Utente:Facquis/Sandbox/Prova/Biennio nero

Contesto storico

La nascita dei Fasci italiani di combattimento

  Lo stesso argomento in dettaglio: Fondazione dei Fasci italiani di combattimento.
 
Gruppo di arditi, agitanti il pugnale
 
Manifestazione di protesta organizzata dall'Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi di Guerra

La smobilitazione avvenuta al termine della prima guerra mondiale aveva prodotto una grande quantità di reduci, che una volta rientrati nella vita civile si ritrovarono disoccupati e senza concrete prospettive di lavoro. Ai reduci lo Stato non concedeva alcun riconoscimento particolare per il ruolo ricoperto in guerra, anche se svolto nel ruolo di ufficiale di complemento o in unità di élite come gli arditi. Alcuni di loro si erano battuti a favore dell'interventismo e avevano combattuto come volontari, perché mossi da ideali nazionalisti e irredentisti, pertanto al loro ritorno alla vita civile proseguirono la loro azione politica organizzandosi in maniera più o meno spontanea,[1] sia per propagandare la loro visione politica, sia per contrastare le organizzazioni socialiste, accusate di "disfattismo"[2] a causa delle loro posizioni neutraliste nei confronti della guerra.[3] Dal canto loro i socialisti trascurarono i sentimenti e le richieste dei combattenti, alienandosene la simpatia.[4] I reduci andarono allora a formare, insieme a futuristi, sindacalisti rivoluzionari e alle associazioni di difesa sociale, squadre organizzate per combattere contro i socialisti, che in quel momento si trovavano in forte ascesa.[5] Non mancavano elementi di ogni classe sociale tra i quali predominavano gli studenti universitari.[6]

Lo squadrismo contrastò infatti apertamente le iniziative politiche dei marxisti, considerate provocatorie e offensive nei confronti della Patria e dei reduci di guerra[7]: l'ammainamento del tricolore (a favore della bandiera rossa) nelle istituzioni guidate dai socialisti, l'erezione di monumenti di carattere antimilitarista, l'esaltazione di imboscati e disertori in spregio agli ex-combattenti[8]. Uno di questi disertori, Francesco Misiano, fu eletto in Parlamento, suscitando la violentissima reazione degli squadristi di Roberto Farinacci che, il 13 giugno 1921, lo cacciarono con la forza dall'aula di Montecitorio[9]. Particolarmente pesanti furono anche e soprattutto le aggressioni fisiche, talvolta mortali[10], nei confronti di reduci, decorati e ufficiali dell'Esercito[11] (i fascisti giustificheranno le loro prime azioni proprio come rappresaglia a queste azioni[12]).

 
La prima sede dei Fasci Italiani di Combattimento e del Popolo d'Italia, detto "Il Covo", qui l'ufficio di Mussolini

Il 23 marzo 1919 a Milano in piazza San Sepolcro avvenne la fondazione dei Fasci italiani di combattimento, un movimento politico che esprimeva confuse istanze di rinnovamento in materia di politica e di economia[13], associando tendenze socialiste e tendenze nazionaliste. Inoltre la presenza di elementi di origine futurista e arditista conferiva al fascismo un suo carattere di sovversione e di opposizione ai valori e alla cultura tradizionali della borghesia[14]. Fu questo il momento in cui il futurista Filippo Tommaso Marinetti, in un suo articolo pubblicato nel 1919, propose una sintesi fra nazionalismo e anarchia, basata sull'esperienza futurista che aveva esaltato "sia il patriottismo sia l'azione distruttiva degli amanti della libertà"[15]. Ma l'originario progetto politico mussoliniano di creare uno schieramento progressista imperniato sul combattentismo rivoluzionario era destinato fin dall'inizio al fallimento, a causa di vari fattori: prima di tutto perché il Fascio di Milano, che aveva elaborato il programma di San Sepolcro, era molto più a sinistra di quanto non fossero gli altri Fasci; poi perché i Fasci avrebbero potuto realizzare tale programma solo ottenendo l'appoggio delle masse degli operai e dei contadini, che invece davano il loro consenso al Partito Socialista Italiano (PSI) e alla Confederazione Generale del Lavoro (CGdL)[16]. La maggioranza delle squadre formatesi autonomamente nelle città del nord Italia andarono andò in breve tempo a confluire nei Fasci italiani di combattimento. Ciononostante, a causa del basso numero di adesioni, almeno per tutto il 1919 l'iscrizione coincideva spesso con l'attività di squadrista.[17]

