Battaglia di Iwo Jima

battaglia della seconda guerra mondiale

La battaglia di Iwo Jima fu una battaglia della seconda guerra mondiale che avvenne nel teatro di operazioni del Pacifico tra le forze statunitensi e quelle giapponesi.

Il Marine Corps War Memorial, più conosciuto semplicemente come Monumento di Iwo Jima, è la riproduzione scultorea di una celebre fotografia: rappresenta alcuni Marine intenti ad issare la bandiera americana sulla vetta del monte Suribachi[1]

Iniziò il 19 febbraio 1945 e terminò il 26 marzo dello stesso anno.

L'isola di Iwo Jima era, con l'isola di Okinawa, di fondamentale importanza strategica poiché da qui i bombardieri pesanti statunitensi avrebbero potuto facilmente partire per le operazioni di bombardamento del Giappone. Per questo motivo entrambe le isole erano presidiate da forti divisioni giapponesi. Il Giappone aveva inviato a difesa di Iwo Jima il generale Kuribayashi al comando di 25.000 uomini.

Numerosi lavori di fortificazione avevano reso l'isola facilmente difendibile. Le truppe statunitensi, comandate dall'ammiraglio Spruance, iniziarono i bombardamenti dell'isola già l'8 dicembre, ma fu solo il 19 febbraio che avvennero i primi sbarchi di marines.

La battaglia di Iwo Jima terminò il 26 marzo del 1945, anche se la completa eliminazione delle residue sacche di resistenza giapponesi richiese altri due mesi

L'isola

  Lo stesso argomento in dettaglio: Iwo Jima.

Iwo Jima ("Isola dello zolfo" in giapponese) è una delle isole Ogasawara (小笠原諸島) a circa 1.080 km a sud di Tokyo, 1.130 km a nord di Guam ed a circa mezza strada tra Tokyo e Saipan (24.754°N, 141.290°E).

Antefatto

Dopo la conquista USA delle isole Marshall ed il terribile attacco aereo contro Truk (isole Caroline, febbraio 1944), il comando militare giapponese rianalizzò la situazione: tutti gli elementi indicavano un'iniziativa americana verso le isole Marianne e Caroline. Per contrastare tale manovra, i giapponesi stabilirono una linea difensiva interna che correva più meno a nord delle Caroline verso le Marianne e di qui verso le Ogasawara. Nel marzo del 1944, la 31^ Armata, agli ordini del Gen. Hideyoshi Obata, fu attivata con lo scopo di presidiare la predetta linea di difesa. Il comandante della guarnigione di Chichi Jima fu posto simbolicamente a capo delle unità navali e terrestri presenti nelle isole Ogasawara.

In seguito alla cattura americana delle basi sulle Marshall, durante le battaglie di Kwajalein e Eniwetok (febbraio 1944), dei rinforzi navali e terrestri furono inviati a Iwo Jima. 500 uomini giunsero dalla base navale di Yokosuka ed ulteriori 500 da Chichi Jima (marzo-aprile 1944). Nel contempo, con l'arrivo dei rinforzi da Chichi Jima e dalla madrepatria, la guarnigione di Iwo Jima oltrepassò i 5.000 uomini; questi erano equipaggiati con 13 pezzi d'artiglieria, 200 mitragliatori pesanti e leggeri e 4.552 fucili. In più vi erano pezzi d'artiglieria costieri da 120 mm, 12 batterie contraeree e 30 cannoni binati contraerei da 25 mm.

La perdita delle Marianne nel corso dell'estate del 1944, aveva accresciuto l'importanza delle isole Ogasawara. I giapponesi erano infatti pienamente convinti che tale perdita avrebbe agevolato le incursioni aeree statunitensi contro la madrepatria, con conseguente interruzione della produzione bellica e causando un contraccolpo sul morale della popolazione.

I primi giorni del 1945 il Giappone considerò l'ipotesi di un'invasione americana: i bombardamenti quotidiani dalle Marianne colpivano la terraferma ("Operazione Scavenger"). Iwo Jima serviva come primo punto di avvistamento, in funzione del quale si comunicava via radio l'arrivo dei bombardieri nemici sul Giappone, consentendo alle difese antiaeree di prepararsi.

