Utente:Tizio X/Sandbox
Già nel XIV secolo Venezia è uno dei pochi stati a mantenere in servizio una flotta permanente.
L'evoluzione della marineria veneziana
Origini
Sin dai primi secoli (tra l'VII e l'VIII secolo), la marineria veneziana si avvaleva di navi del tutto simili a quelle in uso presso i Bizantini, dei quali Venezia era prima dipendente e poi alleata:
- La galea, che già da un millennio costituiva l'imbarcazione principe del Mediterraneo. Navi agili e sottili, ad unico ponte (nautica), le galee erano mosse all'occorrenza da vele o da remi: si trattava di navi scomode, prive di ripari per l'equipaggio, costretto a vivere all'aperto, in quanto l'intero spazio della stiva era destinatao al già magro carico trasportabile. Si trattava tuttavia di navi veloci, in grado di navigare anche contro vento od in sua mancanza, e soprattutto sicure, in quanto agili e manovriere in combattimento, ideali per la guerra o per il trasporto delle merci più preziose. Lunghe circa 45 m e larghe 5 m, per circa 25 banchi di rematori.
- La nave tonda, direttamente derivata dall'oneraria romana. Si trattava di grosse navi ad alto bordo, con più ponti e forme tozze, mosse prevalentemente a vela. Ideali per il trasporto di grandi quantità di carico, erano però limitate nella navigazione dalla direzione dei venti e risultavano più vulnerabili agli assalti delle veloci galee.
Con queste navi Venezia costruì, tra il IX e l'XI secolo il suo dominio sull'Adriatico e l'espansione commerciale nell'Egeo, commerciando e al contempo spesso scontrandosi con Bizantini, Arabi, Franchi, Normanni. Cui si aggiunsero poi, Genovesi e Pisani. In un epoca in cui la navigazione era ancora in gran parte una pericolosa avventura e dove unica guida ai marinai erano le coste, le stelle e l'immancabile astrolabio.
La marineria veneziana tra il XII secolo e la prima metà del XV secolo
Durante il Medioevo, non esisteva una differenza vera e propria tra marina militare e mercantile e tutte le navi dovevano essere pronte, all'occorrenza, a difendersi o ad attaccare, scontrandosi contro eventuali pirati o contro gli stessi rivali commericali. Nel caso di veri e propri conflitti si provvedeva a raccogliere navi ed equipaggi mercantili per sopperire alle esigenze militari, dopodiché, terminate le necessità belliche, si provvedeva a smantellare rapidamente l'apparato, restituendo uomini e navi alle attività commerciali.
Nel XII secolo, l'espansione nell'Adriatico, i crescenti interessi commerciali in Oriente (a seguito delle ampie concessioni bizantine contenute nella Crisobolla) e gli interessi economici legati alle Crociate (per le quali Venezia forniva servizi di trasporto e sostegno militare) portarono alla prima grande rivoluzione per la marineria veneziana: la costruzione dell'Arsenale. In questo grande cantiere pubblico vennero concentrate tutte le attività collegate alla costruzione e al mantenimento della flotta, precedentemente sparse tra la città e le isole della laguna.
La conquista del dominio d'oltremare a seguito della Quarta Crociata, agli inizi del Duecento, trasformarono poi Venezia nella principale potenza marittima del Mediterraneo orientale, con una fitta rete di basi, colonie ed interessi, che portarono a creare le prime stabili flottiglie da guerra. Sin dalla metà del secolo venne in particolare creata la carica stabile di Capitano del Golfo, cui era affidata il comando della flottiglia di galee destinate al pattugliamento e al controllo del mare Adriatico (per i Veneziani semplicemente "il Golfo"). Tale flotta, con base a Corfù venne utilizzata per imporre con la forza l'autorità di Venezia su quello che essa percepiva come il proprio mare.
Nel XIII secolo venne sviluppato anche un nuovo tipo di galea, utile a servire nelle mude, i convogli mercantili di Stato.
- La galea grossa da merchado ("da mercato"), con maggiori dimensioni rispetto al naviglio "sottile", a scapito delle qualità marinare, ma a tutto vantaggio delle capacità mercantili. Si trattava in pratica di un compromesso tra funzione militare e commerciale, che rendeva la galea "grossa" particolarmente utile ad un redditizio trasporto delle merci preziose scambiate con l'Oriente. Lunga circa 50 m e larga 7, per circa 25 banchi.
Contemporaneamente si introduce l'innovativo timone centrale, in sostituzione dei due tradizionali timoni laterali.
