Storia di Siracusa in età spagnola (1700 - 1734)
Contesto
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La guerra di successione spagnola (1700-1713)
Il trattato di Utrecht
Nel 1700 il re Carlo II di Spagna morì, a soli 39 anni, molto malato e senza lasciare eredi, nominando nel suo testamento come successore al trono di Spagna Filippo V di Borbone[N 1] (imparentato con gli Asburgo di Spagna), figlio del Gran Delfino, Luigi, destinato a succedere al trono di Francia, come erede di Luigi XIV, il re Sole (colui che un ventennio prima aveva cercato di conquistare la Sicilia). Questa unione tra due potenti casate monarchiche (il re di Spagna sarebbe divenuto anche re di Francia e viceversa, cosicché i francesi sarebbero divenuti possessori dell'impero spagnolo) scatenò una tale guerra in Europa, che essa avrebbe finito con il cambiare profondamente il percorso storico sia della Spagna che della Sicilia.
La Spagna possedeva all'epoca l'impero più vasto sulla Terra: presente in qualche maniera su tutti i continenti, e soffocata in patria, da qualche decennio, da una chiara decadenza politico-commerciale, la sua eredità faceva gola alle maggiori potenze europee, così come preoccupava grandemente in mano a chi sarebbe passato un simile dominio. La più decisa ed agguerrita (e al contempo la più schiva) fu in tale contesto l'Inghilterra: essa, che da molto tempo faceva la guerra alla Spagna sugli oceani, si unì in alleanza con i Paesi Bassi e con il Sacro Romano Impero germanico, sostenendo con le armi un altro avente diritto al trono spagnolo: l'arciduca Carlo VI d'Asburgo; costui, pur appartenendo al lato originario asburgico (quindi al lato germanico) aveva dei sostenitori in Sicilia[1] e nei restanti domini iberici, poiché veniva visto come il continuatore legittimo della casa d'Asburgo (che ormai regnava su quel trono da ben 200 anni).
Francesi e inglesi avevano cercato già prima della morte dell'ultimo Asburgo spagnolo di divedere pacificamente l'impero (ciò fu tentato in due diversi trattati): la Francia chiedeva la Sicilia e gli altri domini italiani, mentre lasciava la Spagna e le Indie (l'America) all'impero germanico, ma gli accordi infine saltarono, poiché Carlo d'Asburgo (sopravvissuto al fratello Giuseppe di Baviera) si rifiutò di essere incoronato sovrano della Spagna e delle Indie senza ottenere anche la secolare corona della Sicilia. A quel punto la guerra fu inevitabile: l'Inghilterra non tollerava che la Spagna si unisse a un'altra potenza europea formando una monarchia universale (come accadde ai tempi di Carlo V) e dichiarò una fiera battaglia alle forze franco-spagnole sparse per tutta la Terra.
La Sicilia, in tutto ciò, visse quei primi anni in pace, poiché la guerra infuriava intorno a essa, senza però coinvolgerla. La situazione iniziò a inquietarsi quando gli alleati anglo-tedeschi conquistarono per l'arciduca il Regno di Napoli, arrivando così a toccare i confini siciliani (1707). Il vicerè di Sicilia si mise in allarme, nel 1708 spedì soldati irlandesi (alleati degli spagnoli in quanto nemici degli inglesi) e francesi sia a Palermo che a Messina[2], tuttavia è a Siracusa che avvenne la prima azione degli alleati verso i franco-spagnoli: nel novembre del 1710 vi fu uno scontro navale nel porto aretuseo tra le navi da guerra della marina francese e quelle della marina inglese (battaglia di Siracusa): l'ammiraglio Jacques Cassard abbordò e catturò due fregate inglesi, capitanate da Edward Rumsey e Charles Constable, le quali si erano spinte fin lì per bloccare i francesi che trasportavano grano da Siracusa in Francia (esse facevano parte di una flotta più vasta che era andata, momentaneamente, a rifornirsi in Corsica). Se pur lacusono come episodio (le cronache inglesi lamentano la stranezza di sole due navi per bloccare un porto come quello aretuseo e l'eccessiva rapidità del sopraggiungere in un sol giorno, dalla Francia alla Sicilia, dell'ammiraglio Cassard[3]; le fonti francesi non aggiungono altro per chiarire tali circostanze[4] e le principali italiane tacciono del tutto l'accaduto), questo episodio è comunque importante, non solamente perché rappresenta la sola azione bellica svoltasi nell'isola prima della tregua del 1713, ma anche perché si tratta del primo approccio inglese nelle acque di Siracusa (e gli inglesi, va specificato, avranno un ruolo importantissimo nel decidere le sorti di questa città nei prossimi decenni).
La guerra proseguì in Europa e nel resto del mondo, con grande spargimento di sangue, specialmente per i francesi, fino a quando nel 1711 venne a mancare improvvisamente l'imperatore Giuseppe I d'Asburgo, il che significava per il rivale di Filippo di Borbone, ovvero Carlo d'Asburgo, l'ascesa al trono del Sacro Romano Impero. L'Inghilterra, che nel potere tedesco vedeva un pericolo grande quanto quello spagnolo, si rifiutò a questo punto di continuare a sostenere l'Asburgo per il trono iberico (così come non voleva una Spagna unita con la Francia, rigettava in assoluto anche una Spagna unita alla vasta area germanica). Si giunse quindi a un trattato di pace tra le potenze: il trattato di Utrecht, firmato nel 1713.
Con tale trattato, a Utrecht, dove l'Inghilterra si presentò da vincitrice e la Francia e la Spagna da nazioni sconfitte, si sancì la dissoluzione definitiva dell'impero spagnolo. In tale sede gli inglesi decisero il destino della Sicilia sottraendola alla Spagna (i siciliani stavano con gli iberici da secoli) e consegnandola, letteralemente, a una figura del tutto inaspettata per i siciliani e per le altre potenze belligeranti: il duca piemontese Vittorio Amedeo II di Savoia; costui si era recentemente ribellato al potere francese (il quale, data la vicinanza geografica, aveva controllato in passato più e più volte le sorti del ducato savoiardo[N 2] ) ed era diventato un alleato caro agli inglesi (egli era anche stato uno dei pretendenti al trono di Spagna, grazie a un'eredità portatagli da un'antica duchessa savoiarda del Cinquecento, figlia di Filippo II).
L'Inghilterra decise quindi di risolvere la questione "Sicilia" non dandola né ai francesi né ai germanici; al nuovo imperatore, infatti, venne assegnato il Regno di Napoli, il ducato di Milano e la Sardegna fu data alla tedesca Baviera, ma egli, proprio a causa della mancata corona siciliana, non volle firmare la pace di Utrecht: la guerra dell'Austria e del Sacro Romano Impero continuerà per altri due anni, fino a quando Carlo VI firmerà la pace di Rastatt, con la quale si decideva ad accettare quanto stabilito dagli inglesi.
La Spagna contro la Quadruplice Alleanza (1718-1720)
Gli spagnoli stracciano il trattato di Utrecht
Con questo accordo diplomatico gli spagnoli lasciarono in massa la Sicilia, senza qui combattere; anche Siracusa, la poderosa piazza d'armi, venne sgombrata in maniera pacifica (dopo due secoli di chiusura quasi totale al mondo esterno e di estrema difesa della bandiera di Spagna); gli spagnoli la lasciavano così, in una maniera quasi surreale.
Avvenne dunque il cambio con i piemontesi, il cui duca era stato scortato dagli inglesi da Nizza a Palermo, nell'ottobre del 1713, per essere incoronato: poiché la Sicilia era un Regno fin da tempi antichissimi, essa doveva avere un proprio re sul trono e non un duca, quindi venne concesso ai Savoia il titolo regale (questa fu l'origine della regalità, per la linea maschile, della famiglia savoiarda[N 3]). Al vescovo di Siracusa, Asdrubale Termini (in carica dal 1695), spettò l'incarico nel cerimoniale d'incoronazione di pronunziare la preghiera con la quale si chiedeva all'arcivescovo di Palermo di elevare al rango di re quel duca giunto da lontano.[5]
Gli inglesi (al tavolo delle trattative d'accordo con i francesi e con dei riluttanti spagnoli[N 4] ) imposero comunque ai Savoia pesanti restrizioni in questa concessione; essi non ne erano infatti del tutto possessori: avevano il divieto di vendere o barattare l'isola con qualche altra terra e, tra le altre clausole, in caso di estinzione del ramo maschile savoiardo, l'isola ritornava obbligatoriamente alla corona di Spagna (che dopo Utrecht non si sarebbe mai unita a quella di Francia) e a nessun altro.
