Conquista della Gallia
Con l'espressione di conquista della Gallia si indica la campagna di sottomissione delle popolazioni di quelle regioni che oggi formano il Belgio e la Francia (tranne l'area sud-orientale, che era già provincia romana, la Gallia Narbonense), portata a termine da Gaio Giulio Cesare dal 58 al 51/50 a.C. e da lui narrata nel De Bello Gallico, che resta la principale fonte per questi eventi. Sebbene Cesare tenda a presentare la sua invasione come un'azione di difesa preventiva di Roma e dei suoi alleati gallici, tuttavia molti studiosi ritengono che la sua sia stata una guerra imperialista a tutti gli effetti (da lui premeditata e cercata), per mezzo della quale si proponeva di accrescere il suo potere e il suo prestigio personali.
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Contesto storico
Cesare e l'Illirico
Durante il suo consolato (59 a.C.), Cesare, con l'appoggio degli altri triumviri, Pompeo e Crasso, ottenne con la Lex Vatinia del 1 marzo[1] il proconsolato delle province della Gallia Cisalpina[2] e dell'Illirico per cinque anni, con un esercito composto da tre legioni (la VII, VIII e IX). Poco dopo un senatoconsulto gli affidò anche la vicina provincia della Narbonense[3], il cui proconsole era morto all'improvviso, e la X legione[4].
Il fatto che a Cesare sia stata attribuita inizialmente la provincia dell'Illirico nel suo imperium, con la dislocazione all'inizio del 58 a.C. di ben tre legioni ad Aquileia, potrebbe significare che egli intendeva andare a cercare gloria e ricchezze, con cui accrescere il suo potere, la sua influenza militare e politica[5], con campagne oltre le Alpi Carniche fin sul Danubio, sfruttando la crescente minaccia delle tribù della Dacia (odierna Romania), che si erano riunite sotto il loro re Burebista.
Burebista aveva, infatti, guidato il suo popolo alla conquista dei territori ad occidente del fiume Tisza, oltrepassando il Danubio e sottomettendo l'intera area dove si estende l'attuale pianura ungherese, ma soprattutto avvicinandosi pericolosamente all'Illirico romano ed all'Italia. Le sue armate si erano però fermate all'improvviso, forse per il timore di un possibile intervento diretto romano nell'area balcano-carpatica. E così, invece di continuare nella sua marcia verso Occidente, Burebista era tornato nelle sue basi in Transilvania, rivolgendosi ora ad oriente: attaccava quindi, prima i Bastarni, ed infine assediava e distruggeva l'antica colonia greca di Olbia (Odessa).

Cesare e la Gallia
Cessata la minaccia dei Daci, Cesare rivolse la sua brama di conquista ad Occidente, alla ricca Gallia, divisa in molteplici fazioni, alcune delle quali a favore dello stesso popolo romano, e che si presentava, almeno apparentemente, con minori difficoltà militari rispetto all'insidioso territorio rumeno ed all'unità ritrovata dei Daci sotto il loro grande re. A Cesare serviva solo il pretesto per cominciare la sua avventura militare in Gallia.
Quando Cesare entrò con le sue truppe in Gallia, trovò una terra abitata, non solo dai Celti che ne abitavano la maggior parte del territorio, ma anche da popolazioni alpine come Liguri e Reti della zona sud-orientale, da popolazioni iberiche nella parte sud-occidentale, giunte dalla vicina Spagna, e un misto di popoli celtici e celtici, i cosiddetti Belgi, che a partire dal 200 a.C. circa, avevano occupato la zona nord-orientale della Gallia.
Ecco come Caio Giulio Cesare descrive la Gallia:
In Gallia si praticava un'agricoltura intensiva e i suoi popoli avevano già da tempo compiuto importanti passi nel campo della metallurgia, senza contare che da dopo il 300 a.C. il commercio di stagno proveniente dalla Britannia era per lo più in mano dei Veneti della Bretagna e di altre tribù attraverso le quali giungeva fino a Marsiglia e a Narbona. Sebbene dal III secolo a.C. si fossero diffuse le monete greche e loro imitazioni e in seguito anche il denario romano e sebbene fossero state già costruite vie terrestri per gli uomini e le merci, tuttavia i Galli non conoscevano la scrittura, o meglio questa era usata solo dalla casta sacerdotale dei druidi, che utilizzavano un alfabeto greco. Per il resto, tutto era tramandato oralmente dai bardi.

La monarchia esisteva ancora tra i Belgi, mentre era scomparsa da decenni nella Gallia centrale, dove vigeva una struttura aristocratica basata sul sistema delle clientele. I druidi formavano una casta religiosa molto potente e influente, mentre gli aristocratici formavano la classe guerriera, quella dei magistrati e quella di governo. Sebbene i druidi fossero riusciti a creare una specie di confederazione tra le circa 50 tribù esistenti, al cui interno quelle più forti stavano però praticando un progressivo assorbimento delle altre, tuttavia la Gallia non aveva raggiunto un'unità e neppure una vera stabilità politica. Infatti le tribù erano spesso in guerra tra di loro (senza contare le continue dispute esistenti tra nobili all'interno delle diverse tribù), creando e distruggendo continuamente alleanze e avvalendosi dell'aiuto di mercenari germanici per combattere i nemici. Tutto ciò permise proprio ai Germani, popoli da tempo in movimento (vedi Cimbri e Teutoni) di spingersi i fiumi Meno, Reno e Danubio a partire dal 100 a.C.. E proprio questa situazione aveva permesso attorno al 61/60 a.C. al capo svevo Ariovisto di impadronirsi dei territori della moderna Alta Alsazia (vedi sotto).
Cause della guerra
A fornire a Cesare il pretesto per mettere piede in Gallia fu la migrazione degli Elvezi, stanziati tra il lago di Costanza, il Rodano, il Giura, il Reno e le Alpi retiche. Nel 58 Cesare si trovava ancora a Roma quando venne a sapere che gli Elvezi si stavano preparando a migrare verso le regioni occidentali della Gallia. Per fare questo intendevano attraversare proprio il territorio della Gallia Narbonense. Il passaggio di un intero popolo attraverso la provincia avrebbe senza dubbio procurato enormi danni e avrebbe potuto spingere gli Allobrogi, che vivevano in quest'area, a ribellarsi contro il dominio romano[6]. Inoltre, i territori abbandonati dagli Elvezi avrebbero potuto essere occupati da popoli germanici, che sarebbero così divenuti dei pericolosi e bellicosi vicini dei possedimenti romani.
Cesare narra:
Orgetorige aveva bisongo di trovare alleati in Gallia per attuare il suo piano di conquista. Per prima cosa si rivolse al sequano Castico, figlio di Catamantalede, che per tanti anni era stato capo dei Sequani oltre ad aver ricevuto il titolo dal Senato romano di "Amico del popolo romano", affinche assumesse egli stesso il potere, affiancandolo così nel suo progetto di conquista dell'intera Gallia. Subito dopo ri rivolse a Dumnorige, fratello di Diviziaco, che a quel tempo era capo del popolo degli Edui, e gli diede in moglie la propria figlia in cambio dell'alleanza tra i due popoli.
I tre, convinti di poter conquistare l'intera Gallia, grazie alle forze congiunte dei loro tre potentissimi popoli, si scambiarono tra loro un giuramento di fedeltà. Il loro progetto svanì nel nulla, poiché le trame di Orgetorige furono scoperte e, prima ancora che cominciasse il processo pubblico, sembra che lo stesso abbia preferito darsi la morte, piuttosto di dover sopportare la pena capitale "del fuoco". Anche dopo la sua morte, però, gli Elvezi non desistettero dal proposito di migrare[7].
Le campagne
Anno 58: Elvezi e Germani
Campagna contro gli Elvezi
Dopo aver bruciato le loro città, i villaggi ed il frumento che non potevano portare con loro, dopo aver convinto i vicini popoli dei Raurici, Tulingi e Latovici ad unirsi a loro ed aver accolto anche i Boi, migrati dalla lontana Pannonia[8], gli Elvezi si misero in marcia.
