Fotografo di scena

Qui inizio ad integrare la presente sezione della voce Fotografo di scena. Poi creo da zero delle sottosezioni.

Storia

Intorno al 1890 i miglioramenti della tecnica e le dimensioni più ridotte delle fotocamere favorirono il diffondersi di nuove professioni legate alla fotografia: il fotogiornalismo, la streetphography e la fotografia di scena teatrale. In questi anni fotografare a teatro voleva dire dare la propria testimonianza storica che poteva risultare utile per eventuali riallestimenti. La figura della prima attrice [1] era posta al centro dell'attenzione, come una vera icona di bellezza e intraprendenza. Sempre in questo periodo veniva girato ”Roundhay Garden Scene” il primo film muto. Vennero realizzate solo fotografie ottenute con il processo di cronofotografia. Da allora la fotografia di scena ha avuto un percorso parallelo con il cinema e con il teatro.

Nella società dei primi anni del Novecento il fotografo di scena era visto come un semplice operaio che svolgeva un lavoro di routine, specialmente in ambito teatrale. Per questo un certo numero di fotografi passarono alla realtà cinematografica considerata come la novità ed il futuro tecnologico. Questa scelta comportava tempi di lavoro più serrati, perché le prove e le scene girate si svolgevano il solito giorno. Inoltre le rigide regole stilistiche ed i limiti tecnici dell’epoca costringevano i fotografi a scattare dalla solita angolazione della macchina da presa, riproducendo una copia delle più emblematiche scene del film. Le immagini erano documentariste e prive di qualsiasi creatività. A volte era proprio il regista a dare indicazioni al fotografo. Questo era un chiaro segnale di una non ancora riconosciuta professionalità.

Nel cinema non esisteva ancora la possibilità di visionare immediatamente le scene girate, come accade oggi. Di grande aiuto fu l'invenzione nel 1947 delle istantanee Polaroid, che vennero usate sempre con parsimonia, visto l’alto costo. In questo modo era più semplice avere il controllo sequenziale della pellicola.

Spesso gli attori venivano anche richiamati sulla scena per riprodurre le pose del film. Questo tipo di fotografie vennero chiamate “posati” e sarebbero servite per manifesti e locandine. Negli anni ’50 questa tendenza diminuì, perché comparirono sui set cinematografici nuove figure di fotografi provenienti dalle agenzie di cronaca. Erano abituati a cogliere l’attimo, perciò non avrebbero avuto più bisogno dei “posati”. Fotografavano a ritmi incalzanti, vendendo i loro servizi ai giornali. Fornivano quotidianamente il lavoro svolto anche al regista che decideva le immagini giuste da trasformare in locandine per la promozione del film. La pubblicità dei film verso il grande pubblico attraverso le immagini delle locandine fu un’ottima strategia soprattutto dove era presente il fenomeno dell'analfabetismo.

Intorno agli anni ’60 la fotografia di scena aumentò il proprio valore sociale grazie anche all’introduzione del fotoromanzo (con nuove tecniche di stampa) e del cineromanzo (utilizzando le foto di scena che scorrendo in successione raccontavano la pellicola). Questo utilizzo delle fotografie determinò un aumento significativo del loro valore. Non erano più semplici scatti documentaristici, ma vere opere di creatività supportate da nuove tecnologie. La conseguenza fu un aumento della domanda di immagini da parte del cinema e del teatro.

Ai nostri giorni la figura del fotografo di scena è centrale. E' sempre meno propenso a mettersi al servizio della creatività altrui. Non intende rinunciare alla propria libertà, anche se rimane sempre un lavoro su commissione, pagato per saper trasmettere determinate emozioni. Il fotografo instaura rapporti sociali con gli attori, garantendo una maggiore complicità e risultati migliori al momento dello scatto. Si confronta con il regista, il quale spesso lascia carta bianca nell’utilizzo del mezzo fotografico. Oggi il fotografo di scena può arrivare a ricoprire anche il ruolo di direttore della fotografia[2] essendo ormai un vero professionista del settore.

Metodologia di scatto

Con l'evoluzione del digitale è diventato apparentemente più semplice scattare una fotografia di scena. La differenza è che dietro il lavoro di un professionista c’è sempre la conoscenza di un'opera, lo studio di un copione, il rapporto diretto con i tecnici, i registi e gli attori.

Il fotografo di scena deve sapersi muovere con abilità sia sul set cinematografico che in teatro. Non deve interferire con il lavoro della troupe e degli attori, tanto meno disturbare il pubblico. A volte le condizioni di lavoro non sono delle migliori. Può capitare di lavorare in posizioni scomode o avere a disposizione poco spazio per effettuare i propri scatti. Comunque sia deve riuscire a cogliere i momenti più emblematici facendosi notare il meno possibile.

In teatro le inquadrature vengono stabilite durante le prove, sul set cinematografico prima di girare la scena di un film. In questo modo il fotografo ha la possibilità di studiare le giuste angolazioni, valutando le luci e le impostazioni del proprio strumento fotografico.

