N.b.: si prega di non modificare nulla fino al pomeriggio del 30 aprile!!!

Il campo di concentramento di Arbe fu creato dal comando della Seconda Armata italiana nel luglio del 1942 ad Arbe nel Carnaro ed ospitò complessivamente tra i 10.000 e 15.000 internati tra sloveni, croati ed ebrei diventando il più esteso e popolato campo di concentramento italiano per slavi[1][2] raggiungendo i 21.000 internati nel dicembre 1942[3]. Il campo si caratterizzò per la durezza del trattamento riservato agli internati di etnia slava[1], dei quali un gran numero perì di stenti e malattie. Inoltre 3.500 ebrei fuggiti dagli ustascia croati furono qui internati dal Regio Esercito italiano evitando così la deportazione.[4][5][6].

Contesto storico

Nel 1918 con la fine della Prima Guerra Mondiale l’Italia include nei suoi confini parte della Slovenia, inglobandone la popolazione in gran parte slovena e croata. L’annessione è ritenuta fin da subito insufficiente, e negli Anni Venti matura il sentimento nazionalista di rivincita sulla vittoria mutilata affiancato alla crescita delle ambizioni imperialiste sul mare Adriatico, considerato dalla propaganda fascista un “golfo veneziano”. Il regime fascista non ha – e non avrà  – una politica chiara e univoca nei confronti della Jugoslavia; nel tentativo di indebolirla stringe alleanze con paesi confinanti ad essa ostili (Ungheria e Bulgaria) e con movimenti estremisti e terroristici interni al paese come gli ustascia croati, facendo anche leva sui conflitti preesistenti tra le componenti serba e croata. L’azione dello Stato italiano sul territorio recentemente annesso è di discriminazione nei confronti delle presenze croate e slovene e di tendenza alla snazionalizzazione, provvedendo ad esempio a sostituire i nomi dei luoghi scritti nelle lingue locali con parole italiane e a italianizzare i cognomi.([7])

Negli anni Trenta il regime fascista stabilisce un rapporto privilegiato con gli ustascia e il loro leader Ante Pavelic, accogliendoli in basi di addestramento in Italia.

in seguito all'adesione da parte del reggente jugoslavo Paolo Karađorđević al Patto Tripartito si scatena una sollevazione popolare (27 marzo). Il 6 aprile 1941 le forze nazifasciste sulla base di una comune decisione aggrediscono la Jugoslavia. La Jugoslavia viene divisa in zone d'occupazione di influenza italiana e tedesca. L'area di influenza italiana è divisa in tre zone, con parte della Slovenia, zona 1, direttamente annessa al Regno d’Italia; quando le truppe italiane arrivano a Lubiana, città principale della Slovenia,  l’esercito jugoslavo, già sbandato a causa dell’attacco tedesco, non oppone resistenza. A questo punto l’Italia tratta direttamente la delimitazione dei confini con la Croazia, diventata stato indipendente governato dagli ustascia, e ottiene ufficialmente l’annessione della Dalmazia da Zara a Spalato, istituendo il Governatorato di Dalmazia.

Nelle intenzioni dell’Asse lo stato croato doveva rimanere una sorta di tranquillo satellite per favorire la stabilizzazione della provincia di Lubiana; tuttavia gli italiani rimangono stanziati in Croazia anche dopo la costituzione del governo ustascia, essendo scoppiato nell’aprile del 1941  il conflitto tra questi ultimi e la componente serba della popolazione, duramente perseguitata in quelli che sono stati chiamati “massacri ustascia”. I militari italiani si trovano nella difficile situazione di alleati di un regime sanguinario che commette stragi indiscriminate di civili, scegliendo spesso di proteggere in vario modo i serbi.

