Logica trascendentale

parte della Critica della ragion pura di Immanuel Kant
Voce principale: Critica della ragion pura.

La Logica trascendentale è la seconda parte dell'opera Critica della ragion pura (1781; seconda edizione 1787), del filosofo prussiano Immanuel Kant (1724-1804).[1] Rispetto alla prima parte (Estetica trascendentale), essa è assai più vasta. L'estetica trascendentale e la logica trascendentale fanno parte di quella "dottrina degli elementi" che intende raccogliere gli elementi che compongono ogni cognizione. La prima studia le intuizioni, la seconda i concetti.[2]

Busto di Immanuel Kant (1724-1804), opera di Emanuel Bardou esposta al Bode-Museum di Berlino

A sua volta, la logica trascendentale è divisa in due parti, l'analitica trascendentale (che Kant definisce una "logica della verità") e la dialettica trascendentale (che è per Kant una "critica [dell']illusione dialettica" o "critica dell'intelletto e della ragione riguardo al loro uso iperfisico", cioè "al di là dei limiti dell'esperienza").[3]

Kant e la logica

In termini generali, per Kant la logica è la scienza delle regole formali dell'intelletto e dell'uso che l'intelletto fa dei concetti.[2][4]

La logica formale (ma Kant parla piuttosto di "logica generale", allgemeine Logik, analogamente a diversi predecessori, come Jungius, Leibniz, Knutzen, Baumgarten), insieme alla matematica e alle scienze naturali, ha per il filosofo di Königsberg natura di paradigma metodologico. Nel caso della logica, questo carattere è una conseguenza della sua stabilità e solidità, ottenuta fin dai suoi inizi con Aristotele (cui pure Kant rimprovera un approccio "rapsodico" nella determinazione completa delle sue categorie). La logica è una scienza breve e generale, ma apoditticamente certa.[4]

Da un lato, Kant esclude che facciano parte della logica formale aspetti che più propriamente appartengono alla psicologia, all'antropologia o alla metafisica. Per altro verso, Kant distingue le verità logiche da quelle matematiche: le prime sono puramente analitiche, le secondo sono sintetiche, perché fondate su giudizi sintetici. La logica formale è per Kant un sistema completo, dotato di primi principi. Per quanto egli non abbia mai pubblicato un trattato interamente dedicato alla logica, tracce del suo pensiero sulla logica sono rintracciabili nella Critica della ragion pura e nelle sue note manoscritte per le lezioni di logica all'università (pubblicate nel 1800 da uno studente di Kant, Gottlob Benjamin Jäsche). Un intenso dibattito si è sviluppato tra gli studiosi in merito all'idea kantiana di una logica come sistema apodittico: in particolare, ha fatto molto discutere la pretesa completezza della sua tavola dei giudizi.[4]

Il suo contributo più importante consisté nella fondazione della logica trascendentale, intesa come scienza della possibilità di una conoscenza universale e necessaria degli oggetti. La logica formale, secondo Kant, offre alla logica trascendentale una traccia per determinare i propri concetti puri (che egli chiama categorie). Le categorie kantiane sono il risultato di una reinterpretazione delle forme logiche del giudizio come forme fondamentali della conoscenza di oggetti dati come intuizioni alla sensazione. Analogamente, seguendo le regole di inferenza dell'intelletto, Kant ricava quelle che egli chiama "idee della ragione", come forme metalogiche di applicazione dei concetti al di là dei confini dell'esperienza (quindi al di là della sensazione, oggetto dell'estetica trascendentale).[4]

Sensibilità e intelletto

Come nella parte dedicata all'estetica trascendentale Kant aveva isolato la sensibilità, in quanto facoltà di ricevere intuizioni e quindi recettività della conoscenza, nella logica trascendentale egli intende isolare l'attività dell'intelletto, inteso come spontaneità della conoscenza.[5]

La spontaneità del pensiero consiste nel fatto che la sua attività è esercitata a prescindere da che l'animo riceva un'intuizione sensibile.[2]

