Utente:Fortunaziano/Sandbox
Febadio di Agen
Insieme a Potamio di Lisbona e Gregorio di Elvira, è una delle figure minori, che nell’occidente latino tra il 357 e il 360, affiancando personalità di rilievo come Mario Vittorino e Ilario, si impegnano nella resistenza contro i filoariani. L’attività letteraria cristiana in Gallia e Spagna inizia proprio in questo periodo, fatta eccezione per alcune anticipazioni, spinta dalla necessità di intervenire nella controversia ariana e di approfondirne la riflessione teologica.
Vita
Le informazioni su Febadio di Agen sono molto scarne, per questo è difficile calcolare con esattezza la sua data di nascita. Originario dell'Aquitania (forse proprio di Agen), vista la scarsa cristianizzazione della Gallia nel IV secolo è improbabile che abbia avuto un’educazione cristiana. Viene eletto vescovo di Agen: non conosciamo la data certa ma sicuramente non è presente al concilio di Sardica del 343 (il suo nome non compare tra quelli dei sottoscrittori degli atti) , ai sinodi di Arles, Milano e Beziers (356); ed è già vescovo agli inizi del 358, quando nel suo trattato Contra Arianos si rivolge ai destinatari definendoli “frates karissimi”. Nello stesso anno partecipa in Gallia ad un concilio di vescovi che condanna la pubblicazione della formula sirmiense, fortemente filoariana, prodotto finale del concilio riunito a Sirmio verso la metà del 357, diretto dal trio illirico costituito da Valente, Ursacio e Germinio. Interviene, insieme con san Servazio di Tongres, al concilio di Rimini del 359, dove difende il credo niceno; proprio i vescovi della Gallia sono i più irriducibili avversari della parte filoariana. Tuttavia in seguito, dopo una tenace resistenza, è costretto ad accettare e firmare anch'egli la formula di Rimini, integrata e ampliata da alcuni anatemi antiariani. Nell'estate del 360 un sinodo di Parigi, al quale partecipa anche Febadio, si dichiara contrario alla dichiarazione di fede appena approvata a Rimini e conferma espressamente l'uso di οὐσία/ substantia e del niceno ὁμοούσιος. Altri sinodi in Gallia seguono questo esempio. Febadio presiede il concilio di Valence del 359 e quello di Saragozza del 374, che trattano di disciplina ecclesiastica e non più di questioni teologiche, dogmatiche e trinitarie. La data di morte è incerta ma sappaiamo che è ancora in vita nel 392, quando san Girolamo gli dedica il capitolo 108 del De viris illustribus:[1]
- Phoebadius, Agenni Galliarum episcopus, edidit Contra Arianos librum. Dicuntur eius et alia esse opuscula, quae necdum legi. 2 Vivit usque hodie decrepita senectute.
Da questa testimonianza ricaviamo non solo che in quell’anno ancora vive, ma anche che ha composto altre opere, purtroppo non pervenuteci. Nel 405 invece è attestato un nuovo vescovo di Agen, Dulcidio, probabilmente suo diretto successore dopo la morte.
I suoi scritti sono pubblicati da Jacques-Paul Migne nel XX volume di Patrologia Latina[2].
Opera
Contra arianos
L’opera, che è articolata in 28 capitoli, ha l’intento di confutare la professione sirmiense del 357 e di dimostrare come, dietro le frasi e le parole apparentemente ortodosse in essa contenute, si nasconda in realtà l’eresia ariana.
