Carlo Magno

re dei Franchi (r. 768-814) e dei Longobardi (r. 774-814), primo imperatore del Sacro Romano Impero (r. 800-814)
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«A Carlo, augusto, incoronato da Dio, grande e pacifico imperatore dei Romani, vita e vittoria.»

Carlo, detto Magno ("Il grande"), o Carlomagno (in tedesco: Karl der Große, in francese Charlemagne, in Latino: Carolus Magnus; 2 aprile 742 o 747 - 28 gennaio 814), fu re dei Franchi e dei Longobardi e Imperatore del Sacro Romano Impero.

Carlo Magno in un dipinto di Dürer, 1511-1513

Biografia

 
Statua di Carlo Magno davanti al museo storico di Francoforte

Carlo nacque il 2 aprile 742 o 747, primogenito di Pipino il Breve (714 - 768), primo dei re Carolingi. Alla morte di Pipino il regno fu diviso tra Carlo e suo fratello Carlomanno. Quando questi morì nel 771, all'età di soli 22 anni, a Carlo restò il regno unificato dei Franchi. La morte di Carlomanno suscita ancor oggi diversi interrogativi negli eventi storici. Alcuni ritengono che il giovane re Carlo, assetato di potere, abbia ucciso il fratello ed in seguito abbia fatto rinchiudere od uccidere anche i figli di Carlomanno, legittimi eredi del padre, allo scopo di ascendere al trono di quest'ultimo egli stesso.

Carlo estese via via i suoi domini con numerose campagne belliche di conquista: nel 774 conquistò il regno longobardo in Italia e divenne re anche di questo popolo, inoltre conquistò la Sassonia (che cristianizzò forzatamente in esito ad una sorta di guerra santa) e cercò di riprendere agli arabi almeno una parte della Spagna. La campagna spagnola fu tutt'altro che trionfale, e non fu priva di momenti dolorosi e gravi sconfitte, come la morte di uno dei due figli gemelli nell'accampamento reale nei pressi di Saragozza, e la rotta di Roncisvalle, dove la retroguardia franca subì una feroce imboscata da parte delle popolazioni basche, in seguito alla quale morì Rolando (Orlando), suo conte palatino e duca della Marca di Bretagna. Sono da registrare, inoltre, le campagne contro gli Avari, popolazioni di stirpe mongola, insediate nei pressi dell'attuale Ungheria.

Alla fine delle campagne militari di Carlo Magno, il suo regno comprendeva una vasta parte dell'Europa occidentale.

La notte di Natale dell'800 il papa Leone III lo incoronò imperatore. È quindi considerato il primo imperatore del Sacro Romano Impero anche se questa denominazione entrò in uso solo in seguito.

Morì il 28 gennaio 814 e fu inumato nella "sua" Cappella Palatina (Kaiserkapelle), poi inglobata nella Cattedrale, ad Aquisgrana (Aachen). Successore fu l'unico dei suoi figli che gli sopravvisse, Ludovico I il Pio. Dopo di questi il regno fu suddiviso fra i tre figli sopravvissuti, secondo la tradizione franca. Questi tre regni sono considerati l'embrione della Francia e del Sacro Romano Impero.

Campagne militari

Campagna contro i Longobardi

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Adelchi sconfitto da Carlo Magno, opta per l'esilio.
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Carlo Magno conferma a Papa Adriano I le donazioni del padre Pipino Il Breve.

Alla morte di Pipino il Breve nel 768, i suoi due figli Carlo Magno e Carlomanno si spartirono l'eredità. Al primo andò l'Austrasia, la Neustria e l' Aquitania, con capitale ad Aquisgrana, mentre al secondo spettarono la Provenza e la Borgogna, con la capitale posta a Sampussy. Su di essi esercitava un grosso ascendente la madre Bertrada che, insieme a Papa Stefano IV, fu un'assertrice della politica di distensione tra Franchi e Longobardi.

Nell'estate del 771, la regina organizzò un viaggio in Italia, riuscendo a tessere importanti alleanze attraverso il matrimonio dei suoi figli con quelli del re longobardo Desiderio. Il primogenito di quest'ultimo, Adelchi, venne dato in sposo alla principessa franca Gisilda, mentre Carlo Magno impalmò la figlia di Desiderio, Desiderata (resa celebre dall'Adelchi manzoniano con il nome di "Ermengarda"). Il Papa all'inizio fu contrario al matrimonio, ma si chetò allorquando Bertrada ed il re longobardo gli fecero dono di alcune città dell'Italia Centrale. Carlo Magno, che era già stato sposato con Imiltrude, ricevette ad Aquisgrana la nuova regina che ben presto, però, si rivelò sterile. L'anno seguente il re franco la ripudiò e la rispedì presso la corte longobarda.

Tra la fine del 771 e l'inizio del 772, quasi contemporaneamente morirono due dei principali protagonisti della politica contemporanea: Papa Stefano IV e il fratello di Carlo Magno, Carlomanno. Al soglio pontificio venne eletto Papa Adriano I, un nobile romano dal carattere deciso e dalle idee decisamente anti-longobarde. L'elezione venne inutilmente contrastata dal partito filo-longobardo di Roma ma, alla fine, Desiderio inviò un'ambasceria a Roma per stringere contatto con il nuovo pontefice e sventare la minaccia di una nuova alleanza tra Franchi e Papato contro i longobardi.

Adriano invitò gli ambasciatori in Laterano e poi, davanti a tutta la curia, accusò il loro re di tradire i patti a causa della mancata consegna dei territori promessi ai predecessori del pontefice. Desiderio passò quindi all'offensiva invadendo l'Esarcato di Ravenna e la Pentapoli. Carlo Magno, impegnato in quel momento contro i Sassoni, cercò di riappacificare la situazione donando numerosi tesori a Desiderio e sperando di riottenerne in cambio i territori strappati al papa. Il re longobardo rifiutò lo scambio e Carlo, che non poteva permettere che fosse appannato il suo prestigio come protettore del papato, mosse guerra al Longobardi e invase l'Italia.

Il grosso dell'esercito, comandato dal sovrano stesso, superò il passo del Moncenisio e attaccò le armate di Desiderio presso la città di Susa. Il re longobardo riuscì ad arginare l'invasione, ma intanto un'altra armata franca, guidata dallo zio di Carlo, Bernardo, attraversò il Gran San Bernardo e ridiscese la Valle d'Aosta, puntando contro il secondo troncone dell'esercito longobardo, affidato ad Adelchi. Quest'ultimo fu sbaragliato e dovette ritirarsi a marce forzate mentre Desiderio si rinserrava nella capitale del suo regno, Pavia. I Franchi posero l'assedio alla città dall'ottobre del 773 sino all'inizio dell'anno successivo.

Carlo Magno si diresse a Roma per incontrare Adriano, giunto in San Pietro, venne incoronato re dei Franchi e il pontefice ne ottenne in cambio la conferma dei territori attribuiti in precedenza alla Chiesa dai re longobardi. Nel 774, alla capitolazione di Pavia, Desiderio fu rinchiuso in un monastero, mentre il figlio Adelchi riparò presso la corte di Bisanzio. Conquistata l'Italia, il re carolingio si proclamò Gratia Dei rex Francorum et Langobardorum, mantenne le istituzioni, le leggi longobarde e confermò i possedimenti ai duchi che avevano servito il precedente re.

