Caso Moro

sequestro e uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse (16 marzo - 9 maggio 1978)

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Con l' espressione Caso Moro si intende la storia dell' agguato, sequestro, prigionia ed uccisione di Aldo Moro e tutta una serie di ipotesi e ricostruzioni, spesso discordanti fra di loro, di eventi che avvennero in quel periodo legati alla vicenda

Il 16 marzo 1978, giorno in cui il nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, doveva presentarsi in Parlamento per ottenere la fiducia, l'auto che trasportava Moro dall'abitazione alla Camera dei Deputati fu intercettata in via Fani da un commando delle Brigate Rosse. In pochi secondi, sparando con armi automatiche, i terroristi uccisero i due carabinieri a bordo dell'auto di Moro (Domenico Ricci e Oreste Leonardi) e i tre poliziotti sull'auto di scorta (Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana.

Dopo una prigionia di 55 giorni, durante la quale venne sottoposto ad un processo politico e venne chiesto invano uno scambio di prigionieri, il cadavere di Aldo Moro fu ritrovato il 9 maggio nel cofano di una Renault 4 a Roma, in via Caetani, emblematicamente a poca distanza da Piazza del Gesù (dov'era la sede nazionale della Democrazia Cristiana) e via delle Botteghe Oscure (dove era la sede nazionale del Partito Comunista Italiano).


La dinamica dell'agguato

La tecnica utilizzata è quella detta "a cancelletto", che le Brigate Rosse hanno copiato dall'organizzazione terroristica tedesca RAF. Si tratta di intrappolare un convoglio di auto bloccando quella di testa e poi chiudendo quella di coda in pochi secondi. Per essere realizzata, si parcheggiano anche delle auto nel punto dove si svolge l'azione, per chiudere le vie di fuga. Il convoglio con Aldo Moro, era composto da sole due auto: quella su cui viaggiava lo statista e quella della scorta.
Il piano viene attuato da 11 persone (come emerse dalle indagini giudiziarie). Alle 8,45 il commando BR si disloca alla fine di via Fani, quando questa s'interseca con via Stresa. Via Fani è una strada in discesa. Nella parte alta Mario Moretti si dispone alla guida di una Fiat 128 sulla destra della strada, con targa falsa del Corpo Diplomatico (CD). Davanti alla macchina di Moretti si posiziona un'altra Fiat 128. A bordo ci sono Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri. Entrambe le auto sono rivolte in direzione dell'incrocio. Sul lato opposto è parcheggiata una terza Fiat 128, con alla guida Barbara Balzerani, rivolta verso l'alto, cioè nella direzione di provenienza dell'auto di Moro. In via Stresa, a qualche metro dall'incrocio con via Fani, è posizionata la quarta ed ultima auto, una Fiat 132 guidata da Bruno Seghetti. Il gruppo di fuoco, quattro persone, è nascosto dietro le siepi che fiancheggiano la strada.
L'agguato scatta quando il convoglio di Moro entra in via Fani, dall'alto dirigendosi verso il basso. E' Rita Algranati a segnalare l'arrivo delle macchine, con un mazzo di fiori. La macchina di Moretti si mette davanti all'auto di Moro e, giunta all'incrocio, si blocca in mezzo alla strada. La Fiat 130 di Moro cerca ripetutamente di farsi largo ma una Mini Minor parcheggiata all'incrocio impedisce qualsiasi manovra. La macchina di Moro e quella della sua scorta sono in trappola. La 128 di Lojacono e Casimirri si mette di traverso dietro l'auto della scorta di Moro.
A questo punto entra in azione il gruppo di fuoco: da dietro le siepi sbucano quattro uomini che sparano con mitragliette automatiche ad alzo zero. Dalle indagini giudiziarie saranno identificati in: Valerio Morucci, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari e Franco Bonisoli. I primi a cadere sono, dopo che vengono infranti i vetri anteriori, Domenico Ricci e Oreste Leonardi, l'autista e il capo scorta dello statista, seduti sui sedili anteriori. Moro viene immediatamente prelevato. Una donna lo sente dire:

«Mi lascino andare! Cosa vogliono da me?»

Nello stesso tempo i terroristi massacrano i tre poliziotti dell'auto di scorta: Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Ognuno di loro viene finito con un colpo alla nuca[senza fonte]. Solo Jozzino ha il tempo di sparare due colpi, ma viene subito freddato dagli assalitori.

Gli omicidi e il rapimento furono rivendicati con il primo dei nove comunicati che le Brigate Rosse inviarono durante i 55 giorni del sequestro.