Svolgimento della violenza squadrista

Lo squadrismo nel biennio rosso (aprile 1919 - ottobre 1920)

Lo squadrismo urbano

La prima azione squadrista avvenne il 15 aprile 1919 a Milano con l'assalto all'Avanti! dando così inizio al progressivo allontanamento del fascismo e la classe operaia.[18] Il primo nucleo di squadristi fu composto da circa 200 uomini, tutti sindacalisti rivoluzionari e arditi, che sostanzialmente costituirono la guardia personale di Mussolini, il quale tempo dopo ebbe a dire al riguardo:

«Nel complesso erano alcune centinaia di uomini, suddivisi in gruppi agli ordini di ufficiali, e ovviamente ubbidivano tutti a me. Io ero una specie di capo di questo piccolo esercito.»

Durante il "biennio rosso", nelle principali città italiane sorsero gruppi di volontari che si organizzarono in "leghe antibolsceviche", allo scopo di sostituire i dipendenti pubblici durante gli scioperi, assicurando la circolazione dei mezzi di trasporto pubblico e la pulizia delle strade. Questi volontari, perlopiù di estrazione borghese e mossi da ideali nazionalisti e antisocialisti, furono i precursori dello squadrismo urbano, che fra il 1919 e l'estate del 1920 si realizzò soprattutto in attacchi dimostrativi contro manifestazioni socialiste e sedi del movimento operaio[20]. Ulteriori atti squadristici avvennero poi a Mantova, Brescia e Padova e nel 1920 in tutte le principali città dell'Italia settentrionale cominciarono a essere formate squadre d'azione armate e alle dipendenze del Fascio di combattimento locale.

Le azioni squadriste - di norma caratterizzate da violenze contro persone e cose - avevano lo scopo, secondo ciò che affermavano gli squadristi, di impedire la realizzazione in Italia di una rivoluzione di ispirazione bolscevica e di rispondere alle crescenti rivendicazioni sociali degli operai e dei braccianti: gli squadristi cercarono di giustificare ideologicamente la loro attività presentandola come una risposta alle violente azioni e al clima di agitazione politica socialista e anarchica, nonché come un'affermazione di quei valori nazionalisti che (secondo gli squadristi) erano stati vilipesi dal socialismo; tale giustificazione ideologica valse a nascondere, soprattutto agli occhi degli attivisti più giovani, il reale carattere di classe delle azioni squadriste, ammantandole di illusorie motivazioni morali[21]. La giovane età della gran parte degli squadristi ha fatto interpretare ad alcuni autori la rivoluzione fascista come una rivoluzione generazionale[22].

Nonostante alcuni tentativi da parte di Mussolini di riavvicinare il PSI (principalmente nel 1919[23] e nel 1921[24]) i socialisti non condividevano le idee nazionaliste di fascisti, futuristi, sindacalisti rivoluzionari, interventisti, fiumani, reduci e arditi. Il tentativo di Mussolini di riavvicinarsi ai socialisti lo portò a polemizzare con tutti i movimenti politici degli ex combattenti[25]. Il fallimento del progetto politico sansepolcrista divenne evidente con la disfatta fascista alle elezioni politiche del 16 novembre 1919, nelle quali i Fasci di combattimento mancarono l'obiettivo di concordare una lista unitaria nazionale della sinistra interventista, anche a causa delle forti diffidenze che specialmente i repubblicani e i sindacalisti rivoluzionari nutrivano nei confronti del fascismo e dello stesso Mussolini, accusati, il primo di essere un movimento apparentemente rivoluzionario ma in realtà reazionario e il secondo di eccessiva spregiudicatezza[26]. In queste elezioni i Fasci di combattimento riuscirono a presentare una propria lista solo per la circoscrizione di Milano, ottenendo in tutto 4 657 voti (su circa 270 000 votanti) e nessun eletto[27].

