Lorenzo Davidico

presbitero italiano

Lorenzo Davidico (Castelnovetto, 1513Vercelli, 29 agosto 1574) fu un prete italiano.

Imprigionato nel 1555 per malversazioni, bestemmie e sodomia dall’Inquisizione di Roma, interrogato e torturato, evase dal carcere, continuando liberamente a pubblicare scritti devozionali concepiti secondo l’ortodossia cattolica.

Biografia

Lorenzo Davidico, il cui vero nome era Paolo Lorenzo Castellino de David, [1] nacque nel 1513 nel piccolo borgo di Castelnovetto da Giorgio de David e da Giovanna, forse piccoli proprietari terrieri. Le guerre, che devastarono la pianura padana nella prima metà del secolo, portarono, nel 1528, alla distruzione della casa de David, costringendo la famiglia a emigrare nella vicina Vercelli.

Qui studiò con un prete torinese di nome Felice, [2] che gli impartì i consueti insegnamenti di latino, di grammatica e di logica. Risalgono a questi anni la morte del padre e la perdita dei beni di famiglia, evento che egli vorrà interpretare come primo segno di un disegno provvidenziale che lo destinava alla santità. [3] Nel 1531 Lorenzo fu a Roma, presso un suo parente, Cristoforo Corneto, «inserviens» di papa Clemente VII, dal quale fu raccomandato al servizio del cardinale Lorenzo Pucci, morto quello stesso anno, e dei nipoti Antonio e Roberto Pucci, che gli fecero ottenere dei «benefici», rendite la cui natura non è meglio nota.

Prese gli ordini minori e, a suo dire, [4] si laureò in teologia e in diritto canonico ma, poiché «desiderava ardentemente un profondo cambiamento della sua vita», [5] fattosi prete, nel 1534 lasciò Roma per Milano, intenzionato a far parte della congregazione barnabita, che appena l'anno prima, il 18 febbraio 1533, aveva conseguito il primo breve di approvazione da parte di Clemente VII. È molto probabile che a suggerirgli quella scelta sia stato Basilio Ferrari, presente a Roma in qualità di scrittore apostolico nella curia papale e fratello di Bartolomeo, fondatore della nuova congregazione insieme con Antonio Maria Zaccaria e Giacomo Antonio Morigia.

I chierici regolari di san Paolo

Antonio Maria Zaccaria, cappellano della contessa di Guastalla, Ludovica Torelli, insieme con il Morigia e il Ferrari, aveva fondato a Milano la nuova Compagnia dei Figlioli e delle Figliole di Paolo Santo, costituita da tre collegi di sacerdoti, di suore e di laici. Il collegio femminile di suore Angeliche si costituì con approvazione del 15 gennaio 1535 di papa Paolo III, mentre quello maschile, di chierici regolari, venne approvato definitivamente con successiva bolla del 25 luglio, insieme con un'altra casa di laici, i Maritati di san Paolo.

Lo Zaccaria era un devoto allievo del frate domenicano Battista da Crema (1460-1534) e sollecitava ai suoi compagni la lettura dei libri del frate come, se «ben intesi e con le mani operati», capaci di «condurre alla perfezione». [6] Tuttavia le opere di fra' Battista erano già sospette di eresia, come allude un breve di Clemente VII del 1525 e ancor più Gian Pietro Carafa, che alla notizia della morte del domenicano, nel 1534, si augurava che «Dio [avesse] misericordia di lui», [7] provvedendo poi, una volta eletto papa, a mettere le sue opere all'Indice. Infatti, nel 1536 si avviava a Roma un'inchiesta sulle conventicole milanesi, sospettate di perseguire le eresie di beghine e di poveri di Lione che avrebbe portato alla condanna per pelagianesimo nel 1552 della dottrina di fra' Battista, giudicata «scandalosa in più punti, temeraria in altri e in molti eretica».

