Dialetti dell'Abruzzo

dialetti parlati in Abruzzo
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Dialetti Abruzzesi
Abbruzzése, Abbrezzése
Parlato inItalia
RegioniAbruzzo, Marche
Parlanti
Totalen.d.
ClassificaNon in top 100
Tassonomia
FilogenesiIndoeuropee
 Italiche
  Romanze
   Italiano meridionale
    Dialetto Abruzzese Adriatico, Dialetto Abruzzese Occidentale
Statuto ufficiale
Regolato danessuna regolazione ufficiale


La regione amministrativa Abruzzo non costituisce una unità omogenea da un punto di vista dialettale. Pertanto, occorre parlare di dialetti abruzzesi, ovvero i dialetti parlati nei diversi comuni e villaggi che costituiscono la regione.

Distribuzione geografica

L'isoglossa fondamentale (indebolimento delle vocali atone) che serve, secondo la più parte degli autori[2] a distinguere i dialetti italiani meridionali da quelli dialetti italiani centrali attraversa l'Abruzzo. Dunque, i dialetti abruzzesi possono essere suddivisi in 2 gruppi, a loro volta articolati in 6 aree complessive:

  • Abruzzese occidentale (dialetti italiani meridionali)
    • Marsicano e Aquilano orientale, parlato nella Marsica e ad est della città dell'Aquila (antico contado forconese)
    • Peligno, parlato nel circondario di Sulmona (L'Aquila) e nell'area appena ad est delle gole di Popoli, suddiviso, come si vedrà più tardi, in Peligno occidentale, che conserva la -a finale, e in Peligno orientale, che la indebolisce ad e presenta metafonesi di -a.
  • Abruzzese orientale-adriatico (dialetti italiani meridionali)
    • Ascolano, parlato nei comuni della Val Vibrata a confine fra le provincie di Teramo e Ascoli Piceno
    • Abruzzese adriatico, relativamente omogeneo fino alla dorsale appenninica, parlato nel grosso delle provincie di Teramo, Pescara e Chieti, che presenta le maggiori differenze nel campo della pronuncia vocalica, al punto che può essere ulteriormente suddiviso in: Teramano, Pescarese-Pennese (entrambi a vocali aperte), Chietino occidentale (con isocronismo sillabico completo), Chietino orientale, Lancianese e Vastese, (con isocronismo parziale).

Numerose sono le aree di transizione, per lo più coincidenti con zone conservative e arcaicizzanti della provincia dell'Aquila, come Pescocostanzo ed Ateleta, le aree attorno a Sulmona, Barisciano. A Roccaraso, Castel di Sangro e nella Valle Roveto penetrano forme dialettali strettamente vicine al Campano.

Fonetica

Metafonesi

Questo fenomeno colpisce le vocali toniche é, è, ó, ò (chiuse/aperte) del sistema romanzo comune, quando la vocale finale della parola originaria latina è i oppure u. In particolare, ciò avviene per i sostantivi e gli aggettivi maschili singolari (terminazione latina -um) e plurali (terminazione latina -i), rispetto ai corrispondenti femminili singolari e plurali (terminazioni -a, -ae).

La metafonesi è tipica dell'Italia centro-meridionale, che include le Marche fino alla provincia di Macerata, l'Umbria al di qua del Tevere con Spoleto, Foligno, Terni, e la Sabina fino alle porte di Roma. Invece nel toscano, così come nell'italiano standard, la metafonesi non esiste. L'Abruzzo adriatico costituisce una zona a sé stante, in quanto vi si presenta solo la metafonesi da u finale. Gli esiti delle vocali alterate sono però diversi a seconda della zona.

La é e la ó passano normalmente a i e, rispettivamente, u. Facendo qualche esempio tratto dalla parlata di Ortona (Chieti), si ha così: nìrë 'neri', ma nérë 'nero', e gëlùsë 'gelosi', ma gëlósë 'geloso'. Le vocali aperte è, ò possono invece avere due esiti differenti. Il primo tipo di metafonesi, talvolta detto "sabino" perché tipico, tra le altre zone, della Sabina ivi compresa L'Aquila, prevede la chiusura di dette vocali a é, ó. Così, all'Aquila si ha: bégliu 'bello', ma bèlla 'bella', e bónu 'buono', ma bòna 'buona'. L'altro tipo di metafonesi è quello "napoletano" o "sannita", tipico di larga parte dell'Italia centro-meridionale. Essa prevede la dittongazione, generalmente con esito ié, uó. Nel dialetto napoletano si ha, ad esempio: viécchjë 'vecchio', ma vècchja 'vecchia', e nuóvë 'nuovo', ma nòva 'nuova'. Molto spesso, il dittongo è ritratto sul primo componente, e così l'esito metafonetico diventa ì, ù. Ciò accade, limitatamente alla metafonesi da -i, ad esempio a Pescara: vìcchjë 'vecchi', o nùvë 'nuovi'.

