Walter Tobagi

giornalista e scrittore italiano (1947-1980)
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Walter Tobagi (Spoleto, 18 marzo 1947 - Milano, 28 maggio 1980), giornalista, fu assassinato in un attentato terroristico perpetrato dalla Brigata XXVIII marzo, gruppo terrorista di estrema sinistra.

Biografia

Walter Tobagi [1] nacque il 18 marzo 1947 a San Brizio, una frazione a sette chilometri da Spoleto, in Umbria. All'età di otto anni la famiglia si trasferì a Bresso, vicino Milano (il padre Ulderico era un ferroviere). La sua carriera di giornalista cominciò al ginnasio, come redattore della Zanzara, il celebre giornale del «Parini».

Dopo il liceo, Tobagi entrò giovanissimo all' Avanti! di Milano, ma vi rimase solo pochi mesi per poi passare al quotidiano cattolico Avvenire. Il direttore, Leonardo Valente, disse di lui:

«Nel 1969, quando lo assunsi, mi accorsi di essere davanti a un ragazzo preparatissimo, acuto e leale. Di lui ricordo le lunghe e piacevolissime chiacchierate notturne alla chiusura del giornale. Non c'era argomento che non lo interessasse, dalla politica allo sport, dalla filosofia alla sociologia, alle tematiche, allora di moda, della contestazione giovanile. Affrontava qualsiasi argomento con la pacatezza del ragionatore, cercando sempre di analizzare i fenomeni senza passionalità. Della contestazione condivideva i presupposti, ma respingeva le intemperanze.»

Sia all’Avanti! sia all' Avvenire si occupava di argomenti diversi, ma andava sempre più definendosi il suo interesse prioritario per i temi sociali, per l'informazione, per la politica e il movimento sindacale, a cui dedicava molta attenzione anche nel suo lavoro «parallelo», quello universitario e di ricercatore.

La prima inchiesta ampia pubblicata su Avvenire fu sul movimento studentesco a Milano: quattro puntate di storia, analisi, opinioni sui gruppuscoli e sulle lotte del movimento degli studenti in quegli anni: un'inchiesta che Costituì la «base» per un più organico e ampio lavoro pubblicato nel 1970 da Sugar col titolo Storia del movimento studentesco e dei marxisti-leninisti in Italia. Sul frontespizio del libro si leggeva: «Il Movimento studentesco espressione dei ceti medi proletarizzati può essere considerato di fatto una avanguardia proletaria? Dalla prospettiva del Movimento il Partito comunista va considerato come 'l'ala destra del movimento operaio' oppure 'l'ala sinistra della borghesia'? E a sua volta il Movimento Studentesco è «l'ala sinistra del movimento operaio», oppure il nucleo del partito rivoluzionario?».

Ma Tobagi non trascurava neppure i temi economici: si misurò con inchieste in diverse puntate sull'industria farmaceutica, la ricerca, la stampa, l'editoria, ecc. In quegli stessi anni si mostrò interessato anche alla politica estera, in particolare all’ India, alla Cina, al Medio Oriente, alla Spagna (alla vigilia del crollo del franchismo), alla guerriglia nel Ciad, alla crisi economica e politica della Tunisia, alle violazioni dei diritti dell'uomo nella Grecia dei colonnelli, alle prospettive politiche dell'Algeria, e così via.

Tuttavia, l'impegno maggiore Tobagi lo dedicò alle vicende del terrorismo, a cominciare dalla morte di Giangiacomo Feltrinelli e dall'assassinio del commissario Calabresi. Si interessò, inoltre, alle prime iniziative militari delle Br, ai «covi» terroristici scoperti a Milano, al rapporto del questore Allitto Bonanno, alla guerriglia urbana che provocava tumulti (e morti) per le strade di Milano, organizzata dai gruppuscoli estremisti di Lotta continua, Potere operaio, Avanguardia operaia.

Quelli trascorsi all' Avanti! e all' Avvenire furono anni di iniziazione e di pratica alla scuola di «cronista sul campo», un praticantato lungo e faticoso che doveva portarlo al Corriere d'Informazione e, in seguito, al Corriere della Sera, dove poté esprimere pienamente le sue potenzialità di inviato sul fronte del terrorismo e di cronista politico e sindacale.

