Per forma di Stato si intende il modo in cui lo Stato risulta strutturato nella sua totalità, ed in particolare il modo in cui si atteggiano i rapporti tra gli elementi costitutivi del medesimo. In questo concetto, il termine Stato rileva come Stato-ordinamento, ossia come combinazione dei tre elementi fondamentali: popolo, territorio e sovranità.
Sulla base di questi tre elementi, possono essere dati due contenuti diversi al concetto di forma di Stato:

  • come organizzazione dei rapporti tra popolo e sovranità, ossia tra governanti e governati;
  • come organizzazione dei rapporti tra territorio e sovranità, ossia come ripartizione della sovranità sul territorio (con un maggiore o minore grado di accentramento).

La forma di governo, invece, indica il modo con cui le varie funzioni dello Stato sono distribuite ed organizzate tra i diversi organi costituzionali. In tal caso, il termine Stato rileva come Stato-apparato, cioè apparato di governo e complesso degli organi centrali.

Sinteticamente, si può affermare che forma di Stato e forma di governo è concetto impiegato per indicare il modo di essere del rapporto tra Stato-autorità e Stato-società, avendo particolarmente riguardo, rispettivamente, all'aspetto finalistico e all'aspetto strumentale.

Forme di Stato

Una carrellata storica sulle forme di Stato (e anche su quelle di governo) deve necessariamente partire dalla fine del Medioevo, quando in tutta Europa si affermano i regimi delle monarchie nazionali: con essa si può iniziare a parlare di Stato in senso moderno, che alle sue origini si incarna nella forma dello Stato Assoluto. Possiamo affermare infatti, che lo Stato moderno nasce quando l'ordinamento acquisisce i caratteri dell'indipendenza (rispetto agli ordinamenti esterni) e della supremazia (rispetto alle istituzioni interne: comuni, feudi, corporazioni, ecc.). Ciò avviene tra XIV e XVI secolo; le forme di Stato esposte di seguito vanno intese nella prima accezione sopra menzionata (rapporti governanti-governati).

È la prima forma di stato successiva all'impero romano. A fondamento dello stato patrimoniale c'è un accordo che interessa solo alcuni soggetti, i feudatari. Uno stato non più con numerose finalità ma con un unico fine: la difesa esterna e interna dei beni patrimoniali. Più in particolare, manca ancora un'organizzazione amministrativa stabile, in grado di consentire il perseguimento dei fini di carattere generale, di interesse dell'intera collettività.

Questo, in una sua prima fase, non costituisce ancora una forma di Stato, ma solo un ordinamento giuridico (mancano infatti gli elementi costitutivi dello Stato, essendo popolo e territorio soltanto dei meri presupposti materiali, e manca l'elemento della politicità). Per la sua struttura a carattere privatistico, fondata sul diritto reale, viene indicato come ordinamento a regime patrimoniale: tutto ciò che è presente sul territorio statale è considerato proprietà della Corona, e il monarca lo gestisce sulla base di rapporti giuridici di diritto privato. È caratterizzato da un ampio grado di accentramento, in contrapposizione a quello che era stato nel Medioevo lo Stato feudale; bisogna precisare che Stato assoluto ed ordinamento feudale continuano a convivere, benché i feudatari perdono parte dell'autonomia che li aveva contraddistinti nei secoli precedenti. Fattori di natura sociale ed economica (la frequenza di guerre e lo sviluppo di traffici e commerci), comportano il decentramento delle funzioni e dell'autorità dello Stato, con la nascita dei funzionari del Re (ciò che, con termine moderno, chiamiamo burocrazia) e di un esercito nazionale stabile - e non più fornito da componenti inviati dai feudatari.