Nel Trecento giunse anche a Venezia la grande rivoluzione della bussola, che, arrivando probabilmente dalla Cina sul finire del Duecento (è del 1295 il rientro di Marco Polo dai suoi viaggi), modificò radicalmente il modo di andare per mare, rendendo la navigazione molto più sicura.
Sin dagli albori della storia di Venezia, il comando militare della flotta, spettava al Doge.
Col declinare del potere ducale, l'assegnazione dei comandi militari divenne una decisione deputata al Maggior Consiglio. Inoltre, l'uso invalso di scegliere dogi spesso già anziani, rese sempre più rara la diretta partecipazine di questi ultimi ai conflitti, anche se non mancano in tal senso le eccezioni. Venne quindi introdotta la carica di Capitano generale da Mar, nominato in caso di guerra quale ammiraglio supremo della flotta.
Le forze minori erano invece affidate al comando di provveditori, spesso gli stessi governatori delle colonie veneziane. Tali ufficiali, tutti patrizi, imbarcavano su grandi galee denominate capitane o patrone (equivalente dell'odierna nave ammiraglia).
Nel XV secolo si diffuse poi l'uso di un nuovo tipo di nave, sviluppato nel Mare del Nord dalle flotte della Lega Anseatica e diffusosi poi al resto d'Europa, adottato da Venezia soprattutto per gli scambi con il Nord:
- La cocca, una grande nave tonda adatta a reggere bene anche i difficili mari settentrionali. Queste navi, nelle costruzioni veneziane, presentavano una pronunciata forma a goccia dello scafo, più largo verso prua e più stretto a poppa, oltre che un alto castello prodiero.
La marineria veneziana tra la seconda metà del XV secolo e il XVIII secolo
Alla metà del Quattrocento, di fronte alla crescente minaccia dei Turchi, Venezia si trovò di fronte alla necessità di mantenere in servizio una flotta da guerra permanente rimanendo nel complesso invariata per tutta la durata della Repubblica.
Il mantenimento dell'efficienza della flotta richiese un intenso sforzo organizzativo, deputato ad una nuova magistratura: il Magistrato alla Milizia da Mar, organo deputato alla costruzione e mantenimento della flotta e dell'artiglieria, approvvigionamento del biscotto (alimento fondamentale a bordo delle navi), dei viveri, delle armi e della polvere da sparo, del reclutamento degli equipaggi e del pagamento del soldo.
La diffusione delle armi da fuoco portò ad armare le galee con nuovi corpi di soldati specializzati: archibugeri e bombardieri, che andarono a sostituire i tradizionali balestrieri.
L'introduzione delle galeazze portò poi ad istituire, nel Cinquecento la carica stabile di Capitano delle Galeazze.
Sempre nello stesso periodo (il primo caso risale al 1545) presero ad essere armate le prime galee sforzate, cioé composte da galeotti non più liberi, ma forzati al remo a seguito di condanne penali o prigionieri di guerra. A queste si affiancavano le galee libere, i cui equipaggi erano composti dai cosiddetti buonavoglia, reclutatu a Venezia e nel Dogado attraverso le scholae (confraternite di cittadini) o l'anticipo di paga fornito dai patrizi, o provenienti dai Domini di Terrafema e dallo Stato da Mar.
Nel XVI secolo, vennero sviluppati nuovi tipi di nave:
- Il brigantino, piccola e veloce nave, simile alla galea, per servizi di scorta e trasporto. Lungo circa 20 m e largo 3 m, per circa 14 banchi.
- La galeotta, piccola nave simile alla galea, ma più veloce e manovriera. Lunga circa 25 m e larga 4 m, per circa 15 banchi.
- La fusta, piccola galea sottile. Lunga circa 35 m e larga 5 m, per circa 20 banchi.
- La galea bastarda, dalle dimensioni maggiori e dalle forme di poppa più piene della galea sottile.
- La galeazza, nave esclusivamente da guerra, costruita sul modello delle galee grosse, ma molto più grande e ad alto bordo. Mosse quasi esclusivamente dalle vele, spesso necessitando anche del rimorchio delle vicine galee, le galeazze erano armate di numerosissime artiglierie, con le quali spezzare l'impeto della flotta avversaria. Si trattava di un'invenzione veneziana che, dopo il suo esordio nella vittoriosa battaglia di Lepanto, si diffuse presto anche alle altre flotte del Mediterraneo. Tale nave consentiva infatti per la prima volta il fuoco laterale, presentandosi quindi come una sorta di fortezza galleggiante. Lunga circa 50 m e larga 8 m, per circa 25 banchi.