Campagna contro i Sassoni

 
Carlo Magno sottomette Vitughindo

I sassoni erano una popolazione di origine germanica abitante nella zona a nord-est dell'Austrasia, oltre il Reno. Erano rimasti di credo pagano ed erano guerrieri arditi ed irrequieti; gli stessi Imperatori romani avevano cercato inutilmente di assoggettarli come federati. Pipino il Breve era riuscito a contenerne la sete di saccheggio e ad imporre loro un tributo annuo di alcune centinaia di cavalli. Nel 772 però rifiutarono il pagamento e ciò consentì a Carlo Magno di procedere all' invasione della Sassonia. L' esercito carolingio oltrepassò il Reno e, puntando verso nord, riuscì a sconfiggerli a più riprese e a distruggere l' "irminsul", l'idolo pagano di questo popolo.
Nel 780, una nuova ribellione scoppiò nella regione e Carlo Magno, impegnato in Spagna nell'assedio di Saragozza, dovette accorrere in Sassonia per poter aver ragione dei rivoltosi. La zona venne smembrata in contee e ducati, che precedettero l'evangelizzazione della popolazione. I sassoni, riuscirono in seguito a riunificare le varie tribù sotto la reggenza di Vitughindo, che fu la vera e propria anima della resistenza. Nel 785 la conquista procedette sempre più repressivamente e lo stesso re promulgò uno statuto d'occupazione chiamato Capitolare Sassone riassunto nella formula: "cristianesimo o morte". Creando fedeli in Cristo, Carlo Magno otteneva lo scopo di far nascere anche sudditi sottoposti al governatorato carolingio. Molti sassoni vennero giustiziati e lo stesso Vitughindo venne battezzato. Nel 790 la rivolta assunse i contorni di una vera e propria sommossa popolare. Carlo Magno la soppresse sul nascere, attuando la deportazione di migliaia di contadini sassoni in Austrasia e rimpolpando la regione di sudditi franchi.
Quando l'Imperatore ordinò l'ultima deportazione nel 804, oramai la Sassonia costituiva uno Stato importante nell'ambito del dominio franco e costituente della futura Germania

Campagna di Baviera

 
Regno di Carlo, dopo la sconfitta degli Avari (791)

La Baviera era nel 780, una delle regioni più civili d'Europa, sotto il regno di Pipino il Breve, assunse al rango di ducato. A capo di questo dipartimento, c'era il nipote dello stesso re e cugino di Carlo Magno; Tassilone. Nello stesso anno della spedizione franca in Spagna, per sostenere la rivolta del governatore della Marca Superiore, ʿAbd al-Raḥmān, contro l'emiro di Cordova, Tassilone si associò il figlio con il medesimo titolo di duca. Carlo Magno, momentaneamente impegnato, fece finta di nulla ma nel 781 pretese dal cugino il rinnovo del giuramento di fedeltà a Worms. Vedendosi sempre più pressato dalle ingerenze di Carlo, il duca di Baviera chiese nel 787 la protezione di Papa Adriano I. Costui, non solo rifiutò un accordo, ma ribadì le pretese del re.
Nel 788 Carlo Magno gli mosse guerra, scoprendo tra l'altro, un'alleanza stipulata tra il cugino e l'ex re longobardo Adelchi che era frattanto riparato a Bisanzio. La Baviera venne annessa all'impero carolingio.

Campagna contro gli Avari

Dopo la liquidazione di Tassilone, l'Impero Carolingio si vedeva confinante sia a nord che al confine con il Friuli con una bellicosa popolazione di origine turanica, gli Avari. Appartenenti alla grande famiglia delle popolazioni turco-mongoliche insieme agli Unni; si erano organizzati attorno ad un capo militare, il Khan e si erano stanziati nella pianura pannonica, nell'odierna Ungheria. Essi assoggettarono i vari popoli slavi che stanziavano sul territorio, insieme agli appartenenti di una etnia affine alla loro,i Bulgari. Pur riconvertendosi all'allevamento e alla pastorizia, non rinunciavano ad effettuare ripetute scorrerie ai confini del regno carolingio e dell'Impero Bizantino. La tesoreria di stato era colma di ricchezze accumulate dai sussidi che gli imperatori bizantini versano nelle loro casse e perciò Carlo Magno cominciò a studiare a tavolino un invasione della regione. Vennero istituiti dei comandi militari alla frontiera come l'Ostmark (costituente la futura Austria), per meglio coordinare le manovre dell'esercito. Le truppe imperiali procedettero nel 791 all'invasione, percorrendo il Danubio da entrambe le sponde. L'esercito a nord, guidato personalmente dall'Imperatore poteva effettuare collegamenti, ricevere e dare rifornimenti ed eventualmente dare assistenza ai feriti a quello stanziatosi a sud e comandato dal figlio Pipino che muoveva dal Friuli, mediante la costruzione di un ponte di barche ed al trasporto merci mediante chiatte e barconi. Sino all'autunno dello stesso anno, i Franchi penetrarono sin nelle vicinanze della capitale avara, il "Ring" ma dovettero riparare in Sassonia a causa della stagione avanzata che causava problemi di collegamento tra i reparti, rendendo difficili le comunicazioni ed inoltre impedendo nel periodo invernale di poter mantenere le cavalcature. Le devastazioni comunque provocarono il malcontento tra i generali avari che uno dietro l'altro abbandonarono il loro Khan convertendosi al cristianesimo. Nel 795 il regno avaro cadde come un castello di carte e lo stesso Carlo Magno, nonostante le ripetute rivolte protrattesi negli anni, non tornò personalmente nell'area, delegando il figlio Pipino a svolgere le operazioni militari.

Rapporti con il Papato

Generalmente, i re Franchi si presentavano come naturali difensori della Chiesa Apostolica Romana, avendo restituito al pontefice ai tempi di Pipino, quei territori dell'Esarcato di Ravenna e della Pentapoli che per concezione comune era creduti appartenenti al Patrimonio di San Pietro. La morte di Papa Stefano IV, diede mano libera a Carlo Magno per invadere l'Italia e liberarla dai Longobardi, appoggiando nei fatti; la politica del nuovo pontefice Adriano I. I rapporti tra l'Imperatore e il nuovo Papa, sono stati ricostruiti dalla letteratura delle missive epistolari che i due si scambiarono per oltre un ventennio. Molte volte, Adriano cercava di ottenere l'appoggio di Carlo riguardo le frequenti beghe territoriali che minavano lo Stato Pontificio. Una lettera datata 790, contiene le lamentele del pontefice nei riguardi dell'arcivescovo ravennate, Leone, reo di avere sottratto alcune diocesi dell'Esarcato. Durante la sua terza visita a Roma nel 787, Carlo Magno venne raggiunto da un'ambasceria del Duca di Benevento, capeggiata dal figlio Grimoaldo. Lo stesso duca, Arichi, implorava l'Imperatore franco di non invadere il ducato minato dalle mire espansionistiche di Adriano I che intendeva così annettersi; i territori a sud del Lazio. Carlo Magno in un primo momento mosse guerra al ducato di Benevento ma in seguito alla morte dello stesso Duca e del figlio, l'Imperatore si decise a liberarne il secondogenito Romualdo e a reinsediarlo nel regno. Probabilmente Carlo, non voleva compromettere i precari equilibri nell'Italia meridionale. Papa Adriano I ne fu talmente risentito che i rapporti tra i due si raffreddarono irrimediabilmente. Alla morte del pontefice nel 795, quando la notizia gli fu riferita, il sovrano scoppiò in pianto ed il suo biografo Eginardo ci assicura che il cordoglio era sincero.

Assunse la tiara Papa Leone III che dovette immediatamente vedersela con la famiglia del defunto Adriano, che ne contestava l'elezione. La guerra sotterranea tra i Palatini e i nipoti dell'ex-pontefice scoppiò nel 799. Mentre Leone guidava una processione per le vie di Roma, i due nobili Pascale e Campolo guidarono la rivolta: assaltarono la funzione e accecarono il Papa, staccandogli anche un pezzo di lingua. Secondo il Libro Pontificale i suoi sostenitori lo salvarono e a stento ripararono sul monte Celio. La notte stessa apparve in sogno al Papa l'Apostolo Pietro che gli restituì la vista e l' udito. Carlo Magno allora lo invitò a stretto giro di posta a Paderborn, sua residenza estiva in Westfalia. Secondo alcuni storici è durante questi colloqui riservati che il re franco propose al papa di coronarlo Imperatore essendo già di fatto, padrone di gran parte dell'Europa. In cambio si prodigò per far cadere le accuse mosse al pontefice dalla nobiltà romana.