Nel giugno del 1941,  in seguito all’invasione nazista dell’Urss, scoppia una vasta e eterogenea insurrezione contro l’occupantein cui assumono rilievo i partigiani del Partito Comunista  Jugoslavo guidati da Josip Broz detto Tito, unica forza panjugoslava attiva su tutto il territorio;  in Croazia, a causa dei massacri, esplode la rivolta antiustascia egemonizzata da nuclei di nazionalisti serbi (cetnici) a cui partecipano anche  gruppi di partigiani comunisti. L’esercito italiano, stanziato anche nelle zone 2 e 3, interviene con lo scopo di mantenere l’ordine, intensificando il dialogo con i cetnici, secondo il Regio Esercito alleati più affidabili dei sanguinari e irrazionali ustascia, causando il risentimento di questi ultimi;

Il peso della resistenza comunista cresce  e si consolida al punto da spingere gli ustascia ad allearsi di fatto con i cetnici, diventando entrambi truppe ausiliarie della II Armata posta sotto il comando del generale Roatta.

L’avanzata partigiana sottrae molte aree all'esercito di occupazione e in Slovenia, sotto l’egida del Fronte di liberazione, la lotta armata si diffonde nella provincia di Lubiana.

Per contrastarla Roatta emana nel marzo 1942 la circolare 3C, che stabilisce punto per punto l'operato della II armata in Jugoslavia e che verrà aggiornata più volte restando in vigore fino all’armistizio dell’ 8 settembre 1943. La circolare ufficializza quanto era già emerso dalle disposizioni del gennaio 1942, ovvero il passaggio dalla condizione di occupazione alla condizione di guerra in cui il nemico è costituito  dalla resistenza slava; pertanto occorre diffidare della popolazione civile, base e complice della resistenza, anche se sembra indifesa e innocua. Secondo la tattica della “terra bruciata” la rappresaglia non deve seguire la formula "dente per dente", ma "testa per dente". La circolare ordina  rastrellamenti, distruzioni di villaggi, cattura di ostaggi, deportazioni, confische dei beni e l'internamento sia protettivo che repressivo nelle aree annesse e occupate. [8]Inoltre Roatta istituisce un tribunale di guerra che adotta come soluzione prevalente l’internamento per le famiglie dei partigiani e dei sospetti tali: i prigionieri vengono dislocati in vari campi di concentramento, in Jugoslavia e in Italia. In Jugoslavia sorgono diversi campi; i principali sono tre: Arbe (Rab) per il quadrante adriatico settentrionale (Slovenia e Fiumano); Melada (Molat) per il quadrante centrale (Dalmazia) e Mamuka-Prevlaka per il quadrante meridionale (parte del Montenegro)

Il campo

 
Bambini internati ad Arbe

Il campo di Arbe, divenuto il più noto tra quelli italiani in Jugoslavia per il suo alto tasso di mortalità, aveva una capienza di circa 10.000 persone. Nelle intenzioni del generale Mario Robotti Arbe doveva essere “Arbissima”,  il modello del campo di concentramento al suo massimo livello di rigore [9].  Come gli altri campi per slavi, situati in Jugoslavia e nel nord-est italiano, rientrava nella rete parallela gestita dal Regio Esercito che, a differenza dei campi di internamento dipendenti dal Ministero degli Interni, era extra legem, svincolata dalla normativa ufficiale e sottratta al controllo della Croce Rossa Internazionale, in aperta violazione della IV Convenzione dell’Aja del 1909 e della Convenzione di Ginevra. [10]


Secondo lo storico Tone Ferencla necessità di allestire un grande campo di concentramento sull'isola di Arbe si era già fatta sentire nel maggio 1942 a seguito della saturazione dei campi di Laurana(Lovran), Buccari(Bakar) e Porto Re (Kraljevica)[12]. Nell'estate 1942, per far fronte alla necessità di provvedere all'internamento dei numerosi rastrellati nel corso delle operazioni estive in Slovenia, le autorità militari italiane della Seconda Armata costruirono in gran fretta ad Arbe[2][13](più esattamente nella località di Campora), un campo di concentramento per i civili slavidelle zone occupate dellaSloveniain cui furono internati anche alcuni civili della vicina Venezia Giulia.