La situazione in Abruzzo è quanto mai complessa. Il tipo sabino è tipico della macro-area aquilana e di quella marsicana-aquilana orientale, incluse le città dell'Aquila e di Avezzano. La metafonesi sannita domina invece la macro-area peligna, con Sulmona stessa, e quella ascolana. Nell'Abruzzo adriatico, invece, si ha solo metafonesi da -i, di tipo sannita (così a Pescara, Chieti, Teramo, Lanciano, Vasto, Ortona). La situazione è in realtà più complessa di questo semplice schema, con diverse aree di transizione ed eccezioni motivate da particolarità storiche.

Questo perché l'Abruzzo interno è stato investito da due correnti, una a metafonesi sabina, l'altra sannita: la prima, proveniente dall'area umbro-laziale, si estese nei contadi amiternino, forconese e marsicano, la seconda, originaria della zona campano-molisana, interessò il contado valvense, che prima della fondazione dell'Aquila, arrivava fino a Barisciano, per poi interessare solo parzialmente l'area montana vicino Sulmona (in quanto alle porte orientali del capoluogo peligno comincia una piccola area con metafonesi nuovamente sabina, con Marane, frazione di Sulmona, Campo di Giove e Pacentro), e traboccare oltre le gole di Tramonti, in alcune località montane dei contadi pennese e chietino.

Successivamente alla fondazione della diocesi aquilana, la metafonesi sabina riconquistò la zona dell'altopiano peltuinese e della valle del Tirino, oltrepassando Forca di Penne fino a Sant'Eufemia a Maiella, ma non intaccò le aree montane più conservative.

Infine, la metafonesi sannita solo da -i si è probabilmente propagata più tardi rispetto alle precedenti, ed ha interessato l'intera area adriatica per la presenza dell'asse della Salaria ascolana.

Metafonesi di -a

La metafonesi di -a, limitatamente alle finali in -i, interessa quasi esclusivamente il versante adriatico, vale a dire il Teramano-Atriano, il Pennese-Pescarese con le aree di Forca di Penne e della valle d'Orta, il Chietino occidentale ed orientale, il Lancianese ed il Vastese, ma trabocca anche oltre le gole di Popoli, arrestandosi a Bussi sul Tirino, e nella parte orientale della valle peligna, ossia quella che indebolisce la -a finale.

Come esempio, si può prendere la parlata di Chieti, dove si ha lu bardascë, "il bambino", ma li bardiscë, "i bambini"; lu canë, ma li chinë, ecc. Talvolta l'esito metafonetico è diverso in sillaba libera e in sillaba complicata: a Guardiagrele, ad esempio, a causa dell'isocronismo totale, si ha lu canë, li chénë, ma lu pannë, "il panno", ma li pènnë, "i panni".

Isocronismo sillabico

Buona parte del sistema vocalico romanzo comune è stato successivamente alterato, in alcune zone, da una corrente linguistica che ha provocato l'apertura in è, ò delle vocali chiuse é, ó in sillaba complicata, ovvero nelle sillabe che terminano con una consonante, e la contemporanea chiusura in é, ó delle vocali aperte è, ò in sillaba libera, ovvero nelle sillabe che terminano con la vocale stessa. Questo fenomeno può essere anche parziale, limitato alla sola chiusura delle toniche aperte in sillaba libera. Un esempio tratto dal dialetto di Pettorano sul Gizio (L'Aquila), che presenta l'isocronismo sillabico in maniera completa è: strèt-ta 'stretta', ma né-ra 'nera', e pé-dë 'piede', ma ròs-cia 'rossa'.