Dovevano solo scegliere quale strada percorrere: la prima li avrebbe condotti nel paese amico dei Sequani, percorrendo una via stretta e difficile tra il monte Giura ed il Rodano; la seconda, apparentemente più agevole, avrebbe però richiesto il passaggio sul territorio della provincia romana della Narbonense. Scelsero la seconda via, nell'incertezza di non conoscere quale sarebbe stata la reazione romana alla loro richiesta di trasferire l'intero popolo sul suolo romano. Una volta raggiunto il Rodano indissero un'assemblea lungo la sua riva destra per decidere il da farsi. Era il 28 marzo[9].
Cesare, informato delle loro intenzioni, fu costretto a precipitarsi da Roma nella Narbonense, percorrendo fino a 140-150 km al giorno e raggiungendo Ginevra già nell’ottava giornata di viaggio. Era il 2 aprile. Come prima misura Cesare dette l’ordine di distruggere il ponte sul Rodano presso Ginevra, così da rendere più difficoltoso agli Elvezi l’attraversamento del fiume[10]. Nella provincia Narbonense arruolò immediatamente forze ausiliarie e reclute, oltre a disporre che le tre legioni di stanza ad Aquileia lo raggiungessero a marce forzate ed, infine, predisponendo la formazione di due nuove (le legioni XI e XII) nella vicina Gallia Cisalpina[11]. Cesare aveva bisogno di prender tempo, disponeva, infatti, della sola decima legione, una forza troppo esigua per respingere un popolo in marcia di oltre 368.000 individui (tra cui 92.000 uomini in armi), che stava per abbattersi sulla provincia.[12].
Gli ambasciatori degli Elvezi si presentarono allora a Cesare e gli chiesero il permesso di attraversare pacificamente la provincia. Il proconsole lasciò loro intendere che avrebbe preso in considerazione la loro proposta, ma chiese loro di attendere fino al 13 aprile, se volevano ottenere una risposta in merito. Cesare in verità non avrebbe concesso loro di passare sul suolo romano. Egli, infatti, ricordava che il console Lucio Cassio Longino, nel 107 a.C., era stato ucciso dagli Elvezi, il suo esercito sconfitto e costretto a passare sotto il giogo[13]. Temeva che una volta attraversata la provincia romana della Narbonense non si sarebbero astenuti dal portare distruzione e saccheggi ovunque. Aveva solo bisogno di tempo per prepararsi al peggio.
Cesare utilizzò, così, questo lasso di tempo per far costruire dalla X legione un muro alto 16 piedi (5 metri circa) e lungo 19 miglia (pari a 28 km), con una fossa antistante, che costeggiava il lato sinistro del fiume Rodano dal lago Lemano al monte Giura. Disponeva, infine, numerosi presidi e fortini ad intervalli regolari per poter sbarrare loro il passo (dell'Ecluse), qualora avessero tentato di passare contro la sua volontà[14]. Una volta preparatosi ad un eventuale scontro frontale, il 13 aprile rifiutò il passaggio agli Elvezi, minacciando il ricorso alle armi se non avessero desistito dal proposito di attraversare la provincia[15].
Dopo aver cercato invano di penetrare nella provincia, tentando di sfondare la linea difensiva creata dai romani in soli 15 giorni con zattere, navi, altri a guado dove l’acqua è più bassa,di giorno e di notte, gli Elvezi trattarono con i vicini ed alleati Sequani, per ottenere il permesso di attraversare le loro terre[16].
Cesare avrebbe potuto, a questo punto, disinteressarsi alla questione, considerando che gli Elvezi non avrebbero più attraversato i territori romani, ma il timore di rimandare il problema, avendo in futuro un nuovo potenziale nemico alle "porte" della provincia Narbonense o forse perché aveva ormai maturato la decisione di portare la guerra in Gallia e di sottometterla, lo convinsero che doveva intervenire senza attendere una nuova opportunità.
Nel De Bello Gallico, Cesare adduce diverse motivazioni per giustificare la sua azione:
- la prima è che gli Elvezi volevano stanziarsi nel territorio dei Santoni "che non è molto lontano da Tolosa, che si trova nella provincia. Se ciò fosse accaduto, Cesare capiva che sarebbe stata in pericolo l'intera provincia (Narbonense ed anche della vicina Tarraconense), avere come confinanti un popolo bellicoso, nemico di Roma, in luoghi aperti e ricchi di frumento"[17].
- La seconda è che, come già ricordato, nel 107 gli Elvezi (nello specifico il cantone dei Tigurini) avevano non solo sconfitto un esercito romano, ma avevano ucciso oltre al console, anche il generale Lucio Pisone, avo del suocero di Cesare. Ciò dava al generale il diritto di volersi vendicare sia dell'offesa personale sia di quella subita dalle armate romane cinquant'anni prima[18].
- La terza e più convincente, come vedremo oltre, fu offerta dalle devastazioni che gli Elvezi fecero nel territorio degli Edui, popolo amico ed alleato del popolo romano[19], che per questo motivo chiesero l'intervento armato di Cesare[20].
Cesare lasciò a guardia del vallo appena costruito lungo il Rodano alcune coorti sotto il comando di un suo luogotenente, Tito Labieno, e con il resto dell'esercito mosse all'inseguimento degli Elvezi[21], recuperando prima le 5 legioni provenienti dalla Gallia Cisalpina (due delle quali di nuova formazione: la XI e XII). La sua marcia non fu priva di difficoltà poiché prima i popoli celti dei Ceutroni, poi dei Graioceli e dei Caturigi dei passi alpini[22], tentarono di impedire alle legioni di raggiungere la Gallia Comata.
Gli Elvezi avevano già attraversato il paese dei Sequani come concordato, ma si erano lasciati andare a saccheggi nel vicino paese degli Edui, tanto che questi ultimi furono costretti a chiedere l’intervento romano, tanto più che alcune bande elvetiche si erano abbattute sui territori degli stessi Allobrogi, al di là del Rodano ed appartenenti alla provincia romana della Narbonense[23]. Cesare, ormai convinto da questi fatti, decise di intervenire. Il nuovo scontro con le armate degli Elvezi avvenne nei pressi del fiume Arar, mentre questi ultimi erano intenti ad attraversarlo.
Gli Elvezi, turbati dalla sconfitta e dalla rapidità con cui Cesare aveva provveduto alla costruzione del ponte (un solo giorno, contro i venti giorni impiegati dagli Elvezi), mandarono una delegazione per trattare con il generale romano, a capo della quale vi era un certo Divicone, famoso tra la sua gente per aver condotto alla vittoria le armate degli Elvezi nel 107 a.C. contro il console Lucio Cassio Longino. Divicone, per nessun motivo in stato di soggezione nei confronti di Cesare, rivelò che gli Elvezi erano disposti ad accettare l’assegnazione di terre che il generale romano avesse loro riservato, in cambio della pace. Cesare, da parte sua, richiese a garanzia degli ostaggi, che di consegnare, e di soddisfare le richieste di Edui e Allobrogi, danneggiati dalle loro incursioni. Divicone, fu costretto a rifiutare tali richieste. Le reputava ingiuste e forse sospettava fossero un pretesto per continuare la guerra. Resta il fatto che non fu raggiunto alcun accordo, mentre la marcia degli Elvezi continuò verso nord per altri 14 giorni[24].
Cesare provò a stuzzicare il nemico in marcia, poco dopo, inviando contro di loro 4.000 cavalieri (in minoranza romani, in maggioranza della tribù degli Edui, comandati da Dumnorige), che furono, però, battuti da una forza numericamente di molto inferiore (si parla di soli 500 cavalieri della retroguardia degli Elvezi), a causa della scarsa volontà di combattere dei cavalieri galli[25]. I sospetti ricaddero sul fratello del capo degli Edui, Dumnorige, il quale fu "scoperto" per aver mantenuto rapporti di amicizia con il popolo degli Elvezi. Fu graziato da Cesare, solo per l’amicizia che nutriva nei confronti del fratello di lui, Diviziaco, ed il timore che qualora l’avesse giustiziato, Diviziaco, avrebbe potuto schierarsi contro i Romani per il dolore di aver perduto il fratello. Cesare decise, così, di porre Dumnorige sotto stretta sorveglianza, guadagnandosi nuova riconoscenza da parte del principe degli Edui, Diviziaco [26].