Immediatamente prima dell'incoronazione, nella settimana dei preparativi (nel dicembre dell'800) il re Franco costituì un'assemblea composta da nobili franchi e vescovi per far conoscere le conclusioni della commissione d'inchiesta riguardo ai due ribelli, Pascale e Campolo. Ufficialmente la sua venuta a Roma aveva lo scopo di dipanare la questione tra il Papa e gli eredi di Adriano I. Al termine della seduta, i due vennero condannati a morte - pena in seguito commutata nell'esilio - e Leone III fu riconosciuto legittimo rappresentate al soglio pontificio.

Incoronazione imperiale

 
Carlo Magno incoronato imperatore da Leone III

Nella messa di Natale del 25 dicembre 800 in Roma, il Papa Leone III incoronò Carlo imperatore, titolo mai più usato in Occidente dalla abdicazione di Romolo Augusto nel 476.

Esistono alcune fonti che parlano di questa incoronazione. In questo caso ne citiamo due: gli Annales e la Vita Karoli. La prima dice che Carlo venne incoronato imperatore seguendo il rituale degli antichi imperatori romani, gli venne revocato il titolo di patrizio ed acquisì il titolo di Augusto. La seconda dice che se quella sera Carlo avesse saputo delle intenzioni del papa, anche se era una festività importante, non sarebbe entrato in chiesa. Quindi, secondo questo documento, Carlo venne incoronato imperatore contro la sua volontà.

La "Vita Karoli" racconta di come Carlo non intendesse assumere il titolo di Imperatore dei Romani per non entrare in contrasto con l'Impero Romano d'Oriente, il cui sovrano deteneva dall'epoca di Romolo Augusto il legittimo titolo di Imperatore dei Romani: quando Odoacre aveva deposto l'ultimo Imperatore d'Occidente le insegne imperiali erano state rimesse a Bisanzio, sancendo in tal modo la fine dell'Impero d'Occidente. Dunque, per nessun motivo i Bizantini avrebbero riconosciuto ad un sovrano franco il titolo di Imperatore. Carlo aveva già abbastanza nemici (Sassoni e Arabi, per esempio) per mettersi in urto con il potente Impero Bizantino.

Dopo il "colpo di mano" di Leone III, Carlo riuscì ad ogni modo a mitigare le ire orientali, con l'invio di grandi ambascerie e un'estrema cordialità nelle missive. I Bizantini non riconobbero mai veramente il titolo imperiale d'Occidente, ma del resto non avevano alcuna reale possibilità d'intervento.

Occorre tuttavia ricordare come l'incoronazione a imperatore fosse per più d'un verso riconducibile alla volontà franca (già espressa all'epoca di Pipino) di riconoscere reale la falsa "Donazione di Costantino". In tale ottica, l'incoronazione del re franco a Imperatore sarebbe stato il corrispettivo per la legittimazione del potere temporale della Chiesa. Secondo alcuni storici, in effetti Carlo voleva il titolo imperiale, ma avrebbe preferito auto-incoronarsi, perché l'incoronazione da parte del papa rappresentava simbolicamente la subordinazione del potere imperiale a quello spirituale.

Rinascimento carolingio

Spesso si parla a torto di Rinascimento Carolingio, volendo sottolineare la fioritura che innegabilmente si ebbe durante il regno di Carlo Magno in ambito politico e culturale. Ma il re franco, perseguì piuttosto una riforma in tutti i campi per poter "correggere" delle inclinazioni che avevano portato ad un decadimento generale in tutti e due i campi . Ma quando l'Imperatore pensava alla ristrutturazione e al governo del suo regno, rivolgeva le sue attenzioni a quell'Impero Romano di cui si faceva persecutore sia nel nome, sia nella politica.

Rinascimento Politico

La Riforma della Chiesa

La politica dell'"Imitatio Imperi", occupò tutto il vasto programma di riforme perseguito dal sovrano franco nel corso della sua vita.Lo sforzo rinnovatore di "correzione" "miglioramento" o "rinascita" degli usi e costumi, abbracciava prettamente la sfera religiosa. E non c'è da stupirsene, visto che Carlo Magno si credeva realmente in dovere di guidare la chiesa cristiana e con essa la moltitudine dei fedeli. Rimanendo particolarmente colpito ed impressionato dalle parole di uno dei dottori della chiesa Sant'Isidoro di Siviglia,il quale affermava che Dio "Avrebbe giudicato i Sovrani dal modo in cui è stata insegnata correttamente la dottrina nei loro regni"; perseguì una serie di importanti riforme per poter elevare sia a livello qualitativo sia a livello comportamentale, il personale ecclesiastico operante nel regno.Carlo Magno era ossessionato dall'idea che un insegnamento sbagliato dei testi sacri, non solo dal punto di fista teologico, ma anche da quello "grammaticale", avrebbe portato alla perdizione dell'anima poiché se nell'opera di copiatura o trascrizione di un testo sacro si fosse inserito un errore grammaticale, si sarebbe pregato in modo non consono, dispiacendo così a Dio . Venne istituito quel motore propulsore dell'insegnamento che doveva diventare la scuola palatina, presso Aquisgrana. Sotto la direzione di Alcuino di York, vennero redatti i testi, preparati i programmi scolastici ed impartite le lezioni per tutti i chierici. In ogni angolo dell'Impero sorsero delle scuole vicino alle chiese ed alle abazie. L'accesso all'istruzione ecclesiastica era gratuito, in teoria anche il figlio di un servo- se aveva volontà e poteva godere della benevolenza di qualche magnate-poteva accedere agli studi. L'azione di Carlo Magno non si limitò ad un mero mecenatismo della cultura: egli pretese di fissare e standardizzare la liturgia, i testi sacri, e perfino di perseguire uno stile di scrittura che riprendesse la fluidità e l'esattezza lessicale e grammaticale del latino classico. Neanche la grafia venne risparmiata entrando in uso corrente la minuscola carolingia. Addirittura il credo cattolico, quello conosciuto da tutti, venne imposto da Carlo Magno al clero occidentale.

Riforma della Giustizia

Anche il sistema giudiziario venne piegato e modificato secondo le esigenze di un regno che assunse sempre di più nel corso degli anni, connotazioni di tipo imperiale. Nel regno franco, sotto Carlo Magno vigeva il principio di personalità del diritto, vale a dire che ogni uomo aveva diritto di essere giudicato secondo l'usanza del suo popolo. Abbiamo quindi più fonti nella legislazione franca:

  • le leggi personali di ciascun popolo: "lex saxorum" "lex baiwarorum" "lex longobardorum"
  • i capitolari governativi: emanati dal sovrano attraverso la cancelleria palatina, che erano unificanti per tutto il regno ed integravano le prime
  • il diritto romano: utilizzato perlopiù nei procedimenti ecclesiastici

