e di corpo fortissimo, ma di malefica e prava indole, fin dai primi suoi anni le intestine guerre, le rapine, le stragi, e la civil discordia anelando, fra esse cresceva.»

Vi sono buone ragioni però per affermare che Catilina non sia un personaggio completamente negativo; non che Sallustio attribuisca a lui delle doti diverse da quelle del monstrum di corruzione e di malvagità, ma vari studiosi, tra cui Ronald Syme [12], sostengono che su questa grandiosa figura si proietti un certo fascino sinistro, il cosiddetto "fascino dell'eroica fine", lo stesso che circonda quelli che combattono e muoiono per difendere i propri ideali, giusti o sbagliati che siano. Un' "eroica fine" da lui stesso ricercata combattendo a viso aperto nella battaglia di Pistoia, durante la quale viene descritto in una posa nobile, quasi statuaria, frutto di ragioni profondamente radicate nella mentalità romana.

(latino)
«Catilina vero longe a suis inter hostium inventus est, paululum etiam spirans ferociamque animi, quam habuerat vivos, in voltu retinens.»
(italiano)
«Ma Catilina, assai lungi da' suoi, fu trovato nel mezzo dei nemici cadaveri ancor palpitante; e tuttavia nell'esangue volto ritenea la prisca ferocia.»

Durante la battaglia Catilina perisce, ma sarà una morte onorevole, degna di un eroe epico. Questa fine mostra a quale esito sarebbe potuta arrivare la virtù di Catilina, se non fosse stata corrotta da pesanti vizi. Lo storico Publio Annio Floro (I-II secolo d.C.) afferma in merito in una sua epitome:

(latino)
«Pulcherrima morte, si pro patria sic concidisset!»
(italiano)
«Una morte onorevolissima, se lui fosse morto in questo modo per la patria!»

Ne risulta dunque un uomo straordinario, sia nella sua grandezza sia nella sua malvagità, una figura ambigua per cui l'autore non nutre l'avversione né condivide appieno il giudizio negativo di Cicerone.

Del resto pare che le convinzioni di Catilina, stando a quanto riferito nei suoi discorsi, non dovevano discostarsi molto da quelle di Sallustio, ma con la sostanziale differenza che quest'ultimo, dato il suo passato e la sua condizione sociale, non avrebbe mai potuto sposare una soluzione diversa da un critico moderatismo nei confronti della classe senatoria, sempre nel rispetto della legalità. [12]

Ruolo di Cesare

File:Julius caesar.jpg
Busto di Gaio Giulio Cesare.

Un ruolo particolare all'interno della vicenda è riservato alla figura di Cesare. In effetti secondo gli storici moderni è molto verosimile, sebbene non venga accuratamente fatto trasparire nel corso dell'opera, che il futuro dictator di Roma avesse riposto più di una speranza nel buon esito della cospirazione catilinaria, come aveva già fatto nella cosiddetta prima congiura,[10] anche se non viene mai fatto apertamente il suo nome. Tra gli intenti principali di Sallustio vi è quello di sollevare Cesare da ogni capo d'accusa che intendesse collegare la sua politica con un possibile esito rivoluzionario. La presunta volontà di coprire le responsabilità di Cesare, secondo alcuni critici, avrebbe spinto Sallustio ad individuare per la congiura soltanto cause generali e di natura morale, trascurando i veri motivi del misfatto, ovvero le cause politiche ed economiche. [7] Inoltre lo scrittore non perde occasione di sottolineare la preoccupazione di Cesare per la legalità. Ciò si nota principalmente nel momento in cui gli fa prendere la parola in Senato con una tonalità solenne, quasi divina, il 15 dicembre del 63 a.C., per opporsi alla condanna a morte dei congiurati: essa sarebbe incostituzionale e quindi contraria, sostiene, ai mores patrum (i costumi dei padri) e dunque a tutta la tradizione romana.

