Cangrande I della Scala
Can Francesco della Scala detto Cangrande I (Verona, 9 marzo 1291 – Treviso, 22 luglio 1329) è stato un signore e condottiero italiano. Cangrande fu il terzo figlio di Alberto I della Scala, ed è il componente più conosciuto e celebrato della famiglia scaligera, di cui consolidò il potere. E' noto anche perché fu amico e protettore del grande poeta Dante Alighieri, ma fu sopprattutto un grande condottiero e politico. Egli governò Verona dal 1308 al 1311 insieme al fratello maggiore Alboino e da solo dal 1311 sino alla sua morte. Grazie alle sue conquiste divenne guida della fazione ghibellina dell'alta Italia, ma non fu solo un abile conquistatore, ma anche uno scaltro politico, un accorto amministratore e un generoso mecenate.
Biografia
Giovinezza
Cangrande è nato a Verona il 9 marzo 1291 da Verde di Salizzole e da Alberto della Scala: è il terzogenito, nato dopo Bartolomeo e Alboino.
Cangrande ebbe grande affetto per il padre, da cui aveva preso la dote come condottiero e cavalliere: proprio da lui venne fatto cavaliere mentre era ancora bambino, nel 1294, per festeggiare la vittoria contro Azzo VIII d'Este e Francesco I d'Este.[1] Il padre morì nel 1301, quando era ancora minorenne, infatti venne affidato alla custodia del fratello Bartolomeo, che divenne il nuovo Signore di Verona. Fu sotto il suo regno che per la prima volta Dante venne ospitato nella città, dopo il suo esilio da Firenze.
Al potere insieme al fratello
Cangrande fece la sua prima azione militare nella campagna di suo fratello Alboino, che è succeduto al fratello maggiore Bartolomeo nel 1304, nella quale lottarono insieme ad altri leader contro il guelfo Azzo VIII d'Este, Signore di Ferrara. Nel 1308, quando finì la guerra contro Ferrara e Cangrande raggiunse la maggiore età, Alboino decise di condividere con lui la Signoria, anche perché si era dimostrato valoroso in armi. Nello stesso anno vi fu anche il suo matrimonio con Giovanna d'Antiochia, una discendente del sovrano del Sacro Romano Impero Federico II: l'unione durò tutta la vita ma non ebbe eredi, anche se fu padre di parecchi figli illegittimi. L'anno successivo, invece, i due fratelli scaligeri cercarono di prestare aiuto alle città di Parma e Piacenza, messe in difficoltà per le lotte intestine con i guelfi, ma senza successo.[3]
Nel novembre 1310 l'imperatore Enrico VII di Lussemburgo arrivò in Italia con l'intento di conciliare la parte guelfa con quella ghibellina sotto il vessillo di un impero unito: Cangrande e Alboino vennero a conoscenza del fatto che Enrico VII voleva che i guelfi Sambonifacio tornassero a Verona per riappacificarsi con loro, per cui i due non parteciparono alla coronazione come segno di protesta. Essi rinanciarono addirittura alla signoria, sicuri che il popolo veronese non avrebbe accettato di perdere i propri signori, come infatti accadde.[3] Alla fine l'imperatore si trovò a fare affidamento sul sostegno dei ghibellini per raggiungere i suoi obiettivi: inizialmente nominò vicario un cittadino pisano, ma dovette presto ricredersi, e il 7 marzo 1311 decise di riconoscere come vicari imperiali di Verona Cangrande e Alboino. A questo punto i due possiedevano un doppio riconoscimento della loro autorità, assommarono l'investitura del Comune a quella dell'imperatore. Il lato negativo del vicariato era però quello finanziario, infatti costava molto denaro ed era loro dovere avere un contingente di soldati che potessero scortare il sovrano. Il Comune di Verona promise ad Enrico VII 3.435 fiorini d'oro, mentre altri 3.000 fiorini furono spediti al vicario di Lombardia Amedeo di Savoia.[3]
Nell'aprile del 1311 i due fratelli condussero insieme l'esercito imperiale e rapidamente liberarono Vicenza dal vicino Comune di Padova, la quale si era ribellata all'autorità imperiale. Da maggio ad ottobre dello stesso anno Cangrande comandò l'assedio di Brescia, dove la fazione guelfa si era impadronita del controllo della città in spregio ad Enrico VII. Quando i guelfi si arresero, il 16 settembre 1311, egli venne scelto per guidare trecento cavalieri e l'imperatore nel trionfale ingresso in città. Annunciò che avrebbe accompagnato l'imperatore nel suo viaggio a Roma per l'incoronazione, ma, ricevuta la notizia della grave malattia che aveva colpito il fratello Alboino, si affrettò a tornare a Verona. Il 29 novembre 1311 morì Alboino e Cangrande divenne l'unico Signore di Verona, all'età di ventidue anni.