Trascorsi 14 giorni ad inseguire il nemico fino alla capitale degli Edui, Cesare decise di affrontare il nemico nei pressi di Bibracte (Mont Beuvray)[27], dove Cesare riuscì a battere in modo irreparabile gli Elvezi ed i loro alleati[28], dei quali, secondo il racconto cesariano, ne sopravvissero solo 130.000, su un totale iniziale di 368.000.
Costoro si arresero e il generale romano ordinò loro di tornare nelle proprie terre, così da evitare che queste fossero occupate dai vicini Germani, che si trovavano al di là di Reno e Danubio[29]. Ai Galli Boi (15.000 circa) fu invece concesso di stanziarsi nelle terre degli Edui, nei pressi della città di Gorgobina.
Campagna contro i Germani di Ariovisto
Terminata la guerra con gli Elvezi, quasi tutti i popoli della Gallia mandarono ambasciatori a Cesare per congratularsi della vittoria e chiesero di poter indire, per un giorno stabilito, un’assemblea di tutta la Gallia con il consenso dello stesso Cesare[30]. L’approvazione dell’assemblea fu solo un pretesto per il generale romano. Egli, infatti, desiderava incontrarsi con le popolazioni della Gallia, in modo da ottenere il permesso di intervenire legalmente in loro difesa contro gli invasori germani di Ariovisto [31].
Dopo le migrazioni di Cimbri e Teutoni, i Galli si erano confederati sotto la guida degli Arverni del Massiccio Centrale, a capo dei quali vi era il nobile Celtillo. Dopo che quest'ultimo fu, però, condannato a morte dal suo stesso popolo, per aver tentato di diventarne re, gli altri popoli si liberarono dell'egemonia arverna, mentre le discordie divamparono nuovamente in Gallia. E proprio con lo scopo di riaffermare la loro supremazia in Gallia, gli Arverni si allearono dapprima coi Sequani e poi con il germano Ariovisto.
Sembra, infatti, che Ariovisto avesse varcato il Reno attorno al 72 a.C., insieme alle popolazioni sveve proveniente dalle vallate dei fiumi Neckar e Meno[32]. Nel corso degli anni le popolazioni germaniche che avevano passato il Reno, erano cresciute in numero fino a raggiungere le 120.000 unità nel giro di pochi anni.
Il racconto di Cesare prosegue raccontando che, una volta che Ariovisto si era insediato in Gallia:
I Sequani decisero, in seguito a tali eventi ed alla crescente arroganza del re germano Ariovisto, di unire le forze ai vicini Edui, e dimenticando i passati rancori, di combattere insieme il comune nemico invasore germano. Nel 60 a.C., in data 15 marzo[33], venne infatti combattuta una sanguinosa ed epica battaglia presso Admagetobriga, tra le truppe celtiche e germaniche, dove le forze galliche ebbero la peggio.
In seguito a questi fatti gli Edui inviarono a Roma loro ambasciatori, per chiedere aiuto. Il Senato decise di intervenire e convinse Ariovisto a sospendere le sue conquiste in Gallia, in cambio riceveva, su proposta dello stesso Cesare (che era console nel 59 a.C.), il titolo di re ed amico del popolo romano (rex atque amicus populi Romani)[34]. Ariovisto, però, continuò a molestare i vicini Galli con crescente crudeltà e superbia, tanto da aver indotto i Galli a richiedere l’aiuto militare da parte dello stesso Cesare. In alternativa non gli sarebbe rimasto che emigrare lontano, come avevano fatto in precedenza gli stessi Elvezi. Cesare era l’unico che poteva impedire ad Ariovisto che una massa maggiore di Germani passasse il Reno, e soprattutto poteva difendere tutta la Gallia dalla prepotenza del re germano[35].
Cesare, appresi questi fatti, decise che si sarebbe preso cura del problema. Egli nutriva grande speranza nel fatto che Ariovisto, indotto dai benefici che in passato aveva ricevuto dallo stesso Cesare, avrebbe posto fine alla persecuzione nei confronti delle popolazioni celtiche. Cesare, in effetti, riteneva che sarebbe stato pericoloso in futuro, continuare a permettere ai Germani di passare il Reno ed entrare in Gallia in gran numero. Temeva che una volta occupata tutta la Gallia, come in passato era avvenuto in seguito all’invasione di Cimbri e Teutoni, i Germani avrebbero invaso la Gallia Narbonense e poi l’Italia stessa. Erano motivi sufficienti per inviare ambasciatori ad Ariovisto e chiedergli un colloquio a metà strada, ma il capo germano rispose che era Cesare a doversi recare da lui, nel caso in cui avesse avuto bisogno di chiedergli qualcosa. Ariovisto rivendicava, inoltre, il suo diritto a rimanere in Gallia, poiché l’aveva vinta in guerra. Cesare, stizzito dalla risposta di Ariovisto e dalla mancata disponibilità ad incontrarsi a metà strada, rispose al capo germano, che qualora si fosse attenuto alle seguenti richieste, e cioè di:
- non trasportare più, oltre il Reno in Gallia, altri popoli germani;
- restituire gli ostaggi sottratti agli Edui, dando il permesso di fare ciò anche ai Sequani;
- non provocare a nuova guerra gli Edui ed i loro alleati.
sarebbe stato considerato in perpetuo amico del popolo romano. In caso contrario non avrebbe trascurato i torti fatti agli Edui. La risposta di Ariovisto non si fece attendere, e senza alcun timore, sfidò Cesare a battersi con lui quando lo desiderava, ricordandogli il valore delle sue truppe, mai battute fino a quel momento. [36].
Intanto, nuove tribù germaniche (Arudi e Svevi), alleate del capo suebo, cominciavano ad attraversare il Reno, riversandosi in Gallia nelle terre di Edui e Treviri[37]. Cesare decise, quindi, di muovere contro il nemico nel più breve tempo possibile, procurandosi le vettovaglie necessarie alla nuova campagna[38].
Dopo tre soli giorni di marcia, Cesare venne a sapere che Ariovisto si era mosso dai suoi territori e muoveva su Vesonzio, la città più importante dei Sequani, per occuparla e sottrarre tutto ciò che gli fosse utile alla guerra: dal frumento alle armi. Cesare credette che ciò non doveva accadere, poiché avrebbe dato un enorme vantaggio all’avversario. Doveva accelerare il passo dei suoi legionari e percorrere in minor tempo possibile il tragitto con marce diurne ed anche notturne, per sottrarre questo importante oppidum gallico ad Ariovisto. E così fece, tanto che una volta occupata la città e prelevato l’occorrente per il suo esercito, vi collocò una guarnigione di armati a sua difesa. E mentre Cesare soggiornò in questa città per provvedere agli approvvigionamenti (con il contributo anche dei vicini Leuci e Lingoni), l’esercito germano continuava la sua avanzata[39].
Durante il breve soggiorno dell’esercito romano a Vesonzio, i guerrieri galli raccontarono ai legionari che i Germani erano di enorme corporatura, di incredibile valore e destrezza nelle armi, e che incutevano paura solo a guardarli. Questa fu l’unica volta in cui i legionari romani furono presi da scoramento, tanto che avrebbero abbandonato il loro comandante nel caso in cui avesse deciso di continuare la campagna militare contro Ariovisto[40]. Ma Cesare, che aveva grandi doti di psicologo, non si fece prendere dallo sconforto e “sfidò” il suo esercito, dicendo loro che sarebbe andato incontro all’esercito germano anche con la sola X legione, di cui era certo della sua fedeltà. Toccate nell’orgoglio le altre legioni, decisero di non abbandonare il loro comandante vittorioso, che aveva ricordato loro anche, come gli Elvezi stessi, che poco prima l’esercito romano aveva battuti, avevano più volte combattuto contro i guerrieri germani e li avevano vinti, e che i loro padri sotto la guide del grande generale romano, Caio Mario, avevano sconfitto le genti germane di Cimbri e Teutoni[41].