Alla fine della battaglia di Leyte nelle Filippine, gli Alleati rimasero inattivi per due mesi, prima dell'invasione di Okinawa. Iwo Jima era strategicamente importante: forniva una base aerea ai velivoli giapponesi che intercettavano i bombardieri a lungo raggio B-29 ed era un rifugio per le unità navali bisognose. La presa di Iwo Jima avrebbe cancellato tali problemi ed agevolato le operazioni di invasione del Giappone. La durata delle incursioni dei B-29 si sarebbe ridotta di quasi la metà e sarebbe sorta una base per i caccia P-51 Mustang, che scortavano e proteggevano i bombardieri in missione. Fonti dell'informazione militare riferivano che Iwo Jima sarebbe caduta in cinque giorni, ignorando che i giapponesi stavano allestendo una robusta difesa, in totale deroga alle tattiche precedentemente seguite. Alla luce delle predette analisi di intelligence, fu deciso di invadere Iwo Jima: lo sbarco fu denominato "Operazione Distacco".

Preparativi difensivi giapponesi

Prima fase

Prima della caduta di Saipan (giugno 1944), i giapponesi sapevano che Iwo Jima avrebbe dovuto essere rinforzata in maniera rilevante per poter essere mantenuta per qualche tempo; si decise pertanto di inviare sull'isola un congruo numero di uomini e mezzi. Alla fine di maggio, il ten.gen. Tadamichi Kuribayashi fu convocato nell'ufficio del primo ministro, gen. Hideki Tojo, il quale lo informò che era stato prescelto per difendere l'isola ad ogni costo. L'8 giugno 1944 Kuribayashi era in viaggio per trasformare Iwo Jima in un'imprendibile baluardo.

Il gen. Kuribayashi era determinato più che mai a vender cara la pelle, sebbene la mancanza del supporto aeronavale indicava che l'isola non poteva essere mantenuta all'infinito contro un invasore nettamente superiore.

Alla fine di luglio Kuribayashi evacuò i civili dall'isola. Rispetto al suo predecessore ten.gen. Hideyoshi Obata, il gen. Kuribayashi adottò una strategia diversa: anziché tentare di mantenere le spiagge, egli progettò di difenderle con una miriade di armi automatiche e di fanteria. Artiglieria, mortai e razzi sarebbero stati allocati ai piedi e sui pendii del monte Suribachi e sulle alture a nord della base aerea di Chidori.

Grotte e gallerie

Una difesa duratura dell'isola richiedeva l'allestimento di un ampio sistema di grotte e gallerie, dato che i bombardamenti navali avevano chiaramente evidenziato che le strutture di superficie non potevano resistere ad un intenso cannoneggiamento. A tal proposito il Giappone inviò sull'isola degli ingegneri minerari, onde progettare degli elaborati tunnel, disposti su vari livelli, forniti di una buona ventilazione e capaci di ridurre gli effetti delle esplosioni di bombe o proiettili vicino gli accessi.

Allo stesso tempo i rinforzi cominciarono ad affluire gradatamente sull'isola. Come comandante della 109^ Divisione di fanteria, il gen. Kuribayashi decise prima di tutto di spostare la 2^ Brigata mista indipendente (circa 5.000 uomini retti dal magg.gen. Kotau Osuga) da Chichi a Iwo Jima. Con la caduta di Saipan, 2.700 uomini del 145° Reggimento di fanteria, comandati dal Col. Masuo Ikeda, furono dirottati su Iwo Jima. Questi rinforzi, che raggiunsero l'isola tra luglio ed agosto del 1944, fecero salire gli effettivi della guarnigione a circa 12.700 uomini. In seguito giunsero 1.233 appartenenti al 204° Battaglione di costruzioni navali, i quali si misero al lavoro per erigere delle casematte in calcestruzzo ed altre fortificazioni.

Il 10 agosto 1944, il contrammiraglio Rinosuke Ichimaru arrivò a Iwo Jima, subito seguito da 2.216 uomini del personale navale, inclusi gli aviatori ed il personale di terra.

Artiglieria

Erano in arrivo a Iwo Jima delle unità di artiglieria e 5 battaglioni anticarro. Malgrado l'affondamento di numerose navi di rifornimento in rotta verso l'isola, da parte di sottomarini e di velivoli americani, consistenti quantità di materiali giunsero a Iwo Jima durante l'estate e l'autunno del 1944. Alla fine dell'anno, il gen. Kuribayashi disponeva di 361 pezzi d'artiglieria da 75 mm o di largo calibro, di una dozzina di mortai da 320 mm, di 65 mortai medi e leggeri (rispettivamente 150 mm e 81 mm), 33 cannoni navali da 80mm o più e di 94 cannoni antiaerei da 75 mm o più. Oltre a quanto descritto, le difese di Iwo Jima potevano vantare più di 200 cannoni antiaerei da 20 e da 25 mm e 69 cannoni controcarri (da 37 e 47 mm). La potenza di fuoco dell'artiglieria fu integrata con una serie di razzi che variava dal tipo da 203 mm circa (90 kg di peso e raggio d'azione pari a 2-3 km) sino al proiettile gigante da 250 kg, il quale aveva un raggio d'azione superiore a 7 km. Complessivamente arrivarono sull'isola 70 lanciarazzi ed il relativo personale addetto.