Il 9 maggio, dopo 55 giorni di detenzione, al termine di un processo del popolo, viene assassinato per mano di Mario Moretti. Il cadavere venne ritrovato il 9 maggio in una Renault 4 rossa in via Caetani, in pieno centro di Roma. Una telefonata anonima pervenuta poco dopo le 13.30 al centralino della Questura aveva avvisato: << In via Caetani c’è un auto rossa con il corpo di Moro>>. Qualche minuto prima delle due, i segretari di tutti i partiti politici sapevano che il cadavere ritrovato nella Renault rossa targata Roma N56786 era proprio quello di Aldo Moro. La morte risaliva certamente a molte ore prima, probabilmente all’alba di ieri, martedì, forse addirittura al pomeriggio del giorno precedente. Alcune testimonianze affermano che la macchina sia stata portata in via Michelangelo Caetani nelle prime ore del mattino, tra le 7 e le 8 e lasciata qui fino a quando gli assassini hanno ritenuto opportuno avvertire. In un angolo del bagagliaio, dalla parte dov’è sistemata la ruota di scorta sulla quale poggiava la testa di Moro, c’erano anche le catene da neve, e qualche ciuffo di capelli grigi. Ai piedi del cadavere c’era una busta di plastica con un bracciale e l’orologio. Il corpo di Moro, quando è stato estratto dagli artificieri, era ripiegato e irrigidito. Indossava lo stesso abito scuro del giorno del rapimento con la camicia bianca a righine, e la cravatta ben annodata; era macchiato di sangue,e nei risvolti dei pantaloni è stata trovata una notevole quantità di sabbia e di terriccio. Sotto il corpo e sul tappeto dell’auto c’erano bossoli di proiettile. Si pensa che Aldo Moro sia morto squarciato da 11 colpi al petto e che sia stato ucciso in piedi, con la faccia rivolta verso gli assassini; probabilmente portò d’istinto la mano sinistra al cuore:infatti un dito era lacerato da un proiettile. Sono state ritrovate tracce di sabbia non solo nel risvolto dei pantaloni ma anche sui calzini. Il cadavere presentava un’altra ferita, su una coscia, una piaga purulenta mai curata, è probabile che sia una ferita d’arma da fuoco ricevuta il giorno dell’agguato di via Fani. I killers hanno poi trascinato il cadavere su un terreno sabbioso e con qualche ciuffo di vegetazione, piccole spighe d’erba di campo, sono rimasti infatti impigliati nei calzini. Poi gli assassini lo hanno vestito con la cravatta, il gilet e l’abito blu, gli hanno infilato le scarpe, hanno recuperato i bossoli e gettati all’interno della vettura e dal luogo della feroce esecuzione si sono diretti verso il centro di Roma, fino alla strada, non scelta per caso, trovandosi a pochi metri dalla sede del PCI e della DC, quasi un macabro avvertimento e un’ultima sfida alle forze di polizia che controllano giorno e notte l’intera zona.

Dalle deposizioni rilasciate alla magistratura è emerso che non tutto il vertice brigatista fosse concorde con il verdetto di condanna a morte. La brigatista Adriana Faranda citò una riunione notturna tenutasi a Milano e di poco precedente l'uccisione di Moro, ove ella ed altri terroristi (Prospero Gallinari e - forse - Franco Bonisoli) dissentirono, tanto che la decisione finale sarebbe stata messa ai voti.

Brigate Rosse

«Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il "teorico" e lo "stratega" indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni opprime il popolo italiano [...] la controrivoluzione imperialista [...] ha avuto in Aldo Moro il padrino politico e l'esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste.»

Si è detto che Moro fu rapito perché in lui le Brigate Rosse volevano colpire l'artefice della solidarietà nazionale e dell'avvicinamento tra DC e PCI. L'ottica delle BR, in realtà, era un po' diversa, il rapimento non fu realizzato per colpire il regista di quella fase politica. Il loro scopo era più generale e rientrava nella loro particolare analisi di quella fase storica: colpire la DC (regime democristiano), cardine in Italia dello Stato imperialista delle multinazionali (SIM), mentre il PCI rappresentava non tanto il nemico da attaccare quanto un concorrente da battere. Nell'ottica brigatista, infatti, il successo della loro azione avrebbe interrotto la "lunga marcia comunista verso le istituzioni", per affermare la prospettiva dello scontro rivoluzionario e porre le basi del controllo BR della sinistra italiana per una lotta contro il capitalismo. In questo il loro obiettivo di lotta al capitalismo era simile a quello della RAF tedesca, come venne indicato in seguito nella ricostruzione del rapimento, fatta nel fumetto pubblicato dalla rivista "Metropolis" [1], ove viene fatto un parallelo con il sequestro Hanns-Martin Schleyer, conclusosi anch'esso con l'uccisione del prigioniero.

Stando a quanto ha dichiarato successivamente Mario Moretti, per le BR era rilevante che Moro fosse presidente della DC e che fosse da trent'anni al governo. Sembra, inoltre, che nei mesi precedenti il rapimento di Moro le BR avessero anche studiato la possibilità di rapire il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, ma che poi avessero abbandonato questa ipotesi perché questi godeva di una protezione di polizia troppo forte per le capacità dei brigatisti. Secondo questa ipotesi dunque, era uguale per le Brigate Rosse rapire Moro o Andreotti: l'importante era colpire un simbolo del potere.

