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Stemma della famiglia Borghese

La collezione Borghese è una collezione di opere d'arte nata nel corso del Seicento a Roma, che deve la sua evoluzione e rilevanza all'attento mecenatismo di Scipione Caffarelli Borghese.

La raccolta, che comprende pezzi archeologici, sculture, dipinti ma anche elementi d'arredo (mobilia, oggettistica), fu sin dall'origine tra le più notevoli e importanti della città e d'Europa, trovando la sua conservazione stabile nella villa Pinciana voluta dallo stesso cardinal-nipote.

Nel corso dell'Ottocento diverse opere di notevole importanza furono vendute dagli eredi Borghese, in particolar modo un grosso gruppo di statuaria classica entrò nelle raccolte napoleoniche, finché nel 1902 lo Stato Italiano non acquistò ciò che restava della collezione, musealizzandola all'interno della dimora storica romana del casato, dando vita all'attuale Galleria Borghese.

Storia

Gli inizi sotto Scipione Borghese

Le prime opere della collezione, di matrice toscana, si registrano intorno al 1519, con Pietro Borghese (1469-1527), natio di Siena e senatore di Roma dal 1515 per volere di papa Leone X.

 
Busto di Scipione Borghese

Il nucleo più importante della raccolta tuttavia lo si deve all'attenzione verso il collezionismo prorompente e dilagante di Scipione Caffarelli Borghese, la cui ascesa sociale viaggio parallela alla salita al trono papale dello zio, papa Paolo V Borghese, la cui passione per l'arte lo portò a non fermarsi davanti a nulla pur di acquisire nuovi pezzi per la propria collezione. Questa iniziò con opere appartenenti al patrimonio familiare, appunto alcune antiche sculture e dipinti di maestri toscani catalogati nelle raccolte di Pietro, ma nel corso del XVII secolo continuò fino a formare una delle più grandi collezioni d'arte italiane. Le raccolte erano in gran parte organizzate dentro la villa Borghese Pinciana, edificata per suo volere e quello dello zio papa Paolo V intorno al 1606, e nei luoghi adibiti a giardino circostanti, dove venivano esposte statuarie e rilievi dell'antichità, in altra parte nel palazzo di famiglia di via della Conciliazione, posseduto dalla famiglia dal 1609 al 1635 e che poi diverrà dei Torlonia.

 
Villa Borghese

Gran parte della collezione era inizialmente costituita dalle opere di antichità rinvenute durante i vari scavi che si stavano tenendo in diversi possedimenti Borghese, come quelli degli Horti Lamiani, presso l'Esquilino, o degli Horti Sallustiani. I gusti artistici del cardinale erano eterogenei, essendo questi un mecenate amatore delle più varie espressioni artistiche, ma comunque indirizzati verso un linguaggio che aveva come denominatore comune quello dell'arte antica. Nelle raccolte di Scipione erano infatti pressoché assenti opere medievali e bizantine, mentre erano cospicue opere di pittori che hanno comunque studiato da vicino la statuaria classica, come Gianlorenzo Bernini, Domenichino, Tiziano, Guido Reni, Bronzino, Velazquez, Poussin, Raffaello, Caravaggio, Rubens. Per ogni artista presente nel catalogo, Scipione Borghese cercò di acquisire diverse opere che rappresentassero l'evoluzione del suo stile.

 
Ermafrodito

La raccolta di Scipione non era unicamente frutto delle commesse che questi avanzava ai pittori e scultori del tempo, ma si arricchì soprattutto grazie a collezioni altrui, donate, acquistate o confiscate, come quella del 1607, allorché lo zio, papa Paolo V, gli donò un insieme di opere sequestrate (circa un centinaio) al Cavalier d'Arpino, o come il prelievo coercitivo notturno avvenuto presso la chiesa di San Francesco al Prato di Perugia, su volontà del cardinal-nipote, disposto fino a questo punto pur di riuscire ad accaparrarsi la Pala Baglioni di Raffaello. Tra gli acquisti più notevoli, invece, si segnalano quello del 1605 che interessò la Madonna dei Palafrenieri di Caravaggio, rifiutata dalla Confraternita poco tempo prima dell'esposizione nella cappella in San Pietro, quello che riguardò un intero blocco della collezione di Tommaso della Porta, scultore e antiquario, quello della collezione del patriarca di Aquileia, del 1607, quella del cardinale Sfondrato, del 1608, da cui prelevò circa 71 dipinti, fra i quali si ipotizza l'Amor Sacro e Amor Profano di Tiziano, il Ritratto di Giulio II (oggi alla National Gallery di Londra) e la Madonna del velo (oggi al Museo Condré di Chantilly) entrambe di Raffaello. Allo stesso periodo ricade anche l'acquisto dell'Ermafrodito dormiente, poi restaurato da Bernini (oggi al Louvre di Parigi), che fu rinvenuto nel 1608 tra le terme di Diocleziano e quella degli Horti Sallustiani, e che in cambio del quale il cardinale si impegnò a contribuire finanziariamente alla realizzazione della chiesa che si stava innalzando su quel suolo, o l'acquisizione del Gladiatore Borghese (oggi al Louvre di Parigi), rinvenuto durante alcuni scavi compiuti presso Anzio.