Per favorire il rafforzamento delle difese di Iwo Jima, il 26° Reggimento carri di stanza a Pusan (Corea), dopo aver prestato servizio anche in Manciuria, ricevette l'ordine di recarsi sull'isola. Forte di 600 uomini e 28 carri armati, il contingente salpò dal Giappone nella metà di luglio, a bordo della nave Nisshu Maru. Appena la nave, che viaggiava in un convoglio, si avvicinò a Chichi Jima (18 luglio 1944), fu silurata da un sottomarino americano e si inabissò col suo carico di carri armati. Bisognò attendere il mese di dicembre per rimpiazzarli con altri 22.

Dapprima il col. Nishi aveva pianificato di usare i suoi mezzi corazzati come una sorta di brigata itinerante, da impegnare nei punti cruciali del combattimento. Il terreno accidentato dell'isola però ne impediva tale impiego, quindi si decise di interrare i carri o di smontarne le torrette e di piazzarli sul terreno roccioso, in modo tale da essere invisibili alla vista aerea.

Le difese sotterranee

Per la restante parte del 1944, la costruzione di fortificazioni sull'isola procedette celermente. I giapponesi furono rapidi nello scoprire che la scura cenere vulcanica, molto abbondante sull'isola, poteva essere trasformata in ottimo calcestruzzo. Le casematte poste vicino la spiaggia a nord del monte Suribachi furono costruite con del calcestruzzo rinforzato e molte con muri spessi circa 120 cm. Il 25% della guarnigione fu distaccata a scavare gallerie, creando sia delle piccole caverne capaci di ospitare pochi uomini, fino a diverse camere sotterranee in grado di contenere anche 300-400 persone. Per evitare che il personale rimanesse intrappolato sottoterra, tutte le opere furono dotate di accessi multipli, scale e passaggi comunicanti. Una particolare cura fu dedicata per la ventilazione, poiché in molte opere sotterranee erano presenti esalazioni di zolfo. Fortunatamente per i giapponesi, buona parte della roccia vulcanica era così friabile da poter essere tagliata con un utensile.

Il gen. Kuribayashi fissò il suo comando nella zona settentrionale dell'isola, a circa 500 m dal villaggio di Kita ed a sud di punta Kitano. Tale istallazione, posta a 20 m di profondità, era formata da gallerie di varie dimensioni, connesse da 150 m. di tunnel. Più a sud, sulla collina 382 (la seconda più elevata dell'isola), i giapponesi eressero una stazione radio e meteorologica. Nelle vicinanze, su un punto elevato a sudest della stazione, un enorme fortino fungeva da quartier generale del col. Chosaku Kaidō, comandante dell'artiglieria. Altre colline nell'area nord dell'isola furono perforate. Il principale centro di comunicazione di Kita fu realizzato così ampio, da avere una camera lunga 50 m e larga 20 m; questa era servita da un tunnel lungo 150 m, che correva a 20 m di profondità sotto terra.

Forse il progetto più ambizioso avviato fu la creazione di un passaggio in connessione con le maggiori istallazioni difensive dell'isola, per una lunghezza totale di 27 km. Al momento in cui i marines sbarcarono a Iwo Jima, più di 18 km di tunnel erano stati completati.

Il personale giapponese impegnato in dette opere profuse il massimo sforzo: oltre al pesante lavoro fisico, gli uomini erano esposti a temperature di 30-50 °C, così come ai vapori di zolfo, che li obbligavano ad indossare maschere antigas. In molti casi un lavoratore doveva essere sostituito dopo solo cinque minuti. Gli americani rinnovarono i propri attacchi sull'isola a partire dall'8 dicembre 1944; di conseguenza molti uomini dovettero essere dirottati a riparare i danni ai campi d'aviazione.