Cesare potè riprendere la sua marcia ai primi di Agosto e dopo sei giorni di marcia continua, fu informato dagli esploratori che l’esercito di Ariovisto si trovava a circa 24 miglia da loro (pari a poco più di 35 km)[42]. Conosciuto l’arrivo di Cesare, Ariovisto decise di inviare suoi ambasciatori per comunicare al generale romano la sua disponibilità ad un colloquio di lì a cinque giorni. Cesare non rifiutò la proposta pensando che Ariovisto potesse tornare sulle sue decisioni. Il luogo dell’incontro si trovava di fronte ad una grande piana, ai piedi di una collina abbastanza elevata, ed era equidistante dai campi dei due rivali, vale a dire a circa 18 km da ognuno di loro. Entrambi andarono all’appuntamento accompagnati da numerosi cavalieri, e nel caso di Cesare si trattava, non tanto della cavalleria gallica, ma di legionari della X, sua guardia del corpo personale e di cui si fidava completamente. Cesare fece arrestare la legione che aveva fatto muovere a cavallo, a 200 passi dalla collina, ed altrettanto fece Ariovisto.
Cominciò Cesare a parlare, ricordando ad Ariovisto i benefici che lo stesso generale romano e la Repubblica romana gli avevano conferito l’anno precedente, nominandolo “rex atque amicus” (re ed amico) del popolo romano, ed inviandogli ricchi doni. Cesare in sostanza gli chiedeva quanto i suoi ambasciatori in precedenza avevano già riferito al re germano, e cioè che: non facesse guerra agli Edui ed ai loro alleati, restituisse gli ostaggi e che non permettesse che altri Germani attraversassero il Reno[43]. A queste richieste Ariovisto replicò:
Mentre il colloquio si stava svolgendo, alcuni cavalieri germani si accostarono alla collina, si lanciarono contro i Romani gettandogli contro pietre e proiettili. Questo fatto costrinse Cesare a metter fine all'incontro con Ariovisto ed a ritirarsi. Il fallimento del colloquio tra il generale romano ed il capo germano[44], causò lo scontro decisivo, che avvenne ai piedi dei monti Vosgi nella piana tra le moderne città di Mulhouse e Cernay[45].
Ariovisto per prima cosa spostò il suo campo base, avvicinandosi a quello di Cesare e portandosi a circa 6.000 passi (circa 9 km), dai 35-36 km a cui si trovava prima dell’incontro. Il giorno successivo, compiendo una marcia presumibilmente attraverso le foreste della zona, si accmpò a soli 2.000 passi (circa 3 km) al di là di quello di Cesare, con l’obiettivo di tagliare al generale romano ogni possibile via di rifornimento delle vettovaglie che gli venivano portate dei paesi amici di Edui e Sequani. Da quel giorno per cinque giorni vi furono continue scaramucce tra i due eserciti, in particolareAriovisto preferiva inviare contro il nemico la sola cavalleria, forte di 6.000 cavalieri e 6.000 fanti, assai veloci nella corsa. Cesare ci narra di questa speciale unità militare dei Germani mista:
Fu Cesare a provocare la battaglia dopo alcuni giorni di stallo tra i due eserciti. Decise, infatti, per prima cosa di far costruire un campo per due delle sue legioni (a soli 600 passi da quello del nemico), al fine di non essere più impedito da Ariovisto nel vettovagliamento. Mosse, pertanto, l'esercito schierandolo in tre schiere e comandando che le prime due difendessero la terza schiera mentre fortificava il nuovo campo. Ariovisto fu costretto a tentare di impedire la costruzione del nuovo castrum romano, così vicino al suo, inviando contro le armate romane 16.000 armati, ma senza fortuna. Cesare, portato a termine il nuovo campo, vi lasciò a guardia 2 legioni ed una parte delle truppe ausiliarie, mentre ricondusse nel grande campo le altre 4 legioni[47].
Il giorno seguente fu Ariovisto a prendere l’iniziativa, assaltando da mezzogiorno alla sera il campo piccolo ma senza miglior fortuna del giorno precedente. Ma le sorti della guerra si decisero il giorno successivo, quando Cesare, schierate le sue truppe in modo che le truppe ausiliarie fossero schierate di fronte al piccolo campo e poi, via via, le 6 legioni su tre schiere, decise di avanzare verso il campo di Ariovisto, costringendolo a disporre le sue truppe fuori dal campo. Ariovistò ordinò l’esercito per tribù: quelle degli Arudi, poi dei Marcomanni, Triboci, Vangioni, Nemeti, Sedusi ed infine degli Svevi. Ogni tribù poi, fu circondata da carri e carrozze perché non ci fosse la possibilità di fuga per nessuno. Sopra i carri c’erano le donne, le quali imploravano i loro uomini che non le consegnassero ai Romani come schiave[48].
Cesare così racconta lo svolgimento della battaglia:
I Germani furono, pertanto, sconfitti e massacrati dalla cavalleria romana mentre cercavano di attraversare il fiume, e lo stesso Ariovisto scampò a stento alla morte, riuscendo a guadare il Reno insieme a pochi fedeli[50].
Da questo momento Ariovisto scomparve dalla scena storica. Cesare, respingendo gli Svevi al di là del Reno, e trasformando questo fiume in barriera naturale per i prossimi quattro-cinque secoli, aveva, non solo, fermato i flussi migratori dei Germani, ma salvato la Gallia celtica dal pericolo germanico ed attribuiva a Roma, che aveva vinto la guerra, il diritto di governare su tutti i popoli presenti sul suo territorio[51].
Giunto ormai l'autunno, Cesare decise di acquartierare le legioni per l'inverno nel territorio dei Sequani[52]. Si trattava di un'annessione di fatto. Egli tornava, quindi, in Gallia Cisalpina ad occuparsi degli affari di proconsole.
Anno 57: Sottomissione della Belgica e delle tribù della costa atlantica
Cessata la minaccia di Ariovisto, le antiche inimicizie tra le tribù iniziarono a tornare a galla. Allo stesso tempo cresceva l'insofferenza verso l'occupazione romana. In questa situazione, molti popoli cominciarono a rivolgersi ai Germani per trovare aiuto contro le legioni cesariane.
Cesare narra che mentre si trovava nella Gallia Cisalpina venne a spaere da voci, confermate da una lettera di Tito Labieno che i Belgi congiuravano contro Roma e si scambiavano ostaggi perché temevano che, sottomessa tutta la Gallia, l'esercito romano fosse condotto nel loro paese e poi perché venivano sollecitati da alcuni Galli che mal sopportavano che le truppe romane svernassero nelle loro terre e vi si abituassero[53]. Giunto nella Belgica con nuove truppe, Cesare venne a sapere che tutte le tribù della Gallia Belgica, tranne i Remi (a cui si erano uniti gruppi di Germani giunti dall'altra sponda del Reno), erano scese in guerra sotto la guida di re Galba dei Suessioni[54]. Cesare si accampò lungo il fiume Aisne (affluente dell'Oise)[55], ponendo poi un presidio a difesa del ponte che passava sul fiume, lasciando dall'altra parte del fiume il luogotenente Quinto Titurio Sabino con sei coorti e facendo fortificare il campo[56]. I Belgi assaltarono Bibracte, città dei Remi, a cui Cesare inviò truppe in aiuto. Fallito il tentativo di conquistare l'oppidum, i Belgi marciaorno verso Cesare e posero il loro campo a due miglia da quello romano[57]. Dopo aver saggiato con alcune scaramucce le capacità del nemico, Cesare decise di affrontare apertamente l'esercito dei Belgi[58].
Il proconsole romano narra:
I Belgi presero quindi la strada per le loro terre e Cesare, dopo aver atteso per un po' così da capire le reali intenzioni del nemico, lo inseguì, decimandolo con vari attacchi. Assedia poi Noviodunum (odierna Pommiers), capitale dei Suessioni, di cui ottiene la resa. Passa poi nel paese dei Bellovaci e si dirige a Bratuspanzio (forse Beauvais). Diviziaco degli Edui intercesse presso il proconsole a favore dei Bellovaci, da sempre leali amici degli Edui e che si erano ribellati perché fuorviati dai loro capi. Cesare accolse le suppliche di Diviziaco e accettò la resa dei Bellovaci. Ottenne poi anche la resa degli Ambiani[59].