Detto anche assolutismo illuminato, si afferma con la costruzione di un sistema tributario e l'introduzione di elementi di politicità dell'ordinamento giuridico: il sovrano, in questa fase, identifica il fine pubblico con una paternalistica aspirazione al benessere completo di ogni individuo e, per il tramite di esso, il benessere generale. Nello Stato di polizia, innanzi tutto, si riscontra una forte diminuzione della trascendenza, non essendo più il Re estraneo rispetto all'ordinamento, di cui invece costituisce un elemento intrinseco, con la conseguente pubblicizzazione della sua funzione: si pensi alla legge di successione o all'istituzione della Corona, che solo ora viene distinta dal suo titolare. alcuni fra i più significativi esponenti di questa forma di Stato (Federico II di Prussia, Giuseppe II d'Asburgo-Lorena) non cessano mai di proclamarsi impiegati dello Stato o servi del popolo.
Si registra una concentrazione delle funzioni sovrane nelle mani del Re (ai fini di un più penetrante intervento pubblico, per la realizzazione dei fini sopra esposti), ed una conseguente attenuazione delle autonomie locali.
Si introduce, infine, una tutela giurisdizionale del singolo nei confronti degli atti di gestione posti in essere dallo Stato (ossia soltanto quelli aventi natura privatistica, non essendoci ancora nessuna tutela nei confronti degli atti di imperio, ossia di quegli atti autoritativi attinenti all'esercizio della sovranità), cui si affianca la nascita e lo sviluppo di due istituti di garanzia:

  • il fisco: patrimonio dello Stato finalmente distinto da quello personale del sovrano, con il quale possono essere soddisfatte le pretese creditorie private;
  • e la distinzione tra legge (atto generale, che vincola tutti i consociati e l'amministrazione) e ordinanza (atto particolare, che non vincola l'amministrazione).

Sul continente europeo, in virtù di cause contingenti di carattere economico, della perdita delle prerogative della nobiltà, a fronte del mantenimento dei suoi privilegi, e dell'aumento della tassazione e delle imposte, lo Stato di polizia entra progressivamente in crisi.

Inizia a svilupparsi lo Stato liberale, così come era avvenuto in Inghilterra, in seguito alle due rivoluzioni (prima la rivoluzione inglese del 1649, poi la gloriosa rivoluzione del 1688). Tale modello venne introdotto in Francia in seguito agli eventi della rivoluzione iniziata nel 1789.
In questa forma di Stato, che supporta la nascita ed affermazione della classe borghese e assume le finalità di questa. Tale forma di Stato assume anche il nome di:

  • Stato minimo o negativo o non interventista: in quanto attua la politica del minimo intervento, a favore della libertà dei singoli (intesa come libertà dallo Stato e dai suoi divieti);
  • Stato legale o Stato di diritto.

Considerata la legittimazione al potere degli organi statali, si sviluppano i concetti di nazione e di sovranità nazionale (e quello distinto, ma collegato, di unità della nazione raggiunta per il tramite dei suoi rappresentanti).

Ma lo Stato liberale, che si propone di assicurare la libera esplicazione e la massima estensione dei ceti detentori delle forze economiche, e di garantire il mantenimento dello status quo, riservando i diritti politici agli appartenenti della classe dominante, contiene al suo interno le contraddizioni che porteranno al suo superamento.

Infatti, la nascita di uno spirito di classe nei ceti non possidenti, accompagnata da un processo di trasformazione che tende a realizzare il principio democratico (inizialmente, soltanto a livello sociale, mediante una politica assistenziale), porta allo sviluppo dello Stato liberale in Stato democratico, caratterizzato:

  • politicamente dalla piena partecipazione di tutti i cittadini alla determinazione delle politiche nazionali generali;
  • socialmente dall'intervento statale nei rapporti socioeconomici per modificarne l'assetto in favore di alcuni gruppi o classi: non eliminando i presupposti, ma gli effetti del meccanismo di accumulazione del capitale (attraverso un sistema tributario progressivo e, per il tramite di esso; si attua il finanziamento del cosiddetto welfare state), tanto da essere definito anche come Stato sociale.