Fino a diversi anni fa la maggior parte dei fotografi utilizzava fotocamere “blimpate”, cioè rivestite, per evitare che la tendina dell’otturatore, abbassandosi, procurasse il classico rumore di scatto. Oggi la tecnologia ha trovato nuove soluzioni. Esistono infatti strumenti fotografici silenziati, sia nella linea reflex che mirrorless. Essi danno la possibilità di lavorare senza produrre alcun rumore. Durante una rappresentazione teatrale il silenzio è d'obbligo, perché qualsiasi rumore verrebbe avvertito sia sul palco che in platea. Ma anche durante le riprese di un film viene chiesto espressamente il silenzio prima di girare una scena, perché i rumori fuori campo verrebbero registrati.

L'utilizzo del flash non è consentito. Se pensiamo al buio del teatro, il bagliore di un flash provocherebbe fastidio e perdita di concentrazione agli attori ed al pubblico. Ovviamente questa regola vale anche per la scena di un film. Il lampo del flash rovinerebbe sicuramente le riprese e distoglierebbe gli attori dall'interpretazione. In entrambi i casi l’utilizzo del flash modificherebbe l’atmosfera studiata a priori. Sarà solamente la giusta regolazione della fotocamera che dovrà esaltare gli elementi di scena, senza ricorrere a illuminazioni integrate.

Il fotografo, attraverso il suo lavoro, deve saper comunicare l'anima di quello che sta scattando. Questo è possibile anche grazie all'utilizzo degli obiettivi giusti. Le ottiche che hanno maggiore apertura di campo, come i grandangolari, consentono di comprendere più elementi nell'inquadratura, facendoci rimanere più esterni alla scena. Al contrario, scegliendo un'ottica con minor ampiezza di campo, come i teleobiettivi, abbiamo meno elementi nell'inquadratura, ma riusciamo ad andare più in profondità, trasmettendo un maggior coinvolgimento alla scena.

Un buon risultato finale è garantito dal rispetto di queste regole, ma non solo. Contribuiscono anche il tipo di inquadratura, la composizione, la profondità di campo e non per ultimo l’occhio attento del fotografo[3] capace di cogliere l'attimo. In questi casi la conoscenza della teoria è necessaria, ma sarà la pratica sul campo che costruirà la professionalità del fotografo di scena.


I posati
Il backstage
La tecnica

Il fotografo di scena deve unire la passione ed il talento alla tecnica fotografica. Alla base di tutto c'è l'utilizzo del diaframma, dei tempi di scatto e delle iso. La regolazione di questi elementi dipende dalla sensibilità e dall'esperienza del fotografo, ma anche dai vincoli contrattuali che determinano la linea da tenere.

Intervenire sul diaframma, vuol dire regolare la luce in entrata. Il fotografo può trovarsi in teatro in condizioni di scarsa illuminazione o su un set cinematografico con luci adatte alla scena ma difficili da gestire con il mezzo fotografico. Durante le prove è buona regola usare l'esposimetro esterno per misurare l'illuminazione della scena, specialmente quando non è omogenea. La rilevazione viene fatta per ogni cambio di luce, con particolare attenzione per le scene più importanti. In questo modo il fotografo decide con calma la giusta esposizione di ogni momento. Sarà necessario saper intervenire anche sui tempi di scatto in uno stretto rapporto di reciprocità con il diaframma.

La regolazione dei tempi di scatto permette di congelare un movimento o creare l'effetto mosso. Un'esposizione più lunga permette di far entrare la quantità di luce desiderata dal diaframma per poi essere regolata dalla tendina dell'otturatore attraverso valori più lenti. Questa tecnica simulerà il movimento presente nella scena rendendo la foto più dinamica. I tempi di scatto lunghi consentono anche di creare un effetto scenico particolare, congelando i soggetti immobili e rendendo mossi quelli in movimento. Altrettanto importante è l'utilizzo dei tempi più corti. La luce che passa dal diaframma, viene regolata dall'otturatore attraverso una scala di valori più veloci. In questo modo il fotografo riesce a congelare mimiche facciali e gesti che ritiene interessanti per la descrizione di un'opera. Il rapporto di reciprocità fra questi due elementi consiste nel saper calibrare l'apertura del diaframma e la durata dei tempi di scatto in un legame inversamente proporzionale. Questo è importante per non scattare fotografie sottoesposte o sovraesposte. Ovviamente quanto detto è da considerare se la fotocamera viene utilizzata in modalità manuale. Se ci sono cambi di luce veloci invece è consigliabile impostare lo strumento fotografico in "priorità di diaframma". L'apertura del diaframma sarà decisa dal fotografo, invece i tempi di scatto saranno calcolati automaticamente dalla macchina.

Se la scena da fotografare è poco illuminata, oltre a calibrare il diaframma ed i tempi di scatto, è necessario valutare se intervenire anche sugli ISO. Quest'ultimo strumento riesce ad aumentare la luminosità del sensore, ottenendo fotografie più chiare. Utilizzando valori troppo alti presenta un fastidioso effetto collaterale. Nelle parti più scure del fotogramma si creano perdite di nitidezza attraverso la presenza di puntini chiamati "rumore". Questo problema è risolvibile intervenendo in postproduzione o evitando valori troppo alti. Per evitare il rumore e garantire un'immagine abbastanza chiara è possibile iniziare ad impostare la macchina a 800 ISO, per poi salire a 1600 0 3200 in caso di necessità. Comunque le fotocamere di ultima generazione creano poco rumore anche ad ISO elevati.

