Dario Argento

regista, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano (1940-)

Dario Argento (Roma, 7 settembre 1940) è uno sceneggiatore, regista e produttore cinematografico italiano.

Argento è uno degli autori italiani più noti ed apprezzati all'estero, ed è conosciuto come un maestro del brivido: la sua produzione registica, infatti, annovera quasi esclusivamente film gialli e dell'orrore. Come sceneggiatore, invece, ha dimostrato un certo eclettismo; si pensi, per esempio, alla sua collaborazione con Sergio Leone per il soggetto di C'era una volta il West (insieme anche a Bernardo Bertolucci).

Almeno inizialmente evita di inserire nei suoi film elementi del soprannaturale, prediligendo un approccio realistico, nel quale la morte è sempre percepibile, ed incombe sempre come un evento pronto ad irrompere e sconvolgere la vita da un momento all'altro. Il terrore viene comunicato attraverso un'atmosfera carica, inquietante ed incerta.

Queste sue scelte iniziali verranno in seguito sconvolte completamente dallo stesso regista, allestendo delle pellicole nelle quali viene esplorato tutto il campionario del soprannaturale, demoni, streghe, fantasmi e quant'altro, trasformando l'immagine della morte in una presenza extra-terrena ed incomprensibile all'uomo.

Biografia

Gioventù e primi passi di un cinefilo

Dario Argento nasce già nell'ambiente cinematografico; il padre, perugino, Salvatore Argento era un produttore cinematografico, la madre, la brasiliana Elda Luxardo, una fotografa di moda. Come lui stesso afferma, da bambino si tratteneva spesso presso lo studio della madre, rimanendo fortemente influenzato dalle figure femminili, dal gusto per l’illuminazione, dalla cura per il dettaglio, dalle lunghe sedute per il trucco, tutti elementi che caratterizzeranno il suo cinema.

Il padre è stato il produttore di tutti i suoi primi film, a partire da L'uccello dalle piume di cristallo fino a Tenebre.

Dotato di un carattere introverso e difficile, ma anche di una forte personalità, Dario, dopo essersi iscritto al liceo classico, lo abbandona al secondo anno, prendendo così la decisione di trasferirsi a Parigi, dove risiede per circa un anno vivendo di espedienti. Rientrato in Italia, nel 1957 inizia a collaborare con “l' Araldo dello Spettacolo”, occupandosi di teatro, cinema e musica, il che consente ad Argento di “nutrirsi” sopratutto di cinema.

E' in questo periodo che il futuro regista matura le proprie passioni cinefile, rappresentate dal cinema espressionista, dalla Nouvelle Vague, dai film noir, horror, gialli, polizieschi, da Hitchcock, Antonioni, Fellini, ma anche dal cinema dei "telefoni bianchi". Forte di questo "background", Argento riesce a farsi assumere a Paese Sera, noto quotidiano romano, come critico cinematografico, dimostrandosi, agli inizi degli anni '60, un "precursore" delle imminenti "ribellioni": con le sue recensioni si schiera nettamente a favore del cinema “di genere”, in particolare western, thriller, horror, fantascienza, in aperta rottura con la critica ufficiale, tendendo quasi sempre ad esprimere un' opinione controcorrente. Inizia così ad acquisire la consapevolezza delle proprie capacità con la penna, intraprendendo la strada di soggettista e sceneggiatore.

Tra il 1967 e il 1969 collabora agli script di diversi B movies, quali Cimitero senza croci, La stagione dei sensi, Comandamenti per un gangster, La rivoluzione sessuale, Probabilità zero, Oggi a me... domani a te!, Commandos, Un esercito di cinque uomini, La legione dei dannati, ma anche di episodi "alti", ovverosia Metti una sera a cena di Giuseppe Patroni Griffi, mentre assieme a Bernardo Bertolucci scrive il soggetto di C'era una volta il West di Sergio Leone.

L'esordio alla regia e i primi gialli

Nel 1969 Argento crea con suo padre una società di produzione, la S.E.D.A. Spettacoli, con la quale riesce finalmente ad avviare il suo primo progetto cinematografico da regista. Debutta, infatti, dietro la macchina da presa nello stesso anno con il giallo L'uccello dalle piume di cristallo, scritto da solo basandosi sul romanzo La statua che urla di Fredric Brown. La pellicola, uscita nel febbraio 1970, nonostante una tiepida accoglienza iniziale, si trasforma in un grande successo.