Le potenze europee immaginarono che la Spagna avrebbe prima o poi avuto dei ripensamenti nel cedere delle grandi terre che la sua gente aveva posseduto fin dal medioevo (il primo legame della Sicilia con gli iberici risaliva alle medievali guerre del Vespro). Il Regno Unito, dopo aver chiarito i dissapori con la Francia, portò all'essere una nuova alleanza, nella quale entrarono anche i Paesi Bassi, che prese il nome di triplice alleanza (gennaio 1717) il cui scopo era quello di affrontare e contrastare le prossime mosse della Spagna.
Nella nazione iberica era divenuto molto influente presso il re un cardinale italiano (giunto dal ducato di Parma), Giulio Alberoni (portato a corte dalla nuova moglie del re, la parmigiana Elisabetta Farnese), il quale fomentò la voglia di ribalta degli spagnoli e spinse il re Filippo a riprendere le armi per riconquistare le terre perdute.
Violando il trattato di Utrecht, la Spagna nell'estate del 1717 invase la Sardegna - che era sotto il potere di Carlo VI - e dopo averla conquistata senza grosse difficoltà (i sardi preferivano il regime spagnolo a quello austriaco) si prepararono ad attaccare la Sicilia dei Savoia.
Siracusa in quegli anni
Facente parte a pieno di questa tensione bellica esterna, Siracusa viveva però internamente tutt'altra situazione: nemmeno un decennio prima che scoppiasse la guerra di successione, questa città, come il resto del Val di Noto, era stata distrutta e la sua popolazione decimata dall'evento calamitoso dell'11 gennaio 1693. I siracusani, già gravemente afflitti dalla fame, dalla povertà e dall'isolamento, diminuirono ancora di numero: da 15.000 anime si era passati a 11.000 (si consideri che agli inizi del Cinquecento Siracusa contava 50.000 abitanti, per cui rappresenta uno di quei rari casi - unico in Sicilia - dove la popolazione con il tempo va grandemente a diminuire invece di aumentare, e la perdita non va imputata unicamente a catastrofi di carattere naturale[N 5]).
Alle conseguenze del terremoto si aggiunga inoltre il disastro naturale che colpì Siracusa una notte di dicembre del 1704, quando durante un fortissimo temporale un fulmine andò a scagliarsi contro la più forte base difensiva siracusana: il castello Maniace, facendo saltare in aria la polveriera (300 quintali di polvere chiusi in 800 barili[6]), distruggendone le torri di avvistamento, facendone crollare un intero piano e uccidendo 33 di quei soldati spagnoli che, come di consuetudine, lo presidiavano anche in notturna.[6]
Ciò rappresentò una rovina enorme per il castello di origine federiciana; il suo danno più grave fin dalla nascita.[7] Il fulmine lo aveva lasciato mezzo diroccato, con tutto ciò che questo comportava per una città bellica come Siracusa, la quale non poteva permettersi di mostrare alcun lato indifeso al nemico; specialemente in anni di guerra esterna come quelli (sarà infine, un secolo dopo, il generale inglese Stuart, incaricato di occuparsi delle fortificazioni aretusee, a dare al castello nuova linfa[8]). Non era la prima volta che la città doveva fare i conti anche con le folgori del cielo (nel Cinquecento il suo altissimo campanile, che serviva anche quello per dare l'allarme di nemici in vista, venne distrutto da un fulmine, e crollò due volte a causa dei terremoti; non lo ricostruirono più dopo il sisma del 1693[9]), ma nel 1704 l'evento dovette fare impressione a tal punto che in quello stesso anno venne composto un dialogo solenne, intitolato Siracusa difesa dai fulmini, che doveva cantarsi durante la festa della Santa patrona Lucia[10] (innumerevoli le volte che i siracusani si erano affidati al giudizio divino durante quel che avevano superato dal Cinquecento al Settecento).
La città era impegnata nella ricostruzione, ma continuava a permanere la sua emarginazione. In tutto ciò, appena arrivati, i piemontesi la vedevano solamente come una forte rocca (o una «corazza di pietra»),[11] che doveva svolgere il suo ruolo difensivo in un eventuale attacco, e tra l'altro di essa non ci si fidava nemmeno: i piemontesi sospettavano che i siracusani acclamassero segretamente gli Asburgo d'Austria, che ne bramassero il ritorno.[12]
Il nuovo re Vittorio Amadeo, durante la sua prima e unica traversata della Sicilia, non si degnò di visitarla: egli, passeggiando su e giù per l'isola, visitò di presenza abbondantemente l'area palermitana, poco l'ennese, poi si fermò a Catania, a Taormina e infine a Messina, concedendo, tra l'altro, proprio ai messinesi nuovi privilegi per lavare l'onta della punizione spagnola (punizione dovuta a quella ribellione che negli anni '70 del '600 aveva portato i siracusani ai limiti di una guerra civile). I piemontesi non conoscevano i siciliani: erano due mondi culturalmente diversi che si incontravano per la prima volta, quindi cercarono di inquadrarli in fretta, elargendo giudizi per ogni parte della Sicilia: i siracusani, insieme a catanesi e palermitani, vennero etichettati come gente non amante delle novità.[13]
Per il resto, Vittorio Amadeo (colpito in quegli anni da gravi lutti familiari, essendogli morte le due figlie[N 6]) non governò di persona il Regno: egli preferì tornare in Piemonte e lasciare un vicerè in Sicilia (dunque l'isola continuò a essere amministrata come un vicereame, non volendo il sovrano spogliare il Piemonte della corte principale). Inoltre i piemontesi non toccarono l'ufficio della Santa Inquisizione siciliana (che continuava a rimanere legato a Madrid, non volendo che si andasse ad unire con il Sant'Uffizio romano; tra il papa e i piemontesi non vi erano infatti buoni rapporti[14]), tanto è vero che Siracusa continuò ad avere il suo personale Capitano dell'Inquisizione (tale carica cittadina rimarrà in vigore fino a oltre la metà del '700, e le pratiche della Sacra Inquisizione vennero descritte da un ufficiale aretuseo addetto ad eseguirle come spesso arrecanti «orrore e vergogna all'umanità»).[15]
Durante il Regno di Vittorio l'impero ottomano diede sentore di voler attaccare nuovamente il Mediterraneo occidentale, quindi i piemontesi provarono per la prima volta quello stato d'ansia che era appartenuto fino ad allora agli spagnoli nel dover preparare l'isola a difendersi da un'eventuale invasione dei turchi. Conoscendo un po' di storia passata, ebbero il timore che le mete ambite dal sultano fossero Siracusa e Augusta, per cui mandarono più uomini a presidiarle (non essendoci più i soldati di Spagna al loro interno) e si avvalsero del comprovato sistema difensivo del Regno, il quale consisteva nella leva obbligatoria che fornivano i feudatari siciliani (fanti e cavalieri regnicoli che erano pronti a combattere in caso di attacco nemico).[16]
Apparecchiato il tutto (Siracusa e Augusta vennero inoltre affidate alla sorveglianza del generale Ghirone Silla San Martino, marchese di Andorno[16]) i piemontesi si meravigliarono di come i siciliani rimanessero calmi di fronte l'aspettativa di un'invasione della Sublime Porta; fu rispoto loro che così tante volte, negli anni addietro, si era gridato all'invasione del sultano che ormai ci avevano fatto l'abitudine. Fortunatamente per l'isola, stavolta gli ottomani andarono ad attaccare i domini veneziani.[16]
Gli spagnoli tornano nell'isola: il vicerè Maffei si ritira a Siracusa
Nell'isola, molto prima dell'invasione, si era già sparsa la notizia che la Spagna stava tornando per rivendicare ciò che Utrecht le aveva sottratto. Vittorio Amadeo sapeva di essere in una condizione di estrema precarietà su quel trono: troppi pretendenti e troppo potenti per riuscire a mantenervisi illeso. Aveva allora vietato ai siciliani di leggere le notizie politiche: tutte molto allarmanti e nelle quali si palesava che mezza Europa era a conoscenza di un nuovo patto ordito principalmente dall'Inghilterra, nel quale il succedersi degli eventi per sicliani e piemontesi era stato praticamente deciso a tavolino, senza che le due parti interessate venissero in alcun modo consultate.