Le conseguenze politiche del rapimento di Moro furono da un lato l'esclusione del PCI da ogni ipotesi di governo per gli anni successivi, e dall'altro un ridisegno del cosiddetto "regime democristiano": la DC di Andreotti rimase partito di governo fino al 1992 anno di tangentopoli, partecipando sempre a maggioranze che lasciarono il PCI all'opposizione, ma queste politiche tuttavia portarono dal 1981, col primo Governo Spadolini ad avere alternanze di presidenti del consiglio democristiani con altri "laici", rompendo quindi il monopolio democristiano. All'interno del Partito socialista italiano (PSI), che aveva sostenuto la possibilita' di uno scambio di prigionieri per liberare Moro, vinse la linea di Bettino Craxi per l'esclusione del PCI dal governo, e inizio' una lotta politica con lo stesso per tentare di superarlo nelle elezioni.

Lettere dalla prigionia

«Caro Zaccagnini,

scrivo a te, intendendo rivolgermi a Piccoli, Bartolomei, Galloni, Gaspari, Fanfani, Andreotti e Cossiga ai quali tutti vorrai leggere la lettera e con i quali tutti vorrai assumere le responsabilità, che sono ad un tempo individuali e collettive. Parlo innanzitutto della D.C. alla quale si rivolgono accuse che riguardano tutti, ma che io sono chiamato a pagare con conseguenze che non è difficile immaginare. Certo nelle decisioni sono in gioco altri partiti; ma un così tremendo problema di coscienza riguarda innanzitutto la D.C., la quale deve muoversi, qualunque cosa dicano, o dicano nell'immediato, gli altri. Parlo innanzitutto del Partito Comunista, il quale, pur nella opportunità di affermare esigenze di fermezza, non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che m'ero tanto adoperato a costituire.»

Durante il periodo della sua detenzione, Moro scrisse 86 lettere [1]ai principali esponenti della Democrazia Cristiana, alla famiglia ed all'allora Papa Paolo VI (che avrebbe poi presenziato alla solenne messa funebre di Stato nella basilica di San Giovanni in Laterano, peraltro celebrata senza il feretro dello statista, negato dalla famiglia in polemica con la conduzione della vicenda). Alcune arrivarono a destinazione, altre non furono mai recapitate e vennero ritrovate in seguito nel covo di via Montenevoso. Attraverso le lettere Moro cerca di aprire una trattativa con i colleghi di partito e con le massime cariche dello Stato.

È stato ipotizzato che in queste lettere Moro abbia inviato messaggi criptici alla sua famiglia ed ai suoi colleghi di partito. Non immaginando che i brigatisti la renderanno pubblica, in una lettera inspiegabilmente domanda: Vi è forse, nel tener duro contro di me, un'indicazione americana e tedesca? (lettera di Aldo Moro su Paolo Taviani senza destinatario, recapitata tra il 9 ed il 10 aprile ed allegata al comunicato delle Brigate Rosse numero 5); altra ipotesi, avanzata dallo scrittore siciliano Leonardo Sciascia, è che nelle lettere medesime Moro avesse l'intenzione di inviare agli investigatori messaggi sulla localizzazione del covo, per segnalare che esso (almeno nei primi giorni del sequestro) si trovasse nella città di Roma: "Io sono qui in discreta salute." (lettera di Aldo Moro del 27/3/78, non recapitata a sua moglie Eleonora Moro).

Nella lettera recapitata l'8 aprile scaglia un vero e proprio anatema: "Naturalmente non posso non sottolineare la cattiveria di tutti i democristiani che mi hanno voluto nolente ad una carica, che, se necessaria al Partito, doveva essermi salvata accettando anche lo scambio dei prigionieri. Sono convinto che sarebbe stata la cosa più saggia. Resta, pur in questo momento supremo, la mia profonda amarezza personale. Non si è trovato nessuno che si dissociasse? Bisognerebbe dire a Giovanni che significa attività politica. Nessuno si è pentito di avermi spinto a questo passo che io chiaramente non volevo? E Zaccagnini? Come può rimanere tranquillo al suo posto? E Cossiga che non ha saputo immaginare nessuna difesa? Il mio sangue ricadrà su di loro.".

Dubbi sono stati avanzati circa la completa pubblicazione di queste lettere; il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa (successivamente ucciso dalla mafia) trovò copie di alcune lettere ancora non note in una casa che i terroristi utilizzavano a Milano (il c.d. covo di via Montenevoso) e, per qualche altrettanto ignoto motivo, questo recupero non fu conosciuto fino a molti anni dopo.

L'opinione del mondo politico di allora riteneva, tuttavia, che Moro non avesse piena libertà di scrittura. Nonostante la moglie di Moro affermi, durante la deposizione al processo delle Br, di riconoscere lo stile di suo marito, le lettere sarebbero da considerarsi se non dettate quantomeno controllate o ispirate dai brigatisti.