La lotta per Vicenza
Nel febbraio 1312 Cangrande divenne Signore della vicina città di Vicenza grazie ad un atto di opportunismo politico, approfittando delle controversie della città con i suoi ex-padroni di Padova: i padovani decisero di strappare il territorio di Vicenza a Cangrande sfidando così l'imperatore, che ne aveva sostenuto l'acquisizione tramite l'elezione a vicario imperiale. Nella primavera del 1312 l'esercito padovano iniziò ad attuare brevi incursioni in territorio vicentino e veronese, così Cangrande per diciotto fu messo in difficoltà, e dovette proteggere Vicenza e Verona da queste incursioni.
La morte di Enrico VII nell'agosto 1313 liberò Cangrande dal suo obbligo di fornire risorse militari e finanziarie all'imperatore e un cambiamento di governo a Padova gli diede il tempo di accumulare un imponente esercito. Con la sua morte però il guelfismo recuperava forza, mentre nell'alta Italia la fazione ghibellina poteva contare solo su quattro grandi città: Verona, Milano, Mantova e Pisa. Di queste Verona era la più compatta politicamente, e ben sostenuta dal popolo, e si assunse infatti la responsabilità di assumere la guida della fazione ghibellina.[4] Dalla primavera del 1314 iniziò ad utilizzare la stessa tattica dei suoi nemici in modo punitivo, bruciando le colture e le città in territorio padovano. La devastazione dei distretti rurali fece decidere al consiglio di Padova di porre fine alla guerra una volta per tutte cercando di prendere Vicenza con forze soverchianti. Venne raccolto un grande esercito sotto il podestà Ponzino de 'Ponzini, che partì da Padova e marciò per tutta la notte. Il sobborgo di San Pietro a Vicenza venne invaso alle prime ore del mattino del 17 settembre 1314.
Cangrande in quel momento era a Verona, ma saputa la notizia partì velocemente con poca scorta a cavallo per raggiungere velocemente Vicenza: egli riuscì a coprire la distanza tra le due città in sole tre ore. Arrivato in città senza esitazione condusse un improvvisato attacco contro gli invasori, che erano ancora nella periferia della città. Lo storico Albertino Mussato, che era con le forze padovane, racconta come questo improvviso assalto rapidamente si sviluppò in un accerchiamento dell'esercito padovano. Cangrande, in piedi sulle staffe, esortò i suoi seguaci a uccidere il vile nemico.
La vittoria di Cangrande fu completa e fu in grado di concludere un trattato di pace nell'ottobre 1314, di cui Venezia fu garante, in cui Padova riconobbe la sua supremazia veronese su Vicenza.[5] Dopo questa vittoria militare migliorò ancora la sua reputazione: riuscì a guadagnare anche la riluttante ammirazione di uomini come Mussato, il quale si opponeva ardentemente a Cangrande per il suo stile autocratico. Si vide in quel momento la qualità per cui divenne popolare, il quasi sconsiderato coraggio in battaglia e la sua magnanimità verso i nemici sconfitti, alcuni dei quali divennero suoi amici. Tra i prigionieri vi furono anche nobili influenti come Jacopo da Carrara e suo nipote Marsilio; grandi giocatori e Cangrande della successiva carriera.
E' tra l'altro di questo periodo il massiccio stanziamento, previo consenso degli scaligeri, di popolazioni tedesche nei Lessini (altopiano, allora quasi spopolato, a nord di Verona), che furono chiamati in seguito Cimbri, anche se una loro presenza era già attestata dall'ottenuta investitura del 1287 dal vescovo Bartolomeo della Scala.[5]
Uno strenuo ghibellino
Assucuratosi Vicenza Cangrande cercò di immischiarsi nella lotta per i territori ad ovest di Verona. Con Rinaldo Bonacolsi, principe di Mantova, ebbe dal settembre 1316 l'aiuto per la sicura supremazia ghibellina nella Lombardia occidentale, per cui rivolse le sue attenzioni al personale obiettivo di conquistare la marca trevigiana, lanciando un attacco, senza successo, contro Treviso nel novembre 1316.
Il 16 marzo 1316 Cangrande riconobbe ufficialmente Federico I d'Asburgo come imperatore dei romani, e ricevette da lui la conferma come vicario imperiale di Verona e Vicenza, incorrendo così nell'ira di Papa Giovanni XXII che non riconobbe né lui né il suo rivale Luigi IV di Baviera. Cangrande ignorò le minacce di scomunica da parte del Papa e ribadì la sua fede ghibellina attaccando i guelfi di Brescia, di concerto con il temuto capitano di ventura toscano Uguccione della Faggiuola. Egli stava per dare l'assedio alla città, nel maggio 1317, quando ebbe la notizia che a Vicenza stava per essere tradito da un gruppo di esuli sostenuti da truppe di Padova uidate dal guelfo Vinciguerra Sambonifacio, la cui famiglia era stata esiliato da Verona da Mastino della Scala.
