Giuseppe Maria Pilo
Giuseppe Maria Pilo (Mogliano Veneto, 16 giugno 1929) è uno storico dell'arte italiano, professore emerito all'Università Ca' Foscari di Venezia.
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana, Cavaliere dell'Ordine equestre dei Santi Maurizio e Lazzaro e degli Ordini dinastici della Real Casa di Savoia, Confratello Capitolare della Scuola Grande Arciconfraternita di San Rocco in Venezia, socio d'onore dell'Ateneo Veneto di Scienze Lettere e Arti, socio effettivo dell'Accademia Olimpica di Vicenza e di altre istituzioni culturali.
Pronipote di Rosolino Pilo (Palermo, 1820 - 1860), il precursore dei Mille, anche per ciò in corrispondenza pressoché quotidiana con Francesco Crispi, e da ultimo autentico luogotenente sul campo di Giuseppe Garibaldi stesso, l'ultimo dispaccio del quale a Pilo data da Calatafimi il 16 maggio 1860 alla vigilia della morte eroica sul monte San Martino all'atto della presa di Palermo - prima medaglia d'oro conferita alla Sicilia da Vittorio Emanuele II, primo re dell'Italia unita. Un'annosa indagine araldica e anagrafica ha condotto alla ricostruzione delle vicende della famiglia, un notevole frammento di "storia patria" - dalle origini catalane con i re Goti - propriamente Visigoti - conti di Barcellona, principi di Catalogna, con Vilfredo I Pilo (840 - 897) e più tardi, dal 1226, angioine, donde la celebre menzione di Giosuè Carducci, la Consulta Araldica (1869 e 1906), i successivi insediamenti a Genova, in Sardegna, in Sicilia, a Roma e a Venezia, con l'esaltante affettuoso incontro con Salvatore Denti Amari duca di Piraino il consanguineo ammiraglio di Squadra della Regia Marina e in quanto tale comandante della Seconda Squadra navale all'atto di ricevere nell'aprile 1934 nelle acque del Bacino di San Marco a Venezia le Bandiere di combattimento dal re Vittorio Emanuele III.
Dell'attività di ricerca, didattica e di promozione culturale di Giuseppe Maria Pilo fanno fede anzitutto le centinaia di pubblicazioni prodotte e la quantità dei servizi resi, nella pubblica amministrazione e nella scuola, a livello secondario dapprima, poi per oltre un trentennio nell'insegnamento universitario, a Padova, Trieste, Udine e, dal 1994, all'Università Ca' Foscari di Venezia, città dove aveva intrapreso le sue prime esperienze museali (1955-1960) e d'insegnamento superiore nell'Accademia di Belle Arti (1970 - 1972).
Le ricerche di Giuseppe Maria Pilo coincidono per un lato con una densa ricognizione della cultura artistica veneta, percorsa attraverso una significativa geografia di luoghi e di emblematiche figure di protagonisti: il Vicentino e Vicenza, patria di elezione di Giulio Carpioni (1961): Belluno e la Valle del Piave, con Sebastiano e Marco Ricci (1963, 1976); nel Trevigiano, la Pedemontana alle pendici del Grappa e Treviso, fra Castelfranco e Bassano stesso, teatro dei più avanzati architetti 'illuminati' e neoclassici e punto di partenza per l'arte medesima di Antonio Canova, ambiti puntualmente indagati da Pilo che li ha per primo inquadrati e messi in luce (1961-1964); sul versante friulano, Roraigrande di Pordenone e Michelangelo Grigoletti (1970-1971); le luci e i colori , e la realtà sociale ed economica, della Carnia nella pittura di Nicola Grassi (1975, 1982-1984); la capillare ricognizione esperita in tutta l'area interregionale - e oltre, per afferenze e proiezioni - con riguardo alla vicenda complessiva dei pittori del Seicento veneto (1967). Su un altro versante, quelle ricerche si sono misurate con l'Europa, come ha di recente sottolineato Mina Gregori ("L'arte a Venezia e nel Veneto; l'arte in Europa: sono queste le due polarità entro le quali si è mossa l'attività instancabile di Giuseppe Maria Pilo"), un'Europa intesa come dimensione di riferimento per le tematiche di ricerca toccate.