Lo squadrismo nella Venezia Giulia

Nella Venezia Giulia, assegnata all'Italia con il trattato di Saint Germain, e che quindi viveva un periodo di forte esaltazione nazionalistica, l'adesione ai Fasci italiani di combattimento assunse subito caratteri di massa. Ciò fu dovuto principalmente alla vicinanza della Venezia Giulia stessa al confine orientale che, sottoposto a rivendicazioni territoriali e politiche (irredentismo), convogliò sui Fasci di combattimento le simpatie dei nazionalisti. A questi si aggiunsero inoltre numerosi legionari dannunziani reduci dell'Impresa di Fiume, che ne costituirono il nerbo iniziale. La prima squadra d'azione giuliana venne formata a Trieste il 20 maggio 1920 e furono queste squadre delle città provinciali e di campagna quelle grazie alle quali il fascismo irruppe, a partire dalla fine del 1920, in tutta la Valle Padana e oltre.[28]

L'espansione del fascismo (ottobre 1920 - maggio 1921)

Il patto di pacificazione (maggio 1921 - novembre 1921)

L'offensiva nazionale (novembre 1921 - ottobre 1922)

Squadristi

Le squadre d'azione

  Lo stesso argomento in dettaglio: Squadre d'azione.

Le motivazioni degli squadristi

Stato liberale e squadrismo

Squadrismo nel regime fascista

Note

  1. ^ Mario Piazzesi, Diario di uno squadrista toscano
  2. ^ Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario, p. 420: "Il 16 ottobre (1918) venne organizzata a Roma una riunione dei rappresentanti delle maggiori organizzazioni interventiste... (nella quale) venne proposto di 'ricercare i disfattisti ovunque si nascondano, ricorrendo ad azioni energiche e dirette sia contro di essi sia contro gli uffici sia contro i negozi dove si potranno nascondere'. Il giorno dopo una delegazione del Fascio parlamentare si recò da Orlando e gli chiese energici provvedimenti contro i 'disfattisti' e in particolare contro i socialisti"
  3. ^ Roberto Vivarelli, Storia delle origini del fascismo, volume I, Il Mulino, 2012, pp. 94-95
  4. ^ Sven Reichardt, Camicie nere, camicie brune, Bologna, Società Editrice Il Mulino, 2009, p. 179: "Soprattutto i socialisti, dopo la fine della guerra, avevano guardato con odio e disprezzo ai circa 154 mila ufficiali in congedo dell'esercito, i quali erano spesso andati in guerra direttamente dalla scuola o dall'università
  5. ^ Giordano Bruno Guerri, "Fascisti", Milano, Oscar Mondadori (Le scie), 1995, pp. 76-77.
  6. ^ Mario Piazzesi, op. cit.
  7. ^ Sven Reichardt, Camicie nere, camicie brune, Bologna, Società Editrice Il Mulino, 2009, p. 342: "La disumanizzazione dell'avversario e la metaforica guerresca dei fascisti furono giustificate con il fatto che la sinistra scorgesse il proprio modello non nella propria nazione, ma in Russia. I fascisti vi colsero un empio vilipendio della nazione: la dissacrazione dei valori nazionali."
  8. ^ Mario Piazzesi, in Diario di uno squadrista toscano, cita dei manifesti socialisti dove un candidato alle elezioni menava vanto di essere stato disertore e condannato: “Nello Tarchiani, tramviere, condannato per diserzione all'ergastolo dal Tribunale Militare”.
  9. ^ Mimmo Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, Mondadori, Milano 2003, p. 338.
  10. ^ Pierluigi Romeo di Colloredo, La Battaglia del Solstizio, Italia, 2008. A causa del ripetersi di simili episodi fu anche proibito agli ufficiali di mostrarsi in uniforme durante la libera uscita.
  11. ^ "In ogni località dove erano alloggiate guarnigioni di Arditi, l'ordine pubblico era periodicamente turbato da aggressioni a cittadini e a esponenti di sinistra [...] La violenza non era da una parte sola, poiché laddove un Ardito, o anche un ufficiale dell'esercito, si trovava da solo in quartieri popolari o in borgate rosse veniva insultato e svillaneggiato, nonché percosso se accennava a una reazione: l'antimilitarismo delle sinistre incolpava i graduati dei lutti bellici. Di simili episodi, abbastanza frequenti nei grandi centri urbani, beneficiò indirettamente il fascismo in termini di popolarità e di adesioni fra gli ufficiali.", Mimmo Franzinelli, Squadristi, Oscar Mondadori, Milano, 2009, pp. 18-19, .