Tale patto prevedeva l'entrata in guerra del Sacro Romano Impero accanto a inglesi, francesi e olandesi; tutti coalizzati contro gli spagnoli: stava quindi per formarsi una pericolosa Quadruplice Alleanza. All'imperatore asburgico d'Austria sarebbe andata la corona siciliana, a patto che avesse rinunciato ai suoi diritti dinastici sul trono di Spagna; rinuncia che egli fece.
La situazione era tra l'altro resa ancora più difficile per i piemontesi in Sicilia dall'entrata di nuove potenze nello scacchiere occidentale del Mediterraneo, che avrebbero potuto giocare contro di loro: la Russia dello zar Pietro I Romanov aveva chiesto l'amicizia del re di Spagna[18] (e proprio la Russia dei Romanov avrà un importante ruolo, alla fine del secolo, nello decidere le sorti di un altro territorio legatissimo a Siracusa; Malta[N 7]) e si dava quasi per certa la pace tra il sultano Ahmed III dell'impero ottomano e l'imperatore germanico Carlo Vi d'Asburgo; la qual cosa avrebbe significato per la Casa d'Austria una maggiore concentrazione sulla guerra siciliana (non essendosi infatti potuta impegnare a difendere la Sardegna perché già occupata nella guerra austro-turca).[18]
A questo punto Vittorio Amedeo, circondato, cercò di aprirsi una qualche via diplomatica tra le potenze interessate[20]: tentò prima un approccio con gli inglesi (facendoli presente che non avrebbero trovato un altro re che quanto lui sarebbe stato disposto a favorirli commercialmente nell'isola mediterranea), ma fallì poiché essi erano ormai intenzionati a bloccare una volta per tutte la più pericolosa Spagna e ad avvalersi del suo perduto impero. Allora il piemontese si rivolse all'imperatore asburgico, mostrandosi disposto a cedergli l'isola purché egli a sua volta gli cedesse i domini del nord Italia e gli offrisse qualcosa che avesse lo stesso valore della Sicilia (anche se ufficialmente l'esistenza di tale proposta venne negata dai Savoia),[21] ma non ottenendo alcuna risposta che lo tutelasse, Vittorio Amedeo tentò l'ultima via diplomatica rimastagli: cercare di allearsi con gli spagnoli,[22] ma sapeva bene per che cosa questi stessero tornando e quanto agguerriti fossero; tant'è che il cardinale Alberoni, suo corrispondente a nome del re Cattolico, gli intimò di unirsi agli spagnoli per soverchiare coloro che «avevano creduto di poter tagliare il mondo a pezzi» (in riferimento alle possessioni spagnole e a ciò che ne avevano fatto le potenze europee).[22]
Il Savoia voleva dalla Spagna la rassicurazione che, una volta riconquistata la Sicilia (quindi Vittorio Amedeo pure in questo caso cedeva spontaneamente la corona siciliana), essa avrebbe cacciato i tedeschi dal resto d'Italia; specialemnte dai domini savoiardi, ma poiché gli spagnoli dissero di voler concentrare prima le loro forze su Napoli (già da tempo in mano austriaca), Vittorio Amedeo fece saltare l'accordo (che avrebbe previsto per gli spagnoli la pacifica apertura delle piazzeforti dell'isola, in primis Siracusa[23]), prevedendo che l'imperatore tedesco si sarebbe fiondato subito sul ducato savoiardo, non appena avrebbe avuto sentore del tradimento (sul quale già circolavano delle insistenti voci che i piemontesi faticavano a tenere a bada tra i siciliani, che si sentivano strapazzati, passando, tra i pettegolezzi, di mano in mano senza poter scegliere da sé con chi voler stare e vedendo nei Savoia, quindi, gente disposta a barattarli).[24]
Il 1 luglio 1718 la Spagna approdò in Sicilia, presso Solunto (nell'omonimo golfo, divenuto poi golfo di Termini Imerese), sbarcando 30.000 uomini in arme,[25][26] il cui ordine era quello di sottrarre con la forza la Sicilia ai Savoia e di riportare sotto la corona iberica i siciliani. L'ordine del re savoiardo era a sua volta quello di mantenere la corona dell'isola per i Savoia, per cui niente resa del Regno; niente baratti.
Ritenendo che Palermo non fosse difendibile - questa capitale era stata forgiata nel lungo periodo spagnolo non come un'inespuganbile fortezza (caratteristica comune di molte capitali del tempo) ma piuttosto come una corte per i numerosi nobili isolani; terra di sfarzo e solennità -, il viceré piemontese Annibale Maffei, insieme al Senato palermitano, il 2 luglio[27] ne trattò la consegna agli spagnoli con il loro comandante, Jean François de Bette marchese di Lede, ottenendo da questi l'accordo che le truppe piemontesi potessero andarsene da lì in maniera pacifica, senza recare alcun travaglio alla popolosa città. Maffei ordinò ai suoi uomini di incamminarsi verso Siracusa, la quale, al contrario di Palermo e di altre città siciliane, era stata modellata nel corso dei secoli dagli spagnoli con il principale scopo di resistere al nemico a oltranza, per cui venne valutata dal re piemontese (già da diversi anni[28]) come il miglior luogo nel quale trincerarsi e aspettare l'evolversi degli eventi.[29]
Gli spagnoli non seguirono Maffei; non gli tagliarono la strada che lo avrebbe infine condotto a Siracusa.[30] Essi si fecero ubriacare dalle feste che i palermitani fecero loro[31] (la maggior parte dei siciliani desiderava ritornare con gli spagnoli, poiché non avevano conosciuto altra casa reale se non l'iberica fin dal lontano 1400, nonostante vi fosse tra gli solani chi auspicava persino l'arrivo del diavolo purché non si ritornasse a quell'antico legame). Gli spagnoli persero tempo dentro Palermo,[N 8] sfilando tra la folla, pensando che anche la Sicilia sarebbe capitolata tra gli applausi, così come aveva fatto la Sardegna.
Il loro ritardo, il loro non correre subito verso Siracusa, sarà considerato il fatale errore della Spagna,[31][30] poiché quella piazza d'armi (che gli spagnoli conoscevano molto bene, dato che essi stessi l'avevano tirata su a quel modo) era risultata imprendibile per oltre 200 anni e, una volta chiuse le sue porte, nemmeno ai soldati di Spagna sarebbe stata concessa la sua capitolazione; soprattutto quando si sarebbero messe in moto le azioni della Quadruplice Alleanza (i cui accordi erano in dirittura d'arrivo).