 
Apollo e dafne, Gian Lorenzo Bernini

Tra le commesse dirette avviate da Scipione Borghese, quelle più prestigiose furono quelle legate al sodalizio artistico che vi fu con Gian Lorenzo Bernini, che dal 1615 al 1623 eseguì per il cardinale i celeberrimi gruppi scultorei ancora oggi conservati nella Galleria, come la Capra Amaltea, l'Enea, Anchise e Ascanio, il Ratto di Proserpina, il David, l'Apollo e Dafne, ma anche altre pittoriche di autori del Seicento romano, come quella del 1608 a Giovanni Baglione al quale fu richiesta la Giuditta con la testa di Oloferne.

Alla morte di Scipione, nel 1633, la sua collezione era tra le più ricche e stimate della città, citata e segnalata da molti viaggiatori che passavano per Roma; alla sua morte tutti i beni mobili e immobili furono sottoposti a un vincolo fidecommissario col fine di preservarne l'integrità, cosa che avvenne fino alla fine del XVIII secolo. Alla fine del Seicento, la collezione Borghese contava circa 800 dipinti oltre che una delle più corpose raccolte archeologiche della città e d'Europa.

Il lascito della collezione Aldobrandini

Durante il XVII secolo i Borghese continuarono ad ampliare la collezione di Scipione. Un'aggiunta significativa si ebbe con l'eredità di Olimpia Aldobrandini, moglie di Paolo Borghese. Nel 1682 l'importante collezione Aldobrandini venne divisa tra i suoi figli, provenienti da due letti diversi: Gianbattista Pamphilj (Papa Innocenzo X),(questa parte nutrirà la collezione Pamphilj, attualmente la Galleria Doria-Pamphilj) e Gianbattista Borghese.

La collezione nel Settecento

Nel 1781 fu rinvenuta un'altra versione antiche dell'Ermafrodito dormiente (oggi alla Galleria Borghese) che prenderà poi il posto della prima versione ritrovata, quella restaurata dal Bernini,poi confluita nel Museo del Louvre.

Nel 1792, con gli scavi di via Prenestina, rinvennero circa quarantotto opere archeologiche.

Sul finire del Settecento iniziarono i tempi difficili per la famiglia romana; gli inizi del secolo infatti molti pezzi della collezione furono dismessi su volontà di Marcantonio IV, in particolar modo i reperti archeologici, di cui se ne contavano all'epoca più di cinquecento, che furono ceduti a un mercante parigino e che, per alcuni di questi, hanno poi visto la strada per il Louvre.

Le dismissioni ottocentesche

Le dismissioni delle opere antiche

Nel XIX secolo, durante l'occupazione francese, la pressione fiscale aumentò notevolmente per finanziare le campagne napoleoniche, con aggravio sulle famiglie che si erano opposte ai francesi. Di fronte alle pressanti richieste che venivano da Napoleone stesso e dalle pressioni fiscali e politiche dall'amministrazione francese installatasi a Roma, Camillo Borghese, figlio di Marcantonio IV, nel 1809 fu forzato a vendere una buona parte della sua magnifica collezione di statuaria romana (circa 350 pezzi) direttamente a Napoleone per la somma di otto milioni di franchi, nonostante la collaborazione fattiva e continuata di Camillo con gli occupanti francesi e il matrimonio con la sorella preferita di Napoleone, Paolina[1]. Il principe Borghese non ottenne neanche tutta la somma in cambio della collezione e fu obbligato ad accettare in pagamento terre e diritti minerari in Lazio, requisite all'uopo dai napoleonici, e che vennero restituite ai proprietari con la Restaurazione.[2] Secondo lo storico Ferdinand Boyer,[3] Camillo Borghese era in difficolta finanziarie a seguito dell'invasione napoleonica e venne costretto a vendere parte della collezione per far fronte alle spese del patrimonio.

