Fabianesimo
Il fabianesimo (detto anche fabianismo), è un movimento politico e sociale britannico di ispirazione socialdemocratica, e facente capo alla Fabian Society, associazione londinese di fine Ottocento che si proponeva come scopo istituzionale l'elevazione delle classi lavoratrici, per renderle idonee ad assumere il controllo dei mezzi di produzione.
La Società fabiana
La Società fabiana, o Fabian Society in lingua inglese, nacque nel 1884 a Londra, con l’obiettivo di mettere in pratica le teorie del filosofo Thomas Davidson. Questi sosteneva che il progresso sociale dipendesse dalla rigenerazione individuale e che, per portare il mondo verso un sistema di vita migliore, occorresse che gruppi di individui si impegnassero a vivere un alto ideale di amore e fratellanza. Il fine dell’associazione era quindi quello di studiare quali fossero le condizioni per un’esistenza felice all'interno di un sistema di vita comunitario.
Tuttavia, i primi dodici membri della Società si mostrarono scettici verso le idee di Davidson e desiderarono un più preciso programma di riforme sociali. Pertanto, dichiararono di aver bisogno di tempo prima di enunciare una linea d’azione. Di qui, su proposta di Frank Podmore, co-fondatore del movimento, assunsero il nome di “Fabiani” per indicare il loro desiderio di esaminare i fatti più a fondo prima di agire, come si legge in uno dei loro primi opuscoli. Il nome della Società, del resto, deriva da quello del generale romano Quinto Fabio Massimo, detto il Temporeggiatore, che evitava le battaglie campali per poi gradualmente logorare le forze nemiche.
Proprio il concetto di gradualismo è la chiave di volta di tutto il pensiero politico dei Fabiani, i quali credevano nel graduale affermarsi del socialismo. Un ideale che in realtà si affermò solo molto tempo dopo la fondazione della Società grazie al contributo di Sidney Webb, altra figura illustre del Fabianesimo.
Sebbene anche al suo apice, nel 1946, avesse solo 8.400 membri, non bisogna sminuire l'importanza di questo movimento. Accanto al gradualismo, l’altra tattica vincente dei Fabiani consisteva nel fatto che essi preferirono esercitare una certa influenza, o meglio, “permeare” i partiti con idee socialiste, invece che formare il proprio partito politico o lavorare attraverso i sindacati. “Permeazione” significava infatti, per i Fabiani, aggregarsi a tutte quelle organizzazioni politiche dove fosse possibile attuare un progetto di indirizzo socialista e influenzarle dal loro interno, una volta entrati negli organi direttivi delle organizzazioni politiche stesse. La Società fabiana, in particolare, permeò il Comitato di rappresentanza laburista separato, che divenne il Partito laburista, nei primi anni del Novecento, e da allora la Società fu affiliata a tale partito.
Origini del pensiero fabiano
Il Fabianesimo è però il frutto di un’evoluzione storica del pensiero filosofico e politico britannico, che mette radici negli anni della prima rivoluzione del mondo moderno, ossia la Rivoluzione puritana del 1642. In quel periodo, infatti, vennero discussi i fondamenti dell’autorità religiosa e politica e cominciarono ad emergere nuovi ceti sociali e gruppi politici decisi ad ottenere un peso essenziale negli equilibri di potere. Tra questi si distinsero i Livellatori, che costituiscono l’antecedente storico-filosofico del socialismo britannico, nonché del Fabianesimo.
Secondo il laburista Tony Benn, in Arguments for Socialism, fonte di ispirazione per il pensiero fabiano furono proprio le tesi di quel partito politico, esposte durante i Dibattiti d Putney del 1647 nel manifesto Agreement of the People, le quali, per la prima volta, proponevano come principi fondamentali di uno Stato la libertà e l’uguaglianza, che dovevano però convivere con la proprietà privata.