Per circa ventidue anni Pilo ha servito nella carriera scientifico direttiva dei musei. assistente dapprima in quelli di Ca' Rezzonico e di Ca' Centani (Casa di Carlo Goldoni) dal 1955, poi direttore del museo civico di Bassano (dal 1960), dell'Accademia dei Concordi di Rovigo (dal 1966), del costituendo e poi costituito museo civico di Pordenone da lui stesso messo in essere (dal 1970), ha sempre privilegiato nelle sue scelte lo studio e la valorizzazione dei beni artistici di volta in volta affidati alle sue cure, collegandoli a indagini , come gli studi sui pittori del Settecento, Francesco Zugno, Pietro e Alessandro Longhi, Antonio e Francesco Guardi e altri (1956-1959), che hanno evidenziato aspetti problematici e meno noti della civiltà artistica veneziana.
i suoi primi interessi di studio sull'area tiepolesca, stimolati dalla grande mostra veneziana del 1951, si indirizzano inizialmente al più dotato fra i seguaci di Giovan Battista, Francesco Zugno, tema della sua tesi di laurea con Giuseppe Fiocco all'Università di Padova, e trovano un complemento 'speculare' negli studi sul primo maestro di Tiepolo, Gregorio Lazzarini, oggetto della tesi di diploma di perfezionamento in Storia dell'arte presso la Scuola Storico Filologica delle Venezie.
Sul finire degli anni Cinquanta prolungati viaggi di studio all'estero, specialmente in Baviera e a Vienna, e lunghi soggiorni di studio a Napoli presso la Soprintendenza alle Gallerie (titolare Bruno Molajoli, al quale Pilo era legato da profonda amicizia), costituiscono il retroterra che permette a Pilo di estendere l'indagine a dimensione europea e di approfondire la ricerca sulle relazioni napoletano-venete e sulla costituzione del barocchetto, trasformando le tematiche appena accennate da Voss e da Longhi sul finire degli anni dieci del Novecento, poi per lo più trascurate dagli studi, nel settore più attivo della sua ricerca.
Ne sono frutto i primi fondativi saggi sui "pittori veneti viaggianti" nelle corti europee: Sebastiano Ricci, Bellucci, Pellegrini, Amigoni. I foltissimi studi su tali temi hanno condotto Pilo a individuare e tracciare una fitta rete di relazioni intrecciate dai veneti con artisti europei di loro poco precedenti o coevi quali Lemoyne, Vleughels, Adriaen van der Werff il "classicismo" della scuola di Anversa e, per il ritratto, l'olandese naturalizzato inglese sir Peter Lely, con precisi punti di afferenza e di suggestioni, specie per il Bellucci, in artisti fiamminghi e olandesi quali il Werff e l'olandese Schoonjans, e di affinità con l'austriaco Bergmüller. Anche per Jacopo Amigoni, sulla base di risultanze oggettive, sono emerse in primo piano le relazioni fra il linguaggio del pittore napoletano-veneto e la cultura franco-fiamminga. Attraverso numerosi interventi, dal 1958 al 1993 (tra cui la ricca voce per l'"Allgemeine Künstler Lexicon" del 1986), Pilo è venuto ricostruendo il corpus del pittore studiando i diversi momenti della sua carriera attraverso i centri culturali e religiosi d'Europa - Napoli, Venezia, Nymphenburg, Schleissheim, Ottobeuren, Londra, Parigi, Montecassino, ancora Venezia, Madrid, motivo di ulteriori soggiorni in Spagna per accertamenti sull'ultimo tempo dell'artista nonché verifiche su presunte improbabili relazioni con Flipart - progressivamente avvicinandosi alla delineazione della sua identità di artista internazionale.
A Bassano Pilo aveva dato sistematico e vigoroso inizio alla ricognizione e alla catalogazione a stampa della pubbliche raccolte grafiche, in specie della Collezione Remondini, allora per gran parte sconosciute, estendendo i suoi interessi di ricerca alle relazioni fra le culture tedesca e veneta fra Quattrocento e Cinquecento, a partire dai giovanili studi sulle silografie e sulle incisioni di Albrecht Dürer (1960). La scoperta (1964) di un importante fondo di disegni di Giacomo Quarenghi, rilevante anche per le relazioni con Antonio Canova al quale originariamente apparteneva, e di Antonio e Giuseppe Gaidon, è confluita in un'indagine sull'arte nell'età neoclassica nelle provincie venete, in particolare nell'area compresa fra Treviso, Castelfranco e Bassano, individuata come il centro culturale più attivo dell'epoca, e percorsa in lezioni e saggi per il Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza (1962-1964) e in una mostra di disegni nel museo di Bassano (1964). Lo studio di tali tematiche suggeriva contestualmente a Pilo, con la realizzazione della mostra "Pittura dell'Ottocento a Bassano. Da Canova a Milesi" (1961), l'avvio di una serie di iniziative culturali in cui tradurre una costante e fervida attività scientifica in feconde applicazioni di verifica sulle cose e perciò di reale approfondimento. Con tutto ciò egli era venuto elaborando un disegno piuttosto nitido della parte avuta dal territorio veneto nelle vicende culturali di quei lustri su scala europea, l'apice delle quali si riconosceva nella presenza di Canova a Roma, con esiti di particolare forza e perspicuità di risultati, per esempio in alcune grandi mostre di respiro internazionale da lui ordinate: quelle, in primis, di Marco Ricci (1963) e di Michelangelo Grigoletti e il suo tempo (1971).