Il conflitto e il ruolo di piazzaforte piemontese
Le truppe piemontesi (3 battaglioni e 5 compagnie di dragoni[33][N 9]), a corto di denari e con mezzi precari, affrontarono la marcia nella Sicilia interna, partendo da Palermo giorno 3 luglio.[34]
Enormi furono le difficoltà incontrate dal vicerè lungo il percorso: anzitutto dovette raddoppiare i giorni di marcia verso Siracusa, poiché egli non poteva prendere la via più diretta (che è quella che costeggia il mare nord-occidentale di Termini Imerese) in quanto già occupata dai soldati di Spagna.[33] Quindi i giorni divennero settimane (per fare un paragone, si consideri che quando gli Arabi palermitani conquistarono e distrussero Siracusa, nell'anno 878, la popolazione siracusana, incatenata, venne trasferita tutta a Palermo, a piedi, e la sua marcia - in direzione opposta a quella del Maffei - durò 6 giorni e 6 notti, dunque una settimana esatta, poiché al 7° giorno si aprirono per essa le prigioni palermitane;[35] un tempo molto più ristretto rispetto a quello del viaggio della truppa piemontese). Oltre al lungo giro delle montagne occidentali, Maffei dovette fare i conti con una nobiltà che era totalmente favorevole al ritorno spagnolo nell'isola e che nel giro di sole ventiquattro ore (come il vicerè ripete più volte nelle sue lettere al sovrano savoiardo) aveva fatto sollevare l'intera popolazione regnicola (eccetto quelle delle piazzaforti che rimanevano in mano dei soldati piemontesi[33]).[N 11]
Giunti nella città di Caltanissetta ebbero degli scontri armati con i cittadini[33] e prefrirono evitare le città di Piazza Armerina (all'epoca nota solo come Piazza) e Caltagirone, poiché gli abitanti li attendevano per ucciderli:
Stesse ostilità le incontrarono ovunque decisero di fermarsi; anche solo per riposare[33] e per dissetarsi arrivarono a bere acque fangose.[38][N 12]
Con una Sicilia che li era tutta nemica, i piemontesi trovarono la salvezza solo una volta arrivati ad Augusta (anche se già a Lentini venne offerto loro del vino e non li fu sparato contro). Gli augustani li sfamarono e li prepararono per le ultime miglia che li separavano dai siracusani. Finalmente, la sera del 16 luglio, dopo 14 giorni di marcia,[39] i piemontesi entrarono a Siracusa e ne serrarono le porte.[33]
Maffei provvedette subito al ristoro dei suoi soldati e valutò in che condizioni belliche si trovasse la città; stabilì che le fortificazioni erano in buono stato, nonostante alcune (non le principali) risultassero ancora da riparare per via dei danni del potente sisma del 1693.
Un mese dopo la sua partenza da Palermo, scrisse una missiva al re piemontese osservando quanto importante si stesse rivelando la sua venuta a Siracusa e che, nonostante il lungo e tortuoso viaggio, ne era valsa sicuramente la pena, arrivando ad affermare che se per risparmiarsi le fatiche della marcia avesse deliberato di condurre le truppe nella più vicina piazzaforte di Trapani (che distava da Palermo al massimo 3 giorni di marcia) il re piemontese avrebbe già perso la corona siciliana (ritornata alla Spagna):
I piemontesi non vennero maltrattati dai siracusani (anzi alcune fonti parlano finanche di accoglienza festosa[41]), ma dal conte della Mirandola gli aretusei vennero descritti come gente di «genio non differente dagli altri [siciliani ][33]» (inteso come desiderosi di potersi ribellare): il Maffei auspicava il potenziamento della sorveglianza nelle piazzeforti e specialmente in quella siracusana, poiché la vedeva troppo popolata da civili, che superavano in gran numero i militari (fu questa l'eterna contraddizione di Siracusa: una rigida piazza d'armi che però non rinunciava a tutti i suoi diritti civili). Maffei rassicurò il re dicendogli che comunque avrebbe cercato, in caso di rivolta, il modo per sottomettere i siracusani al suo volere.[33] In verità vi fu un tentativo di ribellione da parte dei siracusani:[42] alcuni cittadini volevano impedire che i piemontesi si facessero padroni della rinomata fortezza (sapendo bene ciò che questo avrebbe significato per le sorti del conflitto), avevano quindi pensato di aspettare che parte del presidio piemontese uscisse fuori per accogliere i propri compatrioti giunti da Augusta e di serrarsi dentro con il resto dei piemontesi rimasti, ucciderli, dichiararsi per la Spagna e correre a chiamare la milizia del comandante marchese di Lede, tuttavia, giunto il momento, non se la sentirono di attuare come prestabilito e mandarono a monte il piano, permettendo ai savoiardi di entrare liberamente, e di chiudere le porte solo quando tutta la truppa fu dentro[41][43] (Maffei non seppe mai di tale congiura).
Rimanendo però estremamente sospettoso, il vicerè volle disfarsi di una gran parte di quei soldati siciliani che presidiavano Siracusa, spedendoli via mare nel messinese (le acque siracusane erano ancora prive di controllo alcuno, non essendovi arrivate né la flotta inglese né quella spagnola): il reggimento Gionei[N 13] con un battaglione svizzero Akbret (i quali, se pur costretti a partire, si mostreranno invece fedeli alla causa dei Savoia fino alla fine).[44]
Nel frattempo le città di Catania, Acireale (al tempo detta Jaci) e Giardini Naxos si erano proclamate per gli spagnoli e quindi, trovandosi nel mezzo, impedivano le comunicazioni tra Siracusa e Messina (che invece era ancora con i piemontesi poiché difesa dal generale marchese di Andorno). I siracusani erano per cui isolati dal resto dell'isola e il timore di Maffei era quello che gli spagnoli volessero proprio questo: circondarli e, una volta capitolata Messina, assediarli e toglierli ogni possibilità di vittoria.[33] Per tale motivo Maffei sollecitava il re piemontese affinché gli permettesse di chiedere aiuto al Regno di Napoli, ma Vittorio Amedeo voleva evitare fino all'ultimo tale mossa, poiché sapeva che il vicerè napoletano rispondeva agli ordini dell'imperatore austriaco Carlo VI (membro di quella Quadruplice Alleanza che voleva sottrargli la corona di Sicilia).[45][33]
L'arrivo dell'armata d'Inghilterra
Il marchese di Lede - nominato vicerè di Sicilia dai palermitani[46] ma non riconosciuto come tale dai siracusani, che rimanevano fedeli al vicerè Maffei (continuando a dimorare questi al suo interno[47]) - aveva seguito passo passo il viaggio dei piemontesi nell'entroterra del Regno grazie ai suoi tanti informatori; aveva dato ordini su ordini cercando di rendere quanto più difficoltosa possibile la marcia di Maffei e dei savoiardi. Infine, quando giorno 16 luglio i piemontesi si chiusero dentro Siracusa, il marchese di Lede lasciò finalmente Palermo e con la flotta spagnola salpò alla volta di Messina, nella quale approdò giorno 22 luglio.[48]
Ma non durò molto l'assedio messinese: lo stesso giorno dell'arrivo del marchese di Lede si arrese la città;[48] i messinesi minacciarono con le armi i piemontesi, intimando una rivolta interna se il marchese di Andorno (generale dei Savoia) non si fosse ritirato nella cittadella militare. I piemontesi si concentrarono allora sulla difesa del porto di Messina, protetto dal forte del Santissimo Salvatore (che poi era ciò che realmente premeva a chi si contendeva l'entrata e la tenuta dell'isola, essendo quella la porta che separava la Sicilia dal continente europeo),[49] lasciando la città al suo destino: anche i messinesi, come i palermitani, accolsero gli spagnoli con giubilo (con buona pace del re savoiardo che sperava nel loro antico risentimento verso la nazione che li aveva puniti[50]).
Mentre uno dopo dopo l'altro capitolavano i tanti castelli che cingevano il messinese, Siracusa appariva sempre più isolata; con essa resistevano Trapani e Milazzo (insieme formavano quelle tre fortezze, poste ciascuna su un lato diverso dell'isola, alle quali gli spagnoli avevano affidato innumerevoli volte la difesa del Regno; erano difatti i migliori siti da essi fortificati).