L'isocronismo è un fenomeno diffuso a partire dai centri montani vicino Sulmona e sul versante adriatico dalla città di Chieti, e non dovrebbe avere relazioni con le analoghe situazioni presenti in Puglia, giacché l'area isocronica che continua quella abruzzese nel Basso Molise si interrompe attorno al fiume Biferno per riprendere poi più a sud. Nelle zone di origine del fenomeno, vige ancora la situazione isocronica completa.

Nel chietino, sono centri con isocronismo completo Chieti, Casalincontrada, Guardiagrele, Pretoro, Ripa Teatina e la bassa valle del Pescara (Manoppello, Turrivalignani): in tali centri è parlato il cosiddetto Chietino-occidentale, che appare come area di saldatura fra l'Abruzzese Orientale-Adriatico e l'Abruzzese Occidentale.

Verso nord, la linea di inizio dell'area isocronica completa è segnata grosso modo dal fiume Pescara, al di là del quale si estende fino alla provincia di Teramo un'area non isocronica con vocali esclusivamente a timbro aperto, che tende spostarsi più a sud man mano che si procede verso la costa: dunque i luoghi in cui più precisamente avviene il contatto fra la pronuncia teramano-pescarese e quella chietina sono la frazione Sambuceto di San Giovanni Teatino e la parte più recente di Francavilla al Mare al di là del fiume Alento, in cui a seconda della provenienza e della residenza delle varie persone, convivono entrambi i tipi di parlate.

L'area isocronica parziale invece include, ad esempio, i territori di Bucchianico, Fara Filiorum Petri, Tollo, Vacri, Filetto (area Chietino-orientale), Lanciano, Ortona, Vasto, e più all'interno, Bussi sul Tirino, Tocco da Casauria, che risentono ancora di influssi peligni. La linea di demarcazione fra l'area isocronica totale e quella parziale parte dal promontorio ortonese, passa poco al di là di Ripa Teatina, includendo completamente Bucchianico e Fara, ed escludendo Guardiagrele. Ma ad un'analisi più approfondita la situazione appare ancor più complessa e frammentata, in quanto alcuni centri interessati dal passaggio della suddetta linea si pongono in un'area intermedia, né completamente isocronica come quella chietina ma al contempo con un timbro più aperto rispetto ai dialetti frentani: è il caso dei dialetti di Miglianico, Villamagna, Roccamontepiano e Rapino.

Nel resto della regione, l'isocronismo parziale riguarda la valle peligna orientale,la parte più orientale della Marsica, e l'Alto Sangro.

In alcuni casi, gli effetti dell'isocronismo interagiscono con quelli dei frangimenti delle vocali toniche (vedi sotto). In altri casi, ad esempio nel Teramano, l'esito residuale di antichi frangimenti vocalici può essere percepito come equivalente all'isocronismo. Le vocali qui assumono infatti, come anche nel Pescarese-Pennese, anche se ormai quasi soltanto nella parlata delle persone più anziane e meno alfabetizzate, un unico suono aperto, sia in sillaba chiusa sia in sillaba libera: così quèssë "quésto", sèrë "séra", strèttë "strétto", nè-rë "néro", sòttë "sótto", sòprë "sópra", pèdë "piede", ròscë "rósso", ròsë "rosa".

Frangimenti delle vocali toniche

Questo fenomeno consiste nell'alterazione delle vocali toniche tanto nell'apertura quanto nel timbro, dando luogo a svariati esiti, dittonghi, palatalizzazioni, ecc. Il risultato è quella "babele" linguistica che spesso porta a ritenere assolutamente diversi i dialetti di centri vicini che magari, ad un'analisi più scientifica, presentano invece caratteristiche del tutto simili. Inoltre, questo tratto dialettale è spesso avvertito dagli stessi parlanti come "arcaicizzante" e quindi sconveniente rispetto a parlate più regolari e perciò più "moderne". In alcuni centri, in cui pure si è manifestato in passato, è stato pertanto dapprima reso facoltativo, poi del tutto rimosso.