In numerosi paesi del continente europeo, tuttavia, la progressiva evoluzione verso forme democratiche viene osteggiata dai ceti dominanti borghesi, i quali abbandonano le idee liberali di cui si erano serviti per arrivare al potere, e tendono a recuperare istituzioni di governo autoritarie proprie del previgente Stato di polizia, in particolare l'abrogazione delle garanzie dello Stato di diritto. Sorgono così numerosi casi di Stato autoritario, il cui primo esempio può essere considerato il Secondo Impero instaurato da Napoleone III in Francia. Ma è nel Novecento che tale forma di Stato dilaga, trovando terreno fertile nei gravissimi problemi sociali lasciati dal primo conflitto mondiale. Il fascismo, regime totalitario-nazionalista che prevedeva un assoggettamento attivo del singolo alla collettività, raggiunge i vertici del potere in Italia e su tale esempio si impone nella gran parte delle nazioni dell'Europa centrale e meridionale. Sarà il disastro della Seconda guerra mondiale a sradicare tale forma di Stato, i cui modelli residui (Spagna, Portogallo) scompariranno negli anni Settanta onde riprendere la via democratica.

Parallelamente agli attentati provenienti da destra dalle forze estremistiche borghesi, nel corso del Novecento lo Stato democratico deve affrontare da sinistra il modello alternativo dello Stato socialista basato sui principi del comunismo.
In uno Stato socialista i mezzi di produzione di beni e ricchezze come industrie e terreni sono di proprietà dello Stato, non esistendo la proprietà privata. Radicalmente progressista in ambito sociale, in ambito politico il Comunismo riprende invece le forme autoritarie dello Stato di polizia, mediante fortissime limitazioni dei diritti politici e giuridici dei cittadini.

L'ultimo scorcio del Novecento vede comunque la totale vittoria del modello democratico in tutto il mondo sviluppato, relegando le forme di governo autoritarie dei paesi del Terzo Mondo.

Altra classificazione: secondo il grado di decentramento

In Europa e nel resto del mondo sviluppato, data per scontata la forma di Stato democratica, oggigiorno la differenza riguardo le forme di Stato rimane quella relativa al grado di accentramento dell'ordinamento statuale (seconda accezione in cui è possibile intendere l'espressione "forme di Stato").
In tal senso si distingue:

  • lo Stato federale, caratterizzato da un'amplissima autonomia riconosciuta agli enti decentrati, organizzati come veri e propri Stati, titolari di poteri legislativi ed amministrativi, e fondati sui principi di sussidiarietà, solidarietà e federalismo fiscale;
  • lo Stato regionale, in cui il territorio dello Stato (unico ed indivisibile) è ripartito in unità locali dotate di poteri amministrativi (attuativi anche della legge centrale) e di una potestà legislativa più o meno ampia, attribuita dalla costituzione statale;
  • lo Stato Unitario, in cui mancano enti decentrati.

Forme di governo

Le forme di governo possono essere classificate in base alla natura dell'organo cui è affidato il potere sovrano, ossia la funzione primaria, che condiziona e dirige lo svolgimento di tutte le altre funzioni dello Stato, e che può essere definita come funzione di indirizzo politico, e al modo in cui tale organo viene individuato e/o eletto.

Mentre le forme di Stato non democratiche sono tendenzialmente caratterizzate da una specifica forma di governo, caratteristica della forma democratica dello Stato è quella di potersi coniugare in una notevole serie di differenti forme istituzionali.

La prima, e universalmente nota, suddivisione all'interno delle forme di governo, è quella risalente all'Antichità ed elaborata da Aristotele nella sua Politica. Egli elaborò tre modelli: monarchia, cioè governo di uno solo, aristocrazia, cioè governo di pochi, e democrazia, cioè governo del popolo; queste tre forme sono passibili di degenerazione rispettivamente in tirannide, oligarchia e demagogia.


Nella tradizione latina e medievale poi, tale tripartizione fu ridotta ad una bipartizione fra Regno e Repubblica, a seconda della durata vitalizia o meno della carica del Capo dello Stato. Storicamente possiamo infatti trovare sia oligarchie repubblicane, come la Serenissima, sia oligarchie monarchiche, come l' Inghilterra liberale del Settecento e Ottocento.