Il 2 agosto 1718 l'Inghilterra, l'Olanda, la Francia e il Sacro Romano Impero siglarono ufficialmente a Londra la Quadruplice Alleanza,[51] che da tempo inquietava il re savoiardo; difatti con l'accordo di tali potenze Vittorio Amedeo II era costretto ad accettare quanto da esse stabilito, altrimenti sarebbe divenuto un nemico della pace, così come lo era la Spagna. Ma poiché non si erano ancora visti sulle coste di Sicilia né inglesi né austriaci, il Savoia confidava sulla resistenza di Siracusa per mantenere intatta quella corona:
Vittorio Amedeo II di Savoia dava al conte della Mirandola istruzioni affinché questi facesse osservare ordine, disciplina e leggi del Regno del Piemonte in Siracusa; che questa città divenisse il punto di partenza per la riconquista piemontese della Sicilia,[53] la qual cosa, hanno osservato gli storici, dimostrava la lontananza del re dal campo di battaglia; la sua assenza dal punto focale degli eventi: era infatti impossibile per Maffei, con le poche forze a disposizione e con una città bloccata per terra (e presto anche per mare), sperare in una rimonta del potere sabaudo: la Spagna da un lato e la Quadruplice Alleanza dall'altro, entrambi avevano per questa isola piani molto differenti da quelli dei piemontesi.
Il 2 agosto la Royal Navy, armata d'Inghilterra, comandata dall'ammiraglio George Byng, I visconte Torrington con 28 grandi navi bene equipaggiate, comprese quelle da guerra,[54] fece la sua comparsa nelle acque di Napoli (essa era partita in giugno da Spithead, nel Portsmouth[55]) e fu un militare siracusano a dare al console savoiardo e al vicerè di quel Regno, Wirich Philipp von Daun, le notizie su ciò che stava accadendo in Sicilia; passate anche al comandante inglese, informato così sulla posizione della flotta spagnola (secondo gli spagnoli, inoltre, Siracusa seguiva da tempo le mosse dell'Armada, poiché il generale tedesco Wetzel gliene faceva arrivare dettagliate notizie[56]):
Byng prelevò soldati tedeschi dal Regno di Napoli e li traghettò fino in Sicilia, nella quale approdò, nel porto messinese, giorno 10 agosto.[57] Portò con sé 2.000 germanici,[58] che avevano il compito di aiutare i piemontesi a cacciare gli spagnoli dall'isola (non era infatti ancora stato firmato alcun accordo tra il re savoiardo e l'imperatore austriaco, per cui in base alle sue risposte, Vittorio poteva anche passare per nemico dell'Alleanza[59]). La presenza tedesca serviva inoltre agli inglesi per far capire agli spagnoli che l'Europa voleva rispettati gli accordi di Utrecht, che l'Inghilterra era lì solo come mediatrice; per pregarla di desistere dai suoi intenti bellici (e l'autorità del proprio governo ad usare la forza, se necessario), quindi proponeva una tregua di 2 mesi. La risposta del marchese di Lede fu che egli aveva ricevuto dal re iberico solamente l'ordine di combattere per riportare i siciliani all'obbedienza della bandiera di Spagna; nessuna altra opzione gli era possibile.[60][58]
Stando così le cose, Byng, per velocizzare le proprie mosse, fece sbarcare i tedeschi a Reggio Calabria (poiché il marchese di Andorno non li voleva con sé sapendo cosa essi rappresentavano per la causa piemontese, quindi anche in quel caso l'ammiraglio di Sua Maestà Britannica avrebbe dovuto battagliare non poco) e si lanciò all'inseguimento della flotta spagnola (la quale, aveva issato le ancore e aveva fatto rotta verso Siracusa giorno 9 agosto,[57] quando le era giunta voce dell'imminente arrivo delle navi d'Inghilterra).[58]
La sconfitta dell'Armada di Spagna nelle acque siracusane
«Per una fatalità le nostre galee non potendo entrare in combattimento, si ritirarono a Palermo, e il vincitore appena poté riparare i suoi danni, andò ad ostentare nel porto di Siracusa le prede, vergognoso frutto della sua perfidia.»
Byng scovò infine l'Armada Española (29 navi da combattimento per un totale di 1.360 cannoni e 10.100 uomini)[62] l'11 agosto 1718, che stava attraversando il lungo litorale siracusano: gli inglesi la intercettarono e, senza una dichiarazione di guerra (Byng aveva lasciato lo Stretto di Messina offrendo una tregua agli spagnoli e il suo governo non voleva certo una guerra ufficiale con la Spagna),[63] l'attaccarono pesantemente quando la maggior parte dei galeoni spagnoli erano giunti a Capo Passero (località che difatto diede il proprio nome alla battaglia).
Gli spagnoli avevano un numero di navi quasi eguale a quello degli inglesi, i quali però potevano contare su una maggiore potenza e qualità (21 navi da guerra per un totale di 1.400 cannoni e 8.885 uomini)[64] e, stando alle diverse testimonianze (chi sparò il primo colpo di cannone rimane una questione controversa) subì le provocazioni delle ciurme britanniche, così che si dovette difendere e quindi fu costretta a combattere, nonostante non si trovasse in assetto da battaglia (a causa anche dell'assenza di vento la sera prima nel mare aretuseo[65]): gli inglesi, infatti, ebbero gioco facile potendo attaccare singole navi nemiche con più navi alla volta:[66] per figurarsi il genere di battaglia, è sufficiente mettere in chiaro che l'ammiraglia iberica, la Real San Felipe, venne attaccata da 7 navi nemiche contemporaneamente.[67] Agli spagnoli (per bocca degli stessi inglesi) si riconobbero coraggio e una forza di volontà che sfociava in disperazione, ma li si rimproverò il mancato ordine da battaglia.
Molte navi spagnole cercarono la fuga, altre si arenarono sulle coste siracusane.[68] L'ammiraglia del comandante spagnolo, José Antonio de Gaztañeta, resistette fino all'ultimo (dopo sette ore di combattimento, incominciato verso le 11:00 di mattina) e lo stesso ammiraglio venne gravemente ferito ad una gamba[69]: nella sola sua nave si ebbero 200 morti, per un totale di 2.400 perdite per gli spagnoli, tra morti e feriti, più 3.600 prigionieri, mentre gli inglesi ebbero 500 morti e feriti.[70] Fu un disastro enorme per la Spagna, poiché in quelle acque vi era il nucleo principale della sua flotta.
La battaglia interessò una larghissima fetta del territorio siracusano: da Augusta, passando per Siracusa e Avola, fino allla punta estrema della Sicilia orientale e al canale di Malta, si vedevano navi spagnole distrutte o inseguite dagli inglesi:
8 galeoni vennero bruciati nella spiaggia di Avola,[71] ancor prima che Byng raggiungesse il grosso del nucleo a Capo Passero (17 galeoni),[72][73] e molti degli equipaggi spagnoli trovarono scampo scendendo a terra: approdarono nei pressi dell'omonima tonnara, nel porto dell'appena costruita cittadina iblea[68] (essendo stata la montana Avola antica totalmente rasa al suolo dal terremoto del 1693); tra questi vi era il vice-ammiraglio Stefano de Mari (50 tra morti e feriti nella sua nave), di origini genovesi al servizio di Filippo V, che comandava la Retroguardia, composta da 6 vascelli.[65]
Affermò il vicerè Maffei, che dalla sua abitazione in Ortigia l'11 agosto vide le navi spagnole bruciare, che i siracusani avevano visto tra la sera del 10 agosto e l'alba del giorno dopo l'intera flotta del re Cattolico sfilare davanti ai baluardi aretusei, poi, un'ora dopo del sorgere del sole (quindi secondo i siracusani la battaglia incominciò molto prima delle ore 11.00) udirono i primi spari, non distanti da loro, e il frastuono andò avanti per tutto il giorno (fino al 12 agosto fissavano ancora ciò che rimaneva della flotta ispanica braccata dai galeoni d'Inghilterra).[74]
L'ammiraglio inglese rimase un paio di giorni in alto mare, poiché doveva riparare sia i danni più gravi alle sue navi che a quelle dei nemici, per permettere a tutti di muoversi da lì. In quei frangenti Byng ricevette il messaggio del suo ufficiale, il capitano George Walton[N 14], che lo informava della cattura di altre navi spagnole a largo della città aretusea:
«Signore - Abbiamo preso e distrutto tutte le navi Spagnole che erano sulla costa; il numero come da margine. Io sono, &c., G. Walton. Canterbury [la nave] al largo di Siracusa, 16 Agosto 1718.»
