Sine populo
Sine populo (in latino "senza il popolo") è un'espressione a volte utilizzata in riferimento a una messa celebrata da un sacerdote senza concorso di fedeli. Fra l'altro si trovava nella prima (1970) e della seconda (1975) delle edizioni del Messale Romano edite dopo il Concilio Vaticano II, ma a partire dalla revisione del 2002 è sparita quasi interamente. Però l'ha usata ancora Papa Benedetto XVI nel motu proprio Summorum Pontificum.[1]
Messale Romano
Il Messale Romano riconosce diverse forme della celebrazione della messa. Prima del Concilio Vaticano II, il Codice delle Rubriche del Breviario e del Messale Romano, 271, inserito nel Messale Romano del 1962, dichiarava che, se il sacerdote non canta alcuna parte, è una messa bassa; se invece egli canta quelle parti che gli spetta cantare, si ha o una messa solenne, se celebrata con l'assistenza dei sacri ministri (il diacono e il suddiacono), o una messa cantata.[2]
La revisione promulgata da Papa Paolo VI nel 1969 dava Ordo Missae cum populo (alle pagine 383–391 e 472–476); Ordo Missae sine populo (alle pagine 477–486); e Ordo Missae {alle pagine 392–471, cioè i prefazi e le preghiere eucaristiche).[3]
Inoltre presentava, nel suo Ordinamento generale del Messale Romano, tre forme della celebrazione della messa: "messa cum populo" (nn. 77-152) "messa concelebrata" (nn. 153-208) e "messa sine populo (nn. 209-231).[3]
Nell'edizione del 2002, riveduta e ampliata, il termine Missa cum populo rimane intestazione delle informazioni fornite ora ai numeri 115-198, e Missa concelebrata di quelle ai numeri 199–251 ma la terza sezione (252–272) parla della Missa cuius unus tantum minister participat;[4] nella traduzione ufficiale italiana, "Messa a cui partecipa un solo ministro".[5]
Nell'attuale edizione del Messale Romano, l'espressione sine populo, anche dopo la rimozione delle principali menzioni, rimane ancora, se per svista o no, in due posti:
1. Il Giovedì della Settimana Santa, si afferma: "Iuxta antiquissimam Ecclesiæ traditionem, hac die omnes Missae sine populo interdicuntur" (nella traduzione ufficiale italiana, "Per antichissima tradizione della Chiesa, in questo giorno tutte le Messe senza il popolo sono vietate").
2. Nella sezione "Messe e orazioni per varie necessità", si dice "Quae inveniuntur in tribus prioribus partibus dici possunt sive in Missa cum populo sive in Missa sine populo celebrata; quae vero in quarta parte colliguntur, dici possunt plerumque in Missis quae sine populo celebrantur, nisi ratio pastoralis aliquando aliter suadeat". Qui però la traduzione ufficiale italiana per "sine populo" mette "alla sola presenza di un ministro".[6]
"Messa privata"
In passato, la "messa a cui partecipa un solo ministro" o "senza popolo" era spesso chiamata "messa privata".
Il termine "messa privata", che al tempo del Concilio di Trento significava una messa alla quale solo il sacerdote riceveva la communione indipendentemente da quanti stavano presenti, acquisì posteriormente il senso di messa celebrata da un sacerdote senza il popolo e assistito solo da un ministrante.[7] Il papa Giovanni XXIII nel suo Codice delle Rubriche del Breviario e del Messale Romano, 269, che fa parte del Messale Romano del 1962, ordinò di evitare l'uso si tale termine.[8][9]
Il Concilio Vaticano II decretò: "Va sottolineato che ogni volta che i riti, secondo la loro specifica natura, prevedono la celebrazione comunitaria della messa e la partecipazione attiva dei fedeli, devono essere svolti in tale modo, evitando per quanto possibile, una celebrazione individuale e quasi privata "[10].
Papa Paolo VI sottolineò inoltre che "nessuna messa è privata'", spiegando che "ogni celebrazione non è qualcosa di segreto, anche se un sacerdote lo celebra privatamente; è invece un atto di Cristo e della Chiesa"[11].