Carlo Magno infatti, perseguendo la sua politica unificatrice, promulgò dei capitolari che servivano ad integrare le leggi esistenti e che spesso sostituirono pezzi completamente mancanti dei vecchi codici. Queste norme avevano valore di legge per tutto l'impero ed il Re volle farle sottoscrivere da tutti i liberi durante il giuramento collettivo dell'806. Inizialmente, tutti i notabili dell'impero avevano la qualifica di "Iudex" poiché non servivano particolari requisiti per presiedere una causa e i giudici non costituivano un potere separato da quello governativo. A livello regionale, era il Conte assistito dai suoi aiutanti (vassalli, vicari, centenari, lacopositi, scudalsci e boni homines) che procedeva al dibattimento ed emanava la sentenza.Al placito venivano convocati tutti gli abitanti della zona - a loro spese - sino alla fine delle udienze. A livello locale, il conte veniva sostituito dai suoi "Iuniores". Cercando di corregge i costumi ed elevando la preparazione professionale degli operanti nella giustizia, Carlo Magno prima nella "Admonitio Generalis" e poi nel 809' cerco' di promulgare dei richiami che dovevano essere vincolanti per tutti: ad esempio il Conte non doveva convocare più di tre volte l'anno il placito, doveva astenersi dal bere e mangiare prima del dibattimento in modo da assistervi nel pieno delle sue funzioni. Norme più restrittive in questo senso vennero promulgate nel 809. Si decise la diversa composizione delle giurie (che da ora in poi dovevano essere costituite da professionisti e non giudici popolari) e che al dibattimento non partecipassero altre persone se non il conte coadiuvato dagli avvocati,notai,scabini e quegli imputati che erano direttamente interessati alla causa. Le procedure giudiziarie vennero standardizzate,modificate e semplificate. A differenza di altri popoli, nella legislazione franca l'uso della prova scritta era ritenuto decisivo; chiunque in una causa patrimoniale potesse esibire dei documenti attestanti il suo buon diritto poteva trovare accoglimento o essere assolto all'istante. Molto spesso allora queste prove venivano bruciate o manipolate, in un'epoca dove era relativamente semplice falsificare i documenti. Ad esempio qualora una causa riguardante la possessione di beni immobili tra un libero ed uno ex schiavo "manomesso", il liberto , si basasse sul documento attestante la precedente manomissione, quest'ultimo doveva essere collezionato con altre due coppie uguali controfirmate dal cancelliere della zona. Se non si riuscivano a portare come prova dei documenti si ricercavano dei testimoni e se neanche dalle testimonianze si riusciva a indirizzare la sentenza, si procedeva al giuramento e all'ordalia "la prova di Dio". Carlo Magno non era del tutto convinto che l'esattezza del giudizio fosse dipesa da questi tipi di prova, ma si trovò costretto a mantenere queste usanze unicamente perché consuetudinarie presso il suo popolo anche se ne limitò di molto l'uso.

Rinascimento Culturale

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Carlo Magno piange la morte del Conte Rolando

La situazione culturale del regno sotto i merovingi e dei pipinidi era pressoché tragica. Carlo Magno dette impulso ad una vera e propria riforma nei vari ambiti culturali: in architettura, nelle arti filosofiche, nella letteratura, nella poesia. Il pessimo stato di erudizione del regno franco era testimoniato dal fatto che quasi tutti i maggiori letterati ed intellettuali di corte fossero di origine straniera. Alcuino era nato a York e quindi anglosassone, Paolo Diacono era longobardo, così come il grammatico Pietro da Pisa, ma anche Teodulfo d'Orleans era un goto scampato alle invasioni arabe in Spagna. Il re franco considerava la stessa presenza dei dotti alla corte di Aquisgrana come la quinta colonna del suo potere politico, non tanto per il piacere di essere dichiarato da loro "dottore in grammatica, finissimo retorico dalla dialettica insuperabile; meglio di Cicerone e Lucrezio" quanto perché, sulla loro opera, si basava l'elaborazione di quella politica imperiale che si stava sviluppando a palazzo.

Lo stesso sovrano era particolarmente interessato ad approfondire le sue conoscenze in ogni campo dello scibile. Allo studio approfondito delle sette arti liberali si dedicò con particolare perseveranza, soprattutto rivolse le sue attenzioni alla grammatica latina aiutato nello studio elementare da Piero da Pisa e da quello intermedio da Paolo Diacono. Approfondì retorica e dialettica, importanti per la sua azione di governo.

Carlo amava circondarsi anche di poeti che davano avvio a vere e proprie gare di componimenti che il sovrano si compiaceva di giudicare. Da palazzo proveniva quell'indirizzamento culturale che uniformava l'intero impero.

Anche a livello architettonico l'Imperatore si occupò di far restaurare i vecchi edifici e monumenti romani, ma la sua opera più ambiziosa rimane senza dubbio la cappella palatina di Aquisgrana, con tutto il complesso di costruzioni annesse. Aquisgrana e il suo palazzo dovevano costituire secondo Carlo Magno una terza Roma, o per il nuovo ruolo di popolo eletto da Dio assunto dai franchi, secondo Paolo Diacono doveva considerarsi "come una nuova Gerusalemme, in terra nostra". Gli ambasciatori franchi riferirono al re, che il complesso della basilica di Costantinopoli non differiva tanto da quella di Basilica di San Vitale a Ravenna perciò si fecero venire ingegneri ed architetti longobardi con tutte le proporzioni e le misurazioni necessarie.

Carlo Magno godette di un importante seguito nella cultura europea. Uno dei grandi cicli letterari medioevali, il Ciclo Carolingio, è incentrato sulle imprese di Rolando (od Orlando), storico condottiero di Carlo sul confine bretone. L'Imperatore fu inoltre preso a modello di cavaliere come uno dei Nove Eroi.

Nel 1165 Carlo Magno venne santificato dall'antipapa Pasquale III su ordine dell'imperatore Federico Barbarossa. Ci fu imbarazzo per questa santificazione in ambito cristiano a causa della vita privata non irreprensibile dell'imperatore. Essendo stata celebrata da un antipapa, essa non si ritiene valida. Ad oggi, il culto viene celebrato nella diocesi di Aquisgrana e ne viene tollerata la celebrazione nei Grigioni [1].

L'organizzazione dell'Impero

Dopo essersi garantito la sicurezza dei confini, Carlo procedette alla riorganizzazione dell'impero.

Organizzazione Locale

In tutta la sua estensione, l'Impero era suddiviso in circa 200 province e da un numero sensibilmente maggiore di vescovati. La provincia, questa circoscrizione fondamentale, poteva corrispondere, specialmente in Francia e Italia, al territorio di un'antica città romana o alle zone circostanti, mentre nei nuovi territori (Turingia, Sassonia, Bavaria e nel regno degli Avari), essa corrispose alla zona di precedente stanziamento di una popolazione germanica.

Ogni singola provincia era governata da un Conte, vero e proprio funzionario pubblico dell'Imperatore, a cui veniva assegno l'ufficio, o Honorem, di controllare il territorio. All'inizio si trattava di una concessione precaria, poiché il titolo era revocabile, o tuttalpiù vitalizio. A questa carica venivano attribuiti poteri giudiziari, fiscali e di ordine pubblico che dovevano essere esercitati per conto del sovrano. Il Conte poteva farsi aiutare, nell'esercizio quotidiano del potere, dai suoi Iuniores (scabini, avvocati, notai o vassalli) che lo coadiuvavano a livello giudiziario e nel reclutamento degli armati.

L'unico limite di azione alla legislazione del conte era costituito dalla presenza di beni ecclesiastici sul territorio assegnatogli. Questo stava a significare che il conte doveva collaborare essenzialmente, anche spesso in concorrenza, con il Vescovo: i funzionari pubblici non potevano entrare nei possedimenti ecclesiastici per poter arrestare malfattori, riscuotere le entrate fiscali o amministrare la giustizia. Naturalmente, Vescovi e Abati erano diretti responsabili delle loro terre e, nell'esercizio di tutte quelle prerogative assegnate ai magnati laici, dovevano farsi affiancare da personale qualificato: gli Advocates, che dovevano essere nominati alla presenza del conte o dei missi dominici.