Questo Cesare descritto da Sallustio appare insomma come uno tutt'altro che rivoluzionario e la sua opposizione al partito senatorio non avrebbe niente a che vedere col programma eversivo di Catilina. Al contrario Cesare viene visto infatti come un fedele custode del mos maiorum tradizionale e perciò viene posto sullo stesso piano di Catone Uticense, uomo estremamente conservatore, dello stesso stampo del celebre antenato di cui porta il nome (e si potrebbe dire anche il carattere). Egli, partendo da analoghe premesse (la tradizione e la prisca virtus, l'antica virtù del popolo romano), giunge però a conclusioni diametralmente opposte; chiede e sostiene, infatti, la pena capitale per i congiurati.

Cesare e Catone a confronto

Uno dei capitoli più importanti dell'opera, il 54, è dedicato proprio al confronto tra Cesare e Catone. Quando lo storico scrisse la monografia, entrambi erano tragicamente scomparsi: l'uno assassinato da congiurati, l'altro suicida. Entrambi i personaggi rivestono una particolare importanza per lo scrittore: Cesare poiché ha offerto a Sallustio la protezione politica, grazie a cui, nei suoi vari incarichi pubblici, ha avuto l'opportunità di arricchirsi; Catone per cui lo scrittore prova grande ammirazione per via della sua politica del rigore. [9]

Sallustio li presenta entrambi in azione nel celebre dibattito in Senato, cogliendo l'opportunità di esaltare le doti di tutti e due questi magni viri:la generosità, l'altruismo e la clemenza di Cesare (Sallustio ne sottolinea la misericordia e la munificentia); l'austerità, il rigore, la moderazione e la severa fermezza (integritas, constantia) di Catone; due chiari esempi di virtù opposte, ma complementari e parimenti importanti in una classe dirigente.

L'implicita conclusione di Sallustio è che l'uno e l'altro personaggio, l'uno e l'altro atteggiamento siano essenziali per la sopravvivenza della res publica: se Cesare è colui in grado di dare splendore allo stato, Catone appare il depositario dei valori dell'antica tradizione dei Quirites (i Romani), cui Sallustio non intende in nessun modo rinunciare. Tuttavia il problema più grave è che queste due immani personalità della latinitas e di tutto il mondo antico giovano solo imperfettamente al bene della res publica romana, il che tra i vari sintomi di crisi dello stato è forse il più preoccupante. [7]

Ecco riportato per intero il capitolo 54:

 
Statua di Catone Uticense che medita il suicidio dopo aver letto il Fedone; Jean-Baptiste Romand e François Rude.
(latino)
«1. Igitur eis genus, aetas, eloquentia, prope aequalia fuere; magnitudo animi par, item gloria, sed alia alii. 2. Caesare beneficiis ac munificentia magnus habebatur, integritate vitae Cato. Ille mansuetudine et misericordia clarus factus, huic severitas dignitatem addiderat. 3. Caesar dando, sublevando ignoscendo, Cato nihil largiundo gloriam adeptus est. In altero miseris perfugium erat, in altero malis pernicies. Illius facilitas, huius costantia laudabatur. 4. Postremo Caesar in animum induxerat laborare, vigilare, negotiis amicorum intentus sua neglegere, nihil denegare quod dono dignum esset; sibi magnum imperium, exercitum, bellum novum exoptabat ubi virtus enitescere posset. 5. At Catoni studium modestiae, decoris, sed maxume severitatis erat. 6. Non divitiis cum divite, neque factione cum factioso, sed cum strenuo virtute, cum modesto pudore, cum innocente abstinentia certabat. Esse quam videri bonus malebat; ita, quo minus petebat gloriam, eo magis illum sequebatur.»
(italiano)
«1. Per nobiltà dunque, per eloquenza, ed età, ma più per altezza d'animo e per acquistata gloria, benchè diversi costoro, eran pari. 2. Cesare, pe' suoi beneficj e munificenze, tenuto era grande; per la incorrotta vita, Catone. A quello la pietà e la dolcezza acquistavano fama; a questo l'esser severo accrescea maestà: 3. l'uno, col dare, soccorrere, e perdonare; l'altro, col nulla concedere, conseguito egual gloria si aveano. Cesare, degli infelici rifugio; de' rei flagello, Catone: del primo la facilità, del secondo la fermezza laudavasi. 4. Voleva Cesare affaticarsi, vegliare, sacrificar se stesso agli amici, né cosa mai di rilievo negare: larga autorità, grand'esercito, nuove guerre ei bramava, campo al suo chiaro valore. 5. Grave e modesto Catone, ma rigido in sommo grado: 6. non egli di ricco fra i ricchi, non di fazioso fra i faziosi al vanto aspirava; ma di coraggioso tra i forti, di verecondo tra i modesti, d'incorruttibile tra gl'incorrotti. Volea Catone, più che parerlo, esser buono: tanta più gloria otteneva così, quanta egli men ne cercava.»