Origene della messa sine populo
Nella Catholic Encyclopedia del 1910, Adrian Fortescue spiega l'origine di simili messe:
- Nel primo medioevo la concelebrazione venne sostituita da celebrazioni separate private. Alla novità avrà contribuito l'usanza di offrire ogni messa per una intenzione particolare. Le celebrazioni separate comportarono la prolificazione di altari nella stessa chiesa e la riduzione del rito alla forma più semplice possibile. Così si fece a meno del diacono e del suddiacono; il sacerdote celebrante oltre alla sua parte svolgeva anche la loro. Un ministrante sostituì al coro e agli altri ministri, tutto si diceva invece ti cantarlo, vennero omessi l'incenso e il bacio della pace.[12]
La celebrazione della messa senza popolo si distingue dalla celebrazione senza nemmeno un ministrante o chi almeno da una distanza risponda alle parole del sacerdote. Contro simili celebrazioni "solitarie" si emanarono alcuni decreti che imponevano la presenza di almeno due persone, in modo da giustificare l'uso del plurale in formule liturgiche come Dominus vobiscum.[13] Però generalmente si richiedeva solo la partecipazione di uno solo: il Codice di Diritto Canonico del Codice Piano Benedettino del 1917 prescriveva: "Un sacerdote non deve celebrare la messa senza un ministrante che gli serva e risponda"[14] Il Codice di Diritto Canonico del 1983 decreta: "Il sacerdote non celebri il Sacrificio eucaristico senza la partecipazione di almeno qualche fedele, se non per giusta e ragionevole causa".[15]
La celebrazione della messa con il popolo non richiede necessariamente che altri, fuori del sacerdote ricevano sacramentalmente la comunione: il Concilio di Trento declarò: "Desidererebbe certo, il sacrosanto sinodo, che in ogni messa i fedeli che sono presenti si comunicassero non solo con l’affetto del cuore, ma anche col ricevere sacramentalmente l’eucarestia, perché potesse derivarne ad essi un frutto più abbondante di questo santissimo sacrificio. E tuttavia, se ciò non sempre avviene, non per questo essa condanna come private e illecite quelle messe, nelle quali solo il sacerdote si comunica sacramentalmente, ma le approva e quindi le raccomanda, dovendo ritenersi anche quelle, messe veramente comuni, sia perché il popolo in esse si comunica spiritualmente, sia perché vengono celebrate dal pubblico ministro della chiesa, non solo per sé, ma anche per tutti i fedeli, che appartengono al corpo di Cristo.[16]
Note
- ^ Summorum Pontificum, art. 2
- ^ Missale Romanum 1962, p. XXI
- ^ a b Missale Romanum. Editio typica altera (Libreria Editrice Vaticana 1975)
- ^ Missale Romanum. Editio typica tertia (Typis Vaticanis 2002)
- ^ Ordinamento Generale del Messale Romano
- ^ {https://liturgico.chiesacattolica.it/messale-romanoterza-edizione-italiana/ Messale Romano terza edizione italiana]
- ^ Source and Summit: Commemorating Josef A. Jungmann, S.J.. Liturgical Press; 1999. p. 44.
- ^ "Sacrosanctum Missae Sacrificium, iuxta canones et rubricas celebratum, est actus cultus publici, nomine Christi et Ecclesiae Deo redditi. Denominatio proinde « Missae privatae » vitetur."
- ^ Codice delle Rubriche del Breviario e del Messale Romano, 271 ([https://www.vatican.va/archive/aas/documents/AAS-52-1960-ocr.pdf Acts Apostolicae Sedis 1960, p. 643).
- ^ ''Sacrosanctum Concilium'', 27, su vatican.va, 4 dicembre 1963. URL consultato il 17 maggio 2012.
- ^ Paul VI, ''Mysterium Fidei'', 32, su vatican.va. URL consultato il 17 maggio 2012.
- ^ Adrian Fortescue, "Liturgy of the Mass", in Catholic Encyclopedia (New York 1910
- ^ Edward Foley et alii, A Commentary on the General Instruction of the Roman Missal (Liturgical Press, 2008 ISBN 0-8146-6017-7, 978-0-8146-6017-1), p. 311
- ^ Codice di Diritto Canonico 1917, canone 813
- ^ Codice di Diritto Canonico (1983), canone 906
- ^ Concilio di Trento, sessione XXII, capitolo VI