Seconda guerra con Padova
Cangrande e Uguccione della Faggiuola arrivarono fuori Vicenza il 21 maggio 1317. Cangrande entrò segretamente a Vicenza e il giorno successivo mascherato come un guelfo vincentino incoraggiò i padovani ad entrare in città: improvvisamente si precipitò su di loro insieme con un piccolo corpo di truppe, mentre Uguccione con un forza maggiore attaccò da dietro, riuscendo così a prendere alla sprovvista le truppe padovane e vincendo la battaglia in modo decisivo. Cangrande mostrò ancora una volta la sua magnanimità con il nemico Vinciguerra, facente parte della storica famiglia avversaria degli Scaligeri, il quale fu gravemente ferito nel conflitto, lo curò nel suo palazzo e gli offrì un magnifico funerale per la sua morte, avvenuta un paio di settimane più tardi.
Cangrande sprecò tempo nell'accusa di Padova di aver rotto il trattato di pace del 1314. Nel dicembre del 1317 a Venezia, che aveva supervisionato il trattato, venne infine dichiarato nullo. Allora Cangrande attaccò con un grande esercito a sorpresa la cittadina di Monselice, una roccaforte chiave di Padova, sulle pendici orientali dei Colli Euganei. Monselice venne conquistata dai veronesi il 21 dicembre, e seguì l'accerchiamento della ricca città di Este, che dovette presto arrendersi. La guarnigione resistette fino a quando Cangrande ordinò l'assalto di tutte le sue forze contro le mura. In breve tempo, la città fu presa, saccheggiata e bruciata, per cui in seguito molte altre città della zona rinunciarono alla difesa per la paura di fare la stessa fine.
Passato il Natale Cangrande marciò con il suo esercito fino alle mura di Padova, tentando di terrorizzare la popolazione all'interno della città, perché si arrendesse. Il consiglio padovano rappresentato da Jacopo da Carrara fu costretto ad accettare i termini di resa incondizionata e il 12 febbraio 1318 dovette cedere Monselice, Este, Montagnana e Castelbaldo a Verona, oltre a dover richiamare a Padova i cittadini che furono esiliati.
Seconda campagna militare contro Treviso
Cangrande trascorse la primavera e l'estate del 1318 combattendo per la causa ghibellina in varie città, imperterrito nonostante la scomunica del Papa (eseguita in aprile per il suo persistente rifiuto di rinunciare al vicariato imperiale). In autunno le sue attenzione erano ancora una volta rivolte verso la marca trevigiana. Lui non era in grado di attaccare Padova a causa del trattato di pace, ma ebbe una notevole influenza sulla città a causa della sua amicizia con la famiglia dei Carraresi, che era diventata la famiglia dominante in città. Egli ha informalmente cementato la sua alleanza con i Carraresi alla fine del 1318, fidanzanfo il suo dodicenne nipote Mastino II con Taddea, figlia di Jacopo Da Carrara. Nel frattempo, alleatosi nuovamente con Uguccione della Faggiuola, aveva lanciato un'altra campagna militare contro Treviso.
L'attacco a Treviso fu fatto con la promessa di aiuto da alcuni nobili della città, che speravano che Cangrande ripristinasse il loro potere. Nonostante riuscì a prendere alcuni castello periferici, ma presto gli stessi cittadini di Treviso si appellarono a Federico I d'Asburgo, che ordinò a Cangrande di fermare la sua aggressione, ma in cambio volle che i trevisani accettasero la sua autorità e un vicario nominato da lui.
Nello stesso mese una riunione dei capi ghibellini a Soncino, condotta da Matteo I Visconti nominò Cangrande capitano e rettore del partito imperiale della Lombardia. Cangrande accettò il titolo senza guadagnarci niente, e, per il momento, era più interessato al nuovo tentativo di conquistare Treviso. Si era avvicinato al successo, fermato poi in giugno, quando i trevigiani accettarono a malincuore la protezione del potente Enrico III di Gorizia, nominato vicario imperiale da Federico I d'Austria. Immediatamente l'attenzione di Cangrande tornò su Padova, raccogliendo una disputa con il suo ex alleato Jacopo Da Carrara.
Terza guerra con Padova
Nell'agosto 1319 Cangrande invase il territorio padovano e istituì un campo permanente a sud della città, vicino a Bassanello: stava quindi impostando l'assedio di Padova, mentre altre truppe sotto il suo comando stavano attaccando altre città sotto il controllo padovano.