Continuando le indagini sull'arte rocaille, Pilo rivolgeva frattanto l'attenzione ai temi del "capriccio" e della "veduta". Nel ritornare più volte su uno dei punti cardine della pittura veneziana ed europea del Settecento, il vedutismo del Canaletto, dapprima in una snella monografia didattica che ha avuto grande fortuna internazionale (ben cinque edizioni in altrettante lingue fra il 1961 e il 1966: Utrecht 1961, Verviers 1961, Berlin-München 1962, London 1962, Milano 1966) e poi in saggi e interventi successivi Pilo ha potuto recare ulteriori approfondimenti sulle possibili fonti del vedutismo canalettiano, da Gaspar van Wittel a Van der Heyden e Berkheyde, indicando soprattutto, sulla base di nuovi dati, l'eccezionale importanza della lezione di Vermeer per il linguaggio del Canaletto maturo ("Paragone" 1973, 1975).
Seguitando a indagare le origini e gli sviluppi del rococò veneziano ed europeo, Pilo avvertiva l'esigenza di individuarne i precedenti, con un continuo, assiduo risalire da Settecento a Seicento, a Pietro Liberi, a Luca Giordano, a Pietro da Cortona e, sul versante del recupero classicistico, alle riprese neotizianesche del Padovanino e dell'intero filone di cultura che da lui procedeva. Il volume su Giulio Carpioni (1961), prima monografia - corredata di cataloghi ragionati - dedicata a ricostruire la vicenda storica dello strenuo "classicizzante" veneto, ne precisava un ruolo oggi sicuramente acquisito ma allora tutto da definire, come riconosciuto in altrettante recensioni da Roberto Longhi ("Paragone" 1963) e Lionello Puppi ("Critica d'Arte" 1963). Del Seicento, Pilo si avviava così ad affermarsi come uno specialista fra i più autorevoli: all'esperienza della grande mostra di Ca' Pesaro nel 1959 - nella quale ebbe parte cospicua accanto a Pietro Zampetti - e al volume monografico su Carpioni, recentemente integrato con importanti approfondimenti in specie in ambito iconologico (1998, 1999, 2009), avevano fatto seguito una miriade di ricerche e contributi, destinati a sfociare nel monumentale volume I pittori del Seicento veneto, in collaborazione con Donzelli (1967), dove gli spettano tutte le 'voci' più importanti e il vasto saggio storico d'apertura.
Nella sessione del 1962 Giuseppe Maria Pilo conseguiva la libera docenza in Storia dell'Arte medievale e moderna e nell' a.a. 1964-1965 teneva presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Padova il suo primo corso libero di lezioni su "Momenti della pittura veneta del Seicento: le riprese classicistiche".
La fortunata scoperta nelle raccolte grafiche bassanesi dell'eccezionale 'fondo di bottega' di Marco Ricci e degli eredi Giuliano e Marco Sebastiano Giampiccoli (1961), con ben dodici nuove acqueforti dell'artista e i risultati di indagini esperite nelle maggiori raccolte europee suggerivano intanto a Giuseppe Maria Pilo l'idea di una revisione globale dell'opera del Ricci, realizzata con la grande mostra monografica del 1963, punto di partenza degli studi moderni sul geniale caposcuola della pittura veneta di paesaggio del Settecento. La mostra fruttava, innanzitutto, il riconoscimento di Antonio Francesco Peruzzini quale primo maestro di Marco, grazie all'intuizione di Pilo che porta a identificare in lui il 'Perugino' menzionato dalle fonti, aprendo così prospettive importanti d'ordine storico, implicanti conferme circa l'incontro con il Magnasco a Firenze, di cui Mina Gregori e Marco Chiarini ebbero poi a occuparsi ("Paragone" 1964, 1975), e dando finalmente ragione delle forti suggestioni centroitaliane che si ravvisano nell'opera del Ricci. A questo importante risultato si aggiungono due altri titoli di merito: il recupero di larga parte del volume di disegni Marci Ricci Bellunensis Pictoris Exsimii Schedae già proprietà di Anton Maria Zanetti, poi Cernazai, dal Zotto e infine Geiger, lasciato disperdere ed emigrare dallo Stato italiano nel 1920 (da Pilo anticipato in un saggio d'apertura in "Paragone", 1963) e del volume di disegni già proprietà del "console" Joseph Smith pervenuti per acquisto da parte di Giorgio III alla Corona Britannica; e l'analisi e definitiva rivendicazione a Marco degli stage designs conservati in grande numero specialmente nella Royal Library di Windsor Castle, con la conseguente messa a punto delle relazioni, a Londra e a Venezia, dell'artista con il teatro d'opera, confermate anche per via documentale, e con il neopalladianesimo inglese. Esiti resi possibili dall'eccezionale generosità dei prestiti che Pilo, grazie a una fitta rete di relazioni internazionali, riuscì a ottenere dalle principali collezioni inglesi: tutta la mostra di Marco Ricci si è avvalsa del resto di un largo consenso di prestiti da parte di alcuni fra i maggiori musei britannici ed europei, con le risultanze critiche conseguenti.