I diversi tipi di frangimenti possono essere raggruppati in poche categorie. Un primo tipo riguarda le sole vocali chiuse in sillaba libera, mentre un secondo tipo incondizionatamente tutte le toniche chiuse. Un esempio di sistema vocalico del primo tipo è quello di Roccascalegna (Chieti), nel quale le vocali é, ó, ed anche ì, ù, in sillaba libera, vengono dittongate: nèirë 'nera', ma stréttë 'stretta'; gëlàusë 'gelosa', ma róscë 'rossa'; fòilë 'filo', ma rìcchë 'ricco'; mèurë 'muro', ma brùttë 'brutto'

Come esempio del secondo tipo, si può prendere Cellino Attanasio (Teramo), dove é, ó si aprono a ò, à molto larghe (quest'ultima velare), tanto in sillaba libera che complicata: pòlë 'pelo', e stròttë 'stretto'; gëlàsë 'geloso', e ràscë 'rosso'.

Talvolta, i due tipi di frangimenti sono entrambi presenti, certo per via di due correnti linguistiche non contemporanee, come a Vasto e Monteodorisio (Chieti), dove prima si fransero le é, ó originarie, e poi anche quelle risultanti da isocronismo sillabico in sillaba libera: nàirë 'nero', e stràttë 'stretto'; gëlàusë 'geloso', e ràscë 'rosso'; fèilë 'filo', e rècchë 'ricco'; mìurë 'muro', e brìttë 'brutto'; néuvë 'nuovo'.

Indebolimento delle vocali atone

È sicuramente una delle caratteristiche più vistose, e più note anche ai meno esperti, dei dialetti centro-meridionali. In tutte le parlate dell'Abruzzo, tranne che in quelle della macro-area aquilana, e delle propaggini più occidentali della Marsica, le vocali atone, cioè non accentate, tendono a confluire nell'unico esito "neutro", qui rappresentato con la grafia ë.

Questo fenomeno inizia a manifestarsi da Assergi, frazione di Camarda, Picenze, frazione di Barisciano, nel contado forconese, a Bagno, Rocca di Cambio, e nella Marsica fucense, già da Avezzano, Luco dei Marsi e Balsorano.

In questi luoghi, nella metà occidentale dell'area Peligna, nella zona ascolana e teramana settentrionale la a in posizione finale rimane esclusa da questo fenomeno, mentre nell'Abruzzo adriatico anch'essa confluisce nel suono neutro.

È da notare che poi le città di Teramo e Sulmona si pongono in una situazione intermedia, mentre nella valle peligna corre un'isoglossa che divide come detto prima un'area occidentale(la cosiddetta Peligno-occidentale), con Acciano, Raiano, Introdacqua, Bugnara, che conserva la -a, ed una orientale (la cosiddetta area Peligno-orientale), con Campo di Giove, Pacentro, Pratola Peligna e Popoli, che la conguaglia ad . Infine, lungo l'Alto Sangro, l'isoglossa in questione segue il confine provinciale, con Ateleta che conserva -a e Gamberale che già la assimila ad .

Palatalizzazione

La palatalizzazione di l e ll davanti a i e u originarie latine non riguarda tutta l'Italia centro-meridionale, ma solo una sua porzione, prevalentemente appenninico-tirrenica e rivolta a sud. Consiste nella palatalizzazione dei nessi li, lu, lli, llu che hanno come esito normalmente ji, ju, gli, gliu. Altri esiti particolari sono quelli cacuminali della Valle d'Orta (ghju, ddu, ecc.) e della Valle del Sagittario nel passato (zzu), entrambi ampiamente studiati.

La palatalizzazione è il fenomeno che distingue le parlate dei contadi novertino e reatino da quelle aquilane. Queste ultime presentano infatti palatalizzazione - e all'Aquila gli articoli maschili sono ji, ju - mentre le prime ignorano tale fenomeno - e a Rieti gli articoli sono li, lu -. La Marsica è uniformemente interessata dalla palatalizzazione, mentre l'area Peligna è attraversata dall'isoglossa che divide le due zone, così come per la perdita di -a. L'Abruzzo adriatico e l'Ascolano, a parte alcune aree montane, non conoscono palatalizzazione.

Altri fenomeni

La palatalizzazione: i nessi formati da occlusiva + l si sono normalmente palatalizzati come in italiano: bianco da blancu(m), chiave da clave(m), piano da planu(m), fiume da flume(n). In certi casi, però, alcuni nessi si sono conservati con l e addirittura rafforzati a pr, br, fr, ecc. Ma tale fenomeno è guizzante sul territorio, e non se ne può tracciare un areale geografico. Invece nel lembo meridionale dell'Abruzzo si trova eco dell'esito pl>chj che è diffuso nell'Italia meridionale.

