La filiera corta (o canale corto o vendita diretta) è una filiera produttiva caratterizzata da un numero limitato e circoscritto di passaggi produttivi, e in particolare di intermediazioni commerciali, che possono portare anche al contatto diretto fra il produttore e il consumatore.

È maggiormente diffusa in agricoltura, soprattutto per quei prodotti che non necessitano di processi di trasformazione, come il riso[1] o quasi tutti i prodotti ortofrutticoli freschi.

[Si tratta una strategia alternativa, che dà ai produttori un ruolo attivo nel sistema del cibo perché si concentra sulla produzione locale – sistemi alimentari territoriali e decentralizzati, che riducono al minimo gli intermediari nella catena del cibo, e le distanze che il cibo stesso percorre (food miles). Questo permette alle piccole imprese di creare filiere indipendenti dalla grande distribuzione, tagliando alcuni dei passaggi intermedi tra produttori e consumatori – quali l’ingrosso e la distribuzione. Una filiera corta rende anche più facile l’ottenimento di un prezzo giusto, poiché i produttori possono comprendere quali sono i costi reali dell’agricoltura e della produzione del cibo. Inoltre, i guadagni dei distributori possono essere suddivisi equamente fra produttori e consumatori, permettendo ai primi di ricevere la giusta retribuzione per il loro lavoro, e ai secondi di sapere esattamente cosa pagano e di pagarlo meno.] FONTE 1[2]

[La filiera corta è stata fin dall’inizio un elemento indispensabile per rafforzare le economie locali (FONTE1)[3], ed è tuttora rilevante come vettore di innovazione, in particolare per quello che riguarda le produzioni sostenibili (Brunori et al., 2010). Non a caso le filiere corte sono considerate i canali più appropriati per i prodotti biologici, tipici e di piccola produzione familiare (van der Ploeg et al., 2000, Kneafsey et al., 2013).] (FONTE 8)[4]

[Il termine filiera corta è usato per identificare un ampio insieme di configurazioni di produzione-distribuzione-consumo, come la vendita diretta in azienda, i negozi collettivi degli agricoltori, i farmers’ markets, le varie forme di gruppi di acquisto. Esaminando queste configurazioni ci rendiamo conto che non è facile darne una definizione univoca. Infatti, il concetto di filiera corta incorpora almeno tre dimensioni della prossimità (Galli, Brunori, 2013):: geografica: misura la distanza fisica tra produttori e consumatori; sociale: suggerisce un rapporto di comunicazione tra produttore e consumatore in grado di generare una condivisione di saperi e di valori; economica. implica che la circolazione del valore avviene all’interno di una comunità o di un territorio.] (FONTE 8)[5]

[In una recente pubblicazione a cura del Laboratorio di Studi Rurali Sismondi (2012) per filiera corta si intende “quel modello di produzione e di consumo basato sulla relazione tra territorialità, prossimità dei prodotti e del consumo, pratiche di socializzazione, salvaguardia del lavoro e giusta remunerazione per chi è impegnato nel settore agroalimentare, rapporto fiduciario tra produttore e consumatore” (p. 8). In questa definizione rientrano molte delle numerose forme di filiera corta che si sono sviluppate negli ultimi anni in Italia.] (FONTE 3)[6]