Non ha dunque torto Ronald Syme, uno dei più grandi studiosi della letteratura latina, nell'affermare, riflettendo su questo e sui passi precedenti, che ambedue queste personalità «unite avrebbero avuto quanto era necessario per la salvezza della repubblica. Forse è proprio ciò che lo storico vuole farci capire».[12]

Ruolo di secondo piano per Cicerone

 
Busto di Cicerone.

Nella monografia tuttavia non trova invece un ampio spazio, come ci si aspetterebbe peraltro in base alla realtà degli avvenimenti, la figura di Cicerone, che nelle sue celebri Orationes in Catilinam (le Catilinarie), aveva infatti tanto esaltato i propri meriti nella scoperta e nella repressione della congiura.

Nella monografia sallustiana l'arpinate non ha una propria e ben definita personalità, come gli altri personaggi chiave, né pronuncia discorsi riferiti per intero; il suo è semplicemente il ruolo di chi ha fatto al meglio il proprio dovere, ma niente di più gli viene attribuito dallo storico, di cui non condivideva i punti di vista politici. Sebbene lo stesso Sallustio non trascuri la sua importanza, definendolo a buon diritto un optimus consul, appare fondata l'ipotesi secondo cui nell'atteggiamento piuttosto freddo di Sallustio si rispecchia una sorta di "ritorsione" contro il De consiliis suis, opera con cui Cicerone accusava apertamente Cesare, protettore di Sallustio; egli gli era infatti profondamente riconoscente e pertanto pronto a difenderlo da ogni sorta di accusa, tra cui quella ignominiosa, per un uomo di grande importanza quale era il leader dei populares, di aver retto i ranghi della congiura. [13]

Personaggi minori

 
Costanzo Felici, Historia de coniuratione Catilinae, codice rinascimentale; dedica a Leone X; Biblioteca Apostolica Vaticana.

Nella monografia si avvicendano anche altri personaggi di minore importanza, in modo particolare concentrati attorno al capo della congiura, che l'abilità ritrattistica e la finezza psicologica di Sallustio rendono non meno indimenticabili dei protagonisti. [13]

Tra essi riveste una particolare importanza Sempronia, una donna dal fascino irresistibile, di famiglia nobile, non più giovanissima ma comunque di bell'aspetto, grande conversatrice nei più importanti salotti dell'Urbe, competente di letteratura greca e latina, poesia, moda e persino politica, graziosa cantatrice e danzatrice, dotata di grande intelligenza; grande amica di Catilina, nonostante queste buone doti era di indole perversa, caratterizzata da atteggiamenti lussuriosi, poco fedele, varie volte complice di omicidi, spesse volte indebitata; per via di simili atteggiamenti è caduta sempre più in basso. Sallustio aggiunge che aveva "una buona dose di umorismo", volendo dire con ciò che le sue buone doti si sarebbero dovute impiegare per il benessere della repubblica e non per attentare ad essa . [14]

Oltre a Sempronia trovano spazio gli altri congiurati appartenenti ai ceti più alti della societas romana, sia del rango senatorio sia di quello equestre, di cui lo storico fa un elenco accurato nel capitolo 17; tra questi si annoverano in particolare Gaio Cetego, la cui descrizione si limita a pochi aggettivi nel capitolo 43, Curio e l'amante Fulvia.