Traendo partito dalla ricorrenza centenaria di Michelangelo Grigoletti, Giuseppe Maria Pilo ideò e realizzò nel 1970-71 un vasto programma di studi e ricerche, affrontando le problematiche storico artistiche, politiche, economiche, sociali delle provincie venete in età neoclassica e protoromantica fino agli approdi realistici all'indomani dell'unità nazionale, facendone emergere le relazioni con le provincie contermini dell'Impero, austriache e slovene, oltre che con i grandi centri culturali di Roma, Vienna e Milano. In tale cospicua iniziativa culturale, Pilo coinvolgeva e coordinava l'apporto di specialisti fra i maggiori, come Giulio Carlo Argan, Giuseppe Fiocco, Elfriede Baum, Decio Gioseffi, Mario Praz, Marco Valsecchi e altri, realizzando, anche con la loro diretta partecipazione, la grande mostra con cui diede vita al nuovo museo civico di Pordenone, mostra che riuniva centinaia di opere, provenienti dai musei di tutta Europa, da Mengs a Canova, da Appiani ad Hayez, da Waldmüller ad Amerling e Winterhalter, fino a Caffi e Federico Zandomeneghi, e i cui meriti sono stati bene messi in luce da Francis Haskell ("Burlington Magazine" 1971) e da altri. Anche in questo caso furono le forti e diramate relazioni internazionali e il prestigio goduto presso le maggiori istituzioni culturali e museali europee, da Bordeaux a Vienna a Varsavia, a permettere a Pilo di conseguire un risultato di tale qualità e ampiezza.
Nel volume Sebastiano Ricci e la pittura veneziana del Settecento (1976), Pilo sottopose a verifica la centralità del Ricci maggiore, il caposcuola della pittura veneziana del Settecento, in un arco di tempo che spazia dalla costituzione dell'"universo barocco" alle ultime voci del rococò. La tematica affrontata, e il metodo adottato nel farlo, hanno acquisito oggettivi risultati d'indole filologica come la datazione del ciclo di San Marziale e la ricostruzione di alcune serie operative, dagli appunti grafici al dipinto compiuto.
Nell'estate del 1977 Pilo lasciava la direzione del museo di Pordenone per dedicarsi esclusivamente alla ricerca scientifica e all'insegnamento universitario, così concludendo un ciclo di esperienze operative di quasi un quarto di secolo. Vincitore nel 1981 della cattedra di Storia dell'Arte medievale e moderna, veniva chiamato a ricoprirla nella nuova Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Udine, il giovane ateneo friulano presso il quale esercitava già da nove anni il suo insegnamento; la tenne fino al 1994 quando fu chiamato a trasferirsi sulla cattedra di Storia dell'arte moderna dell'Università Ca' Foscari di Venezia. Della neocostituita Facoltà di Udine fu chiamato pochi giorni dopo dalla fiducia dei colleghi alla carica di preside; che ricoprì per nove anni accademici fino alla fine del 1990, gestendo, anche a livello legislativo, la complessa fase del decollo della nuova realtà, l'unica a cui era stato affidato in Italia il nuovo corso di laurea in Conservazione dei Beni Culturali. Assieme ad alcuni colleghi e amici - in primis Giorgio Gullini, Corrado Maltese, Mina Gregori e Giuseppe Mazzariol - Pilo promosse fra il 1982 e il 1983 presso l'Università La Sapienza di Roma un intenso lavoro di revisione collegiale dell'originario asfittico testo legislativo di questa nuova entità nata male a causa di carenze ed errori nell'impostazione dell'ordinamento degli studi e nella definizione stessa delle finalità.
Ne uscì uno strumento didattico del tutto nuovo, fatto proprio dal Consiglio Universitario Nazionale.