Contemporaneamente scompariva, col declino dei traffici con l'Oriente, la galea grossa.
Nel XVII secolo, infine, anche Venezia prese a rivolgersi sempre più decisamente verso i velieri, le cui capacità aveva potuto apprezzare a più riprese, noleggiando navi inglesi e olandesi nei conflitti contro la Spagna per il controllo dell'Adriatico e dell'Italia settentrionale e contro i Turchi nella guerra di Candia. Apparvero in questo periodo:
- La galea bastardella, di dimensioni intermedie tra la galea bastarda e la galea sottile.
- Il galeone, veliero a più ponti in grado di trasportare numerosi cannoni. Tali navi, soprattutto nei primi tempi, spesso apparivano ancora ibridate con la presenza di remi. I galeoni vennero utilizzati a Venezia per armare armare la flotta da guerra di "navi grosse", da affiancare alle tradizionali "navi sottili".
Nel settembre del 1669 venne persino presentato un progetto per la costruzione di una barca atta a navigar sott'acqua[1], per assalire le fortificazioni turche di Creta durante la guerra di Candia, ma la quasi contemporanea firma della pace fece naufragare il progetto.
Venne costituita in quest'epoca la separazione tra le due branche della flotta militare la cosiddetta Armada grossa, a vela, e l'Armada sottile, a remi.
Nel 1619, poi, il Senato veneziano decretò la costituzione, sull'isola della Giudecca di un Collegio dei Giovani Nobili, cui venne deputata la formarazione dei quadri della marina.
Nel XVIII secolo, oltre all'introduzione del sestante, lo sviluppo della marineria a vela portò Venezia ad imitare gli altri stati europei, competendo con essi nel realizzare ogni tipo di nave:
- La fregata, piccola nave da guerra per il pattugliamento.
- Il vascello, grande veliero a più ponti, armato con decine di cannoni e concepito per costituire il nerbo della flotta.
La fine della marina veneziana giunse assieme alla fine dell'intero Stato nel 1797, con l'arrivo delle truppe di Napoleone, che, incendiato l'Arsenale, catturarono o affondarono tutte le 184 navi presenti. I francesi abolirono inoltre ogni distinzione tra marina da guerra e mercantile e licenziarono tutti i 2000 dipendenti dell'Arsenale.
Con la successiva dominazione austriaca le tradizioni marinare veneziane finirono poi per confluire nella marina imperiale, tanto che, ancora nel primo conflitto mondiale a bordo delle navi dell'Imperial Regia Marina vigeva l'uso di impartire in veneziano gli ordini.
L'Arsenale e le tecniche costruttive
Inizialmente, nei tempi più antichi, le navi veneziane venivano realizzate nei numerosi cantieri privati sparsi per la città e per la laguna, gli squeri (dal veneziano: squara, cioé "squadra", l'attrezzo utilizzato per le costruzioni).
A partire dal XII secolo, però, tutte queste attività finirono per concentrarsi in un unico grande cantiere pubblico: l'Arsenale. Vero cuore della marina veneziana, l'Arsenale finì per raccogliere ogni tipo di attività, maestranza o materia prima utile alla costruzione delle navi e al funzionamento della flotta.
All'interno del complesso vigeva una rigida organizzazione, sovrintesa dai Provveditori dell'Arsenale, volta a garantire la piena efficenza del cantiere, organizzato come una vera e propria catena di montaggio. Le realizzazioni interne erano standardizzate, in modo tale da consentire un rapido utilizzo, senza necessità di laboriosi adattamenti, ed una costante disponibilità di pezzi di ricambio per la flotta. Inoltre tutte le materie prime venivano accuratamente selezionate e controllate, per verificarne la qualità e l'efficacia.
La costruzione delle navi era affidata al proto, cui competeva la tracciatura del sesto, cioé il disegno delle linee dello scafo, da cui sarebbero dipese le caratteristiche nautiche della nave, il suo successo o insuccesso. Si trattava di un atto frutto dagli insegnamenti ricevuti dal proto nei lunghi anni di apprendistato, dall'esperienza accumulata e dall'accuratezza sesti, gli strumenti utilizzati in questo delicato lavoro e gelosamente custoditi. Questi erano dei regoli ricurvi che venivano utilizzati per tracciare, direttamente per terra, con polvere rossa, le tracce della chiglia e delle costole della nuova nave.