I comunicati e la trattativa

Muro con manifesto appeso all'indomani del rapimento

Durante i 55 giorni del sequestro Moro le Brigate rosse recapitano nove comunicati con i quali, assieme alla Risoluzione della Direzione Strategica (cioè il massimo organo della formazione armata) spiegano i motivi del sequestro. Sono documenti lunghi, a volte quasi illeggibili. Nel comunicato numero 3 si legge: L'interrogatorio, sui contenuti del quale abbiamo già detto, prosegue con la completa collaborazione del prigioniero. Le risposte che fornisce chiariscono sempre più le linee controrivoluzionarie che le centrali imperialiste stanno attuando; delineano con chiarezza i contorni e il corpo del "nuovo" regime che, nella ristrutturazione dello Stato Imperialista delle Multinazionali si sta instaurando nel nostro paese e che ha come perno la Democrazia Cristiana. E ancora: Moro è anche consapevole di non essere il solo, di essere, appunto, il più alto esponente del regime; chiama quindi gli altri gerarchi a dividere con lui le responsabilità, e rivolge agli stessi un appello che suona come un'esplicita chiamata di "correità".

Le Brigate Rosse proposero di scambiare la vita di Moro con la libertà di alcuni terroristi imprigionati ("Fronte delle carceri"). Accettarono persino di scambiare Moro con un solo brigatista incarcerato, anche se non di spicco, pur di poter trattare alla pari con lo Stato.

Intanto un riconoscimento lo ebbero da papa Paolo VI, che (amico personale di Moro) rivolse un drammatico appello pubblico col quale supplicava "in ginocchio" gli "uomini delle Brigate Rosse" di rendere Moro alla sua famiglia ed ai suoi affetti, specificando tuttavia che ciò dovesse avvenire "senza condizioni".

La politica si divise in due fazioni: il c.d. "fronte della fermezza", che rifiutava qualunque ipotesi di trattativa, ed il c.d. "fronte possibilista" (che comprendeva anche Bettino Craxi), per il quale un eventuale avvicinamento analitico all'ipotesi di trattativa non avrebbe svilito la dignità dello Stato.

Prevalse il primo, anche in considerazione del gravissimo rischio di ordine pubblico e di coesione sociale che si sarebbe corso presso la popolazione, e in particolare, presso le forze dell'ordine, che in quegli anni avevano pagato un tributo di sangue già insostenibile a causa dei terroristi.

L'epilogo anticipò comunque una presa di posizione definitiva dei governanti.

Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse

Durante la detenzione, si è detto poi, pare probabile che molti sapessero dove Moro fosse imprigionato (si parlò dell'appartamento di Roma in via Gradoli usato da Mario Moretti e Barbara Balzerani).

Perfino Romano Prodi, Mario Baldassarri e Alberto Clò ebbero un ruolo mai del tutto chiarito nel reperimento delle indicazioni su un possibile luogo di detenzione e resta tuttora alquanto oscura la vicenda della loro presunta seduta spiritica con il famoso "piattino" effettuata il 2 aprile 1978, da cui sarebbero scaturite prima alcune parole senza senso, poi le parole Viterbo, Bolsena e Gradoli, quest'ultima ("Gradoli") coincideva con il nome della strada in cui si trovava uno dei covi romani delle Brigate Rosse , ma che fu equivocato con l'omonima cittadina sul Lago di Bolsena.

Ecco le parole di Prodi, dai verbali della testimonianza davanti alla Commissione Moro il 10 giugno 1981:

«Era un giorno di pioggia, facevamo il gioco del piattino, termine che conosco poco perché era la prima volta che vedevo cose del genere. Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Nessuno ci ha badato: poi in un atlante abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno sapeva qualcosa e visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa. Se non ci fosse stato quel nome sulla carta geografica, oppure se fosse stata Mantova o New York, nessuno avrebbe riferito. Il fatto è che il nome era sconosciuto e allora ho riferito.».

La questione sulla seduta spiritica venne riaperta nel 1998 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo e le stragi, l'allora presidente del consiglio Prodi, dati gli impegni politici di poco precedenti alla caduta del suo governo nell'ottobre 1998, si disse indisponibile per ripetere l'audizione, si dissero disponibili Mario Baldassarri [2] (ora esponente di AN, ex viceministro per l'Economia e le Finanze dei governi Berlusconi II e Berlusconi III, al tempo del rapimento di Moro docente presso l'Università di Bologna) ed Alberto Clò[3] (economista ed esperto di politiche energetiche, ministro dell'Industria nel governo Dini e proprietario della casa di campagna dove avvenne la seduta spiritica, al tempo del rapimento di Moro assistente e poi docente di economia all'Università di Modena), anche loro presenti alla seduta spiritica: entrambi, pur ammettendo di non credere allo spiritismo e di non aver più effettuato sedute spiritiche dopo quella, confermarono la genuinità del risultato della seduta (alla critica sul fatto che qualcuno avrebbe potuto guidare il piattino Clò sostenne che la parola "Gradoli", così come "Bolsena" e "Viterbo", si erano formate più volte e con partecipanti diversi) e dichiararono che né loro, né, per quanto ne sapevano, nessuno dei presenti (partecipanti al gioco del piattino o meno, oltre a loro tre erano presenti il fratello di Clò, le relative fidanzate, e i figli piccoli dei commensali) aveva conoscenze nell'ambiente dell'Autonomia bolognese o negli ambienti vicini alle BR.