Ario sostiene che il Padre sia dotato di ipostasi e natura propria, per cui il Figlio non partecipa alla sostanza e all’essenza del Padre; inoltre in quanto non generato, il Padre è senza principio, mentre il Figlio deriva dal Padre il suo principio, dunque è in una posizione di netta inferiorità che lo esclude dalla partecipazione alla divinità somma. Il concilio di Nicea del 325 condanna l’arianesimo. La controversia ariana si protrae per tutto il IV secolo con l’avvicendarsi di diversi concili; nel tentativo di trovare un chiarimento dottrinale nel variegato panorama teologico, Costanzo affida al cosiddetto trio illirico, costituito da Valente, Ursacio e Germinio, il compito di ricostituire un’unità di pensiero. Sotto la loro direzione, verso la metà del 357, si riuniscono alcuni vescovi occidentali a Sirmio (il luogo è scelto per il fatto che vi risiedeva l’imperatore). La formula di Sirmio accentua l’inferiorità del Figlio nei confronti del Padre e vieta di far uso del termine ousia sia dei composti ὁμοιούσιος e ὁμοούσιος. Gli omousiani fautori del nicetismo ritengono la consustanzialità del Figlio in quanto generato dalla ousia del Padre e con lui partecipe della stessa ousia (ὁμοούσιος) cioè della medesima sostanza, dunque riconoscono la presenza di una sola ipostasi (ousia) del Padre e del Figlio. Gli omeousiani sostengono la formula ὅμοιος κατ’οὐσίαν (simile secondo la sostanza), creata in contrapposizione con l’ ὁμοούσιος niceno, per cui il Figlio non è consustanziale al Padre ma simile ad esso nella sostanza. La professione sirmiense esclude sia la posizione nicena che quella dell’ ὁμοιούσιος, mentre, pur non essendo formalmente ariana, nel ribadire l’inferiorità del Figlio in senso subordinazionista, finisce per sostenere che fosse dissimile rispetto al Padre. In conclusione il concilio di Sirmio del 357 assume la forma di un vero e proprio atto di tolleranza dell’arianesimo.
In Contra Arianos Febadio difende il simbolo niceno e l’uso di substantia, adoperato per rilevare la distinzione tra il Padre e il Figlio, e occasionalmente applicato anche allo Spirito santo, che insieme con il Padre e il Figlio costituisce unum quanto alla substantia.
L’opera ripercorre passo per passo gli aspetti più importanti della formula del concilio di Sirmio, per poi confutarli e respingerli teologicamente. L’incipit (1,3) esprime chiaramente l’obiettivo che l’autore si pone:
«[...] Vere catholici non futuri si haeresim non repudiamus»
Il presupposto per essere buoni cattolici è quello di ripudiare l’eresia, smascherarla e liberare la verità. Per mostrare l’infondatezza di quello che lui stesso definisce uno zabolicum virus, cioè un virus diabolico, la trattazione prende in considerazione i seguenti punti, da confutare:
- L’affermazione di un unico Dio e la negazione dell’esistenza di due divinità, quella di Padre e Figlio
- La negazione radicale del nome della substantia affinchè il Figlio sia scisso dal Padre
- L’origine ignota del figlio di Dio
- La superiorità del Padre sul Figlio in relazione alla gloria divina
- La negazione dell’inizio di Dio
- La sottomissione del Figlio al Padre
Avvalendosi di citazioni dalle scritture, Febadio ribatte punto per punto. Glässer (in nota Glässer, Phoebadius, 103) osserva che per Febadio la Bibbia ha “fast den Charakter einer mathematischen Formel”, in quanto possiede quasi il carattere di una formula matematica; il trattato è infatti ricco di citazioni dall’Antico e dal Nuovo Testamento, dal momento che le scritture sono spesso la base per sostenere una tesi o confutare quella del proprio avversario. Grande spazio è dato alle citazioni dal vangelo di Giovanni, molto usato nella disputa ariana dal momento che contiene informazioni utili a determinare il rapporto Padre-Figlio.
Febadio difende il concetto di substantia in base al quale il Figlio è l’apparenza della sostanza del Padre e la sua sostanziale realtà fisica. Dunque Padre e Figlio devono essere distinti ma non mescolati né separati; entrambi, con lo Spirito Santo costituiscono unum quanto alla substantia. Non si può parlare di un inizio per il Figlio perché in Patre est et fuit semper (15,4), quindi si deve dire che è ed è sempre stato nel Padre. Allo stesso modo non è tollerata, in Febadio, l’ipotesi che il Padre sia più grande del Figlio. Gli oppositori si basano su un passo evangelico (Gv.14,28) “Avete udito che vi ho detto: "Vado e tornerò da voi". Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me”. Febadio ribatte sulla base di altre citazioni tratte dal vangelo di Giovanni dove si invita a onorare il Figlio come il Padre (Gv.5,23) ed esorta a non confondere le dichiarazioni di umiltà di Gesù come conferma della sua inferiorità divina, ma fornisce altri esempi biblici in cui è dichiarata la pienezza della divinità del Figlio, come in Gv. 1,18 e in Gv. 10,30:
«Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.»