In questo primo film Argento riprende il discorso iniziato da Mario Bava nel bellissimo Sei donne per l'assassino del 1963 e lo plasma secondo la propria personale visione del giallo, potendo il regista "sfogare" in questo genere tutte le sue passioni cinefile, le sue ossessioni, ma sopratutto il suo talento visionario. Definito dal critico cinematografico Roberto Pugliese come un "sasso nello stagno" del cinema italiano dell'epoca, il film in questione contiene già diversi elementi che verranno dal regista ripresi, sviluppati e, a volte, dilatati in modo autodistruttivo, nelle sue opere successive e che contribuiranno a delineare il suo stile personale, più unico che raro nel panorama del cinema thrilling internazionale.

In effetti, fin da questo film sono abbastanza evidenti le peculiarità del cinema argentiano, o, quantomeno, quali siano gli "interessi" maggiori del regista romano, il cui modus operandi è, per certi versi, paragonabile a quello di Sergio Leone, e che nel loro complesso possono essere così elencati: le tecniche di ripresa (lo stacco dal piano lungo al primo piano, l'uso di soggettive, primissimi piani su oggetti e occhi), l'importanza data all'uso di fotografia (tonalità di certi colori, luci, inquadrature, carrelli) e colonna sonora e rumori, il ricorso al montaggio alternato, con cui si anticipa, con fotogrammi quasi subliminali, la sequenza successiva, la scarnità dei dialoghi, la frammentazione delle locations in città diverse e la conseguente indeterminatezza geografica dell'azione, il senso di avulsione dalla realtà che circonda i personaggi, l'incapacità e/o inutilità della polizia, l'interesse per le psicopatologie, la dissolvenza audio di una scena qualche istante prima della dissolvenza video, in modo tale da dare allo spettatore la sensazione di non poter ascoltare bene i dialoghi, l'alternarsi di momenti di suspence a situazioni da commedia di sapore hitchcockiano, il whodunit, la falsa percezione sensoriale (il particolare visto ma sfuggito) del protagonista di turno, di chiara derivazione antonioniana, e che ritornerà spesso nei lavori di Argento, ed, infine, la descrizione ai limiti del morboso delle performances dell'assassino, rappresentato sempre in impermeabile, cappello e guanti.

In definitiva, con l'opera d'esordio Dario Argento codifica le regole del cd. giallo all'italiana (o spaghetti-thriller), già sperimentato da Bava con la suddetta pellicola, svolgendo lo stesso ruolo che Leone aveva svolto nel 1964 con Per un pugno di dollari nel campo dello spaghetti-western: dal 1970 al 1973 fioriranno numerose pellicole ispirate al thriller argentiano, alcune interessanti e notevoli, altre mediocri prodotti d'imitazione.

Visto il grande successo commerciale del primo film, Argento prosegue sulla strada del giallo, dirigendo Il gatto a nove code, uscito nel febbraio 1971, opera che lo conferma come un regista in grado di suscitare l'interesse del pubblico, ma non della critica, almeno di quella ufficiale, interessata solo al cinema "impegnato" o comunque "d'autore". In questo secondo film, meno "cinefilo" dell' "Uccello dalle piume di cristallo", ma non per questo meno interessante, il trentenne Argento dimostra ancora una volta di saperci fare con la macchina da presa, la suspence, la direzione degli attori, affinando ulteriormente il suo stile e mettendo a segno alcune notevoli intuizioni tecniche e visive (la ripresa al rallenty del primo omicidio, la lunga ed emozionante sequenza del cimitero e quella del latte, il montaggio alternato).

Nel dicembre dello stesso anno esce anche Quattro mosche di velluto grigio, che conferma come Argento sia in pieno fermento creativo, costantemente alla ricerca di un nuovo e personale linguaggio cinematografico adatto al thriller, sperimentando e sviluppando tecniche innovative per suscitare tensione emotiva nel pubblico, come è qui dimostrato dall'impiego di una macchina da presa proveniente da una università della Germania Orientale, la Pentazet, per riprendere la sequenza del proiettile che esce dalla pistola, girata a 18000 fotogrammi/secondo, e, sopratutto, per l'incidente finale a 36000 fot./sec. Ma della pellicola in questione va ricordata sopratutto la sequenza "onirica" della decapitazione, ogni volta condotta un passo più avanti, secondo uno schema che ricorda molto la scena finale e "rivelatrice" di C'era una volta il West. Ma il vero talento di Argento sta nell'abilità di descrivere la vita familiare del protagonista come se si svolgesse in una dimensione completamente avulsa dalla realtà oggettiva, ovverosia come in un incubo (si vedano, ad es., le riprese in esterni della via dove abita Roberto Tobias ed, in particolare, tutta la scena in cui Nina viene scortata dalla polizia sotto gli occhi smarriti di Roberto). D'altronde, anche in questo film Argento non rinuncia a momenti esilaranti, più presenti qui che in altre pellicole dello stesso regista (si vedano i personaggi interpretati da Jean Pierre Marielle, Oreste Lionello, Bud Spencer, Gildo Di Marco e Corrado Olmi e, su tutti, la sequenza all'expo di arte funeraria), nè mancano le citazioni cinefile (il protagonista abita in via Fritz Lang). Queste prime tre opere vengono definite Trilogia degli animali o "Trilogia zoologica".[senza fonte]