Da tali rivendicazioni prenderà forma nel corso del Settecento il partito radicale, che, nonostante la scarsa rappresentanza ai Comuni, svolse il ruolo di terza forza politica accanto ai Whigs e Tories. La nota dominante di questo atteggiamento politico è d’altra parte l’avversione al privilegio, identificato nel monopolio del re e dell’aristocrazia terriera, nel vasto apparato clientelare della Camera dei Lord, della Chiesa Anglicana e delle compagnie commerciali. Tuttavia, negli anni della Rivoluzione francese, tale partito subì una profonda crisi, dalla quale uscì totalmente rinnovato a livello ideologico grazie all’opera di grandi intellettuali come Jeremy Bentham, Tom Paine e William Godwin.
Il primo, infatti, sviluppò una filosofia giusnaturalista che faceva dei diritti naturali e inalienabili dell’uomo il presupposto della rivendicazione di una forma democratica di governo, facendo della rivoluzione lo strumento necessario per il perseguimento di tale rivendicazione.
Il secondo sosteneva la rivoluzione istituzionale, ma in termini decisamente meno agguerriti. Infatti, più che una violenta presa di potere Paine preferiva che il popolo prendesse coscienza di quali fossero i diritti inalienabili dell’essere umano di modo che attraverso una conseguente azione popolare venissero recuperati tali diritti, negati dalla tirannia e, così facendo, tutti i membri della società sarebbero stati messi su un perfetto piede di parità.
Accanto all’opinione di Paine, si affermò l’ideale di una “società senza governo”, promosso da Godwin. Tutte le istituzioni sono infatti per Godwin “i grandi mali morali che ci sono al mondo”, di cui l’umanità potrà fare a meno in futuro. Inoltre, sebbene giustificò la resistenza all’autorità in caso di oppressione, condannò la violenza rivoluzionaria ed identificò le armi della critica come le sole capaci di demolire gli arcana imperii.
Tuttavia, fu soprattutto la filosofia di Bentham ad influenzare notevolmente il pensiero del partito radicale. Le sue teorie cercarono, d'altronde, di adeguare il sistema legislativo inglese ai nuovi rapporti sociali delineatisi nel corso della Rivoluzione industriale. Egli, inoltre, mostrava avversione verso qualsiasi tipo di privilegio accordato dalla legge ai ceti o verso interessi particolari, da lui stesso chiamati sinister interests. Di qui, ritenne opportuno, dunque, rifondare la legislazione dello Stato secondo tre principi etici fondamentali: l’utilità, il benessere e la libertà individuali. In particolare, vedeva nell’utilità il criterio dell’azione morale, il benessere come il fine ultimo di ogni azione e la libertà il mezzo per perseguire tale fine. In questo modo, pervenne alla giustificazione dell'altruismo partendo da presupposti egoistici: «la maggiore felicità del maggior numero di individui». A Bentham risale la teoria, infatti, del calcolo sull’utilità immediata e futura delle proprie azioni e della conseguente estensione del piacere cosicché i piaceri ricercati dal singolo possano promuovere la felicità generale. La funzione della sua filosofia fu quindi duplice: da un lato critica, dall'altro orientativa per la condotta individuale: cerca di fornire gli strumenti adeguati per aiutare gli uomini a scegliere secondo la loro natura.
In politica tale pensiero tendeva ad identificarsi con una riforma parlamentare, che promuovesse una legislazione e un'amministrazione efficienti e trasparenti. Bentham e i suoi seguaci attribuirono così la massima importanza alla pubblicità degli atti di governo e alla diffusione dell'istruzione, da cui sarebbe derivato un progressivo aumento dell'interesse per la cosa pubblica e quindi un più efficace controllo dei governati sui governanti. Ne consegue che la dottrina utilitaristica di Bentham veniva incontro soprattutto alle aspirazioni dei ceti emergenti, e cioè ai massimi artefici e beneficiari del nuovo assetto industriale e commerciale dell'Inghilterra.