Nel complesso vi è dunque una buona quantità di singole e ben delineate personalità; ciò infligge un duro colpo alla concezione catoniana di historia communis, storia collettiva. [15]

Motivi della scelta

Le fonti che fanno capo a Cicerone ed alle sue celebri Catilinarie (Orationes in Catilinam) interpretano il tentativo di insurrezione di Catilina come un atto rivoluzionario ai danni del senato e dei cavalieri, accusando esplicitamente Cesare e Crasso di avervi avuto parte in qualche modo, forse come «mandanti occulti». [13]

 
Caricatura ottocentesca della scoperta da parte di Cicerone della congiura di Catilina.

Una parte della critica moderna ha seguito il filone opinionistico di Cicerone, considerando conseguentemente la monografia sallustiana come un'opera di propaganda fortemente di parte ed accusando lo storico di aver distorto la vicenda in vari punti; su tutti l'eccessiva amplificazione della figura demoniaca di Catilina, che si fa strada con prepotenza sin dall'inizio dell'opera, avrebbe l'obbiettivo di fare da copertura per responsabilità politiche ben precise, ovvero quelle di Crasso e Cesare, e più in generale di tutta la factio dei populares.

Allo stesso modo un altro aspetto molto discusso, ovvero l'anticipazione di un anno della data effettiva di inizio della congiura (giugno del 64 anziché luglio 63), avrebbe il fine di isolare Catilina, già autore di un precedente tentativo insurrezionale nel 66 a.C., dal partito popolare e di caricare le responsabilità sulla sua oscura determinazione.

Tuttavia sarebbe estremamente riduttivo ritenere che Sallustio abbia scelto questo episodio per incolpare la nobilitas al solo scopo di esentare da ogni colpa Cesare e difendere la factio popularis; anzi la realtà è ben più complessa. Dal De Catilinae coniuratione emerge un giudizio storico più moderato, proprio in medio, a metà tra l'estremismo eccessivo di populares ed optimates: lo storico si fa portavoce dell'aspirazione alla pace ed alla legalità dei ceti benestanti romani ed italici, atteggiamento che si fa più forte dopo la disfatta dei cesaricidi nella battaglia di Filippi del 42 a.C.. Da questo punto di vista l'ideologia sallustiana pare convergere verso il motto che era stato la parola d'ordine della seconda metà del primo secolo a.C., quel consensus omnium bonorum (il consenso di tutti gli onesti [16]) che era alla base del progetto ciceroniano di allargare le basi del potere coinvolgendo le forze moderate.

Origini della corruzione della Res publica

Vi è inoltre un altro aspetto che svilisce la tesi che l'opera abbia un fine puramente propagandistico, e cioè il fatto che Sallustio attribuisca una grande importanza agli excursus storici, tesi a collocare nel punto più esatto la crisi in atto, risalendo agli antefatti ed alle cause più vicine e più remote. [12]

 
Coppe di propaganda elettorale di Catilina e Catone.

In particolare nei primi paragrafi dell'opera, traendo ampiamente ispirazione dall'analoga digressione presente nel Template:Polytonic (pron. Perì tu Peloponnēsìu polèmu, La guerra del Peloponneso) di Tucidide, Sallustio ripercorre la storia di Roma, della sua ascesa e della sua decadenza, individuando come nodo cruciale una data ben precisa: il 146 a.C., anno della distruzione di Cartagine. Fu questo l'episodio che segnò la fine del metus hostilis e di conseguenza la fine dell'unità delle parti sociali. Il metus hostilis è la paura che i romani nutrivano nei confronti dei loro nemici di sempre, i cartaginesi. Dopo la distruzione di Cartagine ad opera di Scipione l' Emiliano, è venuto a mancare questo forte compattante, che aveva tenuto uniti gli strati sociali romani nei secoli precedenti; questa mancanza da una parte ha acutizzato l' ambitio (brama ossessiva di potere) e l' avaritia (brama di denaro), dall'altra ha favorito il concentrarsi dell'aggressività nei confronti degli adversarii politici interni.