Durante i processi successivi risultò che la prigione del popolo di Aldo Moro fosse situata in un appartamento di via Montalcini 8, a Roma, e che sia stato ivi ucciso, in un garage sotterraneo.

Il fratello di Aldo Moro, magistrato, in un suo libro [4] propone però una teoria secondo la quale quasi certamente la prigione di Moro fu situata nei pressi di una località marina. Inoltre le conclusioni dell'autopsia sul corpo (che fu trovato in buone condizioni fisiche, soprattutto in merito al tono muscolare generale) lascerebbero supporre che Moro abbia avuto, durante la detenzione, una certa libertà di movimento e la possibilità di scrivere la numerosissima mole di documenti, prodotti durante la prigionia, in una situazione relativamente agevole (sedia e tavolo); questi risultati dell'esame autoptico lasciano comunque aperti molti dubbi sul luogo o sui luoghi in cui fu detenuto in prigionia Aldo Moro e sulle dimensioni anguste della presunta cella nella "prigione del popolo".

L'uccisione

Ritrovamento del corpo di Aldo Moro

Dal comunicato numero 9: Per quanto riguarda la nostra proposta di uno scambio di prigionieri politici perché venisse sospesa la condanna e Aldo Moro venisse rilasciato, dobbiamo soltanto registrare il chiaro rifiuto della DC. Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato.

Il corpo di Moro fu ritrovato il 9 maggio nel cofano di una Renault 4 rossa a Roma, in via Caetani, emblematicamente a metà strada e a poca distanza da Piazza del Gesù (dov'era la sede nazionale della Democrazia Cristiana) e via delle Botteghe Oscure (dove era la sede nazionale del Partito Comunista Italiano), come un'ultima simbolica sfida alle forze di polizia ed alle istituzioni, che mantenevano tutta la nazione, e Roma in particolare, sotto una sorveglianza rigorosa e severa.

Sandro Pertini rende omaggio alla tomba di Aldo Moro (1982)

Per segnare il decennale della morte di Moro, nell'aprile del 1988, quando già sembrava ormai sconfitto il partito armato, le Brigate Rosse colpirono ancora, uccidendo, nella sua casa di Forlì il senatore democristiano Roberto Ruffilli, consigliere di Ciriaco De Mita sul tema delle riforme istituzionali.

La stampa nei 55 giorni

16 MARZO Il giornale La Repubblica» pag, 3 titola “Antelope Cobbler? Semplicissimo è Aldo Moro presidente della Dc”. Riportano il testo dì articoli sullo scandalo Loekheed, la notizia data con tanto rilievo dalla Repubblica, La Stampa a pag 21, Giornale a pag, 6 e il Corriere della Sera pag. 6, La mattina un commando delle Brigate rosse sequestra il presidente della Dc, Aido Moro, e uccìde le sue cinque guardie del corpo, in via Fani, a Roma. Al momento del rapimento i blocchi stradali scattano con ritardo. La macchina dei rapitori verrà trovata poche ore dopo non lontano dal luogo del rapimento stesso. Appresa 1a notizia, operai, studenti, cittadini in tutta Italia scendono in sciopero e danno vita a grandi manifestazioni in risposta agli appelli dei partiti e del sindacato a mobilitarsi contro il terrorismo. Tutti i giornali escono in edizione straordinaria annunciando e condannando il sequestro del presidente della Dc e l’uccisione della sua scorta. L’edizione straordinaria della Repubblica non riporta l’artìcolo uscito nella mattinata con le accuse ad Aldo Moro di essere Antelope Cobbler.