La caduta di v- in posizione iniziale e spesso anche intervocalica è un fenomeno tipico dell'Aquilano. Nelle frazioni dell'Aquila si ha ad esempio l'àlle 'la valle'.

La propagginazione consiste nell'inserimento della sillaba tonica, immediatamente prima della vocale accentata, della u o i della sillaba precedente, in genere quella degli articoli maschili singolare e plurale. Il fenomeno si presenta quasi sempre limitato alla sola u, ed ha un aerale guizzante. Facendo un esempio tratto dalla parlata di Calascio (L'Aquila), si ha cànë 'cane', ma ru cuànë 'il cane'.

Fenomeni generali, comuni all'intera Italia centro-meridionale sono l'assimilazione di mb, nd in mm, nn, come in sammuchë 'sambuco', mónnë 'mondo'; la sonorizzazione delle consonanti dopo n, m ed anche di s dopo r, come in fóndë 'fonte', càmbë 'campo', órzë 'orso', ecc., e la resa -r- del nesso latino -rj-.

Morfologia

Sostantivi

In questi tutti i dialetti, i sostantivi sono maschili o femminili. Il neutro romanzo, anche detto "neutro di materia", interessa alcune aree, soprattutto nell'aquilano. Ad esempio, forme come lo pà(ne), lo vì(no) sono in opposizione al maschile ju quatrànu.

Le forme del plurale dei sostantivi rimangono quelle del romanzo comune: -i per i nomi maschili, -e per quelli femminili. Ma la -i dei maschili ha provocato il fenomeno della metafonesi, che si riflette sulla vocale tonica precedente. Nei dialetti dove le vocali atone finali si sono indebolite e confluite nell'unico esito ë, la metafonesi resta così l'unico marchio del plurale.

Pronomi ed aggettivi

Come in buona parte dell'area centro-meridionale, i dialetti abruzzesi sono caratterizzati da ènclisi dell'aggettivo possessivo (ad esempio, pàtrëmë 'mio padre', sòretë 'tua sorella').

La tripartizione dei dimostrativi è anche un fenomeno comune. Ad esempio, a Ortona si hanno stu 'questo', chëlù 'quello' e ssu 'codesto'. La tripartizione riguarda anche gli avverbi di luogo; sempre ad Ortona, si hanno ècchë 'qui', èllë 'lì', ma anche èssë 'costì' (lontano da chi parla, vicino a chi ascolta). Un'alternativa al tipo èllë è lóchë, diffuso nell'aquilano.

Il pronome personale soggetto di 3a persona è dappertutto il tipo isso (varianti éssë, ìssu, ecc.)

Verbi

Il condizionale presente si presenta secondo due forme: l'una, più antica, è rappresentata dall'aquilano mangiarrìa 'mangerei' e deriva dall'infinito + imperfetto del verbo avere; la seconda riprende invece il congiuntivo imperfetto, ad esempio magnéssë 'mangerei'. La seconda forma tende a rimpiazzare la prima dappertutto. Sono attestate forme ancora più arcaiche, derivate dal piuccheperfetto indicativo; ad esempio, a Trasacco putìrë 'potresti', fatigarìmë 'lavoreremmo'.

Sintassi

Fenomeni comuni all'area centro-meridionale sono l'accusativo preposizionale (salùtëmë a ssòrëtë 'salutami tua sorella'); l'impopolarità del futuro sostituito dall'indicativo presente (dumànë lë fàccë 'domani lo faccio) ¨ Per esprimere un rapporto durativo, sono diffuse due forme. La prima, comune a tutta l'area centro-meridionale consiste nel costrutto andare + gerundio (ad esempio, va purtènnë la pòstë 'va portando la posta'). La seconda forma, tipica dell'Abruzzo e delle regioni limitrofe, utilizza il costrutto stare + infinito (ad esempio, chë sta a ddìcë? 'che sta a dire?').

Molti dialetti d'Abruzzo e delle regioni limitrofe presentano essere come ausiliare dei verbi transitivi, con l'eccezione della 3a e della 6a persona (ad esempio, a Crecchio sémë cërcàtë 'abbiamo cercato', sétë cërcàtë 'avete cercato').