— Gv 1, 18
«Io e il padre siamo una cosa sola»
— Gv 10, 30
Febadio nella sua opera si propone non solo di confutare la formula sirmiense, ma anche di restaurare la vera fede cattolica, quella nicena, tanto da definire la teologia del concilio di Nicea come perfecta fidei catholicae regula o professio catholica.
La trasmissione dell'opera
L’opera Contra Arianos ci è pervenuta in un unico manoscritto del IX secolo, oggi conservato nella biblioteca dell’università di Leida. L’editio princeps fu curata da Theodor Beza a Ginevra nel 1570. L’autore lamentava le cattive condizioni del manoscritto, sul quale intervenne con una serie di congetture elencate in appendice. La seconda edizione è contenuta in un’opera anonima dal titolo Veterum aliquot Galliae Theologorum scripta, pubblicata a Parigi nel 1586 e si basa sul testo della prima edizione aggiungendo nuove congetture e rifiutandone alcune avanzate da Theodor Beza. L’editio princeps e la seconda edizione sono state ristampate più volte ed anche nella Patrologia Latina del Migne. Fu pubblicata inoltre una terza edizione a Francoforte nel 1623. Solo nel 1985 è stata prodotta la prima vera edizione critica del testo a cura di R. Demeulenaere. Nel 1999 Jörg Ulrich ha curato un’edizione dell’opera in lingua tedesca.
- ^ Gerolamo., Gli uomini illustri : de viris illustribus, Nardini, 1988, ISBN 88-404-2012-6, OCLC 245957638. URL consultato il 2 gennaio 2023.
- ^ Migne, Jacques Paul., Patrologia Latina., publisher not identified, S.D, OCLC 173749943. URL consultato il 2 gennaio 2023.
Bibliografia
- Manlio Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo (1975), Roma.
- Phoebadisu, Contra Arianos a cura di Jorg Ulrich, Herder (1999).
La nascita del purgatorio
È un saggio pubblico da Jacques Le Goff nel 1981. L’opera descrive lo sviluppo storico del Purgatorio a partire dal giudeo-cristianesimo antico, fino al suo culmine nella metà del XII secolo e il rapido successo nel corso del secolo successivo. L’ultimo dei dieci capitoli è dedicato alla seconda cantica del Purgatorio di Dante che l’autore stesso definisce “una conclusione sublime alla lenta genesi del Purgatorio”.
Parte prima
Gli aldilà prima del purgatorio
Capitolo 1: Le visioni antiche
Nel primo capitolo l’autore presenta la geografia dell’aldilà raccogliendo testimonianze da varie religioni antiche ritenute eredità reali e storiche che possono aver influenzato il concetto di Purgatorio; dall’India antica all’Occidente cristiano con la visione di Perpetua. All’interno del capitolo si evidenzia anche il ruolo fondamentale che hanno avuto quattro passi, uno tratto dall’Antico Testamento e gli altri tre dal Nuovo testamento, nella nascita del Purgatorio:
- si misero a pregare, supplicando che il peccato commesso fosse pienamente perdonato. Il nobile Giuda esortò tutti a conservarsi senza peccati, avendo visto con i propri occhi quanto era avvenuto a causa del peccato di quelli che erano caduti. (…)Ma se egli pensava alla magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato. (II Maccabei 12.42-45)
- Perciò io vi dico: qualunque peccato e bestemmia verrà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non verrà perdonata. 32A chi parlerà contro il Figlio dell'uomo, sarà perdonato; ma a chi parlerà contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato, né in questo mondo né in quello futuro. (Mt. 12.31-32)
- Abramo rispose: "Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi". (Lc. 16. 25-26)
- tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco. (ICorinzi 3.15.)