Sensibilità e intelletto sono, secondo Kant, le "due fonti basilari" da cui emana la conoscenza umana. La prima fa sì che un oggetto ci venga (come dice Kant) "dato" come impressione, mentre il secondo che l'oggetto venga "pensato" mediante concetti. Nessuna delle due fonti può sostituire l'altra: una conoscenza, per dirsi tale, non potrà mai contenere concetti privi di intuizione o intuizioni prive di concetto.[6] Come osserva Kant, in una delle frasi più celebri dell'intera opera:

«I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche.[7]»

I pensieri senza contenuto non dicono nulla di ciò che esiste né è in alcun modo misurabile la loro applicabilità a ciò che esiste. Essi non possono essere giudicati veri o falsi perché mancano di un riferimento al mondo. Quanto al molteplice offerto dai sensi, esso è indifferenziato, indiscriminato, per cui non rinvia né a oggetti né a stati di cose (che sono frutto di discriminazione).[8]

Né i ruoli di sensibilità e intelletto possono essere scambiati: "L'intelletto non può intuire nulla, e i sensi non possono pensare nulla"[7].

Tanto le intuizioni quanto i concetti possono essere empirici o puri, a seconda che queste rappresentazioni abbiano in sé qualcosa di originato in una sensazione o meno. Se la sensazione è la materia della conoscenza sensibile, "l'intuizione pura contiene [...] unicamente la forma, sotto cui un qualcosa viene intuito" e, altrettanto, "il concetto puro contiene soltanto la forma del pensiero di un oggetto in generale".[9]

Anche se entrambe le fonti della conoscenza sono necessarie perché possa esserci conoscenza, è importante per Kant distinguere queste due fonti. L'estetica, affrontata nella parte precedente, è "la scienza delle regole della sensibilità in generale", mentre la logica è "la scienza delle regole dell'intelletto in generale".[7]

Logica generale e logica trascendentale

Sempre nell'introduzione alla logica trascendentale, Kant opera una serie di distinzioni tra le varie forme di logica, per chiarire che la logica trascendentale è una certa forma di logica pura che è a priori e che però non prescinde dalla diversità degli oggetti pensati.[10][11][12] Schematizzando:

  • Logica
    • Logica particolare: regole dell'intelletto riferibili "ad una certa specie di oggetti"; è "l'organon di questa o quella scienza" cioè l'insieme di "regole sul modo in cui si possa costituire una scienza di [determinati] oggetti".
    • Logica generale: è la "logica elementare", un insieme di regole dell'intelletto che prescinde dalla diversità degli oggetti.
      • Logica generale pura: fa "astrazione da tutte le condizioni empiriche"; in quanto pura, questa logica "si occupa [...] soltanto di principi a priori, ed è un canone dell'intelletto e della ragione, solo però riguardo al carattere formale del loro uso".
      • Logica generale applicata: contiene anch'essa regole d'uso dell'intelletto, ma non astrae dalle condizioni empiriche studiate dalla psicologia e cioè "dall'influsso dei sensi, dal gioco dell'immaginazione, dalle leggi della memoria, dalla forza dell'abitudine, dall'inclinazione, ecc., e quindi anche dalle fonti dei pregiudizi"; la logica generale applicata è ancora un logica che prescinde dalla diversità degli oggetti, ma ha principi empirici; in tal senso, dice Kant, essa non sarà mai "né un canone dell'intelletto in generale, né un organon di scienze particolari", limitandosi ad essere "uno strumento purificatore dell'intelletto comune". La logica applicata è "una rappresentazione dell'intelletto e delle regole del suo necessario uso in concreto, cioè sotto le condizioni accidentali del soggetto [...]. Essa tratta dell'attenzione, degli impedimenti e delle conseguenze di questa, dell'origine dell'errore, dello stato di dubbio, di scrupolo, di convinzione, ecc."