Per evitare perdite di nitidezza, utilizzando ISO troppo alti, è sempre meglio lavorare con obiettivi luminosi. Più l'obiettivo è luminoso e più il diaframma potrà raggiungere aperture maggiori. Il fotografo di scena per affrontare al meglio qualsiasi situazione dovrebbe lavorare con ottiche che non hanno luminosità inferiore a f2.8. Perciò anche la scelta del giusto obiettivo è importante. Tra i più versatili teleobiettivi c'è il 70-200mm f/2.8, uno zoom luminoso, stabilizzato, che permette una buona escursione focale nel caso il fotografo non abbia molta libertà di movimento. In caso contrario è sempre bene diversificare le inquadrature per evitare un servizio fotografico monotono, anche utilizzando ottiche fisse come il 35mm f/1.8 o più spinte come l'85mm f/1.8. In caso di teatri più piccoli o situazioni più raccolte può essere sufficiente utilizzare anche l'obiettivo 24-70mm f/2.8.

Con gli strumenti descritti è possibile diversificare le inquadrature a seconda delle necessità, utilizzando anche la tecnica della profondità di campo. Se la scena prevende un gesto o la mimica facciale di un attore allora è quasi sempre necessario valorizzarla. Il diaframma verrà aperto e controbilanciato dai tempi di scatto per ottenere la giusta esposizione. In questo modo il particolare della scena verrà isolato dallo sfondo e quest'ultimo risulterà sfocato. Il risultato sarà una ridotta profondità di campo che potrà ridursi ancora all'avvicinarsi del fotografo verso il soggetto. Di fronte ad una scena con più attori invece è necessario aumentare la profondità di campo. Il diaframma sarà più chiuso e la distanza del fotografo dagli interpreti sarà maggiore. In questo modo gli attori risulteranno tutti a fuoco.

Il genere di spettacolo e le linee contrattuali possono anche influenzare la scelta di fotografare a colori o in bianco e nero. Sarebbe un peccato perdere la cromaticità di una scenografia. Al contrario l'utilizzo del colore potrebbe distrarci dalla mimica di un attore durante un monologo. Saper utilizzare queste regole vuol dire anche avere una buona sensibilità con cui veicolare le emozione che un'opera o una pellicola vogliono trasmettere. Il lavoro del fotografo di scena non è semplice, ma la fatica è comunque ricompensata dal piacere di vedere le proprie fotografie apprezzate dagli addetti ai lavori e dal pubblico.

Critica

Fotografo di scena è un’espressione che probabilmente non rende del tutto merito a colui, che con tanta passione e pazienza, scatta le fotografie durante lo svolgimento di una scena cinematografica o teatrale. Questa espressione fa pensare ad un elemento di un archivio o magazzino rispolverato al momento che si va in scena o si batte un ciak. Per questo è stata proposta la definizione di “fotografo sulla scena” per sottolineare l’abilità sia giornalistica che illustrativa.[4]

Note

  1. ^ Giada Cipollone, Ritrattistica d'attore e fotografia di scena in Italia 1905-1943. Immagini d'attrice dal Fondo Turconi. Ediz. illustrata, Roma, Scalpendi, 2020, ISBN 9788832203301.
  2. ^ D. Schaefer e L. Salvato, I maestri della luce. Conversazioni con i più grandi direttori della fotografia, Roma, Minimum Fax, 2019, ISBN 8833890481.
  3. ^ Claudio Capanna, Lampi. La fotografia vista dall'occhio dei grandi del cinema, Roma, Associazione Culturale Il Foglio, 2014, ISBN 9788876065309.
  4. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore :0

Bibliografia

  • Alberto Barbera, Paolo Meneghetti e Stefano Boni, Magnum sul set. Il cinema visto dai grandi fotografi, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2011, ISBN 9788836620012.
  • Paolo Mereghetti, Alessandra Mauro, Franca De Bartolomeis e Alessia Tagliaventi, Movie: Box. Il grande cinema e la fotografia, Roma, Isabella Dothel, 2012, ISBN 9788869656064.
  • D. Schaefer e L. Salvato, I maestri della luce. Conversazioni con i più grandi direttori della fotografia, Roma, Minimum Fax, 2019, ISBN 8833890481.
  • S. Palombi e M. Mori Rossi, Dal click al ciak. Introduzione alla fotografia cinematografica, Roma, Edup, 2009, ISBN 9788884212214.
  • Giada Cipollone, Ritrattistica d'attore e fotografia di scena in Italia 1905-1943. Immagini d'attrice dal Fondo Turconi. Ediz. illustrata, Roma, Scalpendi, 2020, ISBN 9788832203301.
  • Claudio Capanna, Lampi. La fotografia vista dall'occhio dei grandi del cinema, Roma, Associazione Culturale Il Foglio, 2014, ISBN 9788876065309.