A questo punto, il proconsole romano rivolse la sua attenzione ai bellicosi popoli del nord[60] che vivevano al di là del fiume Sabi[61]. I Nervi (aiutati da Atrebati e Viromandui) attaccarono di sopresa l'esercito in marcia, ma furono respinti e quindi si rivolsero verso l'accampamento romano[62] che era ancora in fase di costruzione. Dopo essersi trovati in difficoltà, i Romani seppero reagire e far fronte all'attacco dei nemici, che furono sconfitti e massacrati[63]. Cesare marciò allora contro gli Atuatuci, che si erano riuniti tutti in un'unica roccaforte[64]. Dopo un'iniziale resistenza gli Atuatuci chiesero a Cesare di accettare la loro resa e il proconsole si mostrò disposto a concedergliela[65]. Di notte, però, secondo un piano precedentemente stabilito, gli Atuatuci attaccarono di sopresa i Romani, ma furono sconfitti e respinti. La città fu presa senza colpo ferire il giorno dopo[66]. Tutta la Belgica (oltre a Nervi e Atuatuci anche Viromandui, Atrebati ed Eburoni era stata sottomessa. Nel frattempo, una parte delle truppe di Cesare, guidata da Publio Crasso, figlio del triumviro Marco Licinio Crasso, sottomise anche le tribù delle regioni costiere dell'Atlantico, dalla Normandia alla Garonna[67].
Anno 56: i popoli del mare si ribellano
Ben presto la Gallia tornò sul piede di guerra perché
I Veneti (stanziati nell'odierna Bretagna)trattennero Silio e Velanio, pensando di poter così riavere gli ostaggi che avevano consegnato a Crasso. Il loro esempio fu seguito dai popoli confinanti. Subito le tribù si legarono con giuramenti. Alla fine tutta la zona costiera della Gallia si sollevò. I Galli inviarono così a Crasso un ultimatum: restituire gli ostaggi se voleva rivedere i suoi ufficiali.[68]. Cesare, informato di quanto era accaduro, ordinò di costruire sulla Loira di una flotta di navi da guerra adatte anche per affrontare il mare e fece arruolare rematori e timonieri nella provincia. Spedì poi Labieno nella Belgica per bloccare l'arrivo di rinforzi dalla Germania, mentre incaricò Crasso di sottomettere i popoli dell'Aquitania (tra Garonna e Pirenei). Al comando della flotta pose Decimo Bruto, ordinandogli di partire il prima possibile per la Bretagna. Lui marciò invece verso la regione con le truppe di terra[69]
Dopo aver superato alcune difficoltà iniziali, sul finire dell'estate i Romani sconfissero i ribelli. I Veneti si arresero e furono puniti duramente con esecuzioni di massa e la riduzione in schiavitù dei superstiti. Intanto Crasso sottometteva la Gallia fino ai Pirenei, mentre anche la rivolta in Normandia veniva domata. Solo la spedizione contro i Morini della costa delle Fiandre fallì, perché questa popolazione, approfittando del territorio paludoso e boscoso, mise in atto una tattica di guerriglia, contro la quale i Romani non poterono fare nulla. Dopo aver devastato le loro terre, il proconsole si ritirò negli accampamenti invernali[70].
Prima parte dell'anno 55: Cesare sconfigge Usipeti e Tencteri e varca il Reno
Spinte alle spalle dalla pressione dei Suebi, nel 55 le tribù germaniche degli Usipeti e dei Tencteri attraversarono il basso Reno con l'intento di stabilirsi in Gallia. Raggiunte da Cesare a ovest di Coblenza, alla confluenza tra Reno e Mosella, chiesero al generale romano il permesso di stabilirsi in quel territorio. Cesare però rifiutò il permesso e consigliò loro di recarsi presso i morini. Fu stabilita quindi una tregua da utilizzare per giungere a un compromesso con questo popolo. Ma, durante la tregua, i germani si scontrarono con uno squadrone di cavalleria gallo-romana, che fu messa in fuga. Cesare li accusò di non aver rispettato l'accordo e così, quando gli ambasciatori di usipeti e tencteri si recarono da lui per giustificarsi, li fece imprigionare. Dopodiché, con una mossa fulminea, piombò sull'accampamento germanico, massacrando i nemici[71].
A questo punto, Cesare decise di passare il Reno e di invadere la Germania. Tra le diverse ragioni che lo spinsero a questa decisione, ci fu l'intenzione di fare un'azione dimostrativa e intimidatoria per scoraggiare i popoli di quella terra, che troppo spesso avevano fornito truppe ai galli o si erano intromessi nelle vicende galliche, dall'interferire in futuro su quanto accadeva in Gallia. Gettato un lungo ponte di legno sul Reno (tra Coblenza e Bonn, secondo la maggior parte degli studiosi), il proconsole devastò e saccheggiò il territorio nemico, quindi ritornò in Gallia distruggendo il ponte alle proprie spalle e fissando il confine sul Reno.[72]
Seconda parte dell'anno 55 e prima parte del 54: prima e seconda spedizione in Britannia
Nella tarda estate del 55, Cesare decise di invadere la Britannia, perché
Per questa ragione, egli non riuscì ad ottenere dai mercanti alcuna informazione utile riguardo ai luoghi e ai popoli dell'isola e neppure sulle tattiche belliche di questi ultimi. Inviò allora in avanscoperta Gaio Voluseno con una nave da guerra e nel frattempo si spostò nel territorio dei morini, dove ordinò di radunare nuovamente la flotta che aveva combattuto contro i Veneti nel 56. Intanto, informati da alcuni mercanti circa le intenzioni del proconsole, molti popoli della Britannia inviarono ambasciatori a Cesare, promettendogli di consegnare ostaggi e di obbedire all'autorità di Roma. Cesare accolse le loro promesse e permise loro di ritornare in patria, mandando con loro Commio, da lui messo sul trono degli atrebati, con l'ordine di visitare la Britannia, di esortare le sue popolazioni a essere fedeli a Roma e di annunciare loro che presto si sarebbe recato in Britannia lui stesso. Intanto, Voluseno tornava con molte informazioni e i Morini decidevano di sottomettersi a Cesare.[73]
Cesare salpò alla volta della Britannia da Portus Itius (per alcuni Boulogne), lasciando indietro la cavalleria, che sarebbe dovuta partire da un altro porto (forse Ambleteuse). Approdò davanti all'alta scogliera nei pressi di Dover, trovandosi di fronte i nemici che lo stavano aspettando. Riprese allora il mare, giungendo a una costa aperta e piana, che si trovava a circa sette miglia da Dover, ma ancora una volta si trovò di fronte il nemico, che aveva schierato anche la cavalleria e i carri da guerra e che impediva l'approdo delle navi e il conseguente sbarco dei romani. Alla fine, dopo molte difficoltà, i romani riuscirono a scendere a terra e i due eserciti si scontrarono. Dopo un duro combattimento, i britanni furono messi in fuga, ma i vincitori non furono in grado di inseguirli. Le tribù mandarono allora degli ambasciatori, che portarono con loro Commio, che era stato fatto prigioniero. Quando però seppero che la cavalleria romana era stata ricacciata sulle coste europee dal cattivo tempo e che le maree oceaniche avevano danneggiato le navi di Cesare, i Britanni decisero di riprendere le armi. Dopo aver rinnovato a parole l'alleanza con Cesare, lasciarono il suo campo. Ma il proconsole aveva intuito il pericolo e così cercò di predisporre tutto il necessario per un eventuale attacco.[74]
Alla fine, i Britanni attaccarono i soldati di Cesare, ma furono sconfitti. Ottenuta la promessa di ricevere degli ostaggi, Cesare ripartì per la Gallia, dove, una volta sbarcate, le sue legioni furono però aggredite anche dai morini, che speravano in un ricco bottino. I nemici furono respinti anche questa volta e il proconsole inviò Labieno a punire questo popolo, mentre Quinto Titurio Sabino e Lucio Aurunculeio Cotta devastavano le terre dei Menapi. Cesare dislocò le legioni negli accampamenti invernali. Intanto, però, dalla Britannia solo due popoli inviarono ostaggi, gli altri vennero invece meno agli accordi. A Roma, invece, furono decretati 20 giorni di festa in onore di Cesare[75].