Gli stessi Fabiani si proclamarono eredi di questa tradizione facente capo a Bentham, ma il pensatore che più di altri fu d’ispirazione primaria per loro fu John Stuart Mill. Questi era allievo dello stesso Bentham, ma presto prese le distanze dai suoi insegnamenti, sviluppando una filosofia del tutto autonoma, ma anche ambigua, specie nelle questioni riguardanti la natura dell’uomo e il suo posto nella società. Mill in effetti è apparso sia come anticipatore del collettivismo sia come difensore della libertà individuale, minacciata, secondo lui, non tanto dagli abusi dei potenti, quanto dagli eccessi della democrazia. Il pensiero di Mill, rispetto a quello del maestro, si fondava sul “libero sviluppo dell’individualità”, in modo da perseguire il “bene più grande costituito dalla libertà umana”. La libertà è proprio il punto di discordia tra Bentham e Mill: mentre il primo la considerava un elemento subordinato e strumentale, l’altro la vedeva come “fine in sé”. Si tratta insomma di conclusioni inconciliabili con l’utilitarismo di Bentham e che però esaltano la libertà individuale: intesa come un mezzo ordinato al conseguimento del benessere, una condizione necessaria al progresso dell’umanità ed un elemento costitutivo di quel benessere e di quel progresso. A livello politico, il socialismo di Mill consisteva in una rigenerazione morale della società più che in una sua riorganizzazione economica. Sulla scia di tutte le altre filosofie socialiste inglesi della prima metà dell’Ottocento, escludeva la componente rivoluzionaria violenta. Inoltre, il pensiero socialista di Mill non è stato intaccato minimamente dal socialismo scientifico di Marx, come si può intuire dall’analisi dei Principles e dei Chapters on Socialism, dove non risulta un consenso verso il socialismo marxista, in quanto la stessa libertà individuale in un “sistema comunista” appare incerta agli occhi di Mill perché sotto il dominio dell’autorità pubblica. L’alternativa non è dunque tra il socialismo nelle sue varie forme e il caos, ma tra il socialismo e il sistema della società privata riformato in modo da garantire agli individui il frutto del lavoro. La chiave di lettura di molte idee di Mill è anti-interventista con il “Laissez - faire” che fa da regola generale di condotta. Mill appare quindi colui che vorrebbe credere nel socialismo, o almeno, in una versione conciliabile con il valore supremo della libertà individuale, ma non si sente in grado di superare i suoi dubbi, che però scompariranno del tutto con i suoi discepoli degli anni Ottanta dell’Ottocento, i Fabiani, i quali in seguito diverranno indipendenti nella loro ricerca della soluzione della questione sociale.
Il Fabianesimo maturo
I primi aderenti alla Società fabiana erano giovani borghesi, di buona formazione e impiegati in vari campi: dal giornalismo all'istruzione fino all'amministrazione statale. Tutti per lo più intellettuali accumunati da un senso di insoddisfazione verso la propria esistenza e la società in generale a tal punto che per descrivere questo stato d'animo di crescente disagio, Beatrice Webb, una delle figure più importanti del Fabianesimo, usò l'espressione consciousness of sin (in italiano coscienza del peccato) al fine di indicare il progressivo manifestarsi della questione sociale agli occhi non solo delle classi più abbienti, ma soprattutto degli intellettuali dell'Inghilterra vittoriana. D'altra parte fu in quel periodo che la povertà cominciò ad essere considerata non più come una realtà di fatto, e per questo immutabile, ma come un problema vero e proprio da affrontare e risolvere. A pesare furono, oltre le denunce sulle intollerabili condizioni di vita degli slums, l'impossibilità ormai per un giovane della classe media di godere della propria condizione senza provare un senso di colpa. Non deve stupire, pertanto, che lo scopo del neo movimento fosse quello di "concorrere alla ricostruzione della società in armonia con le più elevate possibilità morali" (Pench, Il socialismo Fabiano, p. 77), né il fatto che la parola "socialismo" non circolasse all'interno delle discussioni dei primi membri.