Capitolo 2: I padri del purgatorio
Il secondo capitolo, all’inizio della genesi del Purgatorio, individua da un lato, due “inventori” greci, Clemente Alessandrino e Origene, esponenti della teologia cristiana ad Alessandria nel III secolo; dall’altro due padri del cristianesimo latino: Agostino e Gregorio Magno. In particolare a Sant’Agostino si deve la definizione del concetto di fuoco purgatorio e del tempo Purgatorio, lasciando ancora indefinita la questione sul luogo e il contenuto concreto di tale luogo.
Capitolo III: L’alto medioevo: ristagno dottrinale e fiorire di visioni
Tra Gregorio Magno e il XII secolo non vi sono progressi della dottrina del Purgatorio, sono cinque secoli di ristagno culturale, nei quali l’autore riporta una serie di visioni e viaggi dell’aldilà come quelle di Beda o di Carlo il Grosso.
Parte seconda
Il secolo XII: la nascita del Purgatorio
Capitolo IV: il fuoco purgatorio
Il capitolo quarto è dedicato alla trattazione del fuoco purgatorio e del suo significato del XII secolo, momento di slancio culturale nella definizione di questo terzo luogo. La dottrina che riguarda il periodo che intercorre tra la morte individuale e la resurrezione non è ancora ben definita, diverse concezioni si alternano in questo secolo, tra le quali, in particolare, l’autore si concentra sul pensiero di quattro grandi teologi: Ugo di San Vittore, San Bernardo,Graziano da Bologna e il vescovo Pier Lombardo.
Capitolo V: “Locus Purgatorius”: un luogo per la purgazione
Il quinto capitolo ripercorre i momenti cruciali tra XII e XIII secolo in cui il Purgatorio si materializza, in due tempi, come nuovo luogo dell’aldilà: nella letteratura teologico-spirituale, nella scuola della cattedrale di Notredame di Parigi, legate a figure di prestigio come Pietro il manducatore, Pietro il Cantore e Simone di Tournai; e nella letteratura delle visioni tra il 1180 e il 1215.
Capitolo VI: Il Purgatorio tra la Sicilia e l’Irlanda
In questo capitolo si delinea un tipo di racconto che nel XIII secolo ha molta fortuna: le storie di apparizioni ai vivi di defunti. Oltre alle visioni monastiche vengono descritti i due tentativi di individuare una sede del Purgatorio: in Irlanda con la scoperta del Purgatorio di San Patrizio e in Sicilia.
Capitolo VII: La logica del Purgatorio
Il sesto capitolo tratta delle conseguenze dell’apparizione di un terzo luogo dell’aldilà: un cambiamento radicale nei rapporti tra vivi e morti, nel concetto di giustizia, una nuova riflessione sul peccato e sulla penitenza e ovviamente sulle categorie dei peccatori.
Parte terza
Il trionfo del Purgatorio
Capitolo VIII La sistemazione scolastica e Capitolo IX Il trionfo sociale: la pratica pastorale e il purgatorio
Il secolo XIII vede la completa realizzazione dottrinale e teologica del Purgatorio. Nei due capitoli l’autore passa in rassegna i grandi pensatori dell’aldilà e i volgarizzatori del Purgatorio.
Capitolo X Il trionfo poetico: la Divina Commedia
L’ultimo capitolo è dedicato alla seconda cantica del Purgatorio dantesco, nella quale Dante riunisce la maggior parte delle idee che l’autore ha riassunto nei capitoli precedenti.
Bibliografia
https://www.treccani.it/magazine/chiasmo/lettere_e_arti/Espressione_vs_Repressione/CSB_Purgatorio_Le_Goffe.html
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/09/27/invenzione-del-purgatorio.html
La nascita del purgatorio, Jacques Le Goff, Torino, 2014.
https://www.festivaldelmedioevo.it/portal/il-purgatorio-invenzione-del-medioevo/