La logica generale pura "è propriamente scienza, benché breve e arida"[13]. Astrae dal contenuto e dalla diversità degli oggetti (siano essi puri o empirici) e non ha principi empirici; per questo essa non ha alcun rapporto con la psicologia (osserva Kant contro lo psicologismo). È interamente a priori.[13][4]

Ora, in analogia con quanto risulta dall'estetica trascendentale, che ha constatato l'esistenza di intuizioni empiriche e di intuizioni pure, possono forse esistere, suppone Kant, anche concetti empirici e concetti puri, cioè concetti che si riferiscano a priori agli oggetti. Una logica che astraesse da tutti i contenuti empirici e che pure non rinunciasse ad un riferimento al contenuto puro studierebbe l'origine di questi pensieri in quanto essa non è data dagli oggetti stessi (non è cioè empirica); la logica generale, al contrario, resta indifferente all'origine dei pensieri considerati. Questo nuovo tipo di logica, la logica trascendentale, si occupa dunque delle origini delle conoscenze e dunque, proprio in quanto trascendentale, delle condizioni di possibilità e di validità di tali conoscenze.[11] Le forme del pensiero sono per Kant strumenti per ridurre il molteplice sensoriale a unità nella coscienza. La coscienza rappresenta l'istanza più estrema di questa unificazione. Quest'unità astratta non va intesa come un mero principio di associazione tra rappresentazioni, in quanto tale principio in ultimo dipende da stati soggettivi e non può determinare alcuna autentica unità. L'approccio di Kant alla logica è, secondo Kovačy, mentalista e antipsicologista.[4]

Mentre la logica generale astrae dal contenuto della conoscenza, la logica trascendentale ha un contenuto, che consiste nelle forme pure di intuizione (spazio e tempo).[10]

Nella sezione IV dell'introduzione alla logica trascendentale, Kant illustra l'opportunità di distinguere in essa una "analitica trascendentale" e una "dialettica trascendentale". L'analitica trascendentale "espone gli elementi della conoscenza pura dell'intelletto e i principi senza i quali un oggetto non può essere in alcun modo pensato"[14]. Essa è cioè una descrizione di come possa essere possibile una cognizione, non già dal lato dell'intuizione (la fonte di conoscenza già studiata nell'estetica trascendentale), ma dal lato dell'attività spontanea dell'intelletto tramite concetti.[15] L'esistenza di una dialettica trascendentale è invece così illustrata da Kant:

«Dato che è assai allettante e seducente [...] il servirsi soltanto di queste conoscenze pure dell'intelletto e delle sue fondamentali proposizioni pure, e ciò anche al di là dei limiti dell'esperienza [...] l'intelletto corre allora il pericolo di fare (mediante vuoti sofismi) un uso materiale dei semplici principi formali dell'intelletto puro, e di formulare giudizi indiscriminati su oggetti, che tuttavia non ci sono dati, anzi non possono forse esserci dati in alcun modo. Quindi, poiché la logica trascendentale dovrebbe propriamente essere solo un canone per la valutazione dell'uso empirico, essa risulta male adoperata, quando la si fa valere come l'organon di un uso generale e illimitato, e ci si avventura, con il solo intelletto puro, a formulare sinteticamente giudizi, asserzioni, decisioni, su oggetti in generale.[14]»

La sezione intitolata Dialettica trascendentale sarà quindi "una critica di questa illusione dialettica, e si chiama dialettica trascendentale, non già in quanto arte di suscitare dogmaticamente una siffatta illusione (un'arte, purtroppo assai in voga, di molteplici imposture metafisiche), bensì in quanto critica dell'intelletto e della ragione riguardo al loro uso iperfisico"[3].

