Maria Concetta Cacciola

donna italiana assassinata dalla mafia perché testimone di giustizia


Maria Concetta Cacciola, nata il 30 settembre 1980 a Taurianova e morta il 20 agosto 2011 a Rosarno è stata una testimone di giustizia contro la 'Ndrangheta e per questo assassinata dalla sua famiglia.

Biografia

Contesto familiare e sociale

Maria Concetta Cacciola nasce a Taurianova in una potente famiglia mafiosa calabrese, la 'Ndrangheta, imparentata con le altre due famiglie di Rosarno, la famiglia Bellocco attraverso lo zio Gregorio Bellocco, e la 'ndrina Pesce. La 'Ndrangheta è una potente famiglia mafiosa, guidata dai soli uomini. È probabilmente l'organizzazione criminale più arretrata d'Italia, che perpetua regole a stampo feudale: dal matrimonio forzato alla totale sottomissione della donna, pena la morte [1]. I figli sono destinati ad appartenere alla nuova generazione di boss mafiosi, le figlie a sposare questi mafiosi. I legami di sangue sono considerati sacri e non possono essere recisi per nessun motivo. Pertanto, collaborare con la giustizia o ribellarsi alla famiglia, è un tradimento inaccettabile.

Maria Concetta Cacciola frequenta Salvatore Figliuzzi, che la sposa quando lei aveva solo tredici anni, per entrare nel clan Bellocco: il matrimonio con la figlia di un capoclan è un modo per scalare le gerarchie mafiose (come nel caso di Lea Garofalo). Figliuzzi è un uomo violento, arriva anche a puntare una pistola alla fronte della moglie. A quindici anni Maria ha il primo dei loro tre figli [2].

La ribellione, testimone di giustizia

Quando nel 2002 Salvatore Figliuzzi è condannato a otto anni di reclusione per associazione mafiosa e condannato in via definitiva nel processo Bosco Selvaggio, il padre e il fratello rinchiudono Maria in casa con i figli, lontana da ogni contatto secondo il codice d'onore della 'Ndrangheta, che obbliga le giovani donne a vivere in clausura quando i loro mariti sono in carcere. Tuttavia, Maria riesce ad avere una relazione sentimentale con un uomo su internet. Quando suo fratello e suo padre scoprono questa relazione extra coniugale, la picchiano per aver disonorato la famiglia [1] [2] . Tramite internet scopre però anche il mondo al di là della sua quotidianità [3], come altre donne nella sua situazione.

Recatasi in Questura l'11 maggio 2011 per una questione riguardante il figlio primogenito Alfonso, Maria prende la decisione di voler rivelare quanto sapeva della sua famiglia e delle loro azioni, per sfuggire alla sua vita di violenza e paura, e per dare ai suoi figli un futuro migliore. Confidò quindi al Maresciallo di voler parlare della sua famiglia, ma di non poterlo fare in quel momento, in quanto corre un grosso rischio: se la famiglia la scoprirà, la uccideranno. Torna dunque in caserma nei giorni seguenti, venendo ascoltata direttamente dai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, e facendo credere di tornare di volta in volta per il caso del figlio. Nella notte tra il 29 e il 30 maggio dello stesso anno, Maria diventa ufficialmente testimone di giustizia, viene inserita nel programma di protezione e trasferita di nascosto prima a Cassano all'Ionio e poi più lontano, a Bolzano e infine Genova, senza poter avere più contatti con la sua famiglia. Sceglie di lasciare i suoi figli alle cure di sua madre, credendo che lei la capirà e la sosterrà. Le scrive: «Mi sono sposata a 13 anni. Questo ha distrutto le nostre vite. Questo è tutto ciò che non volevo. Volevo la pace, sentire l'amore, essere me stessa. La vita mi ha portato solo dolore.» [4].

I figli si rivelano il suo punto debole, sono l'unico legame che ancora la lega a Rosarno e la sua famiglia li usa come strumenti di ricatto per farle pressione. Mentre vive clandestinamente a Genova, Maria è presa dalla nostalgia per i figli. Riesce a parlare con loro al telefono, ma cede alle pressioni dei genitori che minacciano di non farle rivedere mai più i figli, rivela allora alla madre dove si trova. I suoi genitori arrivano subito per riportarla in Calabria e suo padre, durante il viaggio, cerca di farle dire quello che ha rivelato ai magistrati. Rendendosi conto di essere in pericolo, Maria riesca a contattare il Servizio di Protezione affinché la vadano a prendere a Cerredolo (Reggio Emilia), a casa di una cugina della madre da cui si erano fermati per la notte [5].