Nell'autunno del 1319 Padova negoziò con Enrico di Gorizia, che si trovava ancora a Treviso, sperando così un un suo aiuto. Enrico aspettò fino a quando la posizione padovana non fu disperata, e si presentò quindi come un rappresentante di Federico d'Asburgo. Il consiglio di Padova il 4 novembre 1319 raccolse un grande esercito per Enrico che entrò in città il 5 gennaio 1320, e Jacopo da Carrara lasciò il comando in favore di Enrico. Le dimissioni furono il principale pretesto di Cangrande e fu ben presto sul'offensiva: da marzo a giugno riuscì a prendere dei castelli di Enrico di Gorizia nel territorio trevigiano, e, con l'aiuto di esuli padovani, apportò un attacco segreto a Padova, ma senza fortuna.
Alla fine dell'estate Enrico III di Gorizia tornò ancora una volta a Padova con le truppe fresche, e, la mattina del 25 agosto 1320, attaccò il campo di Cangrande a Bassanello. Cangrande, nonostante subì una lieve ferita, informò i generali di difendersi. Cangrande si ritrovò in minoranza numerica e presto la ritirata degenerò nella rotta dell'esercito. Cangrande venne nuovamente ferito, colpito da una freccia nella coscia, e dovette cavalcare disperatamente per raggiungere la sicura roccaforte di Monselice, dove, ancora esausto per la fuga, si fece togliere la freccia ancora attaccata alla sua gamba. Data la sconfitto non ebbe altra scelta che aprire i negoziati di pace.
I padovani, diffidenti del loro salvatore Enrico III di Gorizia e ansiosi di sbarazzarsi del suo esercito di mercenari, accettò i termini della resa, non particolarmente sfavorevoli a Cangrande: dovette solamente rinunciare alle sue recenti conquiste, mentre i suoi possedimenti più "vecchi", come Este e Monselice, furono fatte oggetto dell'arbitrato di Federico d'Asburgo.
Per i due anni successivi Cangrande non tenne conflitti armati, ma continuò ad espandere il suo territorio, conquistando le città di Feltre (febbraio 1321), Serravalle (ottobre 1321) e di Belluno (ottobre 1322) tramite mezzi politici.
Ritorno all'azione
Nell'autunno 1322 Cangrande rinnovò la sua alleanza con Passerino Bonacolsi nel tentativo di riportare i ghibellini esuli a Reggio Emilia. Promise la sua fedeltà a Luigi IV di Baviera dopo la sua vittoria su Federico I d'Asburgo nella battaglia di Mühldorf nel settembre 1322, e, nel giugno 1323, diedero vita ad un'alleanza con lui, Bonacolsi e gli Estensi di Ferrara in aiuto dei Visconti di Milano. Consapevole del fatto che Padova aveva cercato di recuperare alcuni dei suoi ex possedimenti con la forza, trascorse la primavera del 1324 a rafforzare le difese, incominciando dalle mura di Verona. Tuttavia l'indisciplinato esercito di mercenari di Enrico di Carinzia e Tirolo, acquisito da Padova, non costituiva una grave minaccia e Cangrande sarebbe stato presto in grado di comperarlo. Con Enrico Cangrande andò nuovamente all'attacco di Padova, nei primi mesi del 1325, ma Luigi IV di Baviera, l'imperatore eletto, gli ordinò di fare una tregua e di restituire alcuni territori a Padova. Intanto a febbraio morì Chichino, figlio del fratello Bartolomeo della Scala, che gli lasciò un cospicuo patrimonio (salvo delle terre al figlio Giovanni), dato che i rapporti tra Cangrande e Chichino erano molto stretti: Cangrande lo tenne in casa alcuni anni e lo volle a fianco a lui alla firma di importanti alleanze e trattative. Probabilmente Cangrande pensava a lui come suo successore[6].
In giugno e luglio 1325 Cangrande combattè a Modena per la causa ghibellina, ma dovette affrettarsi a tornare a Vicenza dove, un grande incendio, aveva distrutto una parte significativa della città. Lì si ammalò e dovette ritirarsi a Verona, dove una voce avversaria dichiarò che era sul punto di morire. A questo suo cugino Federico della Scala, il fu salvatore di Verona nell'attacco padovano del giugno 1314 e podestà di Vicenza, cercò di impadronirsi del potere, ma i mercenari di Cangrande lo fermarono. Quando Cangrande recuperò la salute e le energie bandì Federico e tutta la sua famiglia dalla città, i suoi beni furono requisiti,e il suo castello a Marano venne raso al suolo.[7]
Intrighi e tradimenti
Cangrande recuperò abbastanza bene a prese parte alla campagna che si è conclusa in una grande vittoria sui guelfi bolognesi a Monteveglio insieme a Passerino Bonacolsi, nel novembre 1325. Tuttavia sembrò aver allontanato il suo vecchio alleato, forse offeso da Passerino, favorì gli Estensi di Ferrara, con la cui famiglia vi fu un matrimonio.