Lo stesso Carlo Magno, parla espressamente nell'Admonitio Generalis dell'avvocatura come di una carica o "esercizio dai noi concesso". L'immunità ecclesiastica traeva origine dal diritto d'asilo, istituito per la Chiesa già al tempo degli ultimi imperatori romani, l'autorità pubblica non poteva entrare nei territori dell'immunità, ma poteva fare esplicita richiesta all'immunista; allo scopo di estradare la persona ricercata dalle forze dell'ordine. Un conte ad esempio inoltrava all'abate o al vescovo la supplica ed al primo rifiuto si reiterava quest'ultima aggiungendo una multa. Ad un nuovo rifiuto c'era il raddoppio della multa e la ripetizione, per la terza volta, della richiesta. Dopodiché il Conte poteva entrare a forza nell'immunità.

La marca invece, era la circoscrizione fondamentale ai confini dell'Impero che poteva comprendere al suo interno più comitati. I più eruditi chiamavano queste circoscrizioni con la denominazione classica di limes, perciò esistevano un limes bavaricus, un limes avaricum e così via. Queste aree geografiche avevano bisogno di coordinare gli sforzi militari a difesa del territorio, quindi costituirono dei comandi militari retti da un Marchese. Questa denominazione entrò in voga solamente durante il regno di Ludovico il Pio, mentre all'epoca di Carlo Magno si preferiva usare la definizione di conte o di prefetto, ad esempio il famoso Rolando, protagonista delle chanson de geste e perito durante la battaglia di Roncisvalle, era prefetto del limes bretone.

Il Governo Centrale

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Alcuino di York alla corte di Carlo Magno.

L'istituzione fondamentale dello stato carolingio era l'Imperatore stesso, poiché Carlo Magno era sommo amministratore e legislatore che, governando il popolo cristiano per conto di Dio, poteva avere diritto di vita o di morte su tutti i sudditi a lui sottoposti. Tutti erano sottoposti alla sua inappellabile volontà, fossero anche notabili di rango elevato come Conti, Vescovi, Abati e Vassalli Regi.

Il governo centrale era costituito dal palatium. Sotto questa denominazione si designava il consiglio dei ministri alle sue dipendenze. Organo puramente consultivo, era costituito da rappresentanti laici ed ecclesiastici che aiutavano il sovrano nell'amministrazione centrale.

I componenti principali erano:

  • L'Arcicappellano o ministro di culto: era il secondo grado per ordine di importanza in tutto il regno franco, immediatamente dopo l'Imperatore. Da lui dipendevano tutti i chierici operanti nella cappella palatina di Aquisgrana ed inoltre era responsabile della scuola palatina e della cancelleria (composta dal cancelliere-delegato ed uno staff di archivisti) i quali redigevano i diplomi, trascrivevano i capitolari e tenevano la corrispondenza. Il potere dell'Arcicappellano era considerevole: disponeva delle nomine dei chierici e quando voleva assurgere qualcuno al grado di Vescovo o Abate, instradava personalmente la richiesta al Papa. Per il ministro di culto, lo stesso Carlo Magno impose al pontefice la nomina ad arcivescovo della cappella imperiale (quindi senza una connotazione geografica precisa, essendo non residente in un arcivescovato) tenendo a sottolinearne l'esclusività.
  • Il Conte Palatino: amministrava la giustizia per conto dell'Imperatore. A lui venivano sottoposti quei casi che nella legislazione carolingia, costituivano i cosiddetti appelli, giudicando i più semplici ed istradando al sovrano quelli che richiedessero una sua personale deliberazione. Ricopriva anche una carica simile a quella del Ministero degli Interni.
  • Il Camerario: copriva le tre cariche di ministro degli esteri, del tesoro e dell'economia.
  • Il coppiere: Principalmente un intendente. Era il responsabile delle cantine palatine e per estensione, gerente e amministratore dei beni mobili e immobili di quelle aziende vinicole presenti su terre fiscali, facenti capo direttamente all'Imperatore.
  • Il siniscalco: Altro intendente responsabile degli approvvigionamenti alimentari nei magazzini e nelle cucine regie e per estensione; gerente e amministratore dei beni mobili ed immobili delle aziende agricole sulle terre fiscali dipendenti del sovrano.
  • Il conestabile: responsabile delle scuderie regie e per estensione comandante della cavalleria nell'esercito imperiale.

Il Demanio Pubblico

I Possedimenti Fiscali

Al tempo di Carlo Magno, per Fisco intendiamo le entrate e i possedimenti dell'Imperatore. I cosiddetti possedimenti fiscali, già facevano parte del patrimonio personale dei Pipinidi e vennero accresciuti durante le campagne militari dell'Imperatore, mediante le confische effettuate ai danni dei precedenti capi politici e militari.

Carlo Magno possedeva direttamente qualcosa come 2000 aziende o ville organizzate con il sistema curtense. Questo sta a significare che in tutto l'impero, non meno di mezzo milione di persone lavoravano alle dirette dipendenze del sovrano, senza alcuna intermediazione.

L'organizzazione e la dislocazione di queste aziende aveva carattere notevolmente dispersivo. Esse erano vicine tra loro nelle aree più visitate da Carlo Magno, mentre erano più scaglionate nelle zone di frontiera. È stato calcolato che, solo in Neustria, l'imperatore fosse possessore di circa 400 ville mentre le altre erano dislocate nel resto dell'impero disposte in modo che, in un ipotetico viaggio a tappe, Carlo Magno potesse dormire direttamente in casa propria (o tuttalpiù ospitato da qualche vescovo o abate) nei suoi spostamenti. Le ville però, essendo relativamente lontane una dall'altra, non avrebbero mai potuto ospitare tutte permanentemente l'Imperatore. Contrariamente a quanto si pensa Carlo aveva posto precise disposizioni su come utilizzare le eccedenze di quei possedimenti sui quali la corte regia non passava. Alcune quote, dovevano essere instradate al mantenimento della corte, qualora l'azienda venisse a trovarsi nelle vicinanze della residenza imperiale, mentre altre costituivano gli approvvigionamenti che dovevano essere inviati all'esercito durante le campagne estive e, infine, altre ancora dovevano essere vendute e il ricavato trasmesso direttamente a palazzo. Il re si era reso conto insomma di poter diversificare la produzione delle sue aziende e ne stabilì a priori la destinazione d'uso. Il tutto era dovuto anche, in una certa misura, dall'indipendenza e intraprendenza che certi gerenti manifestavano nelle ville. Non magari il maior, il capoccia contadino che regolava i lavori dei dipendenti ma quanto dall'Ager, intendente responsabile della contabilità di una o più ville.

I Possedimenti Ecclesiastici

I Possedimenti Ecclesiastici equiparati a quelli fiscali

Non meno imponenti erano i possedimenti ecclesiastici: l'impero era suddiviso in più di 200 vescovati e 600 abazie che erano possessori a loro volta di patrimoni immensi, per esempio l'abazia di Saint-Germain-des-Prés possedeva all'incirca 200 ville e dava lavoro a circa 15.000 contadini.

Sui possedimenti ecclesiastici vigeva l'immunità, perché i funzionari pubblici non potevano esercitare la legislazione laica sul territorio come avveniva al tempo di Pipino il Breve e Carlo Martello. Carlo Magno considerò i beni ecclesiastici come dei possedimenti pubblici di diversa natura: abati e vescovi, essendo uomini del Re, dovevano mettere a disposizione della corona le loro entrate, quando le necessità lo richiedevano. Spesso gli amministratori delle proprietà ecclesiastiche dovevano aiutare i gerenti delle aziende fiscali al mantenimento del Re quando era residente nella zona, inoltre dovevano versare annualmente dei contributi che pudicamente venivano chiamati dona, ma che in realtà erano imposti direttamente dal sovrano per sostenere le campagne militari dell'esercito.