L'assunzione di crescenti responsabilità gestionali, la quasi decennale presidenza della Facoltà di Udine, non ha in ogni modo distolto Pilo dall'attività di ricerca scientifica. Fin dai primi anni ottanta, in una serie di lavori di ricerca d'ampio respiro editi in "Paragone", ha fatto luce su aspetti dell'arte italiana ed europea di grande incidenza storica, dalla formazione di Michele Marieschi (1981) all'eccezionale ritratto di Francesco Guardi del catecumeno Lazzaro Zen (1985), dai Carracci ad Antonio Balestra (1987).
Il fortunato riconoscimento a Francesco Guardi di sei Paliotti nella chiesa veneziana del Redentore, pitture a olio su cuoio bulinato, e del carattere progettuale del disegno del museo Correr a essi correlato, ha suggerito a Pilo di risalire, dalla scoperta documentaria e attraverso un'indagine comparativa, al linguaggio pittorico di Francesco: con il volume Francesco Guardi. I paliotti (Electa 1983) Pilo ha recato ulteriori determinanti elementi alla conoscenza dei linguaggi di Antonio e Francesco Guardi, entrambi altamente prestigiosi nel Settecento veneziano ed europeo quanto strutturalmente inconciliabili.
Un vasto campo d'indagine che impegna Giuseppe Maria Pilo da molti anni è quello riguardante le arti e le pubbliche istituzioni d'assistenza, che a Venezia assunsero un carattere originale e singolare. Importanti novità hanno recato gli studi sull'architettura della Ca' di Dio e in specie sugli interventi di Jacopo Sansovino, Baldassarre Longhena, Matteo Lucchesi e Bernardino Maccaruzzi (1979), sui dipinti di Giuseppe Angeli, di Giovan Battista Piazzetta e di altri nello stesso 'pio luogo', a Santa Maria della Pietà e all' Ospedaletto. Anche in relazione a ciò nel 1981 Pilo è stato nominato consulente scientifico centrale delle pubbliche Istituzioni di Ricovero e di Educazione (IRE) di Venezia con il compito di soprintendere sul patrimonio artistico dell'IRE e di coordinare le attività intese alla sua tutela e valorizzazione. L'intenso lavoro di ricognizione e di revisione è dapprima sfociato nel volume sulla chiesa dell'Ospedaletto (1985), che ha riconosciuto ad Andrea Palladio non solo la paternità, documentata, della primitiva forma dell'altar maggiore, ma anche la premessa alla realizzazione di elementi essenziali e qualificanti dell'orditura della navata e della complessiva forma dello spazio dell'intero edificio, fondato sui rilevamenti dell'antichità romana di età imperiale, il tempio di Nerva; ha atteso poi, con apporti risolutivi, alla sistemazione critica dell'arredo pittorico che fa della chiesa dell'Ospedaletto una 'pinacoteca' fra le più rilevanti della città, con il memorabile ciclo di dipinti settecenteschi sagomati su tela. Traendo motivo dall'assegnazione all' IRE del XX premio Pietro Torta per il Restauro a Venezia (1993), Pilo ha promosso e coordinato una pluralità di studi - compendiati in due vasti saggi - e atri confluiti in un volume che traccia uno spaccato dell'importante complesso di beni artistici architettonici e mobili - un migliaio, e fra essi quasi la metà sono dipinti, e non meno di 150 opere di grande rilevanza storica e artistica come l'eccezionale Paradiso correlato con la grande tela del Tintoretto di Palazzo Ducale.
Dagli stessi anni Novanta e a tutt'oggi Giuseppe Maria Pilo si è dedicato ad altri temi di grande rilievo. A Rubens e l'identità veneta, dopo numerosi studi specifici e collaterali (Rubens e il Pordenone, Rubens e Tiziano, Rubens e l'eredità del Rinascimento italiano), Pilo ha dedicato il volume di tal titolo (1990), in esso compendiando le esperienze di ricerca condotte dal 1977, quando da solo fece presente alla città di Venezia con un ciclo di conferenze dapprima all'Ateneo Veneto e subito dopo a Ca' Foscari il grande maestro fiammingo nel secondo centenario della nascita, ricerche successivamente sviluppate, ampliate e approfondite in numerosi contributi specifici (1988, 1989-90, 1993, 1994), e ancora del tutto recentemente nel volume promosso dal Dipartimento e dalla Facoltà di Ca' Foscari in onore di Wladimiro Dorigo (2002), nonché in corsi monografici dapprima a Udine e quindi a Ca' Foscari. Il lungo lavoro di scavo ha prodotto alcuni risultati di spicco, quali la prova di un soggiorno precoce di Rubens a Venezia, fondata sui rapporti oggettivi con opere di Giovanni Antonio Pordenone, il recupero certo dell'autografia del maestro per una primizia quale la Madonna con il Bambino e san Giovannino su due frammenti pergamenacei di Santa Maria del Giglio, la definizione del modus operandi di Rubens dal disegno alla pittura attraverso l'analisi di desunzioni grafiche da Tiziano, documentate da un disegno del J. Paul Getty Museum di Malibù, oltre a un'accurata rivisitazione dei rapporti instaurati dal pittore a Venezia, in Spagna, a Mantova e altrove con opere di Giovanni Bellini, Mantegna, Tiziano, Tintoretto, Veronese e altri artisti veneti e italiani.