Byng riuscì a rimettere le flotte in stato di navigazione il 17 agosto e quello stesso giorno venne con esse dentro Siracusa;[75] secondo altre cronache era invece il 19 agosto[76]:
«L'Ammiraglio Byng, avendo riunito le sue navi dopo l'azione, entrò in Siracusa il 19 Agosto, N.S. dove trovò il capitano Walton e il suo bottino. Siracusa era a quel tempo bloccata da un distaccamento dell'esercito spagnolo [...]»
In città gli inglesi continuarono a riparare le loro navi. Nel frattempo si decise il destino dei prigionieri spagnoli: molti di loro, con i propri galeoni mal ridotti, entrati in aspro atteggiamento con gli inglesi (a tal punto che questi denudarono gli ufficiali prigionieri[77]) da Siracusa vennero mandati al porto di Mahón (postazione britannica in terra spagnola), mentre l'ammiraglio in capo, José Antonio de Gaztañeta (inizialmente privo di sensi per le ferite) venne condotto via mare, con altri prigionieri della Real San Felipe (che tra l'altro saltò in aria una volta uscita dal porto aretuseo, uccidendo 160 inglesi e 50 spagnoli[77]), nella vicina Augusta e qui rilasciato sotto promessa, voluta da Byng, che costoro non tornassero a combattere per almeno quattro mesi.[77] Altri prigionieri ancora rimasero nella città aretusea ma da qui riuscirono in qualche modo a fuggire e tornarono a Palermo, dove si erano radunati i superstiti della battaglia navale siracusana (solo 2.600 uomini su 10.100).[77]
A Siracusa Byng intavolò le prime trattative diplomatiche: scrisse al marchese di Lede, cercando di giustificare il palese deliberato attacco, con conseguente distruzione dell'intera flotta da combattimento spagnola, con parole di rammarico e dispiacere per quanto era accaduto, accusando gli spagnoli di essere stati i primi aggressori e di non considerare tale atto come motivo di rottura dei buoni rapporti che ancora vi erano tra le due nazioni che rappresentavano.[77] Poi ebbe un incontro con il vicerè piemontese, Annibale Maffei. I due discussero l'entrata in scena delle truppe imperiali.[78][N 15]
L'intrapendenza dell'Inghilterra, che nei patti stabiliti in precedenza dall'Alleanza non doveva essere così audace (non aveva ad esempio il permesso di far sbarcare le sue truppe a terra, quindi doveva spingere affinché combattessero i tedeschi al suo posto) tuttavia indignò, ancor prima della Spagna, la Francia,[80] la quale accusò gl inglesi di essersi lasciati sfuggire la situazione di mano e di aver ecceduto nella dimostrazione di forza, sacrificando la mediazione per i propri scopi personali: che erano quelli per l'appunto di soppiantare definitivamente gli spagnoli nel dominio dei mari:
«[...] Essendo rimasto sua Maestà Britannica padrone del mare.»
Molto più indulgente fu invece la reazione dell'imperatore Carlo VI, che a Byng - stanziato ancora nella città di Siracusa - spedì una calorosa lettera di ringraziamento per il prezioso servizio offerto alla causa della Quadruplice Alleanza e gli dimostrò il suo affetto donandogli insieme alla lettera anche un costosissimo suo ritratto contornato da diamanti.[81] Ma l'approvazione più importante per Byng fu quella che gli mostrò Sua Maestà Britannica, Giorgio I d'Inghilterra, che il 23 agosto 1718 (lo stesso giorno in cui Byng stava momentaneamente lasciando Siracusa per dirigersi a Reggio dai soldati germanici[82]) gli scrisse una lettera in lingua francese (intitolata Monsieur le Chavalier Byng) nella quale non solamente gli dava pieno appoggio per la battaglia che aveva dovuto affrontare ma vi si firmava come «vostro caro amico[83]».
Forte di cotanta stima che gli giungeva dalla patria, Byng sarebbe diventato per i prossimi mesi la figura principale con la quale bisognava interagire per venire a capo della complessa guerra siciliana, e Siracusa sarebbe rimasta strettamente legata alle sue direttive (tanto che da alcuni storici essa è stata definita da quel momento in avanti «terra inglese[84]»).
Furiosa fu la reazione a caldo della Spagna; non fu qualcosa che colpì solo la parte militare del paese, ma l'intera nazione: gli spagnoli arrestarono, confiscarono e maltrattarono tutti gli inglesi e le loro navi che si trovavano nei porti dei domini di Spagna,[N 16][85] poiché il «fatto di Siracusa» (uno dei tanti nomi dati all'11 agosto 1718)[85] era un «oltraggio senza precedenti[86]», come ebbero a lamentarsi gli ambasciatori spagnoli presso la corte inglese. Il re Cattolico, Filippo V di Borbone, espulse tutti i consoli inglesi dal suo impero e armò navi corsare contro i mercanti di Sua Maestà Britannica; la qual cosa venne imitata anche dai sovrani degli altri paesi belligeranti, cosicché il mar Mediterraneo divenne in quegli anni impossibile da navigare pacificamente, con grave danno, soprattutto economico, per tutti i paesi che vi si affacciavano.[87]
Incerte, infine, rimangono le reali motivazioni che spinsero la flotta d'Inghilterra a violare le trattative di mediazione per fiondarsi, in maniera più che decisa, sopra gli spagnoli. Secondo alcuni storici essa voleva impedire che le navi di Spagna sbarcassero a Siracusa, per prenderla dal mare.[88] Altri sostengono che avesse avuto ordini segreti dal re Giorgio I, il quale avrebbe ordinato ai suoi uomini di liberarsi completamente della nuova marina ispanica. Posteriormente, il capitano nord-americano Alfred Thayer Mahan definì questa battaglia come moralmente discutibile.[89][90]
Dal canto suo, il cardinale Alberoni (dopo aver tacciato Byng di violenza e corruzione[90]) domandò, senza ottenere risposta: «se l'ammiraglio non avesse avuto in pensiero di attaccarli, perché inseguirli dal Faro fino a Siracusa?[91]».
La presa di posizione dell'Ordine di Malta
Mentre infuriava il combattimento navale, fecero la loro comparsa in acque siracusane due fregate spagnole, la Perla e la San Juan el Chico, che giungevano dall'isola di Malta, capitanate dallo spagnolo Baltasar de Guevara. Queste due navi stavano correndo in aiuto dell'ammiraglia, ma quando videro che la Real San Felipe infine si arrese, per non soccombere anch'esse inutilmente, fecero vela nuovamente verso Malta, e lì trovarono rifugio altri equipaggi spagnoli superstiti (anche se sembra, inizialmente, il Gran Maestro non volesse accoglierli[N 17]).[92]
L'Ordine dei cavalieri di Malta, infatti, dall'inizio del conflitto aveva rotto il suo giuramento di neutralità e si era schierato per la Spagna, dando porto franco ai soldati di questa nazione e provocando invece gran danno alla marina sabauda, le cui galee venivano trattenute a mo' di ostaggio dal Gran Maestro. Tale situazione infastidì enormemente Byng, il quale da Siracusa si trasferì a Malta per persuadere il Gran Maestro, Ramon Perellos y Roccaful, a non dare ulteriore protezione alla nazione belligerante e di restituire a Siracusa la marina savoiarda. La città aretusea ospitava difatti due delle tre grosse navi da guerra della nuova marina siciliana (finanziata dai piemontesi dopo che il trattato di Utrecht aveva obbligato gli spagnoli ad evaquare la loro dalle acque dell'isola nel 1713), la Vittorio e la Beato Amedeo (60 cannoni ciascuna), che vennero infine sequestrate dagli spagnoli dopo che Maffei le spedì in aiuto dei piemontesi assediati nella Cittadella messinese (essi le ribattezzaro rispettivamente Triunfo e Victoria).[93]
Tale fu la sequenza dei fatti che portarono alle tensioni tra l'Ordine e chi in quel momento si occupava della difesa di Siracusa: quando gli spagnoli invasero la Sicilia, i capitani delle 5 galee sabaude (Capitana, Milizia, Patrona, Sant'Anna e San Francesco), che si trovavano provvisoriamente ad Augusta per disarmarne il castello e trasferirne l'artiglieria a Siracusa (il re piemontese non riteneva la rada augustana difendibile, per cui volle puntare tutto sulla piazza d'armi aretusea[94]), non appena ebbero sentore della trionfale accoglienza palermitana nei riguardi degli spagnoli, voltarono le spalle a quelle piazze che ancora resistevano per i piemontesi e dirottarono le galee a Malta. Gli equipaggi, in gran parte siciliani, si ribellarono agli ordini dei piemontesi, rifiutandosi di andare a Siracusa, così come Maffei aveva ordinato loro di fare (trovandosi egli già in città). Le ciurme ottennero inoltre l'appoggio, decisivo, del Gran Maestro, il quale vietò ai generali piemontesi di intraprendere la navigazione in direzione delle acque siracusane e tenne le navi ancorate a Malta. Inutili le accorate lettere del Maffei rivolte alla Sacra Milizia.[95]
Byng seppe dell'ammutinamento delle galee perché stava dando la caccia al controammiraglio irlandese George Cammock, posto al servizio di Spagna (dopo la battaglia di Capo Passeo gli inglesi non dettero più tregua sui mari agli spagnoli),[96] e gli era giunta voce che questi si trovasse rintanato a Malta.