A livello amministrativo, i contadini liberti o coloni-affittuari che coltivavano i mansi sulle terre della chiesa, oltre che a pagare un canone annuo in natura ai monaci o ai vescovi, dovevano corrispondere il censo regale per il sovrano come se si fossero trovati sulle terre fiscali. I liberti o gli schiavi, come aggiunta al censo, dovevano pagare una tassa personale come riconoscimento del loro statuto giuridico.

Teoricamente, non tutte le abbazie era considerate come un bene demaniale. Rientravano sotto questa categoria quelle personalmente fondate dal Re, quelle accresciute con donativi di terre fiscali e quelle che si erano accomandate. Le altre, specialmente fondate da privati, non erano tenute né ai contributi né al pagamento delle tasse.

Uso dei Possedimenti Ecclesiastici come Remunerazione

Spesso i possedimenti ecclesiastici, venivano affidati a notabili laici (conti o marchesi) come elemento supplettivo per espletare e autofinanziarsi i compiti che dovevano corrispondere al sovrano. Queste donazioni venivano chiamate nel linguaggio di allora Precariae Verbo Regis dove Precaria stava a significare la richiesta o la supplica che veniva fatta dal conte per ottenere il possesso del bene e Verbo Regis la concessione da parte del sovrano.

Molte volte, queste alterazioni del demanio, trovavano l'aperta avversione da parte delle cariche ecclesiastiche. I possessori, infatti, avevano la tendenza a sfruttarle fino all'osso, gravando di dazi e di corvée i contadini, arrivando addirittura a vendere le suppellettili e la mobilia di chiese e monasteri per poi reinvestirne i guadagni negli affari privati. Lo stesso Carlo Magno, nel suo Capitolare de Villis dovette specificare a più riprese di non appesantire gli asserviti con interminabili giornate lavorative, di esigere i telonei per le merci adibite al commercio e non quelle che venivano trasportate dai campi alla residenza padronale, "di non esigere il teloneo per attraversare un ponte quando il fiume può essere guadato senza difficoltà" di non "far pagare il teloneo in aperta campagna dove non ci sono né ponti né guadi". Gli stessi chierici arrivarono ad appellarsi direttamente all'Imperatore affermando: "che il Re abbia i suoi possedimenti pubblici per il demanio e che la chiesa abbia i suoi possedimenti per Cristo, che servano ad aiutare i poveri e a consolare le vedove" e ancora: "gli uomini di chiesa sono direttamente dipendenti del Signore e non devono usare di accomandarsi a qualcuno come fanno i laici". Carlo Magno pretese di conseguenza che i notabili laici, concessori di queste terre, almeno pagassero l'affitto ai monaci come era stato convenuto.

Un'altra destinazione d'uso dei possedimenti della chiesa, era quella di concedere questi beni ai ministri o ai chierici che servivano l'Imperatore alla corte di Aquisgrana per poter assicurarsene la fedeltà anche in futuro. Molto spesso, molti di questi ministri chiamati "abati-laici", anche se in realtà alcuni erano "chierici", non erano obbligati a prendere i voti religiosi e nemmeno avevano l'obbligo della residenza così che potessero rimanere a sbrigare il loro compito presso la corte. Ad esempio molti intellettuali di Carlo Magno erano grandi possessori di fondi ecclesiastici: Alcuino oltre che ad essere arcicappellano era anche abate del monastero di Tours, Teodulfo, poeta di corte e messo dominico, fu nominato anche vescovo di Orléans e Paolo Diacono storico - poeta e grammatico di Latino presso il palazzo reale venne nominato abate di Montecassino. Nella generazione immediatamente successiva, lo stesso biografo e storico di palazzo Eginardo fu nominato abate di Seligenstadt.

Alcune mentalità più moderne e sensibili cominciarono a contestare l'uso di disporre dei fondi ecclesiastici come un secondo demanio, ma all'epoca di Carlo Magno queste consuetudini erano parte integrante dell'azione di governo.

Imposte, tasse e prestazioni d'opera

La società carolingia era suddivisa in classi e aveva caratteristiche fortemente clientelari di modo che ogni uomo dipendesse da un altro, dal quale, in cambio di favori, otteneva protezione e remunerazione. Tutte queste prerogative si riproponevano a cascata sino al più basso gradino sociale che era quello degli schiavi. Possiamo suddividere allora la società in due grandi rami: quello dei liberi e quello dei servi.

Re-Imperatore, Conti, Marchesi, Vescovi, Abati, Vassalli Regi e Valvassini costituivano la cosiddetta casta nobiliare; gli altri - Valvassori, Proprietari Terrieri, Uomini Liberi, Coloni, Liberti, Schiavi Casati e Servi - costituivano il popolo. Formalmente la libertà completa si fermava a livello degli uomini liberi mentre tutti gli altri venivano accomunati alla medesima condizione servile. Le classe più abbienti, beneficiarie di vasti possedimenti, erano esenti dal pagare qualsiasi tipo di imposta o tassa.

Sui liberi che, nelle aspettative di Carlo Magno, costituivano la spina dorsale del popolo franco, non pesavano delle vere e proprie "imposte" (ad esempio non pagavano alcun censo) ma erano tenuti a prestare opere di pubblica utilità sulle terre padronali, pagavano una specie di tassa per l'esercito, versavano i telonei ed erano tenuti a prestare contributi per il buon funzionamento del governo. Qualsiasi notabile o giudice nell'esercizio pieno delle sue funzioni (conte, vicario, centenario o vassallo regio) poteva requisire approvvigionamenti e cavalli sulle terre dei liberi. L'esercito di passaggio poteva requisire foraggio ed usare i terreni per far pascolare le cavalcature; in aggiunta i proprietari non soggetti ad alcun vassallaggio dovevano rifornire l'armata provvedendo all'allestimento dei carri con generi alimentari di prima necessità ed alla fornitura di buoi e cavalli. Tutti gli altri, siano essi liberi affittuari sia liberti o servi o casati che sono tenuti a lavorare sulle terre del padrone, erano tenuti a corrispondere un affitto in natura o denaro, le cui proporzioni erano nell'ordine del terzo del raccolto o dell'equivalente monetario oltre che al censo regale. Erano inoltre tenuti a svolgere per contratto una serie di giornate lavorative nella zona padronale, la pars dominica, insieme agli schiavi. Pagavano i telonei per utilizzare le attrezzature del signore (mulini, frantoi).

Reclutamento Militare

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Cavalieri armati

Il reclutamento avveniva essenzialmente alla frontiera, nella zona di immediato svolgimento delle operazioni militari. Solo nelle campagne contro i Sassoni e gli Avari si verificò una chiamata simultanea in più regioni dell'Impero.

I notabili più abbienti potevano permettersi armi e cavalli, nonché di convocare i vassalli diretti all'esercito. Anche i vassalli regi, nominati dall'Imperatore e che usavano circondarsi di piccoli eserciti privati, potevano senza alcuno dubbio espletare al servizio militare. A tutti costoro, compresi vescovi e abati, veniva calcolata una quota minima di soldati da portare al fronte, secondo il numero di unità di mansi coltivati divisa per quattro. Gli ecclesiastici potevano affiancare gli eserciti, ma spessissime volte ne erano esentati, pagando una tassa e nominando dei laici che potessero combattere al loro posto. Si poteva verificare che alcuni servi o liberti potessero avere l'onore di entrare nella clientela armata di un signorotto locale, quindi la chiamata alle armi non era strettamente connessa alla proprietà terriera. Perciò Carlo Magno emanò precise disposizioni secondo le quali "qualsiasi individuo abbia rapporti di vassallaggio, indipendentemente dalla sua condizione giuridica, sia considerato abile all'esercizio delle armi".