17 MARZO Viene data notizia che la Camera e il Senato con procedura d’urgenza hanno espresso la fiducia al monocolore Dc, presieduto da Giulio Andreotti con 569 voti su 630 {votano a favore anche i “demonazìonali”). Per la prima volta, dopo il breve periodo del dopoguerra il Pci è nella maggioranza parlamentare che esprime il proprio appoggio al governo. Le Brigate rosse rivendicano con telefonate il sequestro. Non viene fatta alcuna richiesta. Tutti gli editoriali esaminano la vicenda mettendo l’accento sulla necessità dì reagire con forza e in tutti si puntualizza che il problema principale è quello di non cedere al ricatto qualora le Brigate rosse subordinassero il rilascio di Moro al rilascio di Renato Curcio e altri detenuti. Più precise in proposito sono le posizioni assunte dal Giornale dì Indro Montanelli (che nell’editoriale sostiene la necessità di essere solidali con la proposta dello Stato di emergenza avanzata da Ugo La Malfa) che titola a piena pagina “Rapimento Moro: le Br chiedono la liberazione di terroristi detenuti» e l’editoriale di Arrigo Levi, direttore della Stampa che ha per titolo:” Con i terroristi non si tratta». Inoltre Il Giorno dà notìzia di un ultimatum delle Brigate Rosse tendente ad ottenere la liberazione di Curcio e altri detenuti. Sul piano politico Andreotti diffonde un messaggio al paese invitando i cittadini alla calma e alla fermezza. Ci sono dichiarazioni in parlamento di tutti i segretari dei maggiori partiti, Zaccagnini: «Quanto oggi è avvenuto rappresenta la punta più alta dell’attacco contro lo Stato e le sue istituzioni» La Malfa: “ Abbiamo tutti la consapevolezza di vivere l’ora più drammatica della nostra Repubblica. Queste bande terroristiche sono arrivare al vertice della vita democratica. E’ stata dichiarata guerra allo Stato, ma lo Stato democratico deve rispondere con la guerra. Ad una situazione di emergenza non si può rispondere che con leggi d’emergenza. Poco prima aveva dichiarato: «Se è necessario, bisogna pensare anche alla pena di morte”. Craxi: «Sia sconfitto il terrorismo, altrimenti sarà sconfitto il governo» e termina con un appello, «tentate l’impossibile per liberare Moro”. Berlinguer: “Il momento è tale che tutte le energie devono essere unite e raccolte perché l’attacco eversivo sia respinto con il rigore e la fermezza necessari, con saldezza di nervi non perdendo la calma, ma anche adottando tutte le iniziative e le misure opportune. Romita: Si è voluto colpire il simbolo di questa politica e anzi lo Stato democratico in sé stesso. Il Governo deve resistere e anzi contrattaccare all’assalto del terrorismo. Saragat: è il fatto più terribile che ha colpito l’Italia dalla Liberazione ad oggi. Almirante propone le dimissioni immediate del Ministro dell’Interno, la sua sostituzione con un militare e la presentazione entro 48 ore di una legge speciale contro il terrorismo. Chiede anche l’assunzione di poteri eccezionali da parte del Capo dello Stato “ a meno che non preferisca anticipare la scadenza costituzionale del 24 dicembre”. Zanone: “ Nonostante l’eccezionalità della situazione i liberali hanno votato contro il governo. Non si può e non si deve cedere contro il terrorismo, ma modificare posizioni maturate nei partiti significherebbe cedere anche agli atti eversivi”. Sul fronte delle indagini viene data notizia di un vertice al Vicinale per unificare l’azione di tutte le forze dell’ordine e il Procuratore generale della Repubblica di Roma, Giovanni De Matteo ha chiesto strumenti legislativi per le indagini, facendo notare che il governo può dichiarare lo stato di pericolo che, ampliando il potere dei prefetti permette che questi possano ordinare l’arresto “ di qualsiasi persona qualora ciò ritengano necessario per ristabilire o conservare l’ordine”. Inoltre il Procuratore generale ha ordinato che la televisione trasmetta le foto di venti brigatisti ricercati.