Il Prezzo "giusto" nella filiera corta

[Anche se lo sviluppo delle filiere corte si inquadra in più complesse dinamiche di evoluzione del sistema agro-alimentare, in cui i processi di rilocalizzazione e di riavvicinamento tra produzione e consumo hanno cause, significati e implicazioni che vanno oltre gli aspetti puramente economici (Goodman, 2003; Renting et al., 2003; Watts et al., 2005; Rossi et al., 2008; Brunori et al., 2007 e 2009), la problematica della distribuzione del valore lungo la filiera e, in particolare, dei prezzi dei prodotti al consumo, è di fatto diventata centrale. In effetti, tali iniziative si configurano in molti casi come un tentativo di rimuovere i diversi fattori che stanno alla base delle “ingiustizie” veicolate dagli attuali andamenti e livelli dei prezzi: possono ridurre i costi complessivi di produzione e distribuzione del cibo attraverso la riduzione dei chilometri percorsi dal cibo e del numero di passaggi di intermediazione; rappresentano un’alternativa ai canali distributivi dominanti, e quindi possono contribuire ad evitare gli squilibri di potere contrattuale lungo la filiera; possono consentire l’accesso al mercato a categorie di produttori e a tipologie di prodotti, che difficilmente possono accedere ai canali distributivi più moderni; agevolano la trasmissione delle informazioni tra produttori e consumatori circa le caratteristiche e gli effetti dei processi produttivi e dei prodotti, consentendo al prezzo che si forma sui mercati di tenere meglio in considerazione le esternalità positive e negative generate dai processi produttivi, soprattutto in termini di effetti sociali e ambientali; infine appaiono luoghi ideali per impostare nuove modalità di rapporto produzione-consumo improntate a valori etici e morali e alternative al mercato convenzionale, promuovendo quindi una revisione degli stessi stili di produzione e di consumo. Con la relazione di José Bové (Parlamento europeo, 2010), si chiede una maggior trasparenza nella costruzione del prezzo dei prodotti agricoli e alimentari, migliori condizioni di concorrenza e accesso al mercato di tutti i partecipanti, la rimozione degli abusi derivanti da posizioni dominanti sul mercato da parte dell’industria e della distribuzione. Inoltre, si sottolinea l’importanza di raggiungere prezzi che coprano i costi di produzione, di prestare maggiore attenzione a sistemi alternativi di scambio, di ridurre la distanza percorsa dal cibo nel giungere al consumatore finale (food miles), di sostenere le pratiche di sostenibilità ambientale. In particolare, si sollecita la necessità di incentivare iniziative che possano portare il produttore più vicino al consumatore, attraverso l'attuazione di "misure di promozione del concetto di "cibi locali", e in particolare di azioni volte a promuovere ed informare il consumatore sulle speciali caratteristiche di tali prodotti, i loro benefici sulla salute e i vantaggi economici che presentano." (Parlamento europeo, 2010). Ci sono approcci molto diversi da parte dei Mercati esistenti per affrontare la problematica del prezzo: La “non azione": mercati senza iniziative e strumenti di controllo o monitoraggio dei prezzi (a maggior parte dei Mercati si colloca in questa categoria) Il monitoraggio con informazione e confronto dei prezzi. Questo strumento si basa sulla scelta di monitorare i prezzi rilevabili su altri canali di distribuzione presenti sul territorio, in modo da poterne confrontare i risultati con i prezzi praticati nel mercato/spaccio. Il riferimento è spesso ai prezzi della GDO e ai prezzi al dettaglio a livello locale; La regolazione del livello massimo dei prezzi mediante confronto con altri canali. Lo strumento prevede la fissazione di tetti massimi di prezzo calcolati sulla base dei prezzi rilevati su altri mercati, in alcuni casi a livello nazionale (SMS consumatori), in altri a livello locale (mercato all'ingrosso locale, dettaglio, vendita diretta in azienda); Il calcolo dei costi di produzione. Lo strumento prevede la ricostruzione di costi di riferimento relativi a singoli prodotti e aree territoriali, con l’obiettivo di disporre di un valore “standard” che possa essere utile sia come strumento di giustificazione di prezzi superiori rispetto a quelli riscontrabili su altri canali, sia in modo da evitare che possano essere arbitrariamente fissati prezzi troppo elevati; Il riferimento a convenzioni “non di prezzo”. In queste situazioni l’attenzione non è rivolta in primis al prezzo, quanto piuttosto all’interazione attorno ai significati attribuiti alla produzione e al consumo. Il non ricorrere ad interventi specifici sul prezzo fa parte di una strategia rivolta a far sì che i partecipanti allo scambio si concentrino su altri valori e possano sviluppare una visione comune, che vada al di là della soddisfazione di obiettivi di tipo meramente privato, consentendo di trovare coerenza anche rispetto ad obiettivi di tipo pubblico (giustizia sociale e ambientale). L’enfasi creatasi attorno al prezzo contrasta tuttavia con lo spirito delle iniziative di filiera corta, la cui finalità non è tanto di raggiungere un prezzo “basso”, quanto un prezzo “equo”, in grado di riconoscere un giusto valore ai prodotti. In sintesi, possono essere evidenziati due grandi “poli di gravitazione” per quanto riguarda le scelte effettuate relativamente al tema del prezzo giusto (Marescotti et al., 2010a e 2010b): da un lato vi sono quei meccanismi che affrontano il tema del prezzo giusto da un punto di vista strettamente economico : il focus è diretto sui benefici economici che produttori e consumatori possono trarre dall accorciamento della filiera. Questo approccio induce a optare per la scelta di meccanismi di determinazione del prezzo improntati più al lato del mercato, con l’esposizione e il confronto dei prezzi rilevati sugli altri canali, o la previsione di tetti massimi dei prezzi; dall’altro lato sono all’opera quei meccanismi che considerano il prezzo giusto, tenendo maggiormente in considerazione, accanto agli aspetti economici, gli effetti e i valori sociali e ambientali, e dunque in una visione più “collettiva”. Il prezzo giusto è dunque quello che consente di tener conto dei benefici sociali e ambientali generati da un sistema “alternativo” di produzione e consumo. Questo approccio porta a dare maggiore risalto agli aspetti relativi alla comunicazione dei “valori” del prodotto (e dei relativi processi produttivi impiegati per realizzarlo) e al tema del costo (sociale) di produzione. Questo secondo approccio è rafforzato dalla considerazione che i consumatori che frequentano i Mercati dei produttori non sono così sensibili al “prezzo”. Le indagini condotte nel corso della ricerca (Rocchi et al., 2010) e gli studi effettuati sul comportamento del consumatore mostrano, infatti, che presso i Mercati dei produttori i consumatori cercano soprattutto “valore” trasparenza. Evidentemente entrambi gli approcci sono legittimi e possono essere funzionali ai diversi obiettivi che gli organizzatori e partecipanti dei mercati dei produttori agricoli possono porsi. Nonostante l’eterogeneità degli approcci al prezzo giusto e i limiti che essi presentano, la discussione sul criterio più opportuno da seguire per intervenire sul prezzo sembra aver generato un più generale processo di ripensamento e ri-definizione di aspetti specifici dei modelli dominanti di produzione-consumo. In questo senso, i mercati dei produttori si confermano nell’assumere un ruolo di grande importanza. Come nicchie di innovazione di sistema (Brunori et al., 2009), essi si configurano come luoghi privilegiati dove è possibile sperimentare nuovi approcci al cibo e nuove pratiche per la sua produzione e il suo consumo. ] (FONTE 9)[7]


filiera corta VS filiera lunga

bla lahuoja

Note

Bibliografia

  • Laura Angela Ceriotti, Food strategy e multifunzionalità nella filiera corta del riso, Novara, Interlinea, 2015, ISBN 978-88-6857-041-5.
  • Davide Marino, Agricoltura urbana e filiere corte. Un quadro della realtà italiana, Milano, Franco Angeli, 2017.
  • Davide Marino, Clara Cicatiello, I farmers' market: la mano visibile del mercato. Aspetti economici, sociali e ambientali delle filiere corte, Milano, Franco Angeli, 2012.

Collegamenti esterni

Voci correlate