Guadagnatosi in soli due anni la fama di maestro del terrore, Argento accetta la proposta della R.A.I. di produrre, curare e presentare una serie di quattro film per la TV, intitolata La porta sul buio e trasmessa nel 1973 sulla prima rete. Il regista dirige, con lo pseudonimo di Sirio Bernadotte, l'episodio “Il tram”, ricavato da una sequenza eliminata dalla sceneggiatura originale de “L’uccello dalle piume di cristallo”, mentre scrive soggetto e sceneggiatura di "Testimone oculare", diretto da Roberto Pariante. Gli altri due episodi, "Il vicino di casa" e "La bambola", sono diretti rispettivamente da Luigi Cozzi e Mario Foglietti. In realtà, il "tocco argentiano" è ben visibile in diversi punti di questi tre episodi, essendo molto probabile che Argento sia intervenuto personalmente in fase di riprese (nei primi due, si veda il ricorso al montaggio alternato; nell'ultimo, tutta la soggettiva iniziale e il delizioso zigzagare della cinepresa sulla strada). L'episodio di Argento segue il modello dei primi tre film (il particolare sfuggente, il whodunit), con le uniche differenze che il giallo si tiene più sui toni della commedia (ancora Corrado Olmi, il mitomane, il simpatico protagonista) e viene risolto da un poliziotto, il tutto scandito dalla colonna sonora jazz di Giorgio Gaslini.

Ad ogni buon conto, "La porta sul buio" rappresentò qualcosa di nuovo nel panorama televisivo dell'epoca, sollevando anche alcune polemiche nonostante nè Argento nè i suoi colleghi avessero calcato la mano sulla violenza.

Una parentesi "storica"

Nel 1973 Argento si vede costretto, per esigenze produttive, a dirigere quello che rimane l’unico episodio “fuori tema” della sua filmografia, ossia Le cinque giornate, appartenente al filone “ottocentesco popolare” in voga in quel periodo e ambientato durante i giorni dell'insurrezione della cittadinanza milanese contro gli austriaci (18-23 marzo 1848). Un progetto inizialmente concepito pensando a Nanny Loy alla regia e ad Ugo Tognazzi come interprete principale.

Argento, affiancato in sede di sceneggiatura da Nanni Balestrini, ne approfitta per costruire un film di critica sociale e politica, dove i protagonisti delle "cinque giornate" sono messi alla berlina, mentre viene messo in risalto il carattere borghese e illusoriamente popolare della rivolta. Una pellicola caratterizzata certo da una scanzonata comicità, che alterna momenti "vuoti" a scene esilaranti, ma che non manca di momenti duri e cruenti (su tutte, la sequenza della cavalleria che spara sulla folla col bambino che piange in primo piano). Il risultato fu un prodotto particolarissimo, che non fu molto apprezzato all’epoca, in quanto si distaccava anni luce da altre pellicole "allineate" del periodo. In effetti, l’approccio di Argento al periodo risorgimentale è sicuramente spiazzante e controcorrente, ma non per questo meno interessante, apparendo ingiuste le accuse di qualunquismo che gli furono mosse.

D'altronde, pur affrontando un nuovo genere, il regista non rinuncia al suo stile personale, emergendo questo fin dalla prima sequenza dove, inquadrato un cannone in primo piano, si odono i rumori della rivolta fuori campo per poi, subito dopo, avventurarci in un piano sequenza nelle galere che si conclude sul primo piano di Cainazzo. Abbondano poi le citazioni ed omaggi al cinema muto (da Ejzenstein a Chaplin passando per Laurel & Hardy).