Ritorno a Rosarno

Tornata a Genova, nei giorni seguenti i genitori le fanno pressione per farla tornare a Rosarno, facendo leva sull'amore e sulla lontananza dei figli e promettendole che l'avrebbero perdonata. Ma Maria sa bene che la 'Ndrangheta non perdona mai. In una telefonata del 6 agosto, confida alla sua cara amica Emanuela di vivere schiacciata tra la paura di ritornare e il timore di non vedere più i suoi figli. La minaccia più ignobile che le veniva intimata dalla famiglia, infatti, era proprio questa: «Torna o non vedrai più i tuoi figli». Dalla conversazione telefonica con la sua amica, intercettata dalla polizia e finita agli atti del Processo Onta, risulta che abbia detto: «So cosa sta succedendo. Torno, mi fanno ritrattare e poi mi uccidono, ho paura di tornare, ma devo farlo per i miei figli». Maria cede e torna a Rosarno l'8 agosto 2011. [6] .

Il 12 agosto due avvocati del clan, Gregorio Cacciola, cugino del padre, e Vittorio Pisani la costringono a firmare una ritrattazione e a registrarla su un'audiocassetta. Ben presto, si pente di questo gesto e cerca di scappare di nuovo, di chiedere aiuto. La polizia deve venire per lei e i suoi figli ma, tra la paura e il fatto che uno dei bambini sia malato, rimanda il momento. Due giorni dopo il suo ultimo contatto con la polizia, il 20 agosto 2011, viene trovata morente in bagno dopo aver ingerito dell'acido cloridrico che le bruciava la bocca, quella bocca che parlava troppo [7]. Tre giorni dopo, mentre i funerali non sono ancora stati nemmeno celebrati, i suoi genitori presentano denuncia alla Procura di Palmi. Descrivono la figlia come squilibrata, depressa e accusano le autorità di averla spinta al suicidio. Portano la lettera e l'audiocassetta in cui dichiara di aver parlato con la giustizia solo per vendicarsi del padre e del fratello [1]. Ci fu una campagna stampa durante la quale magistrati e inquirenti sono accusati di aver approfittato delle precarie condizioni di salute mentale della giovane. Durante il Processo Onta, a seguito della deposizione dell'avvocato Vittorio Pisani, risulterà che tale campagna è stata orchestrata dall'avvocato Gregorio Cacciola con l'obiettivo di delegittimare il modo in cui vengono trattati i testimoni di giustizia e di scoraggiare così future collaborazioni [6] .

Il Processo Onta

Il suicidio, tuttavia, sembra altamente improbabile, ne sono prova il carattere di Maria Concetta Cacciola, la sorveglianza costante esercitata dalla sua famiglia e il metodo utilizzato, una firma tipica della mafia. L'inchiesta mostra anche che la lettera e il nastro sono stati realizzati sotto costrizione [6] . Per l’omicidio di Maria Concetta, sono arrestati il padre, Michele Cacciola e il fratello, Giuseppe Cacciola. Alla madre, Anna Rosalba, sono concessi gli arresti domiciliari. Viene ascoltato in Commissione Parlamentare Antimafia il Pubblico Ministero Giovanni Musarò che ha sostenuto l’accusa nel processo: «Maria Concetta era attendibile. Quando l’abbiamo ascoltata era terrorizzata. Le sue dichiarazioni hanno portato anche ad operazioni di polizia giudiziaria importanti. Le intercettazioni, registrate poco prima che tornasse a Rosarno e al suo rientro a Rosarno, sono veramente terribili, materia per una tragedia greca. Questa ragazza torna infatti a Rosarno consapevole di quello che sarebbe successo e che nel momento in cui avesse ritrattato le dichiarazioni sarebbe finita quella che lei chiama “la garanzia sulla vita”. Era una ragazza che non aveva mai commesso reati e non era indagata. In una telefonata terrificante con una sua amica dice: “So che succede. Io torno, mi fanno ritrattare e poi mi ammazzano, ma io ho paura a tornare, però devo farlo per i miei figli”. E succede esattamente questo, con la chicca che simulano un suicidio. La trovano morta per aver ingerito acido muriatico, che purtroppo è anche un gesto evocativo, cioè una fine che viene riservata ai collaboratori di giustizia, a chi parla troppo»[8].

Alla fine, Maria Concetta Cacciola ottiene giustizia: la madre, Anna Rosalba Lazzaro, viene condannata a tre anni di reclusione; il padre a sei anni e sei mesi di reclusione e il fratello, a cinque anni e otto mesi. L'avvocato Vittorio Pisani fu condannato a quattro anni e sei mesi di reclusione, per poi decidere di collaborare; l'avvocato Gregorio Cacciola viene condannato a quattro anni e otto mesi di reclusione per reati di favoreggiamento, violenza e minaccia, aggravati dall’aver agevolato la 'ndrina dei Bellocco. Oltre alla condanna per maltrattamento ai danni della figlia, i genitori sono condannati anche a dieci mesi aggiuntivi di reclusione per la madre e a due anni e sei mesi di reclusione per il padre, per aver maltrattato i nipoti con l'obiettivo di aggredire la loro integrità psicologica, morale e fisica al fine di convincere la madre a riconsiderare le sue accuse [9] .