Di Tiziano, Pilo ha studiato a fondo in anni relativamente recenti (1989, 1990), la grande pala con la Pentecoste già a Santo Spirito in Isola e ora nella basilica della Salute, pervenendo a dimostrarne il rifacimento ex novo circa il 1546 dopo la contestazione dei frati committenti della redazione originaria del 1541, attestata da Vasari («Fece uno Dio finto di fuoco»), e il viaggio di Roma. Anche con l'appoggio di documenti grafici di Marteen van Heemskerck, Etienne Dupérac e altri, Pilo ha recuperato lo stato di avanzamento a quei giorni della fabbrica di San Pietro in Vaticano e in particolare della "croce" di Bramante nel quarto decennio del Cinquecento e poco dopo, quando cade la seconda redazione della pala di Tiziano per Santo Spirito che palesemente ne desume la singolare intelaiatura architettonica. Anche riprendendo temi in precedenza ampiamente investigati, in specie a proposito del Lotto, del Pordenone, di Sebastiano del Piombo (1981), Pilo ha recato con ciò una precisazione molto rilevante nel difficile contesto di controversie dottrinali - la dottrina antitrinitaria in primis - che sull'inizio degli anni quaranta del Cinquecento traversavano il Veneto e le lagune, 'pericolosamente' travalicando i limiti del dibattito teologico per tracimare sul terreno disciplinare e politico. Su altri aspetti dell'opera di Tiziano Pilo ha recato in anni recenti contributi di qualche impegno sulla ritrattistica (2001), in specie facendo conoscere (con P. Zampetti e altri) il cospicui ritratto di Ottavio Farnese del 1546 attestato da Vasari, con ciò riprendendosi al tema delle relazioni allacciate dal pittore con la corte pontificia dei Farnese esaminate in dettaglio nel saggio del 1989; e, di grande rilievo, l'Ecce Homo per Guidobaldo II della Rovere (1565-1566) reso noto nella Festschrift in onore di Lionello Puppi (2002): ultimo esito di un percorso segnato dai già celebri esemplari del Prado, di Dublino, di Sibiu. In esito e a parziale compimento di un ciclo pluridecennale di ricerche Pilo contemporaneamente pubblicava un ampio spettro di contributi su Jacopo Tintoretto, mirati specialmente alla giovinezza del pittore, ma non solo: in effetti, in un articolato e motivato saggio (1992) portava innanzitutto a conoscenza della comunità scientifica un sontuoso e raro testo figurativo del pittore, l'Origine di Amore, affascinante soffitto certamente destinato a una sede istituzionale della Serenissima a cavallo fra 1559 e 1562; del più vivo interesse perché l'opera apre un orizzonte inedito e impreveduto sulle relazioni della cultura e della società veneziana dell'epoca con correnti di pensiero ispirate al neoplatonismo di Ficino e Cusano, cui si deve il tema stesso dell'opera, De Amoris Ortu, individuato attraverso una ricerca a vastissimo raggio sulle fonti storiche e filosofiche, risalendo dall'antichità grecoromana fino al compendio densissimo operato da Giovanni Castellini Zaratini nella preziosa aggiunta all'Iconologia di Cesare Ripa: una cospicua trovaille che ha già avuto qualche seguito di riflessione critica. Una folla di novità e puntualizzazioni circa la giovinezza del maestro, con anche precisi riferimenti e desunzioni dal Serlio e dal Vignola, tematiche da Pilo dilette e altre volte trattate anche in seguito (1994, 1995, 1996), tramite anche proficue aperture sull'opera del Sansovino scultore, il recupero di importanti opere di pittura attestate dalle fonti a Venezia e andate disperse nel territorio, come la Crocifissione della chiesa dei Santi Cosma e Damiano alla Giudecca da Pilo ritrovata a Selva del Montello e altre, integrano la densa rassegna - quasi una monografia - sulla giovinezza e la prima maturità del Tintoretto.