Inizialmente concepito per internare 20-25000 prigionieri e ridimensionato intorno ai 10-11000 posti,  prevedeva la costruzione di quattro settori distinti, ma all'arrivo dei primi internati erano pronte solamente le baracche di servizio ed erano disponibili per gli internati soltanto un migliaio di tende militari da sei posti[1][8]. Il primo gruppo giunse ad Arbe il 28 giugno 1942 ed era composto da 198 sloveni provenienti da Lubiana mentre un secondo gruppo di 243 arrivò il 31 agosto[1]Complessivamente furono portati ad Arbe 27 gruppi di internati di cui il più cospicuo fu di 1194 persone giunte il 6 agosto[1]. Dei quattro campi inizialmente immaginati ne furono realizzati solo tre. Nel 1° e nel 3° furono inseriti i "repressivi" (soprattutto sloveni), mentre nel 2° furono inseriti i "protettivi" (soprattutto ebrei)[1].

Con l'arrivo della stagione autunnale la situazione nei campi divenne più difficile, soprattutto in quelli in cui erano reclusi i "repressivi" dove le piogge provocarono più volte il riversamento del liquame delle latrine del campo e la notte del 29 ottobre 1942 una violenta tempesta distrusse quattrocento tende e provocò l'annegamento di alcuni bambini[10]. Si iniziarono quindi a costruire le prime baracche di legno[2][8]ma per la lentezza dei lavori molti internati trascorsero comunque l'inverno al freddo dentro le tende[1]. Nel novembre 1942 il numero di internati diminuì, come riporta Capogreco, per la partenza di parte degli internati per altri campi di concentramento, soprattutto di donne e bambini destinati al campo di Gonars[8].

L'internamento repressivo degli slavi

 
Internato nel campo di Arbe.

Come sottolinea Capogreco, i deportati jugoslavi costituiscono la categoria più colpita dal regime fascista per i numeri e la durezza della persecuzione, che nei loro confronti appare improntata al modello coloniale sperimentato in Africa negli anni Trenta. [11]

Le dimensioni di massa dell’internamento vanno ricondotte anche al progetto di “sbalcanizzazione” o pulizia etnica della Provincia di Lubiana, da realizzarsi  sostituendo la popolazione slava con coloni italiani “regnicoli”. Così, nelle parole di Mussolini,  si sarebbero fatti coincidere “i confini politici con quelli razziali”. [12]

Unici in Europa, i campi per slavi sono tendopoli esposte alle intemperie e prive di requisiti igienici, caratterizzati da denutrizione cronica e malattie. Arbe  ne costituisce l’esempio estremo. Complessivamente ad Arbe furono internati circa 10.000 civili[12], tra cui vecchi, donne e bambini di famiglie sospettate di collaborare con il movimento partigiano, spesso provenienti dai villaggi incendiati,  ma anche residenti in aree sgombrate per esigenze belliche[13].  La cifra non comprende coloro che sono passati in transito verso altri campi, nei territori occupati o nel Regno d'Italia.

Campo ad altissima mortalità, specie per le famiglie con bambini e anziani, conteneva nell’agosto del 1942 circa 1000 minori di 16 anni. [14].  


Periodo Uomini Donne Bambini Totale internati
27 luglio-31 luglio 1942 1.061 111 53 1.225
1º agosto-15 agosto 1942 3.992 0 1.029 5.021
16 agosto-31 agosto 1942 5.333 1.076 1.209 7.618
1º settembre-15 settembre 1942 6.787 1.563 1.296 9.646
16 settembre-30 settembre 1942 7.327 1.804 1.392 10.523
1º ottobre-15 ottobre 1942 7.387 1.854 1.392 10.633
16 ottobre-31 ottobre 1942 7.206 1.991 1.422 10.619
1º novembre-15 novembre 1942 7.207 2.062 1.463 10.732
16 novembre-27 novembre 1942 6.647 1.560 926 9.133
Fonte: Davide Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo, ed. Bollati Boringhieri, Torino 2003


Internati morti nel campo di concentramento di Arbe. Fonte: Rabski zbornik, 1953.[12]


A causa della precarietà in cui versava il campo l'inverno del 1942 fu molto duro per gli internati che avevano come unico riparo delle tende e spesso erano privi di vestiario adeguato[15]. Peculiarità del campo è anche il sadismo del comandante,  il colonnellodei carabinieri Vincenzo Cuiuli[16], il quale, nonostante ciò violasse le norme italiane, faceva incatenare a dei pali gli internati in punizione[17]. L'alimentazione insufficiente rendeva gli internati particolarmente deperiti e soggetti a diverse malattie, tra cui la tubercolosi e le infezioni intestinali che provocarono un tasso di mortalità molto alto[8][14][15][16]. Secondo alcuni ricercatori ciò rispondeva ad una precisa politica volta a mantenere sotto controllo gli internati[21].