Restaurato il governo pontificio con il Congresso di Vienna, Camillo Borghese cercò in tutti i modi il recupero della propria raccolta di antichità. Vi era l'editto del 1802 di papa Pio VII sulla conservazione e tutela del patrimonio artistico di Roma, che poneva diverse limitazioni all'alienazione di opere d'arte all'estero. Vi erano gli atti dell'amministrazione dello Stato Pontificio nel 1807 che bloccavano la vendita della collezione Borghese (Emiliani 1978; Rossi Pinelli 1979; Herrmann-Fiore 2005). Diversi studi sono stati pubblicati sulla compravendita (vedasi Boyer 1937; Debenedetti 1991; Pinon 1998; Chatelain 1999), contro la quale si mobilitò tutto il mondo intellettuale dell'epoca. Nel 1807 Antonio Canova intervenne scrivendo direttamente a papa Pio VII un famoso memoriale contro la vendita dei marmi della collezione Borghese a Napoleone.[4] In esso, lo scultore sollevava molti dubbi sulla legalità e sulla moralità dell'accordo. Vedendo quei capolavori a Parigi al Louvre nel 1810, Canova disse a Napoleone: «Gran orrore Maestà! Vendere capi d'opera di quella sorta! Quella famiglia sarà disonora finché vi sarà storia!».[5] Ancora, Canova definì la vendita «un’incancellabile vergogna» per quegli stessi Borghese proprietari della «villa più bella del mondo».[6] Fu così che la statuaria romana della collezione Borghese, di cui facevano parte l'Ermafrodito dormiente restaurato dal Bernini, l'Antinoo Mondragone descritto dal Winkelmann, il Gladiatore Borghese, l'Era Borghese, l'Ares Borghese, andarono a costituire il nucleo portante della collezione di statuaria classica del Musee Napoleon, oggi chiamato Louvre. Della collezione Borghese vennero vendute 344 antichità, di cui 154 statue, 160 busti, 20 colonne e vari vasi tra cui il Vaso Borghese.

Nel 1815 solo una piccola parte di questi pezzi fu restituita ai Borghese, a causa, probabilmente, del mancato pagamento del prezzo. I tentativi di restituzione della collezione andarono a vuoto, anche per la mancanza del supporto del governo pontificio al Principe collaboratore di Napoleone. Antonio Canova, incaricato da papa Paolo VII di reperire le opere romane sottratte dalle spoliazioni napoleoniche, proverà a trasferire a Roma anche quelle della collezione Borghese; tuttavia il contratto di vendita stipulato tra Camillo e Napoleone impedì di considerare le opere Borghese come espropriate.

La vendita delle opere d'arte

Tra le prime opere pittoriche a lasciare l'inventario dei Borghese fu il Ritratto di Giulio II di Raffaello, messo probabilmente sul mercato e acquistato da un antiquario inglese, così da entrare nella British Gallery nel 1823, dove da allora si trova. In un contesto in cui si attuavano le spoliazioni napoleoniche in tutta Italia, come scriveva l'antiquario inglese W. Buchanan nel 1824, Napoleone aveva «imposto grandi somme di denaro sui principi e la nobilità (...) che si era opposta alle sue armate, e quando vedeva che queste venivano pagate, rinnovava le sue richieste finché pensava che i proprietari di opere d'arte detenessero ancora dei tesori antichi: questa fu la sorte dei Principi Colonna, Borghese, Barberini, Chigi, Corsini, Falconieri, Lancellotti, Spada con molte delle famiglie nobili di Roma, vennero forzati... a vendere i loro dipinti... per provare che non disponessero più dei mezzi per sostenere queste pesanti e continue tassazioni».[7]

Quella del Ritratto a Giulio II non fu l'unica opera venduta di Raffaello durante gli anni della rivoluzione francese: allo stesso arco di tempo risalgono le dismissioni di altre opere come le Tre Grazie (oggi al Museo Condré di Chantilly) e il Sogno del Cavaliere e la Santa Caterina (oggi alla National di Londra).

Nel 1827 il principe Camillo Borghese comprò nel mercato antiquario di Parigi la Danae del Correggio e s'impegnò a restaurare i guasti delle spoliazioni napoleoniche della Villa Borghese, per la quale organizzò un nuovo allestimento espositivo in ordine alle opere rimaste nella Galleria, ripensando anche un secondo accesso alla villa, aperto direttamente da piazza del Popolo. Inoltre sempre a lui si deve la commissione ad Antonio Canova della Paolina Bonaparte come Venere vincitrice. Nel 1832 intanto Camillo muore e successivamente vengono rinvenute altre opere tra il 34 e 35 a Monte Calvo in Sabina durante gli scavi di una villa romana avviato dieci anni prima.

Caduto l'impero napoleonico negli anni 30, al fine di evitare ulteriori dispersioni, nel 1833 il principe Francesco Borghese firmò un accordo che rendeva tutto inalienabile attraverso un altro fidecommesso, che di fatto rinnovava il primo stilato da Scipione Borghese nel 1633 e che copriva tutte le opere mobili e immobili presenti nella villa. Un primo aspetto museale della galleria si consolida già nel 1841 con il regolamento di visita della collezione.