L’orientamento politico autentico dei Fabiani emerge in uno dei loro primi opuscoli, intitolato Facts of Socialists, che consiste in una raccolta di dati statistici e citazioni di economisti autorevoli, tra cui alcune di Mill stesso, tesa a dimostrare le disuguaglianze nella distribuzione del reddito nazionale e le gravi conseguenze che ciò comporta a livello sociale come la povertà e la mortalità infantile. La soluzione proposta non è assolutamente la rivoluzione alla francese. Anzi, si ripone una certa fiducia nelle amministrazioni, in primis locali, che gradualmente devono cercare di promuovere riforme di tendenza socialista a livello nazionale. A ciò si affiancava anche il progetto di una politica nazionale di graduale soppressione della rendita in tutte le sue forme, nonché di un'imposizione fiscale differenziata. Allo stesso tempo, a prescindere dai contenuti, emerge in questo documento anche lo stile della letteratura fabiana, tendente sempre a trasmettere un’apparente neutralità invece che una posizione ideologica vera e propria. Le risoluzioni dei vari problemi, infatti, appaiono sempre come una naturale soluzione ai problemi stessi dal momento che, a monte, è stata presentata una serie di dati ufficiali, che descrivono in maniera oggettiva la realtà. La Società fabiana d’altronde non volle e non fece mai dichiarazioni espressamente politiche proprio perché la neutralità rappresentava quella qualità che l'aveva distinta sin dai suoi esordi all'interno del panorama politico dell'epoca. Tuttavia, l'importanza di questo opuscolo dipende non solo dalle statistiche raccolte, ma anche dal tentativo di propagandare i principi socialisti attraverso citazioni tratte da fonti non socialiste, e di presentare il socialismo non come un movimento rivoluzionario mirante a sovvertire la società esistente, ma piuttosto come uno sviluppo logico e necessario di tendenze già operanti nel capitalismo stesso.
Tuttavia, i membri della Società avevano opinioni che riflettevano l'epoca in cui vivevano: i fabiani più illustri avevano pregiudizi e opinioni razziste che non erano in linea con l'impegno della Società per l'uguaglianza di tutti. Anche le opinioni sul ruolo dell'Impero variavano tra i membri: alcuni sostenevano una rapida decolonizzazione e altri vedevano l'Impero britannico come una forza potenzialmente progressista nel mondo. L'inizio delle divisioni interne arrivò con lo scoppio della Guerra Boera (1899-1902). Sebbene infatti molti membri della Società si dichiarano contrari al momento della dichiarazione di guerra, ci fu chi invece propose di stilare una risoluzione a favore del partito dei Boeri. Solo dopo la fine del conflitto le due ali del movimento si riappacificarono, ma alla fine sarà proprio l’assenza di una linea comune che porterà allo scioglimento della Società stessa nel corso del primo Novecento.
Tattica
Prese tale nome in quanto si avvalse sempre di una tattica gradualistica e temporeggiatrice che ricordava, sotto alcuni aspetti, la strategia militare di Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, che nella lotta contro Annibale e i suoi cartaginesi si avvalse di una strategia attendista di lento logoramento, che permise a Roma di resistere ad Annibale nonostante le molte sconfitte subite ed infine grazie a Scipione l'Africano di battere il nemico nella battaglia decisiva.[1]
«Per il momento giusto devi attendere, così come fece Fabio con pazienza, mentre fronteggiava Annibale, anche se molti lo criticarono per questo. Quando il momento giunge devi però batterti duramente, così come fece Fabio, o la tua attesa sarà stata vana e infruttuosa.»
Il fabianesimo, difatti, crede nella graduale evoluzione della società, tramite riforme incipienti che portino gradualmente al socialismo, a differenza del marxismo che predica un cambiamento rivoluzionario.[1]
Nel 1889 furono pubblicati i "Saggi Fabiani", contenenti il programma della Fabian Society.
Tra i più eminenti membri della Fabian Society vi sono gli scrittori George Bernard Shaw, Leonard Woolf e sua moglie Virginia Woolf; l'anarchica Charlotte Wilson, la femminista Emmeline Pankhurst, il sessuologo Havelock Ellis, lo scrittore H. G. Wells, il militante Edward Carpenter, la scrittrice Annie Besant, il fisico Oliver Joseph Lodge, il politico Ramsay MacDonald. I fondatori sono stati i coniugi Sidney Webb e Beatrice Webb.[1] Per un periodo anche Bertrand Russell e John Maynard Keynes frequentarono i fabiani.