Come ha raccontato Leonardo Valente,

«Walter preparava gli articoli con la stessa diligenza con cui al liceo faceva le versioni di latino e greco e all'università si dedicava alle ricerche storiche: una montagna di appunti, decine e decine di telefonate di controllo, consultazione di leggi, regolamenti, enciclopedie. Insomma svolgeva una mole di lavoro enorme per un pezzo di due cartelle. Ma quando finalmente si metteva alla macchina da scrivere si poteva esser certi che dal rullo sarebbero uscite due cartelle di oro colato. E se per caso, al termine delle sue ricerche e dei suoi controlli, si accorgeva di essere arrivato a conclusioni opposte rispetto a quelle da cui era partito, buttava tutto all'aria e ricominciava dal principio, senza darsi la minima preoccupazione della fatica e del tempo che impiegava. Il suo solo problema era di arrivare alla verità, a qualunque costo»

Questo fu il metodo seguito con scrupolo anche nel suo lavoro di inviato del Corriere. Un metodo rigoroso, consistente nell' analizzare essenzialmente i fatti, alieno dalle ipotesi fantasiose e dalla facile emotività. Forse è per il suo voler innanzitutto «capire» che Tobagi è stato ucciso. La pensa così, ad esempio, Giampaolo Pansa, che ha rilevato come

«Tobagi sul tema del terrorismo non ha mai strillato. Però, pur nello sforzo di capire le retrovie e di non confondere i capi con i gregari era un avversario rigoroso. Il terrorismo era tutto il contrario della sua cristianità e del suo socialismo. Aveva capito che si trattava del tarlo più pericoloso per questo paese. E aveva capito che i terroristi giocavano per il re di Prussia. Tobagi sapeva che il terrorismo poteva annientare la nostra democrazia. Dunque, egli aveva capito più degli altri: era divenuto un obiettivo, soprattutto perché era stato capace di mettere la mano nella nuvola nera»

Al Corriere della Sera Tobagi seguì sistematicamente tutte le vicende relative agli «anni di piombo»: dai tempi degli autoriduttori che disturbavano le Feste dell'Unità agli episodi di sangue più efferati con protagoniste le Br, Prima Linea e le altre bande armate. Analizzando le vicende luttuose del terrorismo risaliva alle origini di Potop, con la galassia delle storie politiche e individuali sfociate in mille gruppi, di cui molti approdati alle bande armate.

In «Vivere e morire da giudice a Milano» Walter raccontò la storia di Emilio Alessandrini, 39 anni, sostituto procuratore della Repubblica, assassinato in un agguato dalle Brigate Rosse: un magistrato che si era particolarmente distinto nelle indagini sui gruppi estremisti di destra e, successivamente, su quelli terroristi di sinistra. Anche Alessandrini era un «personaggio simbolo». Scrisse Tobagi: «[Alessandrini] rappresentava quella fascia di giudici progressisti ma intransigenti, né falchi chiacchieroni né colombe arrendevoli». Osservò inoltre che i terroristi prendevano di mira soprattutto i riformisti, condividendo il giudizio che lo stesso Alessandrini aveva espresso in una intervista all'Avanti!: «Non è un caso che le azioni dei brigatisti siano rivolte non tanto a uomini di destra, ma ai progressisti. Il loro obiettivo è intuibilissimo: arrivare allo scontro nel più breve tempo possibile, togliendo di mezzo quel cuscinetto riformista che, in qualche misura, garantisce la sopravvivenza di questo tipo di società». Un giudizio che doveva trovare una tragica conferma proprio con la uccisione di Walter.

Negli ultimi articoli intensificò le analisi su certe realtà urbane a Milano, a Genova, a Torino («Come e perché un 'laboratorio del terrorismo' si è trapiantato nel vecchio borgo del ticinese», «Vogliono i morti per sembrare vivi», «Bilancio di 10 miliardi all'anno per mille esecutori clandestini», ecc.). Non trascurò il fenomeno del pentitismo, con tutti gli aspetti anche negativi, e studiò il terrorista nella clandestinità, («C'è una regola dei due anni, termine ultimo oltre il quale non resiste il Br clandestino»). E siamo dunque a uno dei suoi ultimi articoli sul terrorismo, un testo che è stato ripubblicato molte volte perché considerato uno dei più significativi sin dal titolo: «Non sono samurai invincibili».