I liberi avevano parecchie difficoltà a rispondere alla chiamata. Se i più ricchi allodiali, con qualche sforzo, riuscivano ad acquistare l'equipaggiamento necessario, i piccoli proprietari dovevano compiere sforzi considerevoli. Anche qui, i capitolari regi stabilivano minuziosamente come si doveva operare in questi casi: se un libero non riusciva a procurarsi l'armamento, altri tre dovevano provvedere al suo sostentamento. Il numero degli aiuti variava a secondo della campagna militare: durante la guerra contro gli avari, per ogni libero sei dovevano comprargli l'equipaggiamento, mentre per quella contro i Sassoni essi dovevano essere sette. Per le operazioni contro gli slavi ne bastavano solamente due.

Anche l'armamento era regolato secondo precisi criteri: i più abbienti dovevano accorrere alla chiamata armati di spada lunga, spada corta, lancia, arco e faretra con frecce più un armatura costituita da una cotta di maglia e dalla cavalcatura. I liberi proprietari indipendenti potevano permettersi (unendo i loro sforzi) l'armatura e la cavalcatura. Si scoraggiavano i fanti più poveri a rispondere alla convocazione armati di solo bastoni indirizzandoli ed incoraggiandoli a costituire il loro equipaggiamento unicamente di arco con frecce.

Monetazione

 
Denaro di Carlo Magno

Proseguendo le riforme iniziate dal padre, Carlo, una volta sconfitti i Longobardi, liquidò il sistema monetario basato sul solido d'oro dei romani. Egli e il re Offa di Mercia ripresero il sistema creato da Pipino e da Aethelberto II; Carlo (tra il 781 e il 794) estese nei suoi vasti domini un sistema monetario basato sul monometallismo argenteo: unica moneta coniata era il "denaro". Non essendo prevista la coniazione di multipli, l'uso portò all'affermazione di due unità di conto: la libbra (pound, unità monetaria e ponderale allo stesso tempo) che valeva 20 solidi (come fu successivamente per lo scellino) o 240 denari (come per il penny).

Durante questo periodo la libbra ed il solido furono esclusivamente unità di conto, mentre solo il denier fu moneta reale, quindi coniata.

Carlo applicò il nuovo sistema nella maggior parte dell'Europa continentale e lo standard di Offa fu volontariamente adottato, dai Regni di Mercia e Kent, in quasi tutta l'Inghilterra.

Per oltre cento anni il denaro mantenne inalterato peso e lega. I primi slittamenti iniziarono nel X secolo. I primi Ottoni (961-973 e 973-983) misero ordine nel sistema consacrando lo slittamento del denaro in termini di peso e di fino: una "lira" (ossia 240 denari) passò da g 410 a g 330 di una lega argentea peggiore (da g 390 di argento fino a g 275).

Rapporti con l'Islam

Con la qualifica di Imperatore, Carlo Magno intrattenne rapporti con tutti i sovrani europei ed orientali.

Nonostante le sue mire espansionistiche nella marca spagnola, e il conseguente appoggio ai governatori rivoltosi al giogo dell'emirato di Cordova; tessé una serie di importanti relazioni con il mondo musulmano.

Corrispose amichevolmente con il califfo di Baghdad Hārūn al-Rashīd, al quale chiese gli fosse concessa la protezione del Santo Sepolcro di Gesù a Gerusalemme e sulle carovane di pellegrini che vi si recavano. Il califfo, che vedeva in lui un possibile antagonista dei suoi nemici Omayyadi di al-Andalus e di Bisanzio, rispose positivamente alla richiesta anche se - con evidente ironia - gli concesse quell'onore, ma solo sulla sua formale limitatissima superficie.

Non mancarono comunque missioni diplomatiche dall'una e dall'altra parte, agevolate da un intermediario ebreo che, per la sua "terzietà", ben si prestava allo scopo. I due sovrani si scambiarono così alcuni doni e, durante uno dei suoi molteplici viaggi in Italia, Carlo Magno ritirò a Pavia una scacchiera completa con pedine in avorio regalatagli dal califfo abbaside.

Ad Aquisgrana, l'Imperatore alloggiava invece il regalo cui teneva di più: l'elefante chiamato Abū l-ʿAbbās, donatogli (forse su sua stessa richiesta[2]) dallo stesso sovrano orientale. Carlo lo considerava come un ospite straordinario, da trattare con tutti i riguardi: lo faceva infatti tenere pulito e gli dava personalmente da mangiare e ci parlava. Proprio questo eccesso di zelo (ma, assai più probabilmente il clima gelido in cui era costretto a vivere) fece deperire il pachiderma fino a condurlo alla morte per congestione. L'Imperatore ne pianse, e ordinò tre giorni di lutto in tutto il regno.

Famiglia

Mogli

Carlo ebbe probabilmente sei mogli (o forse otto come sostengono alcuni storici). Tuttavia, neppure Eginardo, biografo ufficiale e consigliere del sovrano, poté ricordare il nome di tutte al momento della redazione della sua opera.

  1. Imiltrude
  2. Desiderata conosciuta come Ermengarda (ripudiata nel 771)
  3. Ildegarda (morta nel 783)
  4. Fastrada (sposata nel 784 e morta nel 794, da cui ebbe solo figlie legittime femmine)
  5. Liutgarda (sposata nel 794 e morta nel 799)

Figlie

È difficile comprendere l'atteggiamento di Carlo verso le figlie. Nessuna di esse contrasse infatti un matrimonio regolare. Questo può essere stato un tentativo di controllare il numero delle potenziali alleanze ma occorre ricordare anche che il suo affetto paterno era talmente possessivo che egli non se ne separava mai, portandole con sé anche nei suoi numerosi spostamenti.

Ad ogni modo pare che Rotruda ebbe una relazione con Rorgone, Conte del Maine, dalla quale nacque un figlio cui venne dato il nome di Ludovico e che diventerà abate di Saint Denis e Bertha (o Bertrada) ebbe una relazione ufficialmente riconosciuta, se non un matrimonio, con il poeta Angilberto, membro della corte di Carlo e abate di Saint Riquier, dalla quale nacquero diversi figli, tra cui lo storico Nitardo.

Dopo la sua morte le figlie superstiti vennero allontanate da corte da Ludovico il Pio ed entrarono o furono costrette a entrare in monastero.

Figli

Anche calcolando approssimativamente il numero di figli dell'Imperatore, non si otterrà un numero estremamente preciso. Si sa, per certo; che dalle sue cinque mogli ufficiali Carlo ebbe non meno di 10 maschi e 10 femmine. Occorre ancora ricordare che dopo la morte di queste il re franco ebbe molte altre concubine che gli dettero numerosa prole. Non potendo assurgere a posti di potere nella famiglia imperiale, Carlo diede loro in usufrutto dei benefici sottratti a quelle terre organizzate a regime fiscale. Il primogenito conosciuto come Pipino il Gobbo ebbe vita più sfortunata: nato dalla relazione tra l'imperatore e Imiltrude, non era riconosciuto come figlio legittimo di Carlo perché nato fuori dal matrimonio inoltre venne scoperta una congiura nel 792 ordita dallo stesso a cui venne comminata la pena capitale, permutata in seguito in un esilio forzato in monastero mediante tonsura e l'obbligo del silenzio.

Da Ermengarda non ebbe figli e perciò venne ripudiata nel 771.

Ildegarda diede a Carlo tre figli maschi: Carlo, Carlomanno (in seguito incoronato re d'Italia da papa Adriano I e rinominato da lui con l'appellativo di Pipino) e Ludovico il Pio.