Il piano di difesa

Mentre Iwo Jima era rapidamente trasformata in una grossa fortezza, il gen. Kuribayashi elaborò il piano definitivo di difesa dell'isola. Lo stesso, in antitesi con le tattiche già adottate dai suoi connazionali all'inizio della guerra, si strutturava sui seguenti punti:

  1. Per non rivelare la propria posizione, l'artiglieria sarebbe dovuta rimanere inattiva durante il previsto bombardamento che anticipava lo sbarco nemico.
  2. Dopo lo sbarco a Iwo Jima, gli americani non avrebbero dovuto incontrare alcuna resistenza sulle spiagge.
  3. Una volta che il nemico fosse avanzato di circa 500m verso l'interno, sarebbe dovuto cadere sotto il fuoco concentrato delle armi automatiche poste nelle vicinanze dell'aerodromo di Motoyama a nord, così come delle armi automatiche posizionate sia sull'altipiano a nord dei punti di sbarco, che sul monte Suribachi a sud.
  4. Dopo aver inflitto le massime perdite possibili, l'artiglieria doveva disporsi verso nord, sull'altopiano vicino il campo d'aviazione di Chidori.

In questa occasione, Kuribayashi enfatizzò ancora che il piano era concepito per attuare una difesa elastica, in modo da logorare la forza d'invasione nemica. Una resistenza così duratura richiedeva ovviamente l'accantonamento di viveri e munizioni. A tal fine il comandante giapponese accumulò una riserva di cibo per due mesi e mezzo di sopravvivenza, sempre attento al fatto che le minime risorse che stavano affluendo a Iwo Jima nella seconda parte del 1944 sarebbero cessate del tutto una volta che l'isola fosse stata interamente circondata dalle forze navali avversarie.

Malgrado il continuo bersagliare da parte dei sottomarini e dei velivoli americani, continuò a giungere sull'isola, sino a febbraio del 1945, altro personale. Da questo momento, il gen. Kuribayashi disponeva di una forza globale oscillante tra i 21.000 ed i 23.000 uomini, tra marina ed esercito.

Linee di difesa

 
Il monte Suribachi, la più importante formazione rocciosa dell'isola, era uno dei punti fondamentali della difesa giapponese sull'isola.

Il gen. Kuribayashi operò diversi cambiamenti al suo piano primario di difesa, nei mesi che precedettero l'invasione americana. La strategia finale, adottata da gennaio del 1945, fu di creare salde posizioni, che si aiutavano reciprocamente, da difendere sino alla morte. Non erano contemplati contrattacchi, ritirate od attacchi banzai. La parte meridionale di Iwo Jima prossima al monte Suribachi era organizzata in un settore di difesa semi-indipendente. Le fortificazioni includevano l'artiglieria costiera e le armi automatiche di supporto alle casematte. Lo stretto istmo a nord del Suribachi doveva essere difeso da un piccolo contingente di fanteria. Dall'altro lato, l'intera area era esposta al fuoco di lanciarazzi e mortai posti sul Suribachi a sud e sull'altipiano a nord.

Una linea di difesa principale si componeva di posizioni estese in profondità, in reciproco supporto, che correvano dalla parte nordoccidentale dell'isola sino a quella sudorientale, lungo una linea base dagli scogli di nordovest, attraverso l'aeroporto n. 2 di Motoyama fino al villagio di Minami. Da lì proseguiva verso est, sulla linea costiera a sud di punta Tachiiwa. L'intera linea di difesa era costellata di casematte, bunker e fortini. I carri armati del col. Nishi, interrati e mimetizzati, fortificavano ulteriormente la zona, aiutati dal terreno accidentato. Una seconda linea di difesa si estendeva da poche centinaia di metri a sud di punta Kitano, estremo nord di Iwo Jima, attraverso il non ancora ultimato aeroporto n. 3 fino al villaggio di Motoyama e poi nella regione tra punta Tachiiwa e la darsena ad est. Tale linea conteneva poche fortificazioni artificiali; i giapponesi trassero sommo vantaggio dalle caverne naturali e dalle altre caratteristiche del terreno.