Nel novembre del 1942 il vescovo di Lubiana Gregorij Rožmansi era già recato presso papa Pio XII per chiedergli di intervenire per evitare che il campo di Arbe diventasse un "campo di morte"[22]. La Croce Rossajugoslava il 10 dicembre 1942 denunciava la scarsezza alimentare dei campi gestiti dagli italiani in Jugoslavia con particolar riferimento a quello di Arbe[23]. Pertanto il Vaticano interveniva presso le autorità italiane affinché si provvedesse alla liberazione della maggior parte delle donne e dei bambini[24]. Il generale Mario Roattainviava al campo il generale Giuseppe Gianniche relazionava minimizzando l'alto tasso di mortalità attribuendolo alle precarie condizioni fisiche degli internati in gran parte anziani[25]. Ciononostante tutti i bambini e quasi tutte le donne furono evacuati verso altri campi in Italia[26]. Il generale Umberto Giglioancora il 19 gennaio 1943 scriveva un resoconto sulla situazione interna del campo segnalando la necessità di migliorare le condizioni fisiche degli internati pur attribuendo la causa del grave deperimento fisico alle "privazioni precedenti all'arresto sia al trauma psichico dell'arresto stesso ed alle aggressioni da parte dei ribelli subite durante il viaggio di trasferimento"[8]. A partire da gennaio 1943 le condizioni miglioravano sensibilmente con la costruzione di baracche in muratura e l’aumento delle razioni alimentari[15].

Il vescovo della diocesi di Veglia, Josip Srebrnič, il 5 agosto 1943 riferiva a papa Pio XIIche "secondo i testimoni, che avevano partecipato alle sepolture, il numero dei morti avrebbe superato le 3500 unità"[20](tra cui circa 100 bambini di età inferiore ai 10 anni[21]). Le fonti slovene stimano che al suo interno avrebbero perso la vita circa 1400 internati slavi tra cui anche donne e bambini[22]Gli storici sloveni e croati, quali Tone Ferenc, Ivan Kovačiće Božidar Jezernik, indicano in un numero compreso tra i 1447 e i 1167 i decessi avvenuti al campo[23].

L'internamento protettivo degli ebrei

 
Il settore del campo destinato agli internati "protetti"

L'istituzione dei campi protettivi in Jugoslavia nasce originariamente dalla volontà di proteggere dalle rappresaglie elementi ostili alla resistenza partigiana, delatori e collaborazionisti. Ad Arbe vennero anche internati a scopo protettivo alcune migliaia di ebrei.

Nell'area occupata dall'Italia si trovavano alcune centinaia di ebrei concentrati soprattutto nella città di Mostare lungo la costa, cui si aggiunsero migliaia di profughi in fuga dai territori occupati dai tedeschi e dai massacri commessi dagli ustascianello Stato Indipendente di Croazia[5][24][25]. Tranne una parte respinta alla frontiera di Fiume gli ebrei furono accolti nella Dalmazia annessa dall'Italia[5]e la protezione fu estesa anche a quelli che si trovavano nelle zone occupate dalle truppe italiane in Croazia[25]i quali pur sottoposti a vigilanza continuarono a vivere liberamente[26]. Alla fine del 1942 la situazione si rese più complicata quando alle richieste croate di ottenere gli ebrei presenti nei territori occupati italiani si aggiunsero anche le pressioni tedesche.