L'accordo participiale è particolare; si ha accordo fra soggetto e participio piuttosto che fra participio ed oggetto[3] (ad esempio, nu lë sémë fìttë lu pànë 'noi lo abbiamo fatto il pane', laddove fìttë mostra metafonesi dal plurale in -i).

Caratteristico è l'uso del pronome arbitrario-impersonale nómë, ad esempio in nómë dìcë ca jè bìllë 'dicono che sono belli'. Questo nómë è un pronome che non ha corrispondenti in altri dialetti italiani oltre al sardo.

Lessico

Tipi lessicali abruzzesi (scrittura etimologica standard) diversi dall'italiano standard:

Alcuni esempi di opposizioni lessicali fra aree omogenee:

  • it. "ragazzo": tipo bardascio (Abruzzo adriatico, anche Marche), tipo quatrano/quatrale (Abruzzo chietino-aquilano interno)
  • it. "bambino": tipo frechino (Teramano), cìttolo (Pescarese-Chietino), quatranetto (Aquilano)
  • it. "testa": tipo capoccia (Marsica), coccia (resto d'Abruzzo), opp. ad es. a testa (Marche, Sicilia, Settentrione), capo,-a (Meridione, Lombardia, Toscana)

Ortografia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Ortografia dei dialetti d'Abruzzo.

Non esiste un'unica regola ortografica per trascrivere l'abruzzese; tale mancanza è probabilmente dovuta al fatto che l'eredita letteraria scritta di questo dialetto è minima. Tra i poeti contemporanei che hanno prodotto testi originali in abruzzese sono da ricordare Modesto Della Porta, Raffaele Fraticelli e Romolo Liberale.

La caratteristica più vistosa del dialetto abruzzese è la presenza della e muta risultante dall'indebolimento delle vocali atone. Questo suono è indistinto, smorzato, ma non arriva mai alla soppressione totale della vocale. Spesso viene reso con una e. Questa e può essere soppressa nella scrittura se preceduta da una i tonica (allegrìe > allegri', Ddìe > Diì', vìe > vì'). I dialettologi propongono invece l'utilizzo del grafema ë.

Gli scritti in dialetto abruzzese comprendono spesso altre due lettere:

  • la j (i lunga) che sostituisce l'italiano gli (ad es. pajàre) e raddoppia se preceduta da vocale tonica (ad es. pàjje 'paglia');
  • la ç (c con la cediglia) nelle parole che hanno un suono intermedio fra sci e ci, ad es. per distinguere fra caçe 'cacio' e casce 'cassa'.

Alcune alternanze nell'ortografia sono dovute alla particolare pronuncia di alcuni nessi consonantici, come:

  • consonanti sorde precedute da m, n, ad es. càmpe/càmbe 'campo', vènte/vènde 'vento', ncòre/ngòre 'ancora', pènse/pènze '(io) penso';
  • s davanti a t e d, talvolta scritta alla maniera introdotta da Finamore con il diacritico š , ad es. štanze, šdoppie, šdentate.

Come esempio di ortografia dialettale abruzzese, si riporta il testo della prima strofa della nota canzone Vola vola (Albanese-Dommarco, 1908).

Testo in ortografia popolare:

«Vulésse fà 'rvenì pe' n'ora sola

lu tempe belle de la cuntentèzze, quande pazzijavàm'a vola vola e ti cupré di vasce e di carezze.

E vola vola vola e vola lu pavone; si tie' lu core bbone mo' fàmmece arpruvà.»

Testo in ortografia fonetica semplificata:

Vuléssë fà 'rvënì pë n'óra sóla/ lu tèmbë bbèllë dë la cundendézzë/ quànnë pazzijavàm'a volavólë/ e të cupré dë vàscë e dë carézzë./ E vola vola vola/ e vóla lu pavonë/ si tiè lu córë bbónë/ mó fàmmëcë arpruvà.

Traduzione in italiano:

Vorrei far ritornar per un'ora sola/ il tempo bello della contentezza/ quando noi giocavamo a "vola vola"/ e ti coprivo di baci e di carezze./ E vola vola vola vola/ e vola il pavone/ se hai il cuore buono/ su fammi riprovar.