Dopo aver respinto in Illiria alcuni attacchi dei Pirusti e aver sedato senza colpo ferire una rivolta dei Treviri (popolo presso il quale tolse il potere a Induziomare, dandolo al suocero di questo, Cingetorige, che era filo-romano), nel 54 Cesare salpò di nuovo per la Britannia, sempre da Portus Itius, con 28 navi da guerra e oltre seicento da trasporto, accompagnato da cinque legioni e 2.000 cavalieri. Al loro seguito si aggiunsero 200 navi private, forse piene di mercanti attratti dai racconti sulle favolose ricchezze dell'isola. Cesare sbarcò nello stesso luogo dell'anno precedente e inflisse una prima sconfitta ai Britanni che si erano radunati per fronteggiarlo. Le tribù si unirono allora sotto la guida di Cassivellauno, che regnava sui territori a nord del Tamigi. Dopo una serie di scontri, Cesare puntò dritto al cuore dei domini del re ribelle e varcò il Tamigi. Alla fine Cassivellauno fu sconfitto, ma non perse i suoi possedimenti. Stabilito il tributo che i popoli dei britanni dovevano pagare e presi degli ostaggi, Cesare tornò in Gallia[76]. Cesare non fece in pratica nessuna conquista territoriale in Britannia, ma si limitò a creare una serie di clientele che portarono quest'isola nella sfera d'influenza di Roma. Da queste premesse si svilupparono rapporti commerciali e diplomatici, che apriranno poi la strada alla successiva conquista della Britannia nel 43 d.C.
Seconda parte dell'anno 54-53: rivolte in Gallia
In Gallia si respirava aria di rivolta e tutto il paese era in fermento. I primi segnali si ebbero nell'autunno del 54, quando i Carnuti (zona di Chartres, Orleans) uccisero il re filo-romano che Cesare aveva posto sul trono. Intanto Cesare dovette dislocare a molta distanza le une dalle altre le sue legioni, perché lo scarso raccolto di quell'anno non permetteva di sostentare adeguatamente un grande esercito stanziato in un unico luogo.[77]
I galli scesero sul piede di guerra e, poche settimane dopo il loro arrivo nel territorio degli Eburoni (regione delle Ardenne), le truppe romane furono attaccate. Dopo questo episodio, Ambiorige, re degli eburoni, convinse con l'inganno i romani a uscire dal loro accampamento invernale per recarsi in luoghi più sicuri, assicurando loro che la marcia si sarebbe potuta svolgere senza interferenze. Ma quando le truppe si trovarono allo scoperto, il suo esercito attaccò e massacrò una legione e mezza. Dopo questa vittoria, Ambiorige ottenne l'appoggio degli atuatuci e dei nervi. L'alleanza sferrò un attacco all'accampamento di Quinto Cicerone, che si trovava nella zona di Namur. Il fratello del celebre oratore riuscì però a far giungere a Cesare notizie su quanto stava accadendo e il proconsole marciò allora in aiuto di Cicerone, spezzando l'assedio.[78] A trovarsi in difficoltà era ora Tito Labieno, che era stato attaccato dai Treviri di Induziomaro, che alla fine fu però ucciso. Intanto, si ribellavano anche i Senoni e, a questo punto, si rivoltarono anche tutte le altre tribù tranne gli edui e i Remi che rimasero a fedeli a Cesare.[79] Il proconsole passò al contrattacco: aumentò il numero delle proprie legioni portandolo a dieci, schiacciò la ribellione dei Nervi e ottenne la resa dei carnuti e dei senoni. Labieno sconfisse i Treviri, mentre Cesare marciò con cinque legioni contro gli eburoni di Ambiorige. Dapprima sottomise i Menapi e poi costruì un secondo ponte sul Reno, occupandone la sponda germanica sia per scongiurare l'invio di altri rinforzi ad Ambiorige sia per sbarrare a quest'ultimo ogni possibile via di fuga. Nella tarda estate del 53, il generale romano sferrò l'attacco finale, annientando gli eburoni, anche se Ambiorige riuscì a fuggire. Tutte le rivolte furono sedate: come monito per il futuro, davanti ai Galli riuniti in una dieta convocata a Reims, Cesare fece flagellare e decapitare un altro capo ribelle, Accone.[80]
Anno 52 a.C.: la rivolta di Vercingetorige
L'ultimo atto delle guerre galliche fu rappresentato dalla rivolta scoppiata nel 52 e guidata dal re degli Arverni Vercingetorige, attorno al quale si strinsero i popoli della Gallia centrale, a eccezione dei Lingoni, dei remi e degli edui. Cesare si trovò ad affrontare un nemico temibile sia per la consistenza numerica del suo esercito, sia per la disciplina che Vercingetorige seppe impartirgli e sia perché il capo ribelle conosceva bene i Romani e Cesare, dato che aveva servito per un periodo nella cavalleria ausiliaria romana.
Furono i Carnuti a dare il via alla rivolta, uccidendo tutti i romani presenti nella loro capitale, l'odierna Orléans. Intanto, nel nord, si ribellava anche il fedelissimo Commio, principe degli Atrebati, dopo che Labieno aveva cercato di ucciderlo. Con rapidità fulminea, nonostante fosse inverno e i passi montani fossero innevati, il generale romano piombò coi suoi uomini nel territorio degli Arverni, mettendolo a ferro e fuoco. Dopo aver distrutto Orléans per rappresaglia, Cesare penetrò nel cuore del territorio controllato dal nemico, a sud della Loira.
Vercingetorige si sottrasse allo scontro in campo aperto, mettendo invece in atto una tattica di guerriglia e bloccando ogni possibilità di rifornimento ai romani, che erano impegnati nell'assedio della capitale dei Biturigi Avaricum (l'odierna Bourges). Alla fine l'oppidum capitolò di fronte alla superiorità tecnica dei nemici e i soldati massacrarono quasi tutta la popolazione. Questa dura repressione ebbe però il solo effetto di rendere più determinati i ribelli. Cesare inviò Labieno a nord per sopprimere la rivolta di senoni e Parisi, mentre lui stesso puntò verso sud, direttamente sulla capitale arverna di Gergovia (nei pressi di Clermont-Ferrand), che si dimostrò però imprendibile. Intanto, Vercingetorige guadagnava alla sua causa anche gli edui. Cesare dovette allora ritirarsi da Gergovia per sedare la sedizione edua, dopodiché si presentò di nuovo sotto le mura di Gergovia, ma subì perdite pesanti e dovette desistere dall'assedio. A questo punto gli edui ruppero definitivamente l'alleanza con Cesare, sposando la causa della libertà.
Vercingetorige ricevette ufficialmente il comando supremo nella città di Bibracte nel corso di una dieta pangallica, a cui non parteciparono però Treviri, Remi e Lingoni, che avevano deciso di non aderire alla rivolta. Cesare marciò verso nord, dove si riunì con Labieno e le sue legioni ad Agedinco (odierna Sens). Da lì, le truppe ripararono presso i Lingoni. Cesare rafforzò le sue truppe con cavalleria germanica mercenaria (era il secondo squadrone che il generale romano arruolava) e poi riprese la strada del sud, ma a nord-est di Digione le legioni furono attaccate dai ribelli. Vercingetorige aveva infatti deciso che era giunta l'ora di chiudere la partita con gli invasori. L'attacco della cavalleria gallica fu però respinto da quella germanica. La fiducia dei ribelli vacillò e Vercingetorige riparò col suo esercito ad Alesia: non si era accorto di essersi intrappolato da solo.
Cesare piombò su Alesia e la strinse con un poderoso assedio: fece costruire un anello di mura lungo 17 chilometri tutto intorno alla roccaforte nemica e, all'esterno di questo, un altro di 21, perché si aspettava un attacco anche alle spalle. Tutto intorno, il proconsole fece realizzare trabocchetti, fossati pieni d'acqua, trappole, palizzate, valli e torri di difesa. Tra i due anelli, i legionari costruirono i loro accampamenti.
Dopo circa un mese, alle spalle dei romani piombò un potente esercito gallico, giunto in aiuto degli assediati. Per quattro giorni le legioni cesariane resistettero agli attacchi sferrati sia da Alesia sia dai rinforzi dei ribelli. Il quarto giorno, questi ultimi aprirono una breccia nell'anello esterno, ma furono ricacciati indietro da Labieno, mentre Cesare in persona guidò in battaglia cavalleria e truppe di riserva, accerchiando i nemici, piombando loro da dietro e sconfiggendoli rovinosamente. La sorte della ribellione era ormai segnata: il giorno dopo Vercingetorige si arrese, consegnandosi a Cesare. Dopo la vittoria, il Senato decretò 20 giorni di festa in onore del proconsole.