Il Gran Maestro, dopo aver discusso, acconsentì al volere di Byng (sotto palese minaccia di ostilità belliche nei confronti dei cavalieri) e permise finalmente il rientro delle galee in Sicilia, andando contro il parere del capitano spagnolo che non voleva permetterne il rientro. L'ammiraglio di Sua Maestà Britannica minacciò gli ammutinati e, aggregando ai siciliani rimasti i marinai inglesi delle sue navi[97], fece rotta verso Siracusa, nella quale approdarono tutti verso la metà di ottobre.[98] Ma non rimasero a lungo in questo porto siciliano le suddette galee, poiché Byng ritenne che esse fossero più utili nelle acque dello Stretto di Messina, per impedire agli spagnoli il trasporto di viveri; le affiancò quindi alle galee del Regno di Napoli (esse saranno infine rimandate a Nizza nel corso del 1719).[98]
La Spagna contro tutti e l'assedio di terra
Tutti coloro che avevano sperato nella ritirata della Spagna, o nel suo abbattimento psicologico dopo la sconfitta di agosto, restarono delusi, poiché gli spagnoli non solamente si dettero da fare per costruire nuove navi da guerra, ma causarono un grave smacco alle forze dela Quadruplice Alleanza (Byng aveva da poco fatto penetrare in Sicilia nuove forze germaniche) andando a conquistare, a viva forza, la Cittadella e li forte San Salvatore di Messina, facendoli capitolare entrambi il 23 settembre 1718.
A questo punto, nell'intera isola, agli spagnoli erano rimaste da conquistare solamente 3 luoghi: Milazzo, Trapani e Siracusa.
Nei patti della resa di Messina si stabilì che i piemontesi superstiti venissero trasferiti a Siracusa (venne anche il marchese d'Andorno, nel frattempo ammalatosi), mentre i soldati tedeschi tutti a Milazzo. Ora il marchese di Lede doveva scegliere dove concentrare il suo prossimo assedio, ed egli deliberò di far capitolare Milazzo; la città aretusea veniva dunque lasciata ultima o penultima preda.
Ma le cose per la Spagna stavano per diventare veramente molto ardue, dato che la Quadruplice Alleanza, rinvigorita dall'esito positivo della battaglia navale siracusana, decise di presentare formalmente al re iberico un ultimatum, nel quale o egli si decideva a far cessare la conquista della Sicilia, e ad accettare quanto da essi stabilito, oppure sarebbe stata ufficialmente guerra:
«Mentre accadevano tali cose, Filippo V venne messo a conoscenza del trattato celebrato tra Austria, Inghilterra e Francia, secondo il quale la Sicilia veniva ceduta all'imperatore, dando in cambio Parma e la Toscana al principe Carlo, figlio di Filippo e di Isabella Farnese; inoltre si assegnava la Sardegna a Vittorio Amedeo, come compensazione per la perdita della Sicilia. Alberoni rispose che il re era deciso a fare la guerra anziché accettare simili degradanti proposte, e inveì amaramente contro le potenze alleate. E spronato dall'arrivo di dodici milioni di pesos dall'America formulò un ultimatum, proponendo che: rimanga la Spagna con la Sardegna e la Sicilia [...] e si ritiri nei propri porti la squadra navale inglese. [...] L'Inghilterra fece la sua solenne dichiarazione di guerra [...] Il governo francese dichiarò guerra alla Spagna [...] In Sicilia le navi inglesi proteggerono la venuta di nuove truppe tedesche: ma gli spagnoli, mancanti sull'isola di sussistenza, non per questo si persero d'animo.»
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L'arrivo in città delle truppe d'Austria
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Il compromesso tra Spagna e Inghilterra
L'assedio spagnolo alla Siracusa austriaca
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La nascita del Regno borbonico napoletano (1735)
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Note
- Note esplicative
- ^ Specificando che Filippo di Borbone non era stata la prima scelta di Carlo II: nel suo primo testamento, egli aveva scelto come suo unico erede il germanico Giuseppe Ferdinando Leopoldo di Baviera, in quanto parente a lui più prossimo, appartenendo agli Asburgo, ma la Francia gli si era opposta ripetutamente, fino a quando re Luigi XIV non riuscì a convincere Carlo II a nominare, unico erede, suo nipote Filippo.
- ^ Un esempio di ciò fu l'unione matrimoniale, imposta dal re Luigi XIV di Francia, tra li nipote Filippo di Borbone e la dodicenne ducehessa piemontese Maria Luisa di Savoia (ma i francesi intrattenevano da tempo rapporti di unioni matrimoniali con i savoiardi; un altro esempio di ciò fu la sorella di Maria Lusia, Maria Adelaide di Savoia: madre di Luigi XV di Francia; il successore del re Sole.
- ^ Che circa un secolo e mezzo dopo questi eventi si sarebbe convertita nella casa reale (Casa Savoia) dell'intera penisola italiana.
- ^ Filippo V di Spagna aveva avuto un'ultima possibilità da parte dei vincitori: gli era stato proposto di lasciare la corona spagnola, di rimanere delfino di Francia e di prendersi la Sicilia, insieme a Napoli e al resto dell'Italia iberica (in sostanza l'arccordo pre-guerra di successione al quale agognava la Francia), ma, in tal caso, il trono spagnolo non sarebbe passato all'imperatore tedesco (non più semplice arciduca), bensì lo avrebbero dato ai Savoia. Filippo però, dopo aver tentennato (il suo parente, Luigi XIV, avrebbe voluto che accettasse quest'ultima proposta), decise di tenersi la Spagna e le Indie, rinunciando, a malincuore, ai suoi domini europei.
- ^ Per meglio comprendere la situazione aretusea basti specificare che fino al 1861 questa città non riuscirà a sfiorare la soglia dei 20.000 abitanti (19.300 abitanti, per l'esattezza, nel 1861, il che vuol dire che dal 1700 a quella data, in quasi 200 anni, i siracusani non erano riusciti nemmeno a raddoppiare quell'11.000 post-sisma), mentre altre realtà siciliane (che nel Cinquecento e nel Seicento erano sue simili o addirittura numericamente inferiori) si erano già gravemente da essa distaccate; un esempio di ciò furono Catania, che nel 1861 contava oltre 70.000 anime (contro le 20.000 pre-sisma del 1693) e Trapani (che doppiò la popolazione aretusea proprio nel 1700 e nel 1861 contava già quasi 33.000 abitanti). Ciò fa ben capire quanto diverse e severe dovettero essere le misure imposte alla città aretusea per arrivare a farne bloccare quasi del tutto la crescita. Cfr. Domenico Ligresti, Dinamiche demografiche nella Sicilia moderna: 1505-1806, 2002, pp. 82-85.