Blasone popolare dei singoli dialetti

  • Particolarissima la situazione nell'area vestina: molti centri distanti pochi chilometri fanno un uso totalmente diverso delle vocali. Famoso il dialetto di Penne che spesso sostituisce la "e" con la "o" (es. Pònn invece di Penne); il dialetto di Loreto Aprutino, di evidente influenza francofona, utilizza la "ù" stretta (eu) (es. Lùret invece di Loreto); il dialetto di Montebello di Bertona che fa largo uso di "u" sostituendola ad altre vocali (es. Abruzzus' invece di Abruzzesi, Mundubbell invece di Montebello).
  • Caratteristici e di sorprendente originalità i dialetti di Bussi sul Tirino (Pescara) e Pratola Peligna (L'Aquila): nel primo centro, evidente l'origine spagnola della "e" di congiunzione che assume la forma di "y" (cfr. mù y ttù ovvero io e te); nel secondo, la trasformazione in -aunë del suffisso italiano -one (mattaunë per mattone).
  • Taluni notano una somiglianza della cadenza e della parlata dialettale dell'area Peligna con quella Ascolana.
  • Facilmente riconoscibile è la parlata chietina, dalla caratteristica cadenza cantilenante.
  • Nel dialetto di Bucchianico (Chieti), che differisce enormemente da quello di Chieti malgrado disti solo 8 km, i pronomi personali "me" e "te" diventano maje e taje; gli infiniti in -are assumono la terminazione in (es. fare >, passare >passé, cercare >cirché, ecc.).
  • Nel dialetto di Fara Filiorum Petri (Chieti), sono da rilevare alcune forme piuttosto arcaiche, come l'espressione mandemanë per "stamattina", e il raddoppiamento della m nelle prime persone plurali dei verbi, fenomeno sconosciuto nei centri limitrofi (c' vedémmë per "ci vediamo").
  • Le vocali della zona pescarese-teramana hanno un suono piuttosto aperto, che curiosiamente fa avvicinare la pronucia di tali aree simile a quella calabrese-siciliana, mentre nella provincia di Chieti hanno suono chiuso, tanto da far pensare al dialetto sardo.
  • Molti dei verbi o delle parole hanno radici latine difatti si scrivono e pronunciano allo stesso modo.
  • Nella coniugazione dialettale di più verbi andiamo a vedere che la radice del verbo non è uguale in tutte le persone. ESEMPIO vado - vajo, andiamo - jemo. Queste sono particolarità soprattutto della zona aquilana.
  • In parte della provincia di Teramo, molti verbi al passato remoto terminano con -ozz. Ad esempio, jozz (andò), arvinozz (ritornò).

Altri progetti

Bibliografia

  • Ernesto Giammarco, Manuale ortografico dei dialetti abruzzesi, prefazione di G. Bottiglioni, Pescara, Ediz. "Attraverso l'Abruzzo", 1958;
  • Ernesto Giammarco, Grammatica dei dialetti abruzzesi, fonologia, morfologia, sintassi con l'aggiunta di poesie e racconti inediti, Pescara, Ediz. "Attraverso l'Abruzzo", 1958;
  • Ernesto Giammarco, Appunti per la classificazione dei dialetti abruzzesi e molisani, Roma, Ateneo, 1965, P. 105-116, Estr. da: Abruzzo. Rivista dell'Istituto di studi abruzzesi, n. 1-2, a. 3., (1965);
  • Ernesto Giammarco, Dizionario abruzzese e molisano, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1: A-E, 1968; 2: F-M, 1969; 3: N-R, 1977; 4: S-Z, 1979; 5: LEA, Lessico etimologico abruzzese, 1985; 6: TAM, toponomastica abruzzese e molisana, 1990;
  • Ernesto Giammarco, Lessico etimologico abruzzese, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1985, Vol. 5. del DAM, Dizionario abruzzese e molisano;
  • Ernesto Giammarco, TAM, toponomastica abruzzese e molisana, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1990, vol. 6. del DAM, Dizionario abruzzese e molisano;

Note

  1. ^ Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
  2. ^ F. Avolio, Bommèsprë. Profilo linguistico dell'Italia centro-meridionale. Gerni, San Severo, 1995.
  3. ^ R. D'Alessandro, Past participle agreement in Abruzzese: split auxiliary selection and the null-subject parameter. University of Cambridge, scaricabile da http://www.robertadalessandro.it/publ.html

Collegamenti esterni

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