Il riferimento agli allettamenti ad un uso iperfisico dell'intelletto è una ripresa dell'apertura della prefazione alla prima edizione[15], dove Kant aveva scritto:

«In un genere delle sue conoscenze (Erkenntnisse), la ragione umana ha il particolare destino di venir assediata da questioni, che essa non può respingere, poiché le sono assegnate dalla natura della ragione stessa, ma alle quali essa non può neppure dare risposta, poiché oltrepassano ogni potere della ragione umana.[16]»

La dialettica trascendentale consisterà dunque in una diagnosi e in una correzione degli errori prodotti da un uso illimitato dell'intelletto, che è poi l'uso della ragione in senso stretto. Le vere illusioni sono dunque questi errori della ragione usata dialetticamente, non già le apparenze.[17]

Nell'analitica trascendentale, Kant dovrà dimostrare l'origine dei concetti pure (attraverso una "deduzione metafisica") e i termini della loro validità oggettiva (attraverso una "deduzione trascendentale").[10]

I concetti

L'unità rappresentata dal concetto raccoglie e unifica la molteplicità sensibile. Tale unità è nel senso di una "nota comune" (nota communis). Come nota Kovačy, "La forma di un concetto come nota comune è l'universalità, mentre la sua materia sono gli oggetti"[4].

Un concetto è prodotto da tre operazioni dell'intelletto: comparazione, riflessione e astrazione.[4]

  • La comparazione determina identità e differenze tra oggetti. L'identità è del concetto, contenuto in diverse rappresentazioni. Ciascuna rappresentazione potrà poi avere altre note, diverse da quelle contenute nelle altre rappresentazioni. Sono queste ultime che determinano le differenze tra oggetti.
  • La riflessione consiste nell'isolamento della nota comune (nota communis), che è "fondamento di conoscenza" (Erkenntnisgrund) degli oggetti. La forma attraverso cui concepiamo oggetti diversi in unità è l'universalità.
  • L'astrazione consiste nel non considerare le differenze tra oggetti, trattenendo nella coscienza solo la nota comune.

Ciascun concetto appartenente ad una singola rappresentazione ha una propria unità analitica, ma al contempo esso è sinteticamente legato ad altre note. Ciascun concetto presuppone dunque una unità sintetica della coscienza.[4] Scrive Kant:

«Per sintesi [...], nel senso più generale, io intendo l'atto di aggiungere l'una all'altra diverse rappresentazioni, e di comprendere la loro molteplicità in una sola conoscenza. Una tale sintesi è pura, se il molteplice è dato non empiricamente, bensì a priori (come il molteplice nello spazio e nel tempo). Anteriormente ad ogni analisi delle nostre rappresentazioni, queste debbono essere già date, e nessun concetto, riguardo al suo contenuto, può sorgere analiticamente.[18]»

L'atto di sintesi consiste quindi nel raccogliere e collegare il molteplice dato affinché l'intelletto riporti il tutto a concetti.[18]

Con la Logica di Port-Royal (1662) di Antoine Arnauld e Pierre Nicole si era affermata nella logica tradizionale la distinzione tra Comprensione (o sfera) ed estensione (o contenuto) di un concetto. Questa caratteristica dei concetti è ripresa e illustrata nella Jäsche-Logik.[4] Oltre a riprendere il rapporto di proporzione inversa di comprensione ed estensione, Kant indica che i concetti sono in rapporto di Genere e specie. Ciascun concetto, cioè, nella sua comprensione ha diversi concetti sovraordinati che lo definiscono e, inversamente, è in ciascun concetto della sua estensione. L'astrazione conduce sempre più in alto nella catena dei concetti sovraordinati. La determinazione è il processo di orientamento opposto. Il rapporto tra concetti di pari livello è detto "coordinazione", quello tra un concetto inferiore ad uno sovraordinato è detto "subordinazione". Non esiste, secondo Kant, un punto finale in direzione dei concetti inferiori, poiché anche il più specifico dei concetti può essere ulteriormente determinato da un'ulteriore nota. I concetti che hanno la stessa estensione sono detti "reciproci".[4]

I giudizi

Come spiega Kovačy, il giudizio è per Kant "il modo di portare le rappresentazioni date all'unità oggettiva dell'autocoscienza". L'unico uso logico dei concetti è legato alla formulazione di giudizi. Nel giudizio, un concetto, che funge da predicato, è messo in relazione ad una classe di oggetti attraverso un'altra rappresentazione (il soggetto), che sta come condizione. Con ciò Kant rimarca la differenza tra concetto e intuizione (solo quest'ultima si relaziona direttamente agli oggetti).[4]