Successione

Carlo Magno, seguendo la tradizione franca, aveva previsto la spartizione del regno alcuni anni prima della morte. I confini spettanti a ciascuno dei suoi tre figli legittimi dovevano essere i seguenti:

Sfortunatamente, Carlo e Pipino morirono improvvisamente. L'Imperatore dovette affiancare Ludovico al governo del regno nel 811, nominandolo unico erede.

Curiosità

Data di nascita

Difficile stabilire con esattezza la data di nascita del futuro Imperatore: Eginardo, suo biografo di corte nel Vita Karoli ce ne propone almeno tre, nel 742,nel 743 o 744. Il mistero è spiegato probabilmente dal fatto che Carlo nacque prima del matrimonio tra Pipino e Bertrada; essendo il nubilato tollerato tra i Franchi, niente di male quindi che i sovrani avessero figli prima del matrimonio. Comunque questi ultimi si erano convertiti al cattolicesimo, ed essendo Eginardo un cortigiano fedele, lo infastidiva dire che il suo re era nato prima del matrimonio dei suoi genitori. La data più probabile infine, sembra essere quella del 742 d. C.

L'incoronazione

Il giorno della sua incoronazione, Carlo Magno si presentò in San Pietro tra due ali di folla, abbigliato alla romana (abbandonando il consueto costume franco che prevedeva di norma braghe di lino, mantello di pelliccia e stivali annodati a stringhe), con tanto di tunica bianca, e i calzari ai piedi.

Secondo il suo biografo Eginardo, Papa Leone III, dopo aver incoronato Carlo, si sarebbe prostrato a terra - secondo l'uso bizantino della proskynesis - quasi in segno di adorazione.

Per altri testimoni che si proclamarono oculari (ma sui quali sono stati avanzati parecchi dubbi), il pontefice, prima di porgli la corona sul capo, lo avrebbe denudato e unto con olio santo dalla testa ai piedi.

Le abitudini alimentari

La dieta di Carlo Magno era piuttosto vegetariana. Il sovrano era ghiotto soprattutto di cavoli, aglio e ceci. Questi piatti contadini gli venivano serviti di norma al tocco del vespro, da conti e marchesi in funzione di camerieri come segno di sottomissione. Preferiva la carne di porco a quella di manzo ed essendo prodigo nel mangiare arrosti, i medici di corte gli consigliarono un'alimentazione più equilibrata, a causa anche della sua malattia, la gotta. Un'altra felice scoperta in campo alimentare fu quella del formaggio: un giorno un vescovo suo amico, gli offrì una forma di pecorino. Non avendolo mai visto prima, l'Imperatore ne staccò una fetta, rosicchiandone la buccia trovandola disgustosa e montando su tutte le furie. Gli astanti riuscirono a stento a ridurlo alla calma, assicurando che il buono era la polpa. Carlo se ne mostrò talmente deliziato che da allora in poi, durante tutti i suoi viaggi, non se ne faceva mancare una scorta.

Aspetto fisico

 
Profilo verosimile di Carlo Magno, ripreso dalla statuetta equestre in bronzo fatta fondere nell'860-870 circa ispirandosi alla statua di Teodorico portata da Ravenna ad Aquisgrana

Nelle riproduzioni equestri, notiamo un'imponenza fisica notevole e lo stesso Eginardo ce lo descrive di corporatura imponente sin dalla gioventù (nonostante una tendenza alla pinguedine). Il suo volto era incorniciato da una folta capigliatura che scendeva alle sue spalle e da una superba barba contornata da poderosi baffi che gli spiovevano ai lati della bocca. Queste descrizioni ci vengono confermate dall'ultima apertura del suo feretro, nel 1861. Secondo le misurazioni infatti, l'Imperatore sarebbe stato alto 192 cm. Peraltro a questa imponenza fisica, i biografi di corte descrivono il tono della sua voce come decisamente stridula.

Economia

La precarietà economica feudale e la mancanza di un forte potere centrale, fece assumere alla reggenza franca un modello di governo peripatetico. Lo stesso Carlo Magno, installava la sua corte nei vari villaggi dove alloggiava durante i suoi spostamenti nel vasto impero. Tutti gli uomini, vivendo in un'economia prevalentemente di sussistenza basata sullo scambio in natura (baratto),vivevano nella necessità di dover far affidamento sulle scorte naturali che deperivano o si esaurivano in un certo lasso di tempo il che impediva la nascita di qualsiasi forma di risparmio (tesaurizzazione). Da qui il nomadismo anche dei poteri centrali i quali; una volta esaurite le risorse dovevano spostarsi in altre zone. Carlo viaggiava come un povero viandante su di una carrozza trainata da buoi.

Dovette inoltre impiegarsi in prima persona nel commercio, diventando padrone di un verziere e di un allevamento di polli[3]. La rendita di queste attività gli permise di mantenere personalmente le sue residenze estive nel Brabante e nell'Heristal.

"Padre" della futura Europa unita

  Lo stesso argomento in dettaglio: Carlo Magno precursore dell'Unione Europea.

I maggiori unificatori dell'Europa - da Federico Barbarossa a Luigi XIV, da Napoleone a Jean Monnet - ma anche moderni statisti come Helmut Kohl e Gerhard Schröder hanno tutti menzionato Carlo Magno indicandolo come padre della futura Europa unita.

La spada

Altachiara era la spada di Carlo Magno, detta pure "la Gioiosa". Tuttavia lo stesso nome figura pure nei racconti della Tavola Rotonda, attribuito alla spada di Lancillotto. L'origine del nome è ignota.

Note

  1. ^ Bibliotheca Sanctorum, Vol. III
  2. ^ Cfr. Giosuè Musca, Carlo Magno ed Harun al Rashid, Bari, Dedalo, 1963, pp. 21-22.
  3. ^ Cfr. Indro Montanelli - Roberto Gervaso, Storia d'Italia, L'Italia dei secoli bui, Milano, Rizzoli, 1966

Bibliografia

  • Eginardo. Vita Karoli, L. Halphen (a cura di). Parigi, Les Belles Lettres, 1938.
  • Alessandro Barbero. Carlo Magno. Roma-Bari, Laterza, 2000.
  • Henri Pirenne. Mahomet et Charlemagne. Laterza, Bari 1939 (trad. dell'originale stampato a Bruxelles, Nouvelle société d’éditions/ Parigi, F. Alcan nel 1937).
  • Fichtenau, Heinrich, von. L'impero carolingio. Gius. Laterza & Figli, Bari, 2000.
  • Hägermann Dieter. 'Carlo Magno. Il signore dell'Occidente. Einaudi, Milano, 2004
  • Crivello F. e Segre Montel C. Carlo Magno e le Alpi. Viaggio al centro del Medioevo.. Skira, Susa-Novalesa, 2006.
  • Chamberlin Russell. Carlo Magno. Imperatore d'Europa. Newton & Compton, Roma, 2006.
  • Buongiorno Teresa. Il ragazzo che fu Carlo Magno. Salani, Milano, 2003.
  • Dal Monte Carlo. Carlo Magno. Re dei franchi e imperatore. Edizioni della Vela, 2005
  • Becher Matthias, Carlo Magno. Il Mulino, Bologna, 2000.
  • Cardini Franco. Carlomagno. Un padre della patria europea. Bompiani, Milano, 2002.
  • Delle Donne Giovanni. Carlo Magno e il suo tempo. Tutto il racconto della vita del più famoso sovrano medievale e della realtà quotidiana del suo impero. Simonelli Editore, Milano, 2001.
  • Musca Giosuè. Carlo Magno e Harun al-Rashid. Dedalo Edizioni, Roma, 1996.
  • Wies Ernst W. Carlo Magno. Un imperatore per l'Europa. ECIG, Genova, 1998.
  • Anonimo sassone. Le gesta dell'imperatore Carlo Magno. Jaca Book, Milano, 1988.

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