La tragedia che avrebbe colpito gli ebrei in caso di consegna, inizialmente ipotizzata, fece sì che il Regio Esercito escogitasse pretesti e opponesse una serie di rinvii per non procedere ad alcuna consegna degli ebrei internati anche ad Arbe[5]; dal novembre 1942 la situazione è più chiara e non consegnare gli internati diventa prioritario[29]. Si ipotizza in un primo tempo di internare gli ebrei in locande e alberghi dismessi nella città di Grado, poi si prefersce la soluzione del campo di Arbe dove viene allestita appositamente un'area[28]in cui sono fatti confluire complessivamente gli oltre 3.500 nuovi internati[29][30][31]. Qui vivono in una condizione sicuramente migliore degli internati slavi potendo ricevere visite esterne e svolgere attività ricreativa[28]. Le autorità militari e civili che operavano in Jugoslavia nel frattempo avevano esercitato pressioni su Mussolini, che revoca le precedenti disposizioni e dispone che tutti gli ebrei siano internati in territorio sotto giurisdizione italiana; per ovviare alle richieste del governo ustascia decide di avviare per gli ebrei con passaporto croato le pratiche per rinunciare alla cittadinanza[32]. Insieme ai numerosi ebrei vengono internati ad Arbe a scopo "protettivo" anche molti serbi sfuggiti alle persecuzioni croate[5].

Ancora nell'agosto 1943 le autorità italiane si preoccupavano dell'incolumità degli internati ebrei immaginando, in caso di ritirata delle truppe italiane, di mantenere un presidio armato affinché gli internati protettivi non cadessero "in mani straniere"[28].

A contribuire almeno in parte alla salvezza degli ebrei jugoslavi, il bando emanato nel 1941 dal generale della II Armata Ambrosio prometteva salva la vita a tutti coloro che indipendentemente da religione e nazionalità si fossero sottomessi all’autorità militare italiana. Ma in ultima istanza l’escamotage che permette di salvare migliaia di profughi dalla deportazione è la decisione da parte dei comandi italiani in Jugoslavia di internare le minoranze perseguitate finora non sottoposte a misure restrittive (ebrei e serbi di Croazia)  per mettere a tacere le accuse di mancata collaborazione con l’alleato tedesco; internati, sì, ma in campi a scopo protettivo.

Il perchè di questo comportamento non è del tutto chiaro. Si possono considerare  tre ordini di motivazioni fondamentali: etiche, improntate al realismo e al prestigio politico. E' possibile che i fascisti fossero effettivamente sensibili alla condizione degli ebrei nei campi di concentramento tedeschi e volessero evitare loro quella sorte. Ad esempio, il generale Vittorio  Castellani stigmatizza l’"ignobile traffico" in una lettera a Pietromarchi. 37 Dal punto di vista del realismo politico c’era la necessità di governare il territorio, eliminando le ragioni di disordine che la dura politica di persecuzione ustascia nei confronti degli ebrei creava; rifiutarsi di consegnare ebrei all’alleato tedesco faceva sperare di attirare nella sfera di influenza italiana, nel dopoguerra, i paesi che eventualmente avrebbero potuto temere l’ingerenza tedesca.  Contemporaneamente, il fascismo tentava di ingraziarsi l’opinione pubblica internazionale e la S. Sede, impegnata in quegli anni (1942) in un’intensa attività diplomatica a favore dei profughi. Va ricordato, inoltre, che fin dall’emanazione delle Leggi Razziali (1938) il Ministero degli Esteri italiano temeva che questi provvedimenti non avrebbero giovato al progetto imperialistico fascista sui Balcani aggravando la già complessa gestione di un territorio così frammentato e dilaniato da conflitti interetnici. E poi i fascisti volevano mantenere buoni rapporti con i cetnici. In questa ottica, se avessero consegnato gli ebrei, i serbi i avrebbero potuto temere di essere a loro volta consegnati agli ustascia e questo avrebbe minato la  collaborazione dei cetnici. Infine va rilevato che la consegna degli ebrei sarebbe stata un atto di penosa condiscendenza nei confronti della Germania, prepotente alleato e rivale: sottrarvisi era anche segno di autonomia e di prestigio politico.[39]