Nell'«archaeologia» romana va ravvisato il centro ideologico su cui ruota l'intera opera [13]: il Catilina sallustiano, il monstrum, non è né un figlio del caso, né una cancrena da eliminare per preservare la sanità del resto del corpo-stato, né tantomeno, come lo dipinge Cicerone, un fanatico estremista contro cui si devono concentrare le forze di tutti i boni, [16] ovvero i membri della classe agiata schierati su posizioni politiche moderate. Questo monstrum ha in realtà origini remote: nasce innanzitutto dal clima di violenze instauratosi, a partire dai tentativi di riforma, nell'età dei Gracchi e duramente represso nel sangue; nasce anche dal contesto di illegalità diffusa, nonché di innumerevoli rancori e vendette personali, relitto della tirannide e delle proscrizioni sillane; ma nasce soprattutto con la cessazione del metus hostilis che causa a Roma un sovvertimento delle pristinae virtutes del mos maiorum che avevano funto da supporto per le vittorie romane in età cartaginese. Tutta questa serie di concause ha fatto si che i civites romani, liberi dalla necessità di lottare per la sopravvivenza, hanno dato spazio all'individualismo, all'egoismo e a tutta la serie di vizi aspramente condannati nelle monografie sallustiane. [7]

Attendibilità storica

File:Catilina lors de la conjuration.jpg
Incisione all'interno dell'edizione spagnola del Bellum Catilinae ("La conjuraciòn de Catilina"), stampata a Madrid da Joaquin Ibarra nel 1772.

La critica, antica e moderna, ha da tempo sottolineato le inesattezze e le deformazioni presenti in vari punti della monografia sallustiana. [12] [3] [2]

Ad esempio, nel capitolo 17 la riunione segreta dei congiurati, pronti a dare inizio al piano eversivo, viene collocata nel giugno del 64 a.C., anziché, come concordano la maggior parte degli storici, l'anno seguente.

Nel diciottesimo capitolo il racconto della cosiddetta "prima congiura"[10], un precedente tentativo di cospirazione organizzato dallo stesso Catilina, ignora completamente il ruolo, per niente secondario, avuto in quell'occasione da Cesare. Un altro errore cronologico è rappresentato dalla posposizione del Senatus Consultum Ultimum, cioè del decreto senatorio, stabilito il 21 ottobre del 63, che conferiva ai consoli i pieni poteri per sgominare la congiura, alla notte tra il 6 ed il 7 novembre, in concomitanza con la riunione dei congiurati nella domus di Porcio Leca (capp. 28 - 29).

La spiegazione più plausibile per simili anacronismi è stata individuata nell'esigenza, avvertita dallo storiografo, di giustificare e difendere Cesare, capo del partito dei populares, di fronte alle accuse di complicità rivolte da più parti nei suoi confronti.[3] Quindi Sallustio non sarebbe stato animato soltanto da motivazioni di carattere artistico e storico, come sostiene nel proemio dell'opera, ma a quanto pare si sarebbe lasciato convincere dal clima politico vigente a comporre un «libello quantomai polemico e tendenzioso».[12]

Quanto detto, tuttavia, è il pensiero maturato dalla critica meno favorevole allo scrittore e, sebbene non vada del tutto respinto, va in qualche modo attenuato. Si nota dunque facilmente che le idee poltiche di Sallustio abbiano influenzato il suo modo di valutare personaggi ed avvenimenti; ciò non toglie però che che in lui non si debba vedere un falsificatore in malafede, pronto ad alterare date e notizie pur di far risaltare un orientamento ideologico. Più verosimilmente Sallustio non fu interessato tanto ad uno scrupoloso accertamento dei fatti, come fanno i moderni storici, quanto ad una loro forte drammatizzazione, ricca di pathos. [7]

Stile dell'opera

  Lo stesso argomento in dettaglio: Stile di Sallustio.
 
Frontespizio di un'edizione spagnola del Bellum Catilinae ("La conjuraciòn de Catilina"), stampata a Madrid da Joaquin Ibarra nel 1772

Lo stile della monografia si rispecchia nei due modelli cui Sallustio si ispira: lo storico greco Tucidide, ed in particolare il suo capolavoro La guerra del Peloponneso, e il noto predecessore Marco Porcio Catone, detto il Censore.