Analitica trascendentale

L'analitica trascendentale è divisa in tre parti: Libro I, Libro II e Appendice. All'inizio dell'analitica, Kant cerca di individuare i concetti a priori, cioè gli "elementi della conoscenza pura dell'intelletto"[19], organizzandoli in una "tavola" che li raccolga con completezza. Questa completezza deriva da un'idea del tutto.[20] Tale ricerca dei concetti puri dell'intelletto deve avvenire in base ad un unico principio, un unico concetto.[21]

Deduzione metafisica

"I concetti", sostiene Kant, "si basano su funzioni. Con funzione [...] io intendo l'unità dell'atto [Handlung] di ordinare diverse rappresentazioni sotto una rappresentazione comune"[22]. I concetti sono usati solo per operare giudizi: i concetti sono "predicati di giudizi possibili"[23]. Mentre l'intuizione si rapporta immediatamente all'oggetto, il concetto è riferito o ad un'intuizione o ad un altro concetto, ma all'oggetto solo mediatamente. In tal senso, "il giudizio è la conoscenza mediata di un oggetto, e perciò la rappresentazione di una rappresentazione del medesimo"[22]. In un giudizio è sempre presente un concetto, che si riferisce ad una pluralità di rappresentazioni e, tra queste ultime, deve sempre esservi una rappresentazione che si riferisca immediatamente all'oggetto. Gli oggetti sono rappresentati mediatamente dal concetto. Ne consegue ciò: "Tutti i giudizi sono [...] funzioni dell'unità tra le nostre rappresentazioni [...]". Tutta l'attività intellettuale è insomma riconducibile a giudizi e l'intelletto è la facoltà di giudicare.[23] Come scrive Buroker[24], "[...] la chiave per ottenere una lista completa consiste nell'assumere che l'intelletto ha una sola funzione".[25]

L'uso generale dell'intelletto consiste quindi nel giudicare. I concetti dovranno essere tratti dai giudizi e, in particolare, dalle "funzioni dell'unità nei giudizi"[23]. Con ciò Kant si allontana dalla tradizionale concezione che vedeva il pensiero come presupposto logico del giudizio. Il ruolo dei concetti è quello di pensare un certo oggetto x come qualcosa del tipo Y. Ciò equivale al giudizio 'x è Y'.[26]

Kant offre all'inizio dell'analitica una tavola di dodici funzioni (giudizi tipo), divise in quattro gruppi di tre, ottenuta facendo "astrazione da ogni contenuto di un giudizio in generale"[23]. Stando a Kant, la tavola che egli offre "sembra discostarsi in alcuni punti – che non sono tuttavia essenziali – dall'usale tecnica dei logici"[27]. La tavola dei giudizi è così composta:[27]

  • Quantità
    • Universali (Tutti gli uomini sono mortali)
    • Particolari (Alcuni filosofi sono greci)
    • Singolari (Socrate è greco)
  • Qualità
    • Affermativi (L'anima è mortale)
    • Negativi (L'anima non è mortale)
    • Infiniti (L'anima è non-mortale)
  • Relazione
    • Categorici (Tutti gli uomini sono mortali)
    • Ipotetici (Se sussiste una perfetta giustizia, allora chi persiste nel male è punito)
    • Disgiuntivi (Il mondo sussiste o per un cieco caso o per necessità interna o per una causa esterna)
  • Modalità
    • Problematici
    • Assertori
    • Apodittici

Quantità, qualità, relazione e modalità sono dette da Kant "titoli" (Titel).[28]

Nei giudizi, un concetto, come predicato, è una asserzione posta in relazione a certi oggetti sotto una certa condizione (espressa dal soggetto). I giudizi universali sono quelli in cui la condizione di oggettività non ammette eccezioni ("Ogni a è b"). Nei giudizi particolari sono ammesse eccezioni ("Qualche a è b"). Un'asserzione può essere associata ad una condizione di oggettività (giudizi affermativi: "Qualche a è b") o meno (giudizi negativi: "Qualche a non è b"). Dalla combinazione di quantità e qualità dei giudizi derivano i tipi aristotelici di giudizio: universale affermativo, particolare affermativo, universale negativo, particolare negativo.[4]