 
Baracca adibita al lavoro dei calzolai

La chiusura del campo

Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 il campo fu temporaneamente occupato dalle forze partigiane di Tito. Gli internati ebrei - liberati - raggiunsero in massima parte la terraferma. Di costoro circa 240 giovani atti alle armi furono radunati in un battaglione ebraico[7] che combatté nell'EPLJ contro l'Asse; 200 persone rimasero sull'isola e furono catturate dai tedeschi durante la successiva occupazione nazista; infine, circa 200 persone raggiunsero via mare l'Italia[8]. Il comandante del campo, colonnello Vincenzo Cujuli dopo ll'8 settembre 1943 rimase di presidio al campo in base all'ordine giuntogli dal comando della seconda armata di collaborare con i partigiani jugoslavi[9]. Preso prigioniero dai partigiani secondo alcune fonti fu seviziato e ucciso[9], mentre secondo altre sarebbe morto suicida in prigionia[10].

Negli anni cinquanta, fu eretto un monumento ad opera dell'architetto sloveno Edvard Ravnikar.


1  ^Salta a:abcdefgGianni Oliva, p. 131

2  ^Salta a:abcGobetti, Alleati del nemico, p. 87

3  ^Ferenc

4  ^Renzo De Felice a proposito della vicenda degli ebrei internati ad Arbe, su Rosso e Nero, p. 161,

5  ^Salta a:abcdeMarina Cattaruzza, p. 214

6  ^Gianni Oliva, p. 131, 271 secondo Gianni Oliva

7  Sul “fascismo di confine” cfr Capogreco, pp.106-109

8^Circolare 3C, su criminidiguerra.it.

8  ^Salta a:abcdefI CAMPI FASCISTI - Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò

9  Tone Ferenc, p.3

10          Capogreco, pp.14; 137; 153-54; 156-58

11          Capogreco, pp.82; 140-41; sul carattere coloniale della guerra in Jugoslavia cfr. anche Gobetti, pp. 92-93

12          Gobetti, pp. 86-87; Capogreco, pp.68-69;

13          ^Salta a:abcMarina Cattaruzza, p. 230

14          ^Gianni Oliva, pp. 131-132

15          Capogreco, pp. 145-47; 151-52

16          ^Rossi & Giusti, p. 62 Secondo il generale Mario Roatta sarebbero stati al massimo 10552

17          ^Rabski zbornik, 1953.

18          ^Gobetti, Alleati del nemico, p. 88

19          ^Salta a:abGianni Oliva, p. 132

20          ^Salta a:abcMarina Cattaruzza, p. 231

21          ^Gobetti, Alleati del nemico, p. 88: "Tuttavia la privazione della libertà, la fame, le malattie connesse con la denutrizione e le pessime condizioni igieniche, concorrono a portare alla morte un notevole numero di persone."

22          ^cfr. nota del generale Gastone Gambara del17 dicembre del 1942: “ Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d’ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo”. In Capogreco, p. 142; cfr inoltre Gobetti, Alleati del nemico, p. 88-89;

23          ^Salta a:abcGianni Oliva, p. 133

24          ^Rossi & Giusti, p. 486

25          ^Cresciani, Gianfranco (2004), Italian Historical Society Journal, Vol.12, No.2, p.7

26          ^Italijanska koncentracijska taborišča za slovence med 2. svetovno vojno, Božidar Jezernik, Revija Borec - Društvo za preučevanje zgodovine, literaure in antropologije, Lubiana 1997, ISSN 0006-7725.

27          ^Rossi & Giusti, p. 62

28          ^Rossi & Giusti, p. 486: Riportati nel saggio di Capogreco: Tone Ferenc parla di 1435 decessi, per Ivan Kovacic 1447, mentre per Bozidar Jezernik 1167