Fra' Battista aveva mosso un'aspra polemica contro il desiderio di ricchezza e la ricerca del piacere, indicando ad antidoto contro il pericolo di cadere nei vizi del mondo un'estrema austerità di vita, improntata al massimo controllo delle proprie passioni, favorito da opportune penitenze ma escludendo il formalismo devoto delle «tante compagnie con suoi stendardi, tante processioni et simili altre fantasie, che è uno caos infinito [ ... ] offici de morte, letanie et altre hore canonice». [8] La sua polemica si estendeva alla corruzione di frati e preti, «avari et amatori de robba» [9] la cui indifferenza e ipocrisia dava alimento all'eresia luterana. Occorreva recuperare un'autentica esperienza religiosa, «imparare ogni scientia et sapientia et etiam li secreti de Dio, li quali li soli spirituali possono conoscere» [10] fino a «farse anzoli insieme con Paulo» [11]

La Compagnia dei Figlioli e delle Figliole di Paolo Santo era intenzionata a tradurre in pratica gli insegnamenti di fra' Battista; gli slanci di spiritualismo misticheggiante, il fervore penitenziale e lo zelo caritativo avrebbero dovuto condurre al raggiungimento di quella quiete mentale in cui avrebbe riposava la perfetta perfezione. Alla morte del domenicano, fu una donna, l'angelica Paola Antonia Negri ad assumere il ruolo di punto di riferimento della Compagnia, chiamata dagli aderenti «divina madre maestra» a testimonianza del suo eccesionale carisma.

In una comunità di tanta severità fu accolto il Davidico, dopo aver dovuto rinunciare ai suoi benefici romani. Nel 1537 fu inviato a Vicenza per occuparsi, con il Ferrari, di raccogliere nuove adesioni alla congregazione mentre, dopo aver provveduto, nel 1539, alla dote di una sorella, nel 1542 era a Verona per collaborare, con i maggiori padri barnabiti, all'opera di riforma avviata dal vescovo Gian Matteo Giberti. Nulla tuttavia si sa dell'opera da lui svolta nei primi dieci anni di appartenenza alla congregazione, finché non fu convocato, il 19 gennaio 1545, di fronte al Capitolo, per rendere conto del comportamento da lui tenuto a Varona e il 24 gennaio fu severamente ripreso, essendo stato giudicato pieno di «uno desiderio grande de libertà et di ambitione, dalli quali causava in esso molti defetti contro la obedientia [ ... ] si resentiva in grandissimo odio et sdegno; fu trovato pieno de suspitioni [ ... ] captivo della vanagloria [ ... ] de infidelità verso la obedientia, pieno de duplicità, pieno di amor proprio [ ... ] di persuasione di sapere e potere, come saria in predicar, in convertir anime componer et di poter uscir grande [ ... ] di escusationi et duplicità, senza contritione: et in conclusione fu trovato tanto confuso et in tanta ruina che il capitolo non sepe che far di lui» [12]

Note

  1. ^ È lui stesso a ricordare i suoi tre nomi nel Columba animae, Milano 1562, p. 21r. Era abitualmente chiamato con il nome di Castellino, al quale preferiva tuttavia quello di Lorenzo. Nel suo Monte d'oratione, Roma 1550, p. 68r, scrive di sperare di divenire «de Castellino, cioè di un picciolo castello, un castello inespugnabile quale fu Laurentio sancto»
  2. ^ Ricordato nel Tractatulus de cellae, Padova 1568, p. 13r
  3. ^ Tractatulus de cellae, p. 10
  4. ^ Columba animae, p. 20v-21r
  5. ^ Columba animae, p. 23r: «vitaeque meae reformationem sitirem»
  6. ^ Orazio Premoli, Le lettere e lo spirito religioso di S. Antonio Zaccaria, Roma 1909, pag. 70
  7. ^ Lettera a Gaetano Thiene, in O. Premoli, cit., p. 43
  8. ^ Battista da Crema, Specchio interiore, 55v
  9. ^ Battista da Crema, De la cognitione et vittoria di sé stesso, p. 83v
  10. ^ Battista da Crema, Via de aperta verità, p. 17v
  11. ^ Battista da Crema, ivi, 121v
  12. ^ Atti capitolari, in «Archivio Generalizio Barnabitico (AGB)», II, c. 8rv

Opere

  • Monte d'oratione [...], Roma MDL
  • Columba animae [...], Mediolani [...] MDLXII, comprendenti tre brevi trattati in latino: il De columba animae in Deo proficientis, il De congrua gratioris nominis electione, e il De mira summi Pontificis dignitate
  • Tractatulus de cellae verae veneris laudibus, Patavii, MDLXVIII

Bibliografia

  • Battista da Crema, Specchio interiore. Opera divina per la cui lettione ciascuno devoto potrà facilmente ascendere al colmo della perfettione, Milano 1540
  • Battista da Crema, Via de aperta verità, Venezia 1522
  • Battista da Crema, De la cognitione et vittoria di sé stesso, Milano 1531
  • O. Premoli, Le lettere e lo spirito religioso di S. Antonio Zaccaria, Roma 1909