Tobagi sfatò tanti luoghi comuni sulle «bierre» e gli altri gruppi armati, denunciando, ancora una volta, i pericoli di un radicamento del fenomeno terroristico nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro, come molti segnali avevano indicato con profonda inquietudine. Scrisse, ad esempio:

«La sconfitta politica del terrorismo passa attraverso scelte coraggiose: è la famosa risaia da prosciugare, tenendo conto che i confini della risaia sono meglio definiti oggi che non tre mesi fa. E tenendo conto di un altro fattore decisivo: l'immagine delle Brigate rosse si è rovesciata, sono emerse falle e debolezze e forse non è azzardato pensare che tante confessioni nascono non dalla paura, quanto da dissensi interni, sull'organizzazione e sulla linea del partito armato»

Opinioni che risultano confermate anche in un'altra significativa intervista al figlio di Carlo Casalegno, Andrea. In quell'intervista, concessa un mese prima dell'uccisione di Tobagi, Casalegno disse: «Non sento la benché minima traccia di odio, né provo alcun perdono cristiano. Sento l'offesa come nel momento in cui è avvenuta». L'intervistatore chiese se riteneva giusto denunciare i «compagni di lotta». E Andrea Casalegno rispose senza reticenze: «La denuncia è importante e va fatta se serve a evitare atti futuri gravi. È un dovere, perché è assolutamente necessario impedire che vittime innocenti cadano ancora».

Tuttavia, come purtroppo sappiamo, di vittime innocenti ce ne sono state ancora: una lunga catena che va da Walter Tobagi a Marco Biagi.

La sera prima di essere assassinato, Walter Tobagi presiedeva un incontro al Circolo della stampa di Milano. Si discuteva del «caso Isman», un giornalista del Messaggero che era stato incarcerato per aver pubblicato un documento sul terrorismo, e dunque della libertà di stampa, della responsabilità del giornalista di fronte all'offensiva delle bande terroristiche. Il dibattito fu piuttosto agitato e l'inviato del Corriere fu fatto oggetto di ripetute aggressioni verbali, cosa non nuova, del resto, come ha raccontato[2] il suo collega ed amico Gianluigi Da Rold:

«Negli anni del suo impegno professionale e come responsabile sindacale dei giornalisti lombardi, Walter Tobagi viene violentemente attaccato, più di una volta, sia dalla parte comunista della redazione del Corriere, sia dai giornalisti di altre testate milanesi di cosiddetta "area comunista."»

Il motivo di tanta ostilità era evidentemente la sua adesione, mai nascosta, al socialismo riformista[senza fonte]. A un certo punto, durante qel dibattito, Tobagi, riferendosi alla lunga serie di attentati terroristici, disse: «Chissà a chi toccherà la prossima volta». Dieci ore più tardi era caduto sull'asfalto sotto i colpi dei suoi assassini. Lasciava la moglie, Maristella, e due figli, Luca e Benedetta. [3]


Tobagi teneva un diario, ma la discrezione di una famiglia simile a lui lo ha sottratto al tritacarne dei mass media. Come ha scritto Gaspare Barbiellini Amidei, però, «sarebbe un giorno lezione civile poterlo leggere sui banchi della scuola. Molti ragazzi dicono di voler fare da grandi i giornalisti. Lo diventino come lui fu».

A Walter Leo Valiani rese omaggio con queste parole: [4]

«L'Italia repubblicana non ha fatto, sotto i colpi del terrorismo, la stessa fine dell'Italia liberale sotto i colpi dello squadrismo. I politici, i sindacalisti, i magistrati, i poliziotti ed i carabinieri, i giornalisti, e le grandi masse del paese, hanno imparato qualche cosa dall'amara esperienza del primo dopoguerra. Se hanno saputo difendere la repubblica, lo si deve anche ad uomini come Tobagi ed al loro sacrificio. Buono, generoso quale era, se fosse rimasto in vita, Tobagi non se ne vanterebbe. Ma noi gli dobbiamo sempre un accorato omaggio»


In via Salaino, a Milano, all'angolo con via Solari, cioè nei pressi del luogo dell'omicidio, il 28 maggio 2005 è stata posta una targa in memoria di Walter Tobagi. Così la Giunta comunale di Milano, accogliendo la richiesta dell'Associazione Lombarda Giornalisti, di cui Tobagi era presidente, e dell'Ordine del Giornalisti della Lombardia, ha deciso di ricordare l'inviato del Corriere della Sera nel venticinquesimo anniversario della morte. Nella targa è riportato un passo di una lettera che Tobagi scrisse nel dicembre del 1978 alla moglie:

«...al lavoro affannoso di questi mesi va data una ragione, che io avverto molto forte: è la ragione di una persona che si sente intellettualmente onesta, libera e indipendente e cerca di capire perché si è arrivati a questo punto di lacerazione sociale, di disprezzo dei valori umani (...) per contribuire a quella ricerca ideologica che mi pare preliminare per qualsiasi mutamento, miglioramento nei comportamenti collettivi.»