29          ^"(...) nell'agosto-settembre 1941, per fermare la violenza antiebraica e stroncare gli eccidi in corso fra serbi e croati, l'Esercito italiano assunse provvisoriamente il controllo di una nuova zona ceduta dalla Croazia di Pavelic. (...) Mentre Mussolini per non sfidare apertamente i tedeschi si opponeva all'ipotesi di un trasferimento dei rifugiati in Italia, in gran parte ebrei stranieri formalmente impediti all'ingresso nella penisola da una legge del 1939, nel 1942, fu finalmente escogitata la formula che avrebbe permesso di sfuggire alle pretese dell'alleato pur senza affrontarlo in un rifiuto diretto. I circa 3000 ebrei croati e stranieri (...) dal mese di ottobre (furono) internati in appositi campi (...) allo scopo di tacitare le accuse tedesche di spionaggio a favore del nemico, sarebbero stati sottoposti ad un lungo e laborioso censimento (...). La tattica temporeggiatrice funzionò fino al febbraio 1943 (...) quando Mussolini cedette alle richieste di trasferire gli ebrei a Trieste dove sarebbero stati prelevati dai tedeschi, autorizzando però i suoi generali a trovare nuovi pretesti per il rinvio. (...) nel marzo 1943 si decise di concentrare tutti i rifugiati in un campo dipendente dalla II Armata nell'isola dalmata di Arbe, (...) cioè in un territorio sottoposto alla sovranità italiana, al sicuro da qualsivoglia insidioso tentativo di colpo di mano". Anna Millo, L'Italia e la protezione degli ebrei, in L'occupazione italiana della Iugoslavia, Le Lettere, 2009, pp. 367 e 367.

30          ^Salta a:abGobetti, Alleati del nemico, p. 129

31          ^Gobetti, Alleati del nemico, p. 130

32          ^Jonathan Steinberg, p. 85:"La documentazione suggerisce che da quel momento, all'inizio del novembre 1942, le autorità italiane del ministero degli Esteri e le forze armate seppero di non dover consegnare quelle migliaia di ebrei"

33          ^Salta a:abcGobetti, Alleati del nemico, p. 131

34          ^3.577 secondo un elenco fornito da Jasa Romano, Jevreji u logoru na Rabu i njihovo uklucivanje u Narodnooslobodilacki rat, in: Zbornik1973 n. 2 p. 70

35          ^Marina Cattaruzza, p. 214 circa 4000 secondo la storica Marina Cattaruzza

36          ^Gobetti, Alleati del nemico, p. 131 3577 anche secondo Igor Gobetti

37          Gobetti, Alleati del nemico, p. 130-32

38          ^Jonathan Steinberg, p. 92: Appunto per il gabinetto AP, firmato dal generale Vittorio Castellani"Il Duce ha disposto:1)che detti ebrei vengano mantenuti tutti in campi di concentramento; 2) che si proceda intanto, oltre che a determinare la pertinenza dei singoli internati, a raccogliere -in analogia alle richieste contenute nella soprariferita proposta del Governo croato- le istanze che gli interessati stessi volessero liberamente presentare per rinunciare alla cittadinanza croata ed alla proprietà di ogni bene immobile posseduto in Croazia"


39          ^Eric Gobetti, p. 130-32

40          ^Per una foto del reparto si veda http://emperors-clothes.com/croatia/rab.jpg

41          ^Menachem Shelah, Un debito di gratitudine. Storia dei rapporti tra Esercito Italiano e gli ebrei in Dalmazia (1941-1943), USSME, 1991, pp. 156-168.

42          ^Salta a:abI CAMPI FASCISTI - Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò

^Anton Vratuša, Dalle catene alla libertà - La "Rabska brigada", una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista, Kappa Vu, 2011, ISBN 978-88-89808-627

  1. ^ a b Gianni Oliva, p. 131
  2. ^ Gobetti, Alleati del nemico, p. 87
  3. ^ Ferenc
  4. ^ Renzo De Felice a proposito della vicenda degli ebrei internati ad Arbe, su Rosso e Nero, p. 161,
  5. ^ Marina Cattaruzza, p. 214
  6. ^ Gianni Oliva, p. 131, 271 secondo Gianni Oliva
  7. ^ Per una foto del reparto si veda http://emperors-clothes.com/croatia/rab.jpg
  8. ^ Menachem Shelah, Un debito di gratitudine. Storia dei rapporti tra Esercito Italiano e gli ebrei in Dalmazia (1941-1943), USSME, 1991, pp. 156-168.
  9. ^ a b I CAMPI FASCISTI - Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò
  10. ^ Anton Vratuša, Dalle catene alla libertà - La "Rabska brigada", una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista, Kappa Vu, 2011, ISBN 978-88-89808-627