Gli studi che da tempo ha in corso sui Vivarini in ragione delle loro testimonianze a Padova accanto a Mantegna, nonché in Istria e nel Quarnaro, hanno permesso a Pilo di intervenire con un'articolata rivisitazione a motivo del risarcimento conservativo di un'opera nodale nel percorso di Bartolomeo come il trittico del 1473 a Santa Maria Formosa (1999) dell'intero percorso dell'artista, con riferimento, in specie alle sue relazioni con la cultura germanica, da Dürer a Michael Pacher; temi che ha avuto modo di riprendere sia facendone oggetto di sviluppo e approfondimento in più corsi monografici a Ca' Foscari (a.a. 1999-2000 e 2000-2001), sia in sede di didattica 'accademica' (Ateneo Veneto, 2001); Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano (Scuola di Specializzazione in Storia dell'Arte, 2001).
In anni del tutto recenti il professor Pilo ha fatto noto agli studi un capolavoro di Raffaello Sanzio, la Madonna del diadema , firmata e datata dal maestro «RAPHAEL VRBINAS Pinxit /1512», dalla quale deriva la redazione ora al Louvre da tempo riconosciuta dalla critica a Giovan Francesco Penni, ricostruendo anche, per entrambi gli esemplari, la storia esterna fittamente documentata e pubblicando questo risultato scientifico nel monumentale volume Venezia, le Marche e la civiltà adriatica. Per festeggiare i 90 anni di Pietro Zampetti (2003).
Un altro tema di ricerca è stato in più tempi l'architettura di Michelangelo e suoi aspetti e problemi. Alcune di queste riflessioni hanno finora formato oggetto di contributi a stampa, come quelli sull'opera dell'artista a Firenze per i Medici (1969; ripreso e ampliato in Arte d'Occidente, temi e metodi. Studi in onore di Angiola Maria Romanini, 1999);| e la sistemazione della piazza del Campidoglio (1995).
Lasciata a Udine una Facoltà fortemente consolidata, Giuseppe Maria Pilo ha trasferito il suo insegnamento a Ca' Foscari sulla cattedra di Storia dell'arte moderna della Facoltà di Lettere e Filosofia, con cui, a partire dal 1977 (con un ciclo di lezioni su P.P. Rubens e sull'incisione veneta e friulana del Settecento) aveva avuto motivi di proficua collaborazione.
A Ca' Foscari, in un certo numero di corsi monografici: Rubens e le Venezie, Rubens e l'Italia (a.a. 1994-95), La giovinezza di Giovan Battista Tiepolo (a.a. 1995-96), L'incisione veneta del Settecento: aspetti e problemi (a.a. 1996-97); G.B. Tiepolo: la prima maturità (a.a. 1997-98), Percorsi dell'Est e Ovest europei dal XVI al XIX secolo (a.a. 1999-2000), Testimonianze veneziane d'arte in Dalmazia (a.a. 1999-2000 e 2000-2001), Pilo ha inteso privilegiare temi che, per motivi di conoscenza e di approfondimento metodologico, risultassero particolarmente qualificanti, in ciascun corso monografico mirando a rendere consapevoli gli studenti di trovarsi in presenza di altrettanti exempla frutto dell'attività di ricerca del docente. Dal 2002, su nomina del Consiglio del Dipartimento, ha fatto parte del Consiglio di Dottorato e in tal veste ha preso parte attiva alla didattica del XX° ciclo di Dottorato di ricerca in Archeologia e Storia antica / Storia dell'arte. In precedenza, su nomina della facoltà, aveva coordinato i Corsi di Perfezionamento Didattico negli a.a. a.a. 1994-95 e 1995-96, ossia fino alla costituzione della SSIS, impartendo altresì le lezioni della propria disciplina e presiedendo le Commissioni di esame di diploma.
A Udine Pilo aveva fondato nel 1987 "ARTE | Documento |", Rivista di Storia e tutela dei Beni Culturali, che ha diretto e dirige fin dall'inizio. Fin dall'atto del suo trasferimento, Giuseppe Maria Pilo ha 'trapiantato' a Ca' Foscari "ARTE| Documento |" in spirito di servizio, vale a dire per meglio servire la ricerca e la didattica del Dipartimento e della Facoltà. Dal 6 febbraio 2002 la Rivista è domiciliata presso il Dipartimento di Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artistici "Giuseppe Mazzariol" (ora Dipartimento di Filosofia e Beni culturali) ai sensi di un'apposita convenzione stipulata fra questo e il Centro per lo Studio e la tutela Beni culturali, che promuove l'edizione annuale della testata In effetti, le iniziative e gli spazi di ARTE | Documento | sono primariamente destinati ai laureati, ai dottorandi, ai dottori di ricerca, ai docenti e ai collaboratori di Ca' Foscari.