Opere

Il suo primo libro Tobagi lo pubblicò a 23 anni, elaborando e arricchendo inchieste già pubblicate sui quotidiani: Storia del movimento studentesco e dei marxisti-leninisti in Italia (1970, Sugar editore). Nel 1974 pubblicò, negli Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, La fondazione della politica salariale della Cgil. Nel 1976 uscì un suo saggio su "Ilario Borsa giornalista liberale" in Problemi dell'informazione, luglio-settembre, e nello stesso anno curò per l'Esi un libro-antologia di scritti e discorsi di Achille Grandi (1944-1946) dal titolo I cattolici e l'unità sindacale. Una più ampia biografia del sindacalista cattolico, insieme a una serie di saggi di altri autori, venne curata da Tobagi in un nuovo libro, pubblicato dal Mulino (Achille Grandi, sindacalismo cattolico e democrazia sindacale). Nel 1978 pubblicò La rivoluzione impossibile, per i tipi del Saggiatore. Nel 1979 raccolse alcuni saggi originali, legati a temi storici e d'attualità, in Il sindacato riformista (edizione Sugarco); insieme con Giorgio Bocca, pubblicò Vita di giornalista (Laterza) e "Il Psi dal centro sinistra all'autunno caldo" in Storia del partito socialista (Marsilio editori). Infine, uscì postumo, un mese dopo la sua scomparsa, Che cosa contano i sindacati (Rizzoli), un libro che metteva a nudo gli errori, le contraddizioni, i limiti del sindacato degli anni '70.


Note

  1. ^ Le informazioni sopra riportate si basano in parte sull'ampio profilo biografico contenuto nel volume Testimone scomodo. Walter Tobagi - Scritti scelti 1975-80, a cura di Aldo Forbice, Franco Angeli, Milano 1989.
  2. ^ Gianluigi Da Rold, La battaglia di via Solferino, SugarCo,1984, p.93. Cit. nell'articolo di Luigi Oreste Rintallo "28 maggio 1980: il delitto Tobagi", Quaderni Radicali, maggio 2000
  3. ^ Per farsi un'idea del clima politico-culturale all'interno del quale è maturata l'impresa criminale che ha posto fine alla vita di Tobagi si veda il già citato articolo di L.O. Rintallo (Quaderni Radicali). L'articolo rende conto anche di quanto emerse dal processo ai responsabili dell'attentato, nonché di quanto non è mai stato chiarito. Fa sicuramente riflettere, ad esempio, quanto il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa disse a Panorama a proposito dei "sostenitori" che la Brigata XXVIII marzo avrebbe avuto "tra i giornalisti." Durante il processo, tra l'altro, emersero alcune testimonianze relative all'omicidio di Antonio Custra.
  4. ^ Leo Valiani, "Perché lui?", in Testimone scomodo. Walter Tobagi - Scritti scelti 1975-80, cit.

Bibliografia

  • AA.VV., Walter Tobagi, profeta della ragione, Silvia Editrice, 2006. Raccoglie, oltre a una ricchissima rassegna stampa, gli atti del convegno tenutosi al Circolo della Stampa di Milano in occasione del 25° anniversario dell’assassinio di Walter Tobagi
  • Giovanni Fasanella e Antonella Grippo, I silenzi degli innocenti, Rizzoli, 2006. Sono le vittime di trent'anni di violenza, da Piazza Fontana a oggi
  • Daniele Biacchessi, Walter Tobagi. Morte di un giornalista, Baldini Castoldi Dalai, 2005
  • Piero V. Scorti, L'affaire Tobagi. Un «giallo politico», Montedit (collana: Koinè saggi), 2003
  • Gianluigi Da Rold, ... Annientate Tobagi!, Bietti, 2000 (scheda libro)
  • Testimone scomodo. Walter Tobagi - Scritti scelti 1975-80, a cura di Aldo Forbice, Franco Angeli, Milano 1989 (scheda libro). Contributi di G. Benvenuto, E. Biagi, P. Carniti, M. Cianca, N. Dalla Chiesa, M. Matteotti, A. Petacco, S. Turone, L. Valiani

Collegamenti esterni

Voci correlate