Anni 51-50 a.C.: La definitiva sottomissione della Gallia
La Gallia era in ginocchio e nei mesi successivi Cesare domò con facilità alcune rivolte di singole tribù, cercando poi di riconciliarsi con i popoli sottomessi, lasciando per il momento in piedi l'organizzazione tribale e accontentandosi di tributo poco più che nominale. I galli accettarono il dominio romano e ne nacque così una pace stabile e duratura. Nell'inverno del 51/50 a.C., nell'odierna Arras, Cesare proclamò provincia i territori conquistati e nel 49 a.C. ritirò la maggior parte delle sue legioni dalla Gallia.[81]
Conseguenze della conquista
Al termine di queste campagne e della definitiva sottomissione della Gallia, "cuore" pulsante della cultura celtica, Cesare, non solo spostava verso nord il baricentro dei domini romani ma, occupando gran parte dei territori ad ovest della Alpi, faceva di Roma la nuova capitale del mondo occidentale, con il latino come lingua ufficiale.
Da questo momento, i destini della Gallia e di Roma percorsero strade comuni: la Gallia andò, via via, romanizzandosi attraverso la costruzione di nuove città, strade ed acquedotti, con la fusione delle due culture in un'unica. Ne nacque un sincretismo che diede vita a quella cultura gallo-romana che in seguito verrà assimilata anche dagli invasori Franchi e su cui germoglierà il Sacro romano Impero di Carlomagno.
Queste campagne sancivano definitivamente quello che sarebbe stato per circa cinque secoli, il confine dei domini romani sul Reno, una barriera naturale che difenderà Roma dalle invasioni dei popoli di stirpe germanica. Sul piano personale, con questa conquista Cesare risolse i suoi problemi finanziari e assunse un peso militare e politico di primo piano, riuscendo a mettere definitivamente in ombra la gloria di Pompeo. Cesare aveva infatti costruito intorno a sé un'aura di potenza e di invincibilità e un esercito a lui fedele, forte, addestrato e pronto a seguirlo ovunque, anche nella guerra civile che sarebbe scoppiata di lì a poco.
Note
- ^ Proposta dal tribuno della plebe Publio Vatinio (che poi sarà luogotenente di Cesare in Gallia)
- ^ Corrispondeva ai territori della pianura padana, compresi tra il fiume Oglio e le Alpi piemontesi
- ^ Provincia costituita nel 121 a.C. che comprendeva tutta la fascia costiera e la valle del Rodano, nelle attuali Provenza e Linguadoca
- ^ Lawrence Keppie (in The making of the roman army, from Republic to Empire, Oklahoma 1998, p.80-81) suppone che la legio X fosse posizionata nella capitale della Gallia Narbonense: Narbona.
- ^ Cesare aveva infatti bisogno di importanti vittorie militari così da costruirsi un suo potere personale con il quale controbilanciare quello che Pompeo si era costruito con le vittorie ottenute in Oriente
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 6
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 2-5,1
- ^ Cesare, Bell. Gall., I 5,2-5. I Boi erano stati costretti a migrare ad occidente, dalla forza devastatrice dei Daci di Burebista, che li avevano cacciati dai loro territori ad ovest del Lago Balaton. Alcuni si erano rifugiati in Boemia, altri si erano riversati nel Norico, assediando ed espugnando l'antica città di Noreia, altri infine avevano percorso il fiume Danubio fino al territorio degli Elvezi, a cui si erano uniti.
- ^ Cesare, Bell. Gall., I 6,4.
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 7.
- ^ Cesare riferisce di aver ordinato la formazione di due nuove legioni, solo successivamente al primo scontro con gli Elvezi. E' probabile, al contrario, che egli ne avesse già ordinato l'arruolamento, non appena apprese della migrazione degli Elvezi. Non voleva farsi trovare impreparato, allo stesso tempo doveva giustificare questa sua decisione in Senato. Doveva trovare il pretesto per questa sua azione, che altrimenti sarebbe risultata, agli occhi dei senatori più ottusi, come un fatto premeditato per aggredire i popoli della Gallia (Cesare, Bell. Gall. I 10).
- ^ Queste cifre sono fornite dallo stesso Cesare, che le avrebbe desunto da tabelle trovate nel campo elvetico dopo la vittoria (Cesare, Bell. Gall., I, 29, 1-3). Secondo alcuni studiosi però, il numero delle forze nemiche sarebbe stato appositamente gonfiato dal generale romano ed andrebbe dimezzato (cfr. Eberhard Horst, Giulio Cesare, p. 138). Quest'esagerazione andrebbe spiegata per ragioni propagandistiche; secondo altri invece, tra cui Camille Jullian (in Histoire de la Gaule, III p. 194), la cifra sarebbe stata riportata correttamente
- ^ Cornelio Tacito, Germania, 37. Nel 107 a.C. il console Lucio Cassio fu sconfitto a Tolosa dai Tigurini, allora alleati dei Cimbri.
- ^ Cesare in campo militare fu precursore del futuro limes imperiale, a cui si inspirò lo stesso figlio adottivo, Ottaviano. Theodore Ayrault Dodge (in Caesar, New York, 1892-1997, p.63) fornisce i dettagli dei forti costruiti da Cesare dove dispose alcune coorti del'unica legione a sua disposizione: ad Aire, Cartigny, Avully, Charney e Cologny lungo il fiume Rodano.
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 7,3-6 e 8,1-3
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 8,4-10,2
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 10,2.
- ^ Cesare, De Bell. Gall., I, 12,4-7
- ^ Il soccorso ai Socii del popolo romano, era ora legalmente giustificato per Cesare, con l'aggressione agli Edui.
- ^ Cesare, Bell. Gall., I,10-11
- ^ L'esercito di Cesare che mosse contro gli Elvezi, pari a poco più di 5 legioni (ognuna composta da poco più di 4.000 armati ciascuna) non superava i 25.000 legionari, oltre ad un numero di alleati pari a circa 4.000 armati, per lo più cavalieri.
- ^ Cesare passò certamente per il passo del Monginevro, l’Alpis Cottiae, tra i più bassi e comodi (m.1854), per raggiungere il paese dei Voconzi.
- ^ Cesare, De Bello Gallico, I, 11.
- ^ Cesare, Bell. Gall., I 13-14; Plutarco, Vita di Cesare, 18
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 15.
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 17-20.
- ^ Il luogo della battaglia si troverebbe tra Bibracte (Mont Beuvray) e Toulon-sur-Arroux
- ^ Cesare, Bell. Gall., I,21-26.
- ^ Cesare, Bell. Gall., I,28-29; Plutarco, Vita di Cesare, 18; Strabone, Geografia, VII, 290; Tacito, Germania, 38 sgg.
- ^ La richiesta fatta a Cesare dai Galli comporta un implicito riconoscimento della sovranità di Roma e di Cesare (Jérôme Carcopino, Giulio Cesare, pag. 275, Rusconi Libri)
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 30-33
- ^ si trattava dei popoli di Marcomanni, Triboci, Nemeti, Vangioni, Sedusi, Suebi e Arudi, come riporta Cesare nel Bell.Gall., I, 51.
- ^ Cicerone, Epistulae ad Atticum, I, 19, 2.
- ^ Cesare, De bello gallico, I, 35,2; 43,4; 44,5; Cassio Dione, Storia di Roma, XXXVIII, 34,3; Plutarco, Vita di Cesare, XIX,1; Appiano, Celtica, 16. Plutarco, Cesare, 19, 1.
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 31, 12-16.
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 35-36.
- ^ Cesare, Bell. Gall., I,37,1-4
- ^ Cesare, Bell. Gall., I,37,5.
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 38.
- ^ Si tratta dell’unica minaccia di ammutinamento da parte della truppe legionarie durante l’intera campagna in Gallia.
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 39-40.
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 41.
- ^ Cesare, Bell. Gall., I, 42-43.