Il fabianesimo era caratterizzato principalmente dal pragmatismo e rifiutava le idee utopiche. Il suo socialismo non è stato un movimento rivoluzionario, ma finalizzato allo sviluppo e all'evoluzione in senso socialista delle istituzioni esistenti.[1]
Il fabianesimo era in favore di un'alternativa alla proprietà privata dei mezzi di produzione, per porre fine al disordine economico e agli abusi provocati dal capitalismo. I fabiani hanno inoltre voluto l'estensione delle cure sanitarie e l'istruzione gratuita per tutti i cittadini, come pure una normativa dettagliata delle condizioni di lavoro per porre fine alla piaga dello sfruttamento dei bambini e degli incidenti.[1]
La Fabian Society è stata una componente essenziale nella creazione del Partito Laburista, fondato nel 1906, e che nel 1922 è diventato la seconda forza politica del paese, battendo i liberali. Il legame tra la Fabian Society e il partito laburista è stato in piedi durante la prima metà del XX secolo. In realtà, la maggior parte dei ministri del Lavoro che si sono avvicendati nei successivi governi erano o erano stati membri della Fabian Society.[1]
Il declino della Fabian Society è iniziato a metà degli anni '30, motivato da una serie di fattori che includono le diverse posizioni per quanto riguarda l'esperienza dell'Unione Sovietica, in secondo luogo la perdita di influenza nel partito laburista, spiazzata da elementi provenienti dal sindacalismo e dalla classe operaia, e in terzo luogo l'adesione di molti suoi militanti all'Unione Britannica dei Fascisti di Oswald Mosley (anche lui ex-fabianista). Tuttavia, la Fabian Society ha continuato la sua attività fino ad oggi, anche se senza il suo antico rilievo.[1]
Ma in realtà alla Fabian Society si riconosce di aver conseguito la maggior parte dei suoi obiettivi, dal momento che molte delle riforme proposte sono state attuate durante e dopo la Grande depressione. L'emergere del welfare state deve molto agli sforzi e al lavoro intellettuale della Fabian Society.[1]
Il fabianesimo fuori dal Regno Unito
La grande influenza sul laburismo britannico e anglofono del movimento ha fatto sì che esso divenisse uno dei principali ispiratori della socialdemocrazia internazionale. Un'influenza diretta o indiretta dei fabiani si ebbe su molti movimenti; ad esempio sul socialismo liberale di Carlo Rosselli (fondatore, col fratello Nello, del gruppo antifascista Giustizia e Libertà), e tutte le sue derivazioni, come il Partito d'Azione.[2]
In Italia, il teorico della socializzazione dell'economia dell'ultimo fascismo, Nicola Bombacci, si ispirò ad alcune idee della Fabian Society.[3]
Il Movimento Comunità di Adriano Olivetti fu in seguito l'unico partito italiano che si rifece esplicitamente al fabianesimo, tra le sue ispirazioni principali assieme al federalismo, al liberalismo sociale e alla socialdemocrazia.[4]
Negli anni 2000 nacque la Società Fabiana Siciliana, tuttora esistente.[5]
Il fabianesimo oggi
Attualmente la Società ha vissuto una rinascita, con una adesione che è andata aumentando dal 1997. Nel parlamento britannico per il primo decennio del XXI secolo vi sono più membri del Partito Laburista (al quale la Società è oggi affiliata) che appartengano alla Fabian Society, che deputati conservatori e liberaldemocratici insieme. La terza via del Labour ha anch'essa delle radici fabiane.[6][7]
Tony Blair ha promosso il restauro della cosiddetta "Finestra fabiana", ideata da George Bernard Shaw, riconoscendo il debito della sua ideologia agli intellettuali di provenienza fabiana (difatti la Società si è spostata in gran parte dal gradualismo che conduce al socialismo al riformismo che accetta il sistema capitalistico).[8]
Si può dire che molti partiti socialdemocratici abbiano tratto ispirazione dalla Fabian Society; tuttavia molti altri partiti che propugnano l'azione parlamentare richiamandosi al socialismo si definiscono "gradualisti".[6]
Critica