Questa doppia ispirazione si nota maggiormente nell' «archaeologia» (capitoli 6 - 13): la ricerca delle cause più profonde della congiura, di stampo prettamente tucidideo, si unisce infatti con i toni solenni della denuncia della crisi del mos maiorum tradizionale, presi da Catone.

I due modelli agiscono, a maggior ragione, anche a livello lessicale; da Tucidide Sallustio prende l'essenzialità espressiva, le sentenze brusche ed ellittiche, l'irregolarità del testo arricchito dagli arcaismi, la varietà delle forme sintattiche; da Catone invece un eloquio solenne, moralmente atteggiato, con una lingua a volte severa ed aulica, a volte popolare, ruvida nelle forme, dalla pàtina arcaica. Ne consegue uno stile basato sull' inconcinnitas, contrario alla concinnitas (l'armonia) della frase ciceroniana e favorevole ad un discorso teso e dinamico, sempre alla ricerca della varietas espressiva. Abbondano pertanto le brachilogie, le antitesi, le inversioni di costrutti, i parallelismi, la variatio, l'uso ritmato e continuo dell'infinito narrativo e del chiasmo, le frasi nominali.

Dal punto di vista fonetico, l'alta frequenza degli arcaismi conferisce gravità e solenne ridondanza alla rapidità ed alla brevitas delle forme sintattiche. [2]

Note e riferimenti

  1. ^ Il titolo viene anche talvolta tradotto in maniera letterale come Sulla o Della congiura di Catilina; quest'ultimo in particolare è il titolo della traduzione della monografia ad opera del poeta Vittorio Alfieri; la prefazione porta la data Firenze, 27 gennaio 1798.
  2. ^ a b c d e Da Gaio Sallustio Crispo, N. Flocchini (a cura di). De coniuratione Catilinae - La congiura di Catilina. Mursia. 1993. ISBN 8842515744
  3. ^ a b c d e f g Da D. Mevoli. La vocazione di Sallustio. Congedo. 1994. ISBN 88-8086-032-1.
  4. ^ Questa e le altre traduzioni presenti nella voce sono state prese dal progetto Wikisource.
  5. ^ Il termine coniuratio deriva dal verbo coniurare, fusione della preposizione cum + il verbo iurare, che inizialmente aveva il significato di prestare giuramento insieme (letteralmente giurare con); in seguito ha assunto il connotato negativo di giurare insieme a fini maligni, quindi cospirare (dal dizionario di latino Campanini - Carboni).
  6. ^ I Veterani di Silla che avevano combattuto nella Guerra Sociale si trovavano ormai in rovina nel contado dell'Etruria; essi ricordavano con rimpianto le «precedenti vittorie e saccheggi» (rapinarum et victoriae veteris memores; cap. 16, 4), le ampie concessioni terriere e le proscrizioni, grazie alle quali si erano arricchiti a dismisura.
  7. ^ a b c d e Da O. Bianco. La Catilinaria di Sallustio e l'ideologia dell'integrazione. Milella. 1976.
  8. ^ Le facoltà spirituali fondamentali sono, secondo lo storico, l'attività politica, quella militare, quella oratoria e quella storiografica.
  9. ^ a b DaGaio Sallustio Crispo, Tito Livio, L. Coco. L'uomo e la natura. Loffredo. 2003. ISBN 888096934X.
  10. ^ a b c chiamata prima congiura, di cui si parla nei capitoli 18 e 19, è un tentativo eversivo ordito tra il 66 ed il 65 a.C. dallo stesso Catilina, imputato di concussione, e da Publio Autronio, console deposto poco dopo l'elezione a causa di brogli, in cui pare che fosse implicato anche Cesare. Catilina e Autronio si rivolsero a Gneo Pisone, giovane membro della nobilitas, comunicandogli il proprio piano di eliminare i nuovi consoli e molti senatori e di impadronirsi del potere; Pisone nel frattempo si sarebbe recato con un'esercito ad occupare l'Hispania. Il progetto viene scoperto e rinviato di un mese, ma fu definitivamente mandato all'aria per un errore dello stesso Catilina. Autronio fu trucidato da alcuni cavalieri in Hispania, dove si era recato per ordine di Pompeo in qualità forse di propretore. Errore nelle note: Tag <ref> non valido; il nome "La prima congiura" è stato definito più volte con contenuti diversi
  11. ^ Cicerone commette però l'errore di non richiedere la provocatio ad populum, necessaria in questi casi; questo, in seguito, gli costò l'accusa di illegittimità e l'intera carriera politica.
  12. ^ a b c d e f Tratto da: R. Syme. Sallustio. 1968. Paideia. ISBN 8839400230 Errore nelle note: Tag <ref> non valido; il nome "Riferimento bibliografico" è stato definito più volte con contenuti diversi
  13. ^ a b c d Gaio Sallusio Crispo; N. Flocchini, G. Ottaviani (a cura di). Antologia dalle opere. Paravia. 1993. ISBN 8839516417.
  14. ^ Descrizione di Sempronia tratta dal capitolo 25 della monografia.
  15. ^ Catone scrisse un opera storiografica, le Origines, in cui narra le origini della potenza romana. Con quest'opera egli intende porre sullo stesso piano Roma e le altre città italiche, che avrebbero contribuito allo sviluppo della potenza laziale. È a tal proposito che il Censore espone la sua concezione di historia communis : la creazione e la storia dello stato romano è stata l'opera collettiva e progressiva del populus romanus sotto la spinta dell'ideologia e dei membri dell'aristocrazia senatoria. Egli, in conformità alla sua teoria, non cita i nomi dei generali, ma li designa con la loro carica; ciò per contestare la concezione individualistica della storia che caratterizza la storiografia delle origini, a partire da Ennio.
  16. ^ a b Cicerone col termine boni (talvolta unito al sostantivo viri, "uomini onesti") si riferisce ai membri della classe senatoria, da cui sarebbe dovuto partire, secondo lui, il riscatto della res publica.