Per proteggere ulteriormente i due aeroporti già terminati, i giapponesi vi scavarono nei dintorni un certo numero di fosse anticarro e minarono tutte le strade di collegamento. Quando il 2 gennaio una dozzina di B-24 Liberator bombardarono il campo d'aviazione n. 1 provocando seri danni, Kuribayashi dirottò 600 uomini, 11 autocarri e 2 bulldozer per le riparazioni, completandole in sole 12 ore. Alla fine 2.000 uomini furono incaricati di colmare i crateri cagionati dalle bombe. Gli ultimi mesi del 1944 i bombardieri B-24 erano su Iwo Jima quasi ogni notte ed i trasporti e gli incrociatori compivano sovente delle incursioni. L'8 dicembre 1944, aerei americani sganciarono più di 800 tonnellate di bombe su Iwo Jima, ma con scarso effetto sulle difese dell'isola. Sebbene le incursioni aeree interferissero con i preparativi dei giapponesi e gli sottraessero ore di sonno, i lavori di questi ultimi non furono praticamente rallentati.

Il 5 febbraio 1945, gli operatori radio sull'isola comunicarono al comandante che i segnali in codice dei velivoli americani avevano subito un cambiamento inquietante. Il 13 febbraio, un velivolo di ricognizione della marina giapponese riferì di 170 navi USA in navigazione verso nordovest, provenienti da Saipan. Tutte le truppe giapponesi sulle Ogasawara furono poste in stato d'allerta.

I piani americani

Le rivalità tra marina ed esercito

Sul versante americano, il controllo operativo del Pacifico era diviso tra il comando dell'area sudoccidentale del gen. Douglas MacArthur ed il comando delle aree del Pacifico retto dall'amm. Chester Nimitz. Da settembre del 1944 i due organismi non addivennero ad un accordo sulla direzione dell'avanzata da compiere nel corso dell'anno venturo verso l'arcipelago del Giappone. L'esercito pressava per un'invasione definitiva di Formosa (Taiwan), in cui MacArthur sarebbe stato il comandante in capo. La marina prediligeva un'operazione navale contro Okinawa. Cercando di guadagnare autorevolezza e di rompere lo stallo, il 29 settembre Nimitz suggerì all'amm. Ernest King che una prima offensiva sull'isola di Iwo Jima poteva essere compiuta, nell'ambito di una più vasta operazione contro Okinawa. Il gen. Henry Harley Arnold (USAF) sosteneva che la conquista di Iwo Jima fosse necessaria per costruirvi una base aerea utile per i caccia di scorta ai B-29 del suo XX Comando bombardieri e per il bombardamento dell'arcipelago giapponese. Alla fine si optò per Okinawa, sebbene l'operazione fosse ritenuta di semplice esecuzione.

Il 7 ottobre 1944 l'amm. Nimitz ed il suo seguito compirono uno studio su un piano d'attacco basato sugli obiettivi dell'”Operazione Distacco”. Lo scopo principale dell'operazione era di mantenere una costante pressione militare sul Giappone e di estendere il controllo USA sul Pacifico occidentale. Tre obiettivi specifici contemplati nello studio erano la riduzione della forza aeronavale ed industriale del nemico (soprattutto nella madrepatria), la distruzione delle forze aeronavali giapponesi nelle isole Bonin e la presa di Iwo Jima, che doveva essere trasformata in una base aerea.

Il 9 ottobre il gen. Holland Smith ricevette uno studio accompagnato dalla direttiva dell'amm. Nimitz di catturare Iwo Jima. Tale direttiva designava l'amm. Raymond A. Spruance, comandante delle operazioni Task Force 50. Sotto Spruance, il viceamm. Richmond Kelly Turner, era nominato comandante della forza di spedizione congiunta Task Force 51. Il gen. Holland Smith fu incaricato di comandare le truppe di spedizione Task Force 56.

 
Il piano di sbarco delle forze statunitensi.

Il piano principale

Lo schema di manovra da adottare da parte del V Corpo anfibio americano durante lo sbarco era abbastanza semplice. La 4^ e la 5^ Divisione marine dovevano sbarcare insieme sulle spiagge orientali; in seguito sarebbero giunte la 3^ Divisione marine e le truppe di riserva. Il piano contemplava un rapido sfruttamento della testa di ponte per avanzare verso nordest, in modo da prendere l'intera isola. Un reggimento della 5^ Divisione aveva il compito di prendere il monte Suribachi a sud.

L'operazione era sincronizzata a tal punto che all'ora prefissata di inizio (in gergo militare “ora H”) 68 veicoli anfibi del tipo LVT dovevano raggiungere la spiaggia. Gli LVT avrebbero poi marciato verso l'interno, fino a raggiungere il primo terrapieno oltre il livello dell'alta marea. Gli anfibi avrebbero quindi utilizzato al massimo i loro obici da 75 mm e le mitragliatrici, nel tentativo di tenere a bada il nemico e proteggere le ondate di marines successive, piuttosto vulnerabili.