18 MARZO Continuano le ricerche da parte delle forze dell’ordine, mentre si fa strada l’ipotesi di emanazione di un decreto legge tendente a rafforzare i poteri della polizia. I partiti si dichiarano concordi nel rifiutare l’emanazione di leggi speciali. Dopo il vertice dei partiti, Biasini si dichiara insoddisfatto per la mancanza di determinazione nell’affrontare il problema dell’emanazione di leggi speciali. Si riunisce la Direzione democristiana e viene deciso che in questa situazione di emergenza Zaccagnini, oltre che dai vice-segretari, venga affiancato dai capi-gruppo parlamentari, Bartolomeo e Piccoli. Fanfani in direzione mette sotto accusa la gestione dell’ordine pubblico. Viene anche data notizia che si è riunito ieri il comitato interministeriale per la sicurezza presieduto da Andreotti e che Bonifacio si è incontrato con i rappresentanti dei partiti della maggioranza. Viene fermato Gianfranco Moreno, sospettato di complicità nella strage di via Fani. Le foto dei ricercati vengono pubblicate a tutta pagina dall’Avvenire, Il Tempo, il Popolo e dal Quotidiano dei lavoratori quest’ultimo criticando la scelta delle foto da parte della polizia, accusata di leggerezza. Infatti, tra i ricercati, Piero Del Giudice smentisce tramite il suo avvocato, di essere un brigatista. Partecipano alle indagini i servizi segreti tedeschi. I sindacati discutono la possibilità di costituirsi parte civile al processo in corso a Torino contro la Brigate rosse. Lama, in un intervista rilasciata al GR1 puntualizza che”l’indifferenza è il peggior nemico della democrazia. Lo so che i criminali sono pochi, pochissimi, ma molti di più sono quelli che sanno e che hanno visto qualche cosa. Ebbene questi amici, questi compagni, questi cittadini, se sono cittadini democratici,non possono farsi prendere dalla paura o peggio dall’indifferenza. Vengono sospesi gli scioperi degli ospedalieri. I telefonici garantiscono i servizi. Pecchioli, l’esperto dei problemi dello Stato del PCI, dichiara:” alla Sip, all’Enel, negli ospedali ci sono autonomi complici delle Brigate rosse. Bisogna cacciare via questi nuclei e rompere la catena di solidarietà. Paletta critica in un’intervista al Corriere della Sera il comportamento della Rai nei giorni immediatamente successivi al sequestro Moro; dichiara che il Pci è orientato verso norme di comportamento della stampa nei casi di terrorismo e quindi anche per il caso Moro. Tutti i giornali pongono l’accento sulla tesi del complotto internazionale, eccetto l’editoriale di Alberto Ronchey sul Corriere della Sera in cui si afferma che il terrorismo è frutto della situazione sociale italiana e che l’ipotesi che l’Italia sia campo di avventura dei servizi segreti non è altro che un modo per eludere il problema. Anche il Giorno affrontando il problema del terrorismo e delle sue complicità afferma che esistono alla base condizioni economiche e politiche. Sul problema delle leggi speciali tutti i giornali sostengono la non necessità di queste. Italo Pietra afferma che il terrorismo si combatte sviluppando le riforme. Di diverso parere Il Giornale che, sostenendo la scarsa partecipazione operaia alle manifestazioni contro il sequestro Moro, tende a dimostrare l’incapacità del Pci di rispondere al fenomeno. Infatti in articoli successivi si sostiene che i brigatisti godono di ampi consensi,che esiste un parallelismo tra “eurocomunismo” e “euroterrorismo” e si sostiene l’esigenza di proclamare lo stato di pericolo. Lotta continua lancia la parola d’ordine “né con lo Stato, né con le Br” e a pag. 12 vengono fatte delle interviste di fronte alla porta 12 di Mirafiori. La Repubblica sia nell’editoriale del suo direttore Eugenio Scalfari che in un articolo – intervista a Pansa a pag.3 – ripropone il problema di uno scambio tra Moro e Curcio, ribadendo la tesi della necessaria fermezza. Il Partito Socialista conferma che il congresso nazionale del Partito si svolgerà regolarmente a Torino.