Bibliografia

  • Gaio Sallustio Crispo, L. Canali (a cura di). La congiura di Catilina. Testo originale a fronte. Garzanti Libri. 1982. ISBN 881158278-4.
  • O. Bianco. La Catilinaria di Sallustio e l'ideologia dell'integrazione. Milella. 1976.
  • D. Mevoli. La vocazione di Sallustio. Congedo. 1994. ISBN 88-8086-032-1.
  • R. Syme. Sallustio. 1968. Paideia. ISBN 8839400230.
  • (EN) T.F. Scanlon. The influence of Thucydides on Sallust. Heidelberg. 1980.
  • Gaio Sallustio Crispo, L. Piazzi (a cura di). La congiura di Catilina. Testo latino a fronte. Barbera. 2006. ISBN 8878990817.
  • Gaio Sallustio Crispo, Tito Livio, L. Coco. L'uomo e la natura. Loffredo. 2003. ISBN 888096934X.
  • Gaio Sallustio Crispo; P. Frassinetti, L. Di Salvo (a cura di). Opere. UTET. 2002. ISBN 8802042861.
  • Gaio Sallustio Crispo, N. Flocchini (a cura di). De coniuratione Catilinae - La congiura di Catilina. Mursia. 1993. ISBN 8842515744
  • Gaio Sallustio Crispo, Marco Tullio Cicerone, H. H. Ørberg (a cura di). Catilina. Ex C. Sallustii Crispi de Catilinae coniuratione libro et M. Tullii Ciceronis orationibus in Catilinam. Accademia Vivarium Novium. 2000. ISBN 8887637075.
  • Gaio Sallustio Crispo, T. Pistoso (a cura di). Bellum Catilinae. Ciranna & Ferrara. 2000. ISBN 8881441543
  • Gaio Sallustio Crispo, A. Crugnola (a cura di). Antologia sallustiana. Principato. ISBN 8841623675.
  • Gaio Sallustio Crispo. Coniuratio Catilinae. Latine loqui. ISBN 8871003349.
  • Gaio Sallustio Crispo, E. Malcovati (a cura di). De Catilinae coniuratione. Paravia. 1971. ISBN 8839510265.
  • Gaio Sallusio Crispo; N. Flocchini, G. Ottaviani (a cura di). Antologia dalle opere. Paravia. 1993. ISBN 8839516417.

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