Nonostante la vittoria di Monteveglio e il trionfo di Castruccio Castracani sui guelfi fiorentini ad Altopascio la fazione guelfa era ancora forte, e il papa e Roberto di Napoli inviarono a Verona, nel luglio 1326, un'ambasciatura, nel tentativo di spezzare la fedeltà di Cangrande al Sacro Romano Impero di Luigi IV di Baviera: tuttavia, quando Luigi scese in Italia nel gennaio 1327, Cangrande fu uno dei primi a inviargli degli omaggi. Egli tentò ma non riuscì ad ottenere il vicariato di Padova dall'imperatore, ma venne confermato come vicario imperiale di Verona e Vicenza, e divenne vicario imperiale di Feltre, Monselice, Bassano e Conegliano.
Il 31 maggio Luigi venne incoronato imperatore a Milano: Cangrande partecipò con ostentata abbondanza, con un corteo di più di mille cavalieri. Il suo obiettivo era quello di impressionare l'imperatore con la sua superiorità rispetto agli altri principi lombardi, ma il risultato più forte fu quello di suscitare gelosia e sospetto tra i Visconti. Tornato a Verona nel giugno 1327 si coinvolse nella revisione degli statuti cittadini.
Nell'agosto 1328 Cangrande sostenne un colpo di stato a Mantova, in cui il suo vecchio alleato Bonacolsi venne ucciso e la sua famiglia fu soppiantata dai Gonzaga. Cangrande in questa occasione fu brutalmente pragmatico, ma non si sà se sostenne la fazione vincente (la forza dei Bonacolsi era in declino tanto che persero Modena nel giugno 1327) o se l'allontanamento dal suo vecchio alleato aveva cause più profonde.
Trionfo finale su Padova
Nel settembre 1328 Cangrande prese finalmente possesso di Padova, dopo 16 anni di intermittente ma brutale conflitto. La città era pronta per essere presa, abbandonata dal suo vicario imperiale Enrico di Carinzia e Tirolo e in uno stato di anarchia interna, con Marsilio Da Carrara che lottava per il controllo contro i nobili, ma anche con membri della propria famiglia. Intanto le forze veronesi sotto il nipote di Cangrande Mastino II della Scala alleate con i padovani esuli (tra di loro il più noto era Nicolò da Carrara, lontano cugino di Marsilio), si accampatono non lontano da Este, divenendo così una minaccia per la città. Di fronte a queste difficoltà Marsilio infine decise di rinunciare alla città: preferiva fare un accordo con Cangrande per mantenere alcuni poteri, piuttosto che rischiare di perdere con la guerra o cercando accordarsi con i padovani esiliati. Cangrande scese a patti e Marsilio fu fatto capitano generale della città, mentre Cangrande cavalcò trionfalmente dentro Padova il 10 settembre 1328, e venne ricevuto con entusiasmo dalla popolazione, che sperava nell'arrivo di un periodo di stabilità. Per cementare il nuovo ordine costituito la figlia di Jacobo da Carrara Taddea fu fatta promessa sposa Mastino II della Scala: il matrimonio si svolse in un grande Curia di Verona nel novembre 1328.
Questo fu il più significativo trionfo di Cangrande, era visto come un enorme contributo per la causa ghibellina, che era stata indebolita dalla morte di Castruccio Castracani anni prima. Anche le città sotto il controllo guelfi, come Firenze, scrisse per congratularsi con Cangrande e, nel marzo 1329, fu fatto cittadino di Venezia, un onore concesso raramente.
Conquista di Treviso e morte
Nella primavera del 1329 Cangrande riuscì ad ottenere il titolo di vicario imperiale di Mantova dall'imperatore, intendendo così muovere contro il potere dei Gonzaga nella città. Quei piani furono per il momento fermati da un cambiamento di governo a Treviso, che creò numerosi esuli disposti ad aiutarlo a conquistare la città, in cambio del loro ripristino in città. Crearono quindi dei tumulti nella città, così il 2 luglio 1329 Cangrande lasciò Verona per l'ultima volta e, nel giro di pochi giorni, con un grande esercito mise l'assedio a Treviso. L'assenza di rifornimenti e l'assenza di aiuto esterno portò il capo della città Guecello Tempesta ad arrendersi, contando sulla nota generosità di Cangrande verso chi si sottometteva.