  12. ^ "le manifestazioni socialiste contro la guerra impedirono perfino l'esposizione di tricolori (visti dai socialisti come una provocazione) nel primo anniversario della vittoria, e che gli insulti e gli sputi per i reduci che uscivano in libera uscita in divisa erano all'ordine del giorno" in Marco Cimmino, Il primo dopoguerra; B. Villabruna, Il combattentismo cit. in A. V. Savona – M. L. Straniero: Canti dell'Italia fascista, Garzanti, 1979; Asvero Gravelli, I canti della Rivoluzione, Roma, Nuova Europa, 1929
  13. ^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925, Torino, Einaudi, 1966, p. 14.
  14. ^ Mimmo Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, Milano, Mondadori, 2003, p. 3.
  15. ^ Adrian Lyttelton, Cause e caratteristiche della violenza fascista: fattori costanti e fattori congiunturali, in: AA. VV, Bologna 1920; le origini del fascismo, a cura di Luciano Casali, Bologna, Cappelli, 1982, p. 41.
  16. ^ Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino, Einaudi, 1965, pp. 518-519.
  17. ^ Sven Reichardt, Camicie nere, camicie brune, Bologna, Società Editrice Il Mulino, 2009, p. 148
  18. ^ Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino, Einaudi, 1965, p. 519.
  19. ^ Sven Reichardt, Camicie nere, camicie brune, Bologna, Società Editrice Il Mulino, 2009, p. 233
  20. ^ Mimmo Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, Milano, Mondadori, 2003, pp. 3, 57.
  21. ^ Mimmo Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, Milano, Mondadori, 2003, p. 42: "La virulenza con cui lo squadrismo attaccò le organizzazioni di sinistra e i loro esponenti era sostenuta da motivazioni antiegualitarie e nazionaliste rivendicanti i valori sviliti e negati dal 'sovversivismo'; il velo dell'ideologia nascose a molti giovani il carattere classista di quelle violenze e presentò il fascismo come movimento 'altamente disinteressato e di valore principalmente morale'". Franzinelli cita fra virgolette il saggio di Felicita De Negri, Agitazioni e movimenti studenteschi nel primo dopoguerra in Italia, in "Studi storici", A. XVI, n. 3, 1975, p. 741.
  22. ^ Marcello Veneziani, Rovesciare il 68: pensieri contromano su quarant'anni di conformismo di massa, Mondadori, 2008, p. 21; Curzio Malaparte, La rivolta dei santi maledetti (1923) e L'Europa vivente (1961); Patrizia Dogliani, Storia dei giovani, Pearson Italia S.p.a., 2003, pp. 104 e ss., dove però si parla anche di "controrivoluzione generazionale"; Il Secolo dei giovani: le nuove generazioni e la storia del Novecento, a cura di Paolo Sorcinelli e Angelo Varni, Donzelli, 2004 pp. 142 e ss. dove però è evidenziata anche la prudenza di Mussolini verso l'identificazione integrale del Fascismo a una "rivoluzione generazionale", rivendicata bensì da altri autori fascisti (cfr. Bottai, citato a p. 144); l'interpretazione è anche diffusa all'estero: cfr. Juan J. Linz, Some Notes Toward a Comparative Study of Fascism in Sociological Historical Perspective in Fascism, a reader's guide, Penguin, 1979; Bruno Wanrooij The Rise and Fall of Italian Fascism as a Generational Revolt, in Journal of Contemporary History luglio 1987 vol. 22 no. 3.
  23. ^ F. J. Demers, Le origini del fascismo a Cremona, Roma-Bari, Laterza, 1979.
  24. ^ Renzo de Felice Mussolini il fascista, I, Torino, Einaudi, 1966.
  25. ^ Pietro Nenni, Storia di quattro anni (1919-1922), Roma, Einaudi, 1946: "Fu questa svalutazione del fenomeno combattentistico il primo errore e forse il più fatale".
  26. ^ Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino, Einaudi, 1965, p. 534.
  27. ^ Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino, Einaudi, 1965, pp. 570-572.
  28. ^ Almerigo Apollonio, Dagli Asburgo a Mussolini, Goriziana, 2001.

Bibliografia