Nata come memoria storica del corso di laurea in Conservazione dei Beni Culturali, la rivista si è affermata come punto d'incontro nazionale e internazionale per il confronto di idee circa la conoscenza, la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e la formazione degli operatori del settore. Nel suo ormai pluridecennale percorso, tutti i più autorevoli specialisti hanno recato nelle sue pagine il loro contributo al dibattito di problemi riguardanti questo importante comparto culturale. Dal 1987 a oggi la Rivista ha pubblicato 35 annate; alle quali si sono via via aggiunti i "Libri Extra" e i "Quaderni": per un totale di oltre sessanta titoli. A modo di esempio, per i "Quaderni" il reperimento inesaustamente perseguito fino alla Library of Congress di Washington di un esemplare della rarissima memoria (1910) di Tommaso Malerba (Catania, 1866-1962) Messina e Reggio asismiche. Nuovo sistema di costruzione in béton armato e pietre artificiali, ha indotto Pilo a dar corso alla pubblicazione dell'opera e a ricostruire la personalità dell'insigne costruttore e urbanista, suo zio acquisito per parte paterna, nel contesto dell'architettura Liberty siciliana ed europea, introdotto dal cardinale Loris Francesco Capovilla già segretario del patriarca di Venezia Angelo Giuseppe Roncalli, poi papa san Giovanni XXIII, a opera di Annamaria Damigella, Laura De Rossi, Pilo medesimo, Erika Abramo, Mario Serio, con il recupero di una importante pagina storica, artistica, sociologica del Novecento italiano ed europeo.
A coronare un percorso di ricerche «che appaiano centrale nel panorama degli studi veneti» (Gregori, 2001) Pilo ha pubblicato di recente il volume «Per trecentosettantasette anni. La gloria di Venezia nelle testimonianze artistiche della Dalmazia (2000)», frutto di lunghe indagini dedicato alle presenze veneziane e venete sulla sponda orientale dell'Adriatico, una storia di secoli troppo a lungo dimenticata in questi ultimi sessantanni. Nel giugno 2005 l'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti ha conferito al volume il Premio "Antonio e Ildebrando Tacconi" per la migliore opera dedicata alla cultura latino-veneto-italica in Dalmazia, sottolineando nella motivazione l'«Avvincente esposizione delle testimonianze artistiche della Dalmazia veneta, che riesce a coniugare egregiamente l'esigenza didattico-divulgativa con il rigore della trattazione. Il volume si segnala per lo spessore e la completezza delle fonti bibliografiche e iconografiche di riferimento, per la novità di alcune attribuzioni artistiche e per l'efficacia dell'esposizione». Nel 2005, promossa da Coordinamento Adriatico e dalla Società Dalmata di Storia Patria di Venezia, con il sostegno della Regione del Veneto, del Comune di Venezia e di Banca Intesa, ha visto la luce la prima edizione inglese del fortunato volume.
Per festeggiare i suoi settantanni, Maurizio Calvesi, Keith Cristiansen, mons. Bernardo d'Onorio, Caterina Furlan, Mina Gregori, Giovanna Nepi Sciré, Lionello Puppi, Pierre Rosenberg, Erich Schleier, Federico Zeri hanno promosso e gli hanno dedicato la pubblicazione di due imponenti volume Per l'arte. Da Venezia all'Europa. Studi in onore di Giuseppe Maria Pilo, opera di 112 studiosi di tre continenti e di 14 nazionalità, introdotti da un saggio di Mina Gregori (2001). I due volumi, di complessive 796 pagine, spaziano dalla Grecia classica del V secolo ai giorni nostri, e danno la misura dell'ampiezza degli interessi di studio del festeggiato e, insieme, dell'affetto e della stima da cui è circondato.
Più recentemente, per incarico dell'allora Rettore Pierfrancesco Ghetti, Giuseppe Maria Pilo ha curato il volume Ca' Foscari. Storia e restauro del palazzo dell'Università di Venezia, assieme a Laura De Rossi, in specie per la parte di Storia e Arte, Domizia Alessandri e Flavio Zuanier per la parte concernente il restauro e l'adeguamento funzionale (2005), assicurando al volume la partecipazione di colleghi sia di Ca' Foscari sia dell'IUAV fra i più autorevoli specialisti, quali Wladimiro Dorigo, Antonio Foscari, Ennio Concina, Mario Piana, Giorgio Bellavittis, Vincenzo Fontana, e recando a sua volta due contributi, l'uno di apertura, il secondo sulle funzioni e tipologia della "casa" veneziana.