I Fabiani però non furono esenti da critiche da parte dei loro contemporanei. Tra questi è bene ricordare la figura dello storico Eric J. Hobsbawm, il quale basò i suoi giudizi nei confronti della Società sul fatto che i membri di questa non provenissero dalla classe operaia, ma al contrario il gruppo era un'organizzazione socialista della classe media, del tutto anomalo visto che in Gran Bretagna non era consuetudine avere dei giovani intellettuali che simpatizzavano per gli ideali socialdemocratici. Di qui, ecco alcune delle "mitologiche pretese", come le definisce Hobsbawm stesso, dei Fabiani:
- I Fabiani non sono stati gli ispiratori, né i pionieri del Labour Party, come hanno più volte essi stessi asserito. Pare certo che l'ILP (Partito Laburista Indipendente) e il Labour Party sarebbero sorti senza la loro assistenza
- Il loro fallimento è mitigato dalla loro attività indefessa, dalla loro abilità di redattori di opuscoli e progetti amministrativi
- In realtà quel fallimento fu dovuto alla loro atipicità: non appartenevano né alla corrente liberale, né a quella operaia della politica inglese
- Non rientravano nella tradizione politica inglese, e per quanto si vantassero del loro realismo politico non si rendevano conto di tale stato di cose
Lev Trotsky pensava che il fabianesimo fosse un subdolo tentativo di salvare il capitalismo dalla furia della classe operaia. Ha scritto:
Altre critiche vennero per il sostegno di Shaw e altri membri all'eugenetica (peraltro diffusa in molti ambienti scientifici, per influsso dei lombrosiani)[senza fonte] e all'Unione Sovietica negli anni '30. Tali critiche si levavano da vari ambienti, spesso complottistici o fondamentalisti cattolici, ostili al concetto di internazionalismo socialista sostenuto da alcuni esponenti del fabianesimo.[10] Spesso tali ambienti conservatori abbracciavano teorie cospirazioniste e contestavano ai fabiani di essere membri di una società segreta e manipolatrice, talvolta travisando gli stessi loro scritti.[11]
Note
- ^ a b c d e f g h Paolo Viola, Storia Moderna e contemporanea, L'Ottocento, Piccola biblioteca Einaudi, Torino, 2000, p. 264: "... ritenevano che contro lo sfruttamento bisognasse prendere tempo, come aveva fatto Quinto Fabio Massimo "il temporeggiatore" contro i nemici dell'antica Roma, e per questo chiamarono la loro organizzazione Fabian Society"
- ^ http://www.criticasociale.net/, su CriticaSociale.net. URL consultato il 3 dicembre 2021.
- ^ miro, Bombacci Nicola…, su mirorenzaglia.org. URL consultato il 3 dicembre 2021.
- ^ Olivetti: comunitarismo e sovranità industriale nell'Italia postbellica, su millennivm.org. URL consultato il 28 maggio 2014 (archiviato dall'url originale il 29 maggio 2014).
- ^ Società Fabiana Siciliana - Associazione dei Socialisti Riformisti della Sicilia - Sedi regionali a Messina e Palermo, su www.fabiana.it. URL consultato il 3 dicembre 2021.
- ^ a b I pensatori fabiani: 120 anni di pensiero progressista - Fabian Society edizioni (2004) ISBN 0-7163-0612-3
- ^ The Fabian Society, the Third Way and modern British thought
- ^ Andrew Walker, "Wit, wisdom and windows", BBC News, Last accessed 23 February 2007
- ^ Lev Trotsky, Scritti sulla Gran Bretagna, vol. 2, Londra, New Park, 1974, p. 48.
- ^ Fabianesimo su Alleanza cattolica
- ^ La finestra dell’inganno, su rantasipi.wordpress.com, 27 ottobre 2008. URL consultato il 3 dicembre 2021.
Bibliografia
- Lucio Pench, Il socialismo fabiano: un collettivismo non marxista, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1988.
- AA. VV., Saggi fabiani, Editori Riuniti, 1990
Voci correlate
Collegamenti esterni
- (EN) Sito ufficiale, su fabians.org.uk.
- fabianésimo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Mario Menghini, FABIANISMO, in Enciclopedia Italiana, vol. 14, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1932.
- Fabian society, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.
- fabianismo, su Vocabolario Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- (EN) Fabian Society, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- (EN) Peter Lamb, Fabianism, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- (EN) Opere di Fabianesimo, su Open Library, Internet Archive.
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