- ^ Nel 1712 gli era morta la figlia Maria Adelaide di Savoia, nel 1714 gli era morta l'altra figlia Maria Luisa di Savoia L'anno seguente la sua partenza, nel 1715 morì anche il suo primo erede maschio Vittorio Amedeo di Savoia.
- ^ Quando la Francia di Napoleone Bonaparte conquistò Malta, i cavalieri si arresero senza combattere. Erranti, approdarono in Russia, alla corte dello zar Paolo I, e chiesero l'aiuto della vasta nazione per riconquistare l'isola siciliana (va ricordato infatti che Malta era un feudo della Sicilia). Elessero lo zar come loro Gran Mestro; ciò causò lo shock tra le potenze europee: l'Inghilterra intervenne, occupando l'isola prima che lo facesse la Russia. Da lì iniziò il travaglio dell'Ordine di San Giovanni, poiché gli inglesi non avrebbero più permesso il ritorno dei cavalieri nell'arcipelago maltese (che era stato affidato loro da Carlo V di Spagna nel Cinquecento).[19]
- ^ Gli spagnoli si concentrarono sul presidio di 400 uomini lasciato dai savoiardi nel castello nei pressi di Palermo (che non impediva la resa della città, per l'appunto già consegnata alla Spagna il 2 luglio). Potendolo sconfiggere facilmente, il marchese di Lede si concentrò sulle questioni burocratiche e politiche di Palermo. Il marchese di Lede quindi giorno 6 luglio veniva nominato sontuosamente nuovo vicerè di Sicilia e giurava sui privilegi dle Regno e della città; giorno 13 luglio si arrendeva il castello palermitano e il marchese di Lede si dedicava ad ammirare i fuochi d'artificio che questa città faceva per la festa di Santa Rosalia (patrona dei palermitani); giorno 14 lulgio cavalcava con i nobili palermitani sempre per la medesima festa, mentre il 15 vi assisteva alla processione religiosa (egli lascerà Palermo solo il giorno in cui Maffei arriverà a Siracusa; il 16 luglio).[32]
- ^ Tali truppe sono da considerarsi gli antenati degli attuali reparti dell'Esercito Italiano: 1º Reggimento fanteria "San Giusto", Granatieri di Sardegna (per i fanti che marciarono con Maffei) e Reggimento "Nizza Cavalleria" (1º) (per i dragoni che marciarono con Maffei). Vd. Lo Faso di Serradifalco Alberico, Piemontesi in Sicilia con Vittorio Amedeo II. La lunga marcia del conte Maffei, in Studi Piemontesi, vol. XXXII, fasc. 2, 2003.
- ^ La Sicilia è per l'80% formata da colline e monti, mentre l'area di Siracusa appartiene, in parte, a quel 14% di pianura siciliana (tenendo però presente che l'altra parte della propria area appartiene ai monti Iblei).
- ^ Mentre il vicerè Maffei non aveva potuto avvisare il suo re dell'invasione spagnola (e il Savoia lo dava per disperso con l'esercito in chissà quale punto della Sicilia), il marchese di Lede faceva girare la notizia dell'avvenuto sbarco nell'isola, e dell'immediata presa di Palermo, la qual voce giunse a Roma e quindi a Torino alle orecchie del re Vittorio Amedeo il 15 luglio (le lettere del Maffei invece lo raggiungeranno non prima della fine del mese, poiché la Spagna aveva boicottato ai piemontesi tutte le vie di comunicazione).[36]
- ^ Archivio storico italiano (1876, p. 158): «Fortuna a me che non debbo narrare quella ingrata smania di ritornar al giogo di Spagna, predicante di venir a liberare i Siciliani «dalla tirannide savoiarda». Caltanissetta, Lentini, Girgenti, Lipari, Termini, Catania s'illustrarono nella gara. Il Vicerè scriveva: Insomma non sono stati gli Spagnuoli i nemici da me temuti e che mi contrassero il passo: bnesì una generale rivolta, attizzata non solo dagli ordini circolari mandati dagli Spagnuoli [...]»
- ^ Fondato per volere di Vittorio Amedeo II di Savoia dal figlio del duca d'Angiò Ottavio Gioeni.
- ^ Colui che, stando alle cronache spagnole, sparò il primo colpo, presso Avola.
- ^ Nonostante né Maffei né il suo re, Vittorio Amedeo, fossero contrari al loro supporto esterno, essi si rifiutavano ancora di ammetterli dentro le piazzeforti tenute dai piemontesi, poiché , specialmente dopo la battaglia navale, erano convinti di potercela fare da soli, di resistere e tenersi la corona del Regno. Ma Byng avvertì il vicerè che il Piemonte doveva rispettare i patti presi dalla Quadruplice Alleanza; che se si fosse ancora rifiutato di eseguirli Byng avrebbe scavalcato Torino e chiesto ordini direttamente da Londra, dando ad intendere al vicerè Maffei che quella poderosa flotta che adesso egli poteva ammirare nel porto di Siracusa poteva d'un tratto diventargli nemica. Maffei, persuaso da ciò, ordinò al marchese di Andorno di far entrare finalmente i germanici nella Cittadella messinese.[79]
- ^ Arrivando a tagliare persino le orecchie a quei capitani inglesi che rifiutavano di farsi confiscare nave, uomini e merci. Vd. Storia universale dal principio del mondo sino al presente scritta da una compagnia di letterati inglesi [...], vol. 57, 1791, pp. 209-210, 213.
- ^ Prima i susperstiti della battaglia andarono in Grecia, ma qui non fu concesso loro di entrare, quindi si diressero a Malta dai loro altri compagni spagnoli. Baltasar de Guevara aveva in precedenza chiesto al Gran Maestro l'uso delle galee di Sicilia, ma questi si era rifiutato (così come però si rifiutava anche di riconsegnarle al conte della Mirandola, a Siracusa). Incontrando quindi l'ira di Filippo V, il quale proibì (non avendone però esattamente più le facoltà) il commercio dell'Ordine con i siciliani. Cfr. Vicente Bacallar, Comentarios de la guerra de España, e historia de su Rey Phelipe V el animoso, 1725, p. 99.
- Riferimenti
- ^ Giovanni Evangelista Di Blasi, Storia cronologica dei vicere, luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia, 1842, pp. 452-453.
- ^ Giovanni Evangelista Di Blasi, Storia cronologica dei vicere, luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia, 1842, p. 457.
- ^ Cambridge University, Edward Phillips Statham, Privateers and Privateering (EN) , 2011, pp. 234-236.
- ^ Elie Durel, Jacques Cassard, le Corsaire oublié: Le plus grand venait de Nantes (FR) , 2015, cap. 6 L'escorteur.
- ^ Isidoro La Lumia, La Sicilia sotto Vittorio Amedeo di Savoia, 1877, p. 51.
- ^ a b Carpinteri, 1983, p. 47.
- ^ Giuseppe Bellafiore, Architettura dell'età sveva in Sicilia: 1194-1266, 1993, p. 128.
- ^ Efisio Picone, Il Castello Maniace, 1979; Arnaldo Bruschi, Gaetano Miarelli Mariani, Architettura sveva nell'Italia meridionale: repertorio dei castelli federiciani, 1975, p. 20.
- ^ Giuseppe Maria Capodieci, Antichi monumenti di Siracusa, 1816, p. 71.
- ^ Alessandro Loreto, I libretti musicali della Biblioteca alagoniana di Siracusa, 2006, p. 235.
- ^ Carpinteri, 1983, p. 47; La Fiera letteraria (a cura di), vol. 2, 1973, p. 16.
- ^ Isidoro La Lumia, La Sicilia sotto Vittorio Amedeo di Savoia, 1877, p. 39.
- ^ Simone Candela, I piemontesi in Sicilia: 1713-1718, 1996, p. 32.
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