Il 18 luglio Cangrande fece il suo ingresso a Treviso, il coronamento della sua lunga lotta per soggiogare la marca trevigiana. Tuttavia il suo trionfo venne offuscato dalla malattia (congestione) che, secondo i racconti dei contemporanei, lo colpì dopo che ebbe bevuto acqua gelata da una sorgente pochi giorni prima. Appena arrivato al suo alloggio si mise a letto, e il mattino del 22 luglio 1329, dopo aver raccomandato all'amico di famiglia Nogarola i suoi nipoti Mastino II e Alberto II come suoi successori, morì: Cangrande morì ancora giovane, a trentotto anni, quando era ancora nel pieno delle sue forze. Il corpo di Cangrande fu preso e la sera da Treviso e, partì per Verona su un carro con quattro cavalli, scortato da nobili e cavalieri. Giunse a Verona venne rivestito con abiti oriantali e con le campane suonanti il lutto. Durante il corteo funebre i cavalieri, con armi rivolte verso terra e scudi rovesciati, portarono la salma di Cangrande, imbalsamata, insieme ai vessilli dell'aquila imperiale e della scala, l'elmo con il cane alato e lo scudo con i cani rampanti affiancati alla scala. Alle esequie partecipò tutta la città e il clero veronese, e il corpo venne temporaneamente ospitato nella chiesa di Santa Maria Antica.[8] Poi, sembra, venne spostato due volte, una volta in una tomba di marmo in una chiesa in costruzione (precedentemente creduta essere del padre di Alberto della Scala) e, infine, nella impressionante tomba di marmo sopra l'ingresso della chiesa di Santa Maria Antica, sormontato da una statua equestre di Cangrande, sorridente e in abbigliamento da torneo (l'originale ora al Museo di Castel Vecchio). Siccome egli aveva ben dieci figlie femmine, ma nessun figlio maschio, non poté lasciare una continuità diretta al casato, quindi i titoli passarono ai suoi nipoti Alberto II e Mastino II della Scala.
Aspetti di Cangrande
Nome
Si sono fatte varie potesi sul suo nome: forse fu battezzato Can Francesco in omaggio al zio Mastino, il fondatore della dinastia, mentre la sua precocità fisica e mentale gli valsero l'appellativo di Cangrande.[9] Il tema canino venne tra l'altro abbracciato con grande entusiasmo e, da Cangrande in poi, venne utilizzato dai Signori di Verona nei nomi, negli elmetti, nei monumenti e nei sepolcri. Ma sembra anche che Cangrande amasse ricondurre l'origine della famiglia ad uno dei capi militari "magici e invincibili", dalla testa di cane, "alleati dei longobardi", da individuare i qualche capo militare avaro (turco) che, avente appunto il titolo di khan, partecipò alla conquista longobarda (partita dall'attuale Ungheria) dell'Italia [10]. Secondo un altro racconto la madre Verde, prima di darlo alla luce, sognò che le nasceva una cane che con i latrati riempiva la terra, e per questo Francesco venne detto Can, poiché il cane, nel medioevo, aveva un significato pregevole.[11]
Aspetto fisico e personalità
Nel 2004 venne riesumato il corpo di Cangrande per sottoporlo ad una indagine: si potè misurare la sua altezza in 1,74 metri (imponente per il periodo in cui è vissuto), si vide che aveva un viso lungo con una mandibola prominente, e dei capelli ricci di color biondo-castano. Notevole doveva essere la forza fisica, attestata dalle continue campagne militari a cui partecipò e dalla descrizione di storici e poeti contemporanei. Era conosciuto per la sua giovialità (anche se con un temperamento furioso nelle occasioni in cui qualcosa non andava come voleva lui), disponibile con le persone di tutti i ceti sociali. Egli era un oratore eloquente, tanto che l'argomentazione, le discussioni e il dibattito furono alcuni dei suoi passatempi preferiti, oltre alla caccia. Il suo coraggio in battaglia è ben documentato, e la sua misericordia verso i nemici sconfitti impressionò anche i suoi avversari, tra i quali il padovano, storico e drammaturgo, Albertino Mussato, che ha lodato l'onorevole trattamento di Cangrande nei confronti di Vinciguerra di San Bonifacio dopo il conflitto di Vicenza del 1317. Egli era anche devotamente religioso, e digiunò anche due volte alla settimana in onore della Vergine Maria, a cui era devoto.
Autopsia moderna
Nel febbraio 2004 il corpo di Cangrande è stato rimosso dal suo sarcofago per essere sottoposto a studi e test scientifici, con lo scopo principale di trovare le cause della sua morte. Il corpo è stato trovato mummificato e, naturalmente, in uno stato di conservazione eccezionalmente buono, tanto che è stato possibile esaminare alcuni dei suoi organi interni. Dallo studio è emerso che la vera causa della morte è stato un avvelenamento per una letale quantità di digitalis (o digitale), estratta da una famiglia di piante e che, che in dosi eccessive, è un veleno. Le prove fanno pensare ad un avvelenamento non accidentale, probabilmente somministrata con il pretesto di curare il malanno che aveva preso bevendo la fredda acqua della sorgente prima del suo arrico a Treviso. Un medico di Cangrande venne fatto impiccare dal successore di Cangrande Mastino II, dando così più certezze alla possibilità che sia stato volutamente avvelenato, anche se, in ultima analisi, chi era dietro l'uccisione è probabile che rimanga un mistero. Uno dei principali indagati, almeno per le motivazione, poteva essere il nipote di Cangrande, l'ambizioso Mastino II.[12]
L'arca di Cangrande
L'arca di Cangrande fu la prima delle tre monumentali rombe degli scaligeri, eretta sul portone d'entrata della chiesa di Santa Maria Antica, a cui egli era particolarmente devoto.
