Videoarte

forma d'arte basato sulla creazione di immagini mediante strumentazioni video
Versione del 18 nov 2007 alle 19:32 di Marcok (discussione | contributi) (+senza fonti)

La video arte – in inglese video art – è un linguaggio artistico basato sulla creazione e riproduzione di immagini in movimento mediante strumentazioni video.

Lo sviluppo di questa modalità espressiva è quindi strettamente legata all'evoluzione della tecnologia, come avviene analogamente nell'utilizzo del medium fotografico applicato all'arte. Questa stretta interazione tra arte e scienza ha infatti imposto specifici parametri di fruizione rispetto all’arte tradizionale e riaperto la riflessione sull’incontro tra produzione creativa e processo tecnologico che Walter Benjamin aveva riferito in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica del 1936 alla fotografia e all’idea di originalità delle opere fotografiche prodotte in più esemplari.

La video arte oggi

Attualmente lo sviluppo innarestabile della tecnologia a cui è legata questa forma di espressione rende particolarmente vivace la produzione nel campo della video arte, che in modo esteso s'avvale ovviamente di ogni tipo di piattaforma e di supporto disponibile: basti pensare all'utilizzo di schermi al plasma e LCD, di proiezioni sempre più luminose e di supporti digitali d'ogni tipo, del personal computer, del web, dei minischermi LCD di cui sono muniti gli iPod e la telefonia mobile, fino alle ultimissime possibilità date dalle nuove tecnologie HD, con evoluzioni in direzione di una qualità sempre maggiore.

La nascita del termine video arte

Il termine video arte (coniato dal mercato dell'arte newyorchese) segue cronologicamente la definizione di Nam June Paik (tra i pionieri, assime ai Vasulka e a Godfrey Reggio, della prima epoca della video arte), che intitolava una sua personale del 1968 a New York Electronic Art, dando una prima definizione di utilizzo del mezzo video, in particolare in questo caso corrispondente all'uso di televisori.

I primi passi di questa forma espressiva

Possiamo identificare nella seconda metà degli anni sessanta il momento della nascita della video arte. Nel 1963 Nam June Paik realizza Exposition of Music-Electronic Television, considerato oggi il primo atto concreto di pratica della video arte. La svolta decisiva e il riconoscimeto ufficiale di questa nuova sperimentazione artistica è comunque nel 1968 con la mostra curata da Pontus Hulten al MOMA di New York The machine as seen at the end of the mechanical age che segna il passaggio dall'epoca della macchina a quella della tecnologia. In questa mostra Nam June Paik utilizza per la prima volta un primitivo videoregistratore e nello stesso anno, dall'altra parte dell'oceano, all'Institute of Contemporary Art di Londra Jasia Reichardt realizza il progetto espositivo Cybernetic serendipity insieme ad un esperto di tecnologia ed uno di musica: i visitatori vengono avvertiti che non avrebbero capito con facilità se le opere erano state realizzate da un artista o da uno scienziato. Ora possiamo infatti dire che ci sarebbero voluti addirittura dei decenni prima che il pubblico si abituasse all'immissione della tecnologia nell'arte. Il binomio arte e tecnologia è al contrario stato incalzante fin dall'inizio se pensiamo che nel gennaio del 1969 all'Armory di New York viene organizzata la serie di eventi 9 evenings dal gruppo di artisti Eat – Experiments in art and technology che ha iniziato a riunirsi già nel 1966.

Una nuova idea di fruizione

Lontana da un utilizzo passivo del mezzo tecnologico, la video arte si serve del medium per precise finalità comunicative e non si ferma ad una pura documentazione della realtà. La sua capacità di intervenire sul reale e sulla sua percezione si traduce nella messa in discussione della posizione assoluta dello spettatore. Questo avviene in particolare nelle opere interattive. Ne sono un esempio l'installazione Videoplace dei primi anni settanta di Myron Krueger che riproduceva col colore su un monitor i movimenti dello spettatore, e l'intervento a circuito chiuso di Dan Graham che in una sua mostra riprendeva il pubblico e lo mostrava nella sala successiva. In questo caso soggetto e fruitore corrispondono, come del resto avviene con la Tv che rimanda alla società le immagini della società stessa, e come si manifesta oggi in maniera estrema con i reality show in cui gli spettatori vogliono vedere rispecchiata e celebrata la propria quotidianità. Questo meccanismo autoreferenziale è stato anticipato e sintetizzato perfettamente da Nam June Paik nell'opera del 1974 Tv Buddha in cui una statua della divinità osserva la propria immagine ripresa e trasmessa nella TV che le sta di fronte. La video arte ha infatti in più occasioni messo in discussione i meccanismi televisivi che si avvalgono dei medesimi mezzi tecnologici, ma solo in rari casi la video arte è riuscita a raggiungere con questo punto di vista critico la diffusione propria della televisione: è riuscito a farlo ad esempio Jan Dibbets che ha sostituito per alcuni istanti le trasmissioni con l'immagine di un fuoco, di un'intimità domestica che solitamente lo spettatore perde guardando la TV.

Esponenti: da ieri ad oggi

Tra i maggiori pionieri ed esponenti della videoarte internazionale ricordiamo Nam June Paik, Wolf Vostell, Bill Viola, Gary Hill, Bruce Nauman, Cindy Sherman e tra gli esempi più attuali Matthew Barney e Tony Oursler; in Italia pioniere è stato il gruppo Studio Azzurro, che realizza opere interattive di video arte, quindi Marco Agostinelli e Fabrizio Plessi. Nei primi anni '90 si segnalano collettivi underground a Roma, Milano, Bologna, Napoli. Tra gli esponenti più interessanti, due americani trapiantati in Italia Norman Mc Laren e Robert Chroscicki, fondatore della Chiesa dell'Elettrosofia, entrambi accomunati da complesse storie personali. Tra i giovani a lavorare con le immagini in movimento citiamo Vanessa Beecroft, Sara Rossi, Stefano Cagol, Marcello Maloberti, Marcella Vanzo, Ottonella Mocellin.