La costruzione dello scafo sullo scalo era poi affidata alle capacità dei maestri d'ascia e alla manovalanza degli arsenalotti, gli operai addetti al cantiere, mantenuti a vita dallo Stato.
A lavoro ultimato intervenivano quindi i calafatai, che si occupavano di rendere impermeabile lo scafo inserendo tra i legni del fasciame corde di canapa intrise di pece. A lavoro ultimato la nave era pronta per essere varata ed essere allestita.
Procedendo a traino lungo il canale interno che tagliava in due l'Arsenale, la nuova nave riceveva dai magazzini costruiti in sequenza lungo di esso tutti le parti ancora necessarie a completarla: da alberi, corde, vele, remi e timoni, sino al pan biscotto, immancabile nutrimento dell'equipaggio, e alle armi, immancabili a bordo di ogni nave. Tutti prodotti che nel tempo finirono per essere realizzati all'interno dello stesso Arsenale, che venne dotato di intere aree dedicate a corderie, velerie, fonderie, forni, pecerie, etc.
Al massimo del suo sviluppo un simile ciclo di produzione, completo e autosufficiente, consentiva di costruire fino a tre grandi navi al giorno, in cui l'unico limite erano le disponibilità delle scorte di materie prime.
Altra particolarità dell'Arsenale era quella di realizzare e mantenere una nave del tutto particolare il Bucintoro, la nave di Stato utilizzato dal Doge, dalla Signoria e dal Senato nelle occasioni solenni: si trattava di una grande imbarcazione a remi sormontata da una sovrastruttura in legno scolpito e dorato, a ricreare una grande sala coperta, a poppa della quale trovava posto il trono ducale. Vogare sul Bucintoro era uno degli esclusivi privilegi degli arsenalotti.
Gradi e incarichi
- Capitano generale da mar, comandante in capo della flotta in caso di guerra.
- Capitano del golfo, comandante della squadra navale di stanza a Corfù.
- Capitano delle galeazze, comandante della squadra navale di galeazze di stanza all'Arsenale.
- Governator de'condannati, comandante della squadra navale di galee sforzate.
- Provveditore, titolo dei comandanti delle squadre navali.
- Ammiraglio dell'Arsenal, comandante dell'Arsenale e comandante del Bucintoro.
- Ammiraglio del Lido, comandante della sorveglianza del porto del Lido, coadiuvava da prua le manovre del Bucintoro.
- Ammiraglio di Malamocco, comandante della sorveglianza del porto di Malamocco, coadiuvava da poppa le manovre del Bucintoro.
- Capitano dell'Arsenal, vice-comandante dell'Arsenale.
Gli equipaggi delle galee
A bordo gli equipaggi erano formati come segue.
Anzitutto vi erano i sopracomiti, cioé gli ufficiali di bordo:
- il paròn (o patrono, cioé "padrone"): capitano della nave, sempre di rango patrizio;
- il paròn zurado ("padrone giurato"): primo ufficiale, sempre un cittadino.
Ad essi si affiancavano un segretario (scrivano di bordo) ed un medico.
Vi erano poi i comiti, cioè la ciurma, divisa tra:
- i marinai: uomini specializzati alla navigazione (timonieri, addetti alle vele, etc.);
- i galeotti: addetti ai remi.
A bordo si trovavano poi alcuni uomini specializzati:
- i calafatai e i maestri d'ascia: per le eventuali riparazioni;
- il corpo combattente: i balestrieri, sostituiti nel Cinquecento dagli archibugeri, i bombardieri e gli spadaccini.
Le galee si dividevano generalmente tra libere, laddove i galeotti erano costituiti da uomini liberi reclutati a soldo, e sforzate, quando i galeotti erano invece veri e propri forzati condannati al remo. In tempo di guerra i ranghi erano ulteriormente infittiti ricorrendo agli zontaroli, condannati provenienti da tutti i territori della Repubblica. Gli equipaggi venivano arruolati a dai capitani tramite il pagamento anticipato di alcuni mesi di paga. Dopodiché dei banditori annunciavano la partenza per tutti e tre i giorni precedenti la stessa: dato l'anticipo ricevuto, la diserzione costituiva un reato, la cui persecuzione, nella città di Venezia, spettava ad una particolare magistratura, i Signori della Notte, che provvedeva all'imbarco forzato o all'arresto.
Riferimenti
Bibliografia
- Ricotti, Ercole: Storia delle compagnie di ventura in Italia, Giuseppe Comba e C. Editori, Torino, 1845