Il sarcofago è sostenuto da cani recante il suo vessillo: la statua posta sopra lo raffigura sdraiato e forse morto, ma, nonostante questo, ancora con un sorriso. Cangrande porta vesti curiali e uno spadone a due mani a fianco. Sui lati del sarcofago sono presenti una Pietà, l'Annunciata e l'Angelo Annunciante, ma soprattutto sono raffigurate le maggiori sue vittorie in bassorilievo. Sono incisi anche i nomi delle principali città della marca: Vicenza, Padova, Feltre, Belluno, Marostica, Treviso e Verona.
Sulla sommità della tomba è presente la statua equestre di Cangrande (la cui la copia originale si trova dentro il Castel Vecchio), ritenuta la più bella statua equestre del XIV secolo[13]: Cangrande e raffigurato sorridente e eretto sul cavallo appena arrestato dal galoppo vittorioso. Il vento fa ondeggiare la gualdrappa damascata che ricopre il cavallo sino agli zoccoli. Il capo di Cangrande è coperto con una maglia d'acciaio, mentre l'elmo a testa di cane alato è gettato dietro la schiena. Il braccio sembra porre la spada nel fodero, in segno di pace, mentre il sorriso da un sentimento di benevolenza. Il monumento viene così descritto da John Ruskin in in The Stones of Venice:
Eredità
Con l'eccezione di Vicenza, le conquiste militari di Cangrande non sopravvissero nel regno del suo successore Mastino II, a parte una iniziale breve espansione. La sua vittoria tuttavia ebbe effetti di vasta portata nella vicine città, vincolando, per esempio, il futuro politico di Vicenza con quella di Verona e giocando un ruolo decisivo nella ascesa al potere di Padova della famiglia dei Carraresi. A Verona lui rivide e ampliò lo statuto cittadino, con l'introduzione di alcune nuove leggi e regolamenti, ma chiarendo alcune parti poco chiare, omissioni e incoerenze: lo statuto durò senza grandi modifiche e alterzioni fino alla fine della Signoria Scaligera. Le innovazioni che fece fare non sorprendono per la tendenza ad aumentare la sua posizione come di Signore assoluto. Anche de fu un despota, generalmente Cangrande era un uomo pragmatico e tollerante, in netto contrasto con Ezzelino III da Romano, l'ultimo signore della guerra prima degli scaligeri a reggere Verona e la Lombardia orientale. Lui normalmente lasciava le città sottomesse mantenere le proprie leggi e si sforzò di garantire che i loro funzionari agissero con imparzialità e che la tassazione fosse mantenuta a livelli accettabili: infatti le popolazioni delle province conquistate ebbero parole di lode e di ringraziamento per lui, come emerge anche dai cronisti di quelle province: Egli non si appagava del proprio guadagno, ma cercava il guadagno del popolo conquistato. Di fatto, sotto di lui, prosperò non solo Verona, ma anche gli altri territori, e non ci furono particolari rivolte o sommosse, se non in rari episodi.
Cangrande fu impegnato anche in alcuni progetti di costruzioni e soprattutto in progetti di miglioramento delle mura di Verona, con la costruzione delle mura settentrionali, ancora oggi esistenti, e delle mura meridionali, il cui posto fu preso successivamente da quelle venete e austriache, che seguono ancora oggi lo stesso tracciato. Le mura furono munite di numerose torri, porte e profondi fossati, che nel tratto collinare venne scavato nel tufo. Fece erigere anche una nuova torre sull'Adige, presso l'attuale ponte Catena, che serviva da sbarramento per il traffico su acqua per chi proveniva da nord, andando così a completare quella già costruita da Alberto della Scala a sud. Fece inoltre costruire numerosi castelli, di cui un magnifico esempio è Soave.[15]
Come comandante militare Cangrande fu più un brillante opportunista tattico piuttosto che un grande stratega. Con il suo coraggio, a volte sfociato nella sconsideratezza, portava i suoi uomini al fronte attaccando le truppe nemiche o assaltando le mura delle fortezze, anche se dopo la sua sconfitta da parte della padovani nel 1320, durante la quale fu ferito due volte, questa audacia venne soppiantata da un approccio più cauto. Nella suo modo di affrontare i complessi scenari politici del suo tempo dimostrò una energia e determinazione simile a quella che sfoggiava sul campo di battaglia. Egli aveva un'ottima reputazione anche come oratore persuasivo, e tramite questa sua abilità ebbe l'opportunità di aggiungere, ai suoi, nuovi territori con mezzi politici, ma anche di trovare potenti alleati per la sua causa.