Il piano di riserva

Dal momento che poteva verificarsi un andamento sfavorevole della risacca sulle coste orientali, il V Corpo previde un piano alternativo (8 gennaio 1945), che implicava uno sbarco sul lato occidentale dell'isola. Tuttavia la presenza di venti predominanti da nord-nordovest aveva cagionato il sorgere di pericolose onde lunghe lungo il lato sudoccidentale dell'isola, pertanto sembrò inverosimile che detto piano potesse essere effettivamente attuato.

La battaglia di Iwo Jima

 
Carri armati M4 Sherman dotati di lanciafiamme usati per bonificare i bunker giapponesi.

Alle 02:00 del 19 febbraio, i cannoni delle navi da battaglia segnalarono l'inizio delle operazioni. Subito 100 bombardieri attaccarono l'isola, seguiti da un'altra salva sparata dalle unità navali. Alle 08:59 il primo marine metteva piede sull'isola.

I militari americani si scontrarono subito con un pesante fuoco nemico proveniente dal monte Suribachi e combatterono su un terreno molto disagiato. Ciò nondimeno, dalla sera 30.000 marines erano sbarcati ed avevano circondato la montagna. Ne sarebbero arrivati altri 40.000 circa.

L'arrampicata in cima al Suribachi fu combattuta palmo a palmo. Il fuoco dei cannoni era inefficace contro i giapponesi, ma i lanciafiamme e le granate erano utili per bonificare i bunker. Infine, il 23 febbraio la sommità fu raggiunta. Vi fu innalzata una bandiera USA, la quale fu poi rimpiazzata da un'altra più grande, in modo da conservare la prima per il battaglione. Fu quello il momento in cui il fotografo della Associated Press Joe Rosenthal scattò la famosa foto "Raising the Flag on Iwo Jima".

 
Scarico di mezzi e materiali su una spiaggia di Iwo Jima.

Con la messa in sicurezza dell'area di sbarco, più truppe ed equipaggiamento pesante giunsero sull'isola e l'invasione procedette verso nord per catturare gli aeroporti ed il resto di Iwo Jima. Molti soldati giapponesi combatterono fino alla morte. Nella notte del 25 marzo, una forza di 300 giapponesi lanciò un ultimo contrattacco presso l'aeroporto n. 2. Piloti dell'esercito, genieri (i cosiddetti “Seabees”, dalla pronuncia americana delle iniziali del battaglione: “CB”, ovverosia Construction Battalions) e marines combatterono fino al mattino, lasciando sul campo circa 100 uomini e subendo 200 feriti. Quasi tutti i soldati della forza giapponese caddero in combattimento. L'isola fu dichiarata sicura il giorno successivo.

Conseguenze

Video dei marines che issano la bandiera

Dei 20.000 giapponesi di stanza sull'isola, ne perirono 18.000 e ne furono catturati 216. Le forze alleate subirono 26.000 vittime, di cui 7.000 caduti (circa un terzo dei marine morti durante la seconda guerra mondiale).

Relativamente all'utilità di conquistare l'isola, la questione rimane controversa. Malgrado ciò, l'importanza strategica di Iwo Jima per gli USA fu giustificata come luogo idoneo per il rifornimento dei bombardieri in rotta o di ritorno dal Giappone. Per diverse ragioni tecniche, tali scorte si rivelarono superflue ed impraticabili e solo 10 missioni vennero compiute da Iwo Jima. Un'altra supposta conseguenza della presa di questa piccola isola, fu che gli alleati ipotizzarono un enorme dispendio in vite umane che l'invasione del Giappone avrebbe potuto comportare e quindi accelerarono gli studi e gli esperimenti per la costruzione della bomba atomica. In definitiva la storiografia ufficiale americana afferma che il bagno di sangue americano avuto su Iwo Jima li costrinse a sganciare gli ordigni atomici sul Giappone, tesi peraltro tuttora discussa.

Riunione d'onore

Il 19 febbraio 1985 fu tenuta la cosiddetta "Riunione d'onore". Vi parteciparono i reduci di entrambi gli schieramenti che combatterono a Iwo Jima. L'evento si svolse sulla spiaggia dove iniziò lo sbarco americano. Fu eretto un monumento decorato con delle scritte. Dopo la cerimonia di scoprimento e la deposizione di fiori, i veterani si avvicinarono al monumento stringendosi la mano.

Voci correlate

Bibliografia

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Note e documentazione filmica

Collegamenti esterni

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