L'accentramento monarchico nelle grandi monarchie nazionali come l' Inghilterra, la Francia e la Spagna, portò alla formazione della monarchia assoluta, caratterizzata dal totale accentramento del potere sovrano nelle mani del Re. L'avvento dello Stato liberale comportò la stabile apertura di parlamenti nazionali con cui il Re doveva condividere la gestione del paese. Nasce la monarchia costituzionale in cui il Re è ancora il titolare del potere esecutivo, ma perde il potere legislativo affidato al Parlamento, ed il potere giudiziario esercitato da una magistratura indipendente.

La possibilità di condizionare il governo da parte di un monarca ereditario, seppur limitata da una Costituzione, era comunque incompatibile con le nuove istanze democratiche affermatesi all'inizio del Novecento. Il Re cominciò dunque a perdere de facto ogni voce in capitolo nella scelta del Primo ministro e nella determinazione dell'agenda del governo, che veniva ora affidata al giudizio insindacabile delle forze politiche presenti in Parlamento ed elette dal popolo con suffragio universale. Nacque così la monarchia parlamentare, una vera e propria forma di governo repubblicana camuffata grazie alla persistenza di un monarca, il quale viene ridotto ad una pura figura cerimoniale rappresentante dell'unità nazionale.

Nella maggioranza degli Stati gli eventi storici portarono all'abrogazione dell'istituto monarchico e alla proclamazione della repubblica. Attualmente nel mondo sono individuabili tre tipi principali di forma di governo repubblicana:

  • nella repubblica parlamentare il governo necessita del sostegno costante di una maggioranza parlamentare che approvi le linee della politica del Governo; sostanzialmente uguale alla monarchia parlamentare, tale forma di governo viene definita monista in quanto i cittadini hanno nelle elezioni parlamentari l'unico momento in cui possono decidere delle sorti del governo del paese, sicché il Parlamento è l'unico organo che gode di una legittimazione popolare. Il governo entra in carica grazie ad un voto di fiducia concesso da una coalizione maggioritaria di deputati.


Per risolvere il dramma dell'instabilità cronica di tale sistema, sono state ideate forme razionalizzate di parlamentarismi (dotate costituzionalmente di mezzi idonei) per determinare una maggiore stabilità, la più famosa delle quali è il Cancellierato tedesco.

  • Sempre con l'intenzione di moderare l'instabilità del governo parlamentare, ma allontanandosi da esso, nasce la repubblica semipresidenziale, caratterizzata dalla riattribuzione al Capo dello Stato di importanti funzioni politiche. In tale sistema, il governo viene a dipendere sia dalla fiducia della maggioranza parlamentare, ma contemporaneamente anche dalla volontà politica del Presidente della Repubblica, eletto dal popolo. Si tratta dunque di una forma di governo dualistica, in quanto il voto popolare investe sia il Parlamento che il Capo dello Stato. Significativa, onde marcare la differenza dal parlamentarismo, è l'incompatibilità fra la carica di ministro e quella di deputato.
  • Di natura storica diversa è invece la repubblica presidenziale che non nasce da una progressiva evoluzione dalla monarchia, ma dalla creazione ex novo di un neocostituito ordinamento giuridico, che sostituisce al capo di Stato ereditario e vitalizio un Presidente elettivo e temporaneo. Si tratta di una elaborazione dei rivoluzionari americani.


Tale forma di governo si fonda sui principi di Montesquieu di una radicale divisione dei poteri pubblici. In tale ordinamento il governo è nelle esclusive mani del Presidente della Repubblica, eletto direttamente dai cittadini. Egli non ha tuttavia alcuna possibilità giuridica di influenzare la formazione delle Leggi, che è di esclusivo appannaggio del parlamento. Anche la funzione giudiziaria è indipendente dagli altri due poteri.

Un caso particolare è infine quello della repubblica direttoriale. Affine al sistema presidenzialista per quanto riguarda la divisione dei poteri, se ne discosta per il semplice fatto che non esiste un Capo dello Stato monocratico, ma le sue funzioni vengono svolte collegialmente da un collegio ristretto, il Direttorio, nominato dal parlamento ma in seguito da esso totalmente indipendente sino al successivo appuntamento elettorale. Tale forma di Stato si trova attualmente vigente in Svizzera, caso isolato nel mondo.