Quanto al titolo della relazione, tre sono le relazioni possibili della condizione di oggettività ad un'asserzione: soggetto-predicato, antecedente-conseguente, tutto-membri. Ciascuna relazione è rappresentata da uno specifico "esponente" (o "operatore"). I tre esponenti delle tre relazioni possibili sono rispettivamente è (giudizi categorici), se... allora (giudizi ipotetici) e o... o... (giudizi disgiuntivi).[4] Come scrive Kant:

«Nella prima specie di giudizi sono considerati soltanto due concetti, nella seconda due giudizi, nella terza parecchi giudizi in relazione tra loro.[29]»

Un giudizio, strutturato come sia quanto a quantità, qualità e relazione, può poi essere considerato secondo vari gradi di forza (cioè quanto alla modalità), dal giudizio meramente possibile (problematico) a quello vero (assertorio) fino a quello necessario (apodittico). Ad esempio, in un giudizio ipotetico, l'antecedente p è dato come problematico ("se p, allora..."). Lo stesso nei giudizi disgiuntivi ("o a o b"). Ma p, in altri giudizi, può apparire come vero o come necessario. Non esistono esponenti specifici per la modalità.[4] Scrive Kant al proposito:

«La modalità dei giudizi è una loro funzione del tutto particolare, la quale ha in sé la caratteristica, di non contribuire per nulla al contenuto del giudizio (dato che, al di fuori di quantità, qualità e relazione, non vi è null'altro che costituisca il contenuto di un giudizio), ma di riguardare soltanto il valore della copula in rapporto con il pensiero in generale.[30]»

Edizione italiana citata

  • Critica della ragione pura, Introduzione, traduzione e note di Giorgio Colli, Torino, Einaudi, 1957. - nuova ed. riveduta con le varianti, Milano, Adelphi, 1976.

Note

  1. ^ Critica della ragione pura, pp. 108-705.
  2. ^ a b c Burnham e Young, p. 63.
  3. ^ a b Critica della ragione pura, pp. 118-119.
  4. ^ a b c d e f g h i j k l m n o Kovačy.
  5. ^ Critica della ragione pura, pp. 109 e 117-118.
  6. ^ Critica della ragione pura, pp. 108.
  7. ^ a b c Critica della ragione pura, p. 109.
  8. ^ Buroker, p. 78.
  9. ^ Critica della ragione pura, pp. 108-109.
  10. ^ a b c Buroker, p. 79.
  11. ^ a b Burnham e Young, p. 65.
  12. ^ Critica della ragione pura, pp. 109-111.
  13. ^ a b Critica della ragione pura, p. 111.
  14. ^ a b Critica della ragione pura, p. 118.
  15. ^ a b Burnham e Young, p. 66.
  16. ^ Critica della ragione pura, p. 7.
  17. ^ Burnham e Young, pp. 10 e 66-67.
  18. ^ a b Critica della ragione pura, pp. 130-131.
  19. ^ Critica della ragione pura, p. 120.
  20. ^ Burnham e Young, p. 67.
  21. ^ Critica della ragione pura, p. 122.
  22. ^ a b Critica della ragione pura, p. 123.
  23. ^ a b c d Critica della ragione pura, p. 124.
  24. ^ Buroker, p. 80.
  25. ^ Alla nozione di "funzione" in Kant possono essere associate la nozione di "concetto" in Frege e quella di "funzione proposizionale" in Russell (cfr. Kovačy).
  26. ^ Buroker, p. 81.
  27. ^ a b Critica della ragione pura, p. 125.
  28. ^ Buroker, p. 85.
  29. ^ Critica della ragione pura, p. 127.
  30. ^ Critica della ragione pura, p. 128.

Bibliografia

Voci correlate

  Portale Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di filosofia