Tributi

Molte iniziative sono state dedicate a Maria Concetta Cacciola [2] .

Nel 2014, una competizione "Il coraggio della scelta" è stata organizzata a Rosarno in sua memoria [10] .

Il comune di Lamezia Terme dedicò un'intera settimana dal 5 al 10 marzo 2012 a Giuseppina Pesce, Maria Concetta Cacciola e Lea Garofalo, le tre donne calabresi che si ribellarono alla 'Ndrangheta e alle loro famiglie, pagando, per due di loro, il prezzo della vita per liberarsi dal giogo della mafia. La settimana fu contrassegnata da vari eventi riguardanti la condizione delle donne [11] .

Conseguenze

Le autorità affermano che la storia di Maria Concetta Cacciola non è l'unica [12]. Stanno ancora indagando su una decina di presunti suicidi in cui la 'Ndrangheta è sospettata di essere coinvolta [13] . Alcune donne sono sopravvissute, come Giuseppina Pesce, una delle prime donne ad essersi ribellata alla mafia, e Lea Garofalo, che si oppose alla famiglia ed ora vive sotto protezione.

Roberto Di Bella, presidente del tribunale dei minori di Reggio Calabria, si impegna a sostenere donne e bambini che vogliono sfuggire alla 'Ndrangheta. Dal 2011 al 2016 ha sottratto alla custodia delle loro famiglie mafiose più di 40 bambini che hanno subito abusi. Di Bella ha dichiarato che sempre più donne e bambini chiedono aiuto. In effetti, le statistiche del Ministero della Giustizia mostrano che il numero di donne della 'Ndrangheta che hanno collaborato con la giustizia è raddoppiato tra il 2005 e il 2016. Tuttavia per Lirio Abbate non si tratta di una tendenza di fondo, ha dichiarato: « Ci sono esempi di collaborazioni, sì, ma si tratta di casi isolati, che sono stati seguiti solo in misura minore. La grande maggioranza delle donne è ancora invischiata in una cultura primordiale, non perché vi siano costrette, ma perché per loro è normale. Queste donne semplicemente non se ne rendono conto. La maggior parte di queste loro non escono dalla Calabria. Dopo il liceo, non possono andare all'università perché potrebbero essere mandate fuori dalla loro regione natale. Vivono in una bolla mafiosa, per loro è normale, è una sorta di "Truman Show" versione calabrese»[3] .

Con la storia di Maria Concetta Cacciola, la giustizia italiana prese coscienza dell'importanza della tutela dei figli affinché non diventino strumenti di ricatto e indeboliscano ulteriormente la madre. Se i figli rimangono nella famiglia mafiosa, le madri prima o poi finiscono per ricongiungersi e poi è la fine [12] .

Bibliografia

Riferimenti

  1. ^ a b c (FR) Les filles de l'ndrangheta déshonorent leurs pères. Interview à Dina Lauricella, su caos-cultura.ch.
  2. ^ a b c Maria Concetta Cacciola, su vivi.libera.it.
  3. ^ a b Fimmine ribelli. Come le donne salveranno il paese dalla n'drangheta, Biblioteca Univ. Rizzoli, ISBN 9788817063593.
  4. ^ Maria Concetta Cacciola sognava la libertà. Per questo era destinata a morire, su L'Espresso.
  5. ^ (FR) Richard Heuzé, Les tourments des femmes de la Ndrangheta, su Le Figaro.
  6. ^ a b c Antonia Nicola Pessuto, Giustizia per Maria Concetta: ultimo atto, su Liberainformazione.
  7. ^ Paolo de Chiara, Maria Concetta Cacciola, la giovane madre «suicidata» con l'acido muriatico, su Wordnews.it.
  8. ^ Antonio Nicola Pezzuto, Giustizia per Maria Concetta: ultimo atto, in liberainformazione.org, 27 gennaio 2028. URL consultato il 19 gennaio 2023.
  9. ^ Angela Panzera, Maltrattamenti sui nipoti: condannati i genitori di Maria Concetta Cacciola, su Il Dispaccio.
  10. ^ Legalità: concorso ricorda testimone Maria Concetta Cacciola - Calabria, su ANSA.it.
  11. ^ Lamezia dedica una settimana a Giuseppina Pesce, Maria Concetta Cacciola e Lea Garofano, su RedattoreSociale.it.
  12. ^ a b (FR) Nasi Margherita, 'Ndrangheta: quand la lutte contre la mafia passe par les femmes, su Slate.fr.
  13. ^ Family, violence and silence: Life and death for women in the Italian mafia, 2 dicembre 2016.
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