Il ritorno al thriller e il debutto nell'horror

Nel momento in cui lo spaghetti-thriller era ormai sul viale del tramonto, Argento realizza nel 1975 quello che viene ancora oggi considerato il suo capolavoro, Profondo rosso, e che segna il suo ritorno al thriller, riuscendo nella difficile impresa di fondere tutti gli aspetti della sua ricerca e del suo studio svolto nelle opere precedenti, tramite innovative scelte registiche visive e una sceneggiatura solida, ma con un'impostazione originale. Con questo film il regista porta ai massimi livelli la sua tecnica (musica, fotografia, ideazione delle scene ed in particolare dei delitti, colpi di scena), traducendo compiutamente su quasi due ore di pellicola le sue idee sui meccanismi della suspence e del mistero. Profondo rosso costituisce il film della maturità artistica di Argento, il punto d'arrivo di un percorso fatto di continue sperimentazioni volte a manipolare il giallo classico e a contaminarlo ulteriormente con elementi tipici dell' horror, amplificando le sequenze di suspence ed esasperando la cruenza degli omicidi, diventando questi autentiche esecuzioni. Sotto quest'ultimo punto di vista è anche lo spartiacque nella filmografia argentiana, in quanto a partire da questo film Argento, pur non rinunciando alla sua tecnica, sembra interessato più all'estetica dell'omicidio, alla ricerca dell'effetto racapricciante, col l'unico fine di far inorridire, piuttosto che spaventare, lo spettatore. Ciò sarà confermato sopratutto nei lavori del decennio successivo.

Non è un caso quindi che nel 1977 Argento debutti nell'horror con Suspiria, dove comunque a farle da padrone sono, oltre alle scioccanti uccisioni dei soliti predestinati, le scenografie, di chiaro taglio espressionistico, e la sgargiante fotografia di Luciano Tovoli, questo a conferma che la vena cinefila e creativa del regista non si è ancora assopita.

Con Suspiria può dirsi conclusa la prima fase artistica della carriera di Dario Argento, quella degli anni '70, catterizzata da un modo di fare cinema alla vecchia maniera, artigianale e, quindi, irripetibile. E mentre in Italia il regista rimane bersaglio costante della critica, all'estero è conosciuto ed ammirato (sopratutto Stati Uniti, Francia e Giappone), divenendo fonte d'ispirazione per numerosi registi.

Gli anni '80

Inferno (1980). Tenebre (1982), invece, segna il ritorno ad un'impostazione più "classica". Poi dirige anche Phenomena (1985) e Opera (1987).

Nel 1993 è la volta di Trauma, interpretato dalla figlia Asia Argento, protagonista anche dei successivi La sindrome di Stendhal (1996) e Il fantasma dell'opera (1998).

Le due opere Nonhosonno (2001) e Il Cartaio (2004) lo vedono di nuovo tornare ai canoni classici del thriller giallo, mentre La terza madre (2007), in cui è tornato a lavorare con la figlia Asia, lo vede tornare ai canoni del genere fantastico.

In ogni suo film, il regista, appone sempre la sua "mano", nel senso che ci mette proprio l'arto, solitamente quando compie un fatto di sangue.

Vita privata

- Il 19 giugno 1985 Argento viene arrestato insieme alla compagna Daria Nicolodi per il possesso di 23 grammi di hascisc: trascorreranno due notti nel carcere di Regina Coeli. Verranno poi assolti in quanto si trattava di consumo personale e non di spaccio.

- Recentemente, Argento ha ricevuto il premio Set Torino Piemonte, assegnatogli dalla Film commission di Torino, che ha finanziato numerose sue pellicole, tra le quali l'ultima, La terza madre. Anche la figlia Asia ha ricevuto l'onorificenza dall'azienda torinese.

- La figlia secondogenita Asia, celebre attrice e regista a sua volta, ha esordito recitando fin da piccola nei film del padre. La primogenita invece, Fiore Argento, non ha raggiunto la popolarità della sorella, ma ha recitato in Phenomena (una delle pellicole più apprezzate del padre) e Il cartaio.

- Non tutti sanno che Dario Argento ed il Generale Rolando Mosca Moschini sono cugini, infatti la nonna paterna, Laudomia Mosca Moschini, era la sorella del nonno paterno del Generale Rolando Mosca Moschini. Forse non lo sanno nemmeno i 2 cugini.

Note


Filmografia

Regista

Sceneggiatore

Attore

Compositore

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