Cangrande fu un noto patrono delle arti e dell'apprendimento in generale. Poeti, pittori, storici e grammatici tutti hanno trovato un buona accoglienza a Verona durante il suo regno, e il suo interesse personale per l'eloquenza e il dibattito si riflette dalla sua aggiunta di una cattedra di retorica alle sei catteder già previste dagli statuti veronesi. Il suo patrocinio del poeta Dante Alighieri è senza dubbio la sua principale fonte di fama: Dante fu ospite a Verona tra il 1312 e il 1318, ma ebbe frequenti contatti con lo scaligero anche successivamente per via dell'amicizia che si era instaurata tra i due.
A conferma di ciò Dante scrive numerose lodi su di lui, in particolare nel canto XVII del Paradiso della Divina Commedia, dal verso 69 al 92. Questi in qualche misura riflettono la fama di Cangrande ai suoi tempi, quando, come osservò Dante, le sue magnificenze conosciute saranno ancora, sì che ' suoi nemici non ne potran tener le lingue mute.
Petrarca, di passaggio a Verona poco più di un ventennio dopo, raccolse aneddoti sulla lingua tagliente di un altro grande letterato, Dante Alighieri. In uno di essi, sicuramente fasullo ma che conserva l'eco di una probabile verità, Cangrande rivolse all'esule un salace motteggio, mentre era suo ospite, davanti a molti altri commensali. Ma reali tensioni tra il grande poeta ed il signore Scaligero sono infondate, al punto che Dante gli dedicò la terza e più importante cantica della Divina Commedia, ossia Il Paradiso, in un testo che va sotto il nome di Epistola XIII.
Cangrande nella letteratura
Oltre che nella Divina Commedia Cangrande appare nel settimo racconto della prima giornata del Decameron di Giovanni Boccaccio. Egli è rappresentato come un saggio governante, così garbato da accettare (e premiare) un velato rimprovero di Bergamino, un buffone in visita alla sua corte. La sua preminenza, la saggezza e la generosità in questo racconto morale (dove viene comparato all'imperatore Federico II) può far risaltare l'influenza di Dante sul Boccaccio per quel che riguarda la percezione di Cangrande.
Cangrande è anche il protagonista del romanzo di David Blixt The Master of Verona. La storia intreccia i personaggi italiani di Shakespeare (in particolare i Capuleti e i Montecchi da Romeo e Giulietta) con figure storiche dei tempi di Cangrande. Pubblicato nel luglio 2007, The Master of Verona è il primo di una serie di esplorazioni della vita del personaggio shakespeariano Mercuzio, qui raffigurato come un erede illegittimo di Cangrande.
Note
- ^ M. Carrara, Gli Scaligeri, Varese, Dell'Oglio, 1966. p.46
- ^ M. Carrara, Gli Scaligeri, Varese, Dell'Oglio, 1966. p.70
- ^ a b c M. Carrara, Gli Scaligeri, Varese, Dell'Oglio, 1966. pp.63-64-65
- ^ M. Carrara, Gli Scaligeri, Varese, Dell'Oglio, 1966. p.74
- ^ a b M. Carrara, Gli Scaligeri, Varese, Dell'Oglio, 1966. p.77-78
- ^ M. Carrara, Gli Scaligeri, Varese, Dell'Oglio, 1966. p.60
- ^ M. Carrara, Gli Scaligeri, Varese, Dell'Oglio, 1966. p.91
- ^ M. Carrara, Gli Scaligeri, Varese, Dell'Oglio, 1966. pp.98-99
- ^ G. Dalla Corte, L'istoria di Verona, Verona, 1592. vol.X, p.646
- ^ Articolo di Giorgio Ieranò su Il Giornale del 21-10-2007: La leggenda dei "lumbard" medievali ([1]). Dante ed il veltro celeste. URL consultato il 28-02-2008. e G. M. Varanini, Gli Scaligeri 1277-1387, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1988. p.267
- ^ M. Carrara, Gli Scaligeri, Varese, Dell'Oglio, 1966. p.111
- ^ Articolo su La Gazzetta Web. URL consultato il 28-02-2008.
- ^ M. Carrara, Gli Scaligeri, Varese, Dell'Oglio, 1966. p.99
- ^ Tratto da verona.com URL consultato il 29-02-2008
- ^ M. Carrara, Gli Scaligeri, Varese, Dell'Oglio, 1966. p.86
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