Tuttavia già dal 1888 i successori di Francesco Borghese, come il principe Paolo, vende alcune opere del patrimonio di famiglia non vincolate dal fidecommesso (o comunque non è stato appurato se i termini del fidecommesso Borghese fossero stati sciolti per consentire la vendita di alcune di queste opere su cui inizialmente vigeva il vincolo). Vennero quindi vendute nel 1891 all'americano Luther Kountze due opere di Pietro Bernini (queste erano addirittura in origine entro il Fedecommesso Borghes) e commissionate dal cardinal Borghese nel 1616, poste originariamente all'entrata della vigna di porta Pinciana: Primavera e Autunno. Le due opere sono conservate al museo MET di New York dal 1990.[8] Due busti di papa Paolo V realizzati da Gian Lorenzo Bernini, su commissione diretta dello stesso papa e conservati presso la "galleria" di Villa Borghese, vennero alienati invece in un’asta tenuta a Roma tra il 13 e il 24 marzo 1893, assieme ad altre opere d’arte della collezione Borghese. Un busto passò in una collezione privata a Vienna, ma dalla fine del XIX secolo se ne sono definitivamente perse le tracce;[9] venne poi riscoperto e riattribuito a Gian Lorenzo Bernini da Francesco Petrucci,[10] uno dei massimi esperti berniniani, e si trova ora al Getty Museum di Malibù.[11] Il secondo, in bronzo, fu venduto nel 1892 ed è confluito poi a Copenaghen, Staten Museum for Kunst. Altre due opere di Pietro Bernini provenienti da Villa Borghese sono a Bergamo all'Accademia Carrara: la Virtù sottomette il Vizio, con l'aquila borghese in basso a sinistra, e l'Andromeda, citata nei giardini della villa.

Nel 1895, infine, altre sculture ancora furono poi acquistate da Carl Jacobsen e si conservano oggi alla Ny Carlsberg Glyptotek a Copenaghen.

Il museo della Galleria Borghese

Nel 1902, quando le finanze dei Borghese subirono un severo tracollo finanziario, le collezioni furono acquistate dallo Stato italiano per 3,6 milioni di lire. L'unità tra il giardino e la villa si perse nel 1903, quando lo Stato vendette il giardino al Comune di Roma.

Recentemente, sul mercato antiquario è comparso il Ritratto del Principe Camillo Borghese in abiti napoleonici dipinto da François Gérard (1770-1837), allievo di Jacques-Louis David. Il dipinto proviene direttamente dagli eredi Borghese ed è stato venduto alla Frick Collection di New York, dopo un'errata autorizzazione all'esportazione delle Belle Arti di Bologna.

Descrizione

La collezione contava una delle più importanti raccolte archeologhe di roma, con ca. 350 pezzi archeologici, di cui una parte trasferita nel 1807 al louvre e unaltra rimasta in sede. Le opere della collezione erano esposte sia nella villa Borghese Pinciana, compresi i giardini circostanti, dov'erano sia opere antiche, come le statue sorridenti (oggi al MET di New York), o le sculture berniniane, la Flora e Priapo, sia nel palazzo familiare di via della Conciliazione, dove vi rimasero fino al 1635, quando l'edificio fu ceduto alla famiglia Torlonia.

Elenco

Note

  1. ^ Dorothy Mackay Quynn, The Art Confiscations of the Napoleonic Wars, in The American Historical Review, vol. 50, n. 3, 1945, pp. 437–460, DOI:10.2307/1843116. URL consultato il 19 aprile 2020.
  2. ^ 9 Miintz, in Rev. hist. dipl., X, 485; Lanzac de Laborie, VIII, 282-88; Sa.
  3. ^ (EN) Carole Paul, The Borghese Collections and the Display of Art in the Age of the Grand Tour, Routledge, 5 luglio 2017, ISBN 978-1-351-54592-1. URL consultato il 19 giugno 2020.
  4. ^ A. Campitelli (a cura di), Canova 1807. Memoriale a papa Pio VII in difesa del diritto del popolo romano contro la vendita dei marmi della collezione borghese a Napoleone, Milano, 2005.
  5. ^ Bentornato Ermafrodito. La strepitosa collezione di marmi antichi venduta a Napoleone, su Il Sole 24 ORE. URL consultato il 14 giugno 2020.
  6. ^ www.ilgiornaledellarte.com, https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/2011/12/111116.html. URL consultato il 14 giugno 2020.
  7. ^ 40 Buchanan, II, 2-3.
  8. ^ www.metmuseum.org, https://www.metmuseum.org/art/collection/search/207813. URL consultato il 23 giugno 2020.
  9. ^ F.Petrucci, UN BERNINI RISCOPERTO Il busto in marmo di Paolo V in Studi di Storia dell'arte 26/2015, pp.201-214
  10. ^ https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/2015/7/124753.html
  11. ^ News from the Getty | J. Paul Getty Museum is Acquiring Recently Rediscovered Bernini, su news.getty.edu. URL consultato il 20 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 20 giugno 2015).