- ^ In un'occasione i germani ruppero la tregua durante un colloquio tra Cesare e Ariovisto, attaccando la scorta romana a cavallo, ragion per cui Cesare interruppe le trattative (Cesare, Bell. Gall., I, 46). Successivamente Ariovisto violò la sacrosantitas degli ambasciatori, facendo imprigionare i due messi mandati da Cesare a parlamentare col capo germanico, che aveva chiesto un nuovo incontro ai Romani (Cesare, Bell. Gall., I, 47)
- ^ Cesare potrebbe, quindi, aver percorso in 6 giorni di marcia (partito da Vesonzio), una distanza di circa 120-140 km, con una media di circa 20-25 km al giorno (E.Abranson e J.P.Colbus, La vita dei legionari ai tempi della guerra di Gallia, Milano 1979, p.30-31), considerando che: il tragitto da Vesontio al Reno è di circa 150 km e che il luogo della battaglia, secondo quanto ci tramanda lo stesso Cesare, si trovava a soli 7,5 km dal fiume Reno (Bell. Gall., I, 53,1), forse confuso con il fiume Ill.
- ^ Da questa unità speciale è possibile che sia nata l’idea della cosiddette cohors equitate dell’esercito romano. A tal proposito si veda: Truppe ausiliarie dell'esercito romano.
- ^ Cesare, Bell.Gall., I, 49.
- ^ Cesare (Bell.Gall., I, 51) riferisce che il suo esercito era inferiore in numero, a quello dei Germani di Ariovisto.
- ^ Alcuni storici moderni ritengono che il fiume in questione non fosse il Reno, ma l’Ill, fiume “parallelo” ed affluente del grande fiume, scambiato da Cesare a causa delle sue scarse nozioni geografiche. Cfr. Camille Jullian, Histoire de la Gaule, III, Parigi 1908, p.231.
- ^ Cesare, Bell.Gall., I,53.
- ^ Jérôme Carcopino, Giulio Cesare, pagg. 277-278.
- ^ Le legioni furono acquartierate presumibilmente a Vesontio e lungo il fiume Saona.
- ^ Cesare, Bell. Gall., II, 1
- ^ Cesare, Bell. Gall. , II,2-4. La cifra di 306.000 armati fornita da Cesare è considerata esagerata dagli studiosi
- ^ Il luogo non è identificabile, ma si pensa al colle di Mauchamp]], a Berry-au-Bac, sulla riva destra dell'Aisne, poco a est di Pontavert, sulla strada che collega Reims a Laon. In alternativa è stato proposto Chaudardes, circa dieci chilometri a valle di Berry-au-Bac. Sulla questione vedi C.B.R. Pelling, Caesar's battle-descriptions I 48 nota 1, II 16 nota 1, IV 15 nota 1)
- ^ Cesare, Bell. Gall. II, 5
- ^ Cesare, Bell. Gall., II 6-7
- ^ Cesare, Bell. Gall. II 8
- ^ Cesare, Bell. Gall., II 11-13,2
- ^ Cesare, Bell. Gall. II, 13,3-17
- ^ Per alcuni studiosi si tratta della Sambre, per altri della Selle, affluente di destra della Schelda
- ^ Alcuni di coloro che identificano la Sabi con la Sambre ubicano il campo romano a Hautmont-Boussières, sulla collina che domina la riva sinistra della Sambre a sud di Neuf-Mesnil, altri invece indicano un luogo più a monte, fra Berlaimont e Bachant. I sostenitori dell'ipotesi Selle individuano il luogo del campo attorno a Saulzoir, che si trova a circa 30 chilometri in linea d'area a ovest di Hautmont
- ^ Cesare, Bell. Gall. II 18-28
- ^ Forse Namur, oppure l'altura di Falhize-sur-Meuse, davanti a Huy. Queste alcune delle località proposte
- ^ Cesare Bell. Gall. II 29-32
- ^ Cesare Bell. Gall. II 33
- ^ Cesare, Bell. Gall. II 34-35
- ^ Stando a Cesare, i ribelli ebbero rinforzi anche dalla Britannia
- ^ Cesare, Bell. Gall., III 8,2-11
- ^ Cesare, Bell. Gall. III, 12-29; Cassio Dione, Storia romana, XXXIX, 39-46,4
- ^ Cesare, Bell. Gall., IV, 1-15; Cassio Dione, Storia romana, XXXIX, 47-48,2; Plutarco, Vita di Cesare, 22, 1-5; Appiano, Celtica, 18, 1-4
- ^ Cesare, Bell. Gall., IV, 16-19; Cassio Dione, Storia romana, XXXIX, 48,3-49,2; Plutarco, Vita di Cesare, 22,6-23,1; Svetonio, Vita di Cesare, 25; Appiano, Celtica, 18; Cicerone, Orazione contro Pisone, 81
- ^ Cesare, Bell. Gall., IV,21-22,2
- ^ Cesare, Bell. Gall., IV,22,3-31
- ^ Cesare, Bell. Gall., IV,32-38; Cassio Dione, Storia romana, XXXIX, 51-53,1; Plutarco, Vita di Cesare, 23; Livio, Perioche, 105; Velleio Patercolo, II, 46,1; Svetonio, Vita di Cesare, 25; 47; Catullo, Carmina, XI, 10-12
- ^ Cesare, Bell. Gall., V, 1-23; Cassio Dione, Storia romana, XL, 1-3; Plutarco, Vita di Cesare, 23,4; Appiano, Celtica, I, 5,19; Cicerone, Lettere al fratello Quinto, II, 15,4; III, 1,10; III,3,4; Lettere ad Attico, IV 15,10; 16,7; 18,5; Lettere ai familiari, VII, 6,2; 7,1; 17,3
- ^ Cesare, De bello gallico, V, 24-25
- ^ Cesare, De bello gallico, V, 26-52; Cassio Dione, XL, 5-10; Plutarco, Vita di Cesare, 24; Svetonio, Vita di Cesare, 25,2; 67,2
- ^ Cesare, De bello gallico, V,47;
- ^ Cesare, De bello gallico, V,53-58; VI; Cassio Dione, XL, 31,2-6; 32,1-5;
- ^ Tutti questi eventi sono narrati da: Cesare, De bello gallico, VII; VIII, 1-48; Plutarco, Vita di Cesare, 25-27; Cassio Dione, Storia romana, XL, 33-43; Floro, I,45, 20-26; Velleio Patercolo, II, 47,1; Livio, Perioche, 107-108; Orosio, VI, 11,20-30; VII, 11,1-11.
Voci correlate
Bibliografia
Fonti primarie
- Gaio Giulio Cesare, De bello gallico;
- Cassio Dione, Storia di Roma, libri XXXVIII-XL;
- Plutarco, Vita di Cesare;
- Svetonio, Vite dei Cesari, libro I;
Fonti secondarie
- M. Cary, H. H. Scullard, Storia di Roma, vol. II, 2ª ed., Bologna, il Mulino, 1988, ISBN 88-15-02021-7.
- J. Carcopino, Giulio Cesare, Rusconi Libri, 1993, ISBN 88-18-18195-5.
- M. Jehne, Giulio Cesare, il Mulino, 1999.
- edizione italiana a cura di Augusto Guida E. Horst, Cesare, Rcs Libri, 2000.
- Luciano Canfora, Giulio Cesare. Il ditattore democratico, Laterza, 1999, ISBN 88-420-5739-8.
- André Piganiol, Le conquiste dei Romani, Milano, 1989, ISBN 88-04-32321-3.
- Theodore Ayrault Dodge, Caesar, New York, 1989-1997, ISBN 0-306-80787-4.
- Peter Berresford Ellis, L'impero dei Celti, Casale Monferrato, 1998, ISBN 88-384-4008-5.
- Sheppard Frere, Britannia, cap. 2, Londra, 1998, ISBN 0-7126-5027-X.
- Andrea Frediani, Le grandi battaglie di Giulio Cesare, Roma, 2003, ISBN 88-8289-941-1.
- Theodor Mommsen, Storia di Roma antica, vol. V/1, Firenze, 1973.
- Lawrende Keppie, The making of the roman army, cap. 3, Oklahoma, 1998, ISBN 0-8061-3014-8.
- Adrian Keith Goldsworthy, The roman army at war - 100 BC/AD 200, Oxford, 1998, ISBN 0-19-815090-3.
- La vita dei legionari ai tempi della guerra di Gallia, Milano, 1979.
Collegamenti esterni
- Commentarii de bello Gallico Testo originale (da la.wikisource)
- Analisi dell'assedio di Alesia su Carabinieri.it