19 MARZO Le Brigate rosse fanno pervenire ai giornali la foto di Moro con accluso un volantino,il “comunicato n.1”,in cui si annuncia che Aldo Moro sarà sottoposto ad un processo da parte di “un tribunale del popolo”. Viene fatto un preciso riferimento al processo in corso a Torino ai detenuti delle Brigate rosse, affermando:”ben altro processo è in atto nel paese, è quello che vive nelle lotte del proletariato”. Tutti i giornali pubblicano sia la foto che il volantino: la foto viene pubblicata nella prima pagina con commenti che tendono ad evidenziare la stoica dignità e compostezza dimostrata da Aldo Moro. A Milano sono stati uccisi, nella serata di sabato 18 marzo, due giovani di sinistra del centro sociale “Leoncavallo”: Lorenzo Jannucci e Fausto Tinelli. Viene organizzato subito nella notte da giovani della sinistra extraparlamentare un corteo di protesta per le via della città. I giornali tendono ad accreditare la versione di un regolamento di conti nel mondo della droga. La notizia viene solo citata nelle prime pagine di alcuni quotidiani,altri la citano soltanto tra le notizie di cronaca. Iniziano ad entrare in funzione misure operative per l’ordine pubblico: l’esercito a Roma affianca la polizia nelle ricerche. Arrivano altre smentite alla lista dei venti ricercati. Gli avvocati di due di loro dichiarano che i loro assistiti sono già in carcere da mesi. La Nato smentisce la notizia che Moro sia a conoscenza di segreti particolari ed annuncia una riunione per discutere il caso. Viene data la notizia che è stata individuata la brigatista che ha partecipato all’uccisione del maresciallo Berardi il 10 marzo a Torino. E’ Brunhilde Pertramer, già inclusa nell’elenco dei ricercati. La redazione di Controinformazione dichiara che Antonio Bellavista, altro ricercato, è estraneo all’attività delle Brigate rosse. Viene precisato dalla polizia che il fermato Moreno si interessava alle abitudini di Moro. Scalfari, riallacciandosi alle tematiche sviluppate da Ronchey, nell’editoriaIe del 18 marzo sul Corriere della Sera, afferma che le Br sono lucide nel colpire una Dc impopolare e costringere così i partiti di sinistra a coprire il partito di maggioranza. Il Giorno affronta il problema della vita di Aldo Moro titolando: «Moro presto libero, che riprenda il suo ruolo politico fondamentale per il paese». Il Giornale a proposito dell’intervento dell’esercito, lo ritiene una risposta politica valida, ricordando che era già stata da loro auspicata nei giorni prece¬denti: in un articolo, a pag. 5, dal titolo «Bologna come Lisbo¬na» afferma che i comunisti e la Cgil usano l’emergenza per la creazione di una loro milizia privata: viene inoltre data notizia, a pag. 11, dell’apertura del processo per la strage di Brescia e si accusano le foze di sinistra che piangono per il rapimento di Moro di prepararsi a screditare lo stato come hanno fatto in tutti questi anni. All’interno della Dc emergono due posizioni sulla valutazione politica da dare al rapimento Moro. De Mita: «Le Br vogliono spostare a destra la Dc». De Carolis: «L’azione delle Br a sostegno del Pci e del compromesso slorico». A Milano vengono distribuiti volantini con queste posizioni a San Siro, durante lei partita di calcio e in un incontro tra i giovani della CDU e giovani democristiani ospiti di Democrazia Nuo¬va. I sindacati milanesi prendono posizione contro le dichiarazioni di Ugo Pecchioli al Corriere della sera in cui affermava che alla Sip, all’Enel e negli ospedali vi erano dei sostenitori delle Br. Si tengono a Roma i funerali degli agenti della scorta uccisi. Solo il Manifesto da notizia che dopo i funerali un gruppo di agenti in borghese si è diretto verso la Casa dello studente sparando colpi di pistola. La Stampa a pag. 3, ritorna sul pro¬blema delle trattative affermando che l’unica soluzione per bloccare il terrorismo è quella di non trattare. Vengono com¬mentate due trasmissioni televisive — una con La Malfa e Saragati — in cui e stato chiesto un’intervento dei paracadutisti e l’applicazione di leggi speciali, un’altra — con Pecchioli. Vio¬lante (giudice del tribunale di Torino) e Cabras della segreteria della Dc - in cui e stato affrontato il problema delle nuove leggi e quello dell’informazione di fronte al terrorismo. L’editoriale di Berlinguer sull’Unità afferma: «La carta fondamen¬tale che viene giocata contro le forze del rinnovamento è la disgregazione, è il lassismo, il non governo. Il rigore e una scelta nostra come lo è l’austerità, è la leva per cambiare le cose e non soltanto per impedire il collasso. Ciò e reso possibile dalla presenza, nella maggioranza, dei partiti e delle classi lavoratrici. II Pci reca anche in questa maggioranza un modo nuovo e più alto di sentire gli interessi nazionali, una nuova moralità». Nello stesso numero e pubblicato un appello degli intellelluali italiani contro il terrorismo e la violenza. In una intervista al Corriere della sera, Bryan Jenkins afferma che nei casi di sequestro, compito dei governi è quello dì trovare un punto di equilibrio tra il pericolo della reazione eccessiva e quello di fornire un’immagine di impotenza e di perdita dì controllo. Gianni Agnelli rilascia una intervista alla Gazzetta del popolo in cui dichiara: «Hanno rapito Aldo Moro perche è l’uomo più im¬portante d’Italia, l’uorno cerniera in questa situazione difficile del paese. Per loro questo era il massimo obiettivo e l’hanno raggiunto». Sull’ipotesi di misure eccezionali precisa: «Le varie reazioni che ho sentito in un senso o nell’altro mi sembrano inutili, quello che conta infatti non è la reazione contingente di fronte a un fatto drammatico, ma è la linea di condotta gene¬rale. Ciò che è importante e l’atteggiamento di fondo dello Stalto, la sua linea di condotta di ieri, di oggi, di domani. E ciò che è accaduto in questi giorni e un avvertimento preciso per la linea da tenere in futuro».

20 MARZO Riprende a Torino il processo alle Br. Le indagini sul rapi¬mento Moro sono ferme: sono giunti a Roma esperti della polizia tedesca, esattamente 32: collaboreranno nelle indagini. Viene installato un collegamento diretto tra il centro elettronico del Viminate e quello tedesco di Wjesbviesbaden. Collaborano alle indagini anche specisti inglesi e israeliani. Brunhilde Pertràmer smentisce con una lettera alla magistratura la sua parteci¬pazione sia alle Br, sia all’uccisione del maresciallo Berardi. ll magistrato Infelisi dichiara di essere ragionevolmente ottimista. Nel campo politico, la Direzione democristiana sconfessa il volantino di «Democrazia nuova» (Massimo De Carolìs) in cui vengono mosse accuse precise al Pci ed al Kgb. Emilio Colombo dichiara alla Stampa di Torino di condividere il tono dramma¬tico di La Malfa sostenendo che è necessario «evitare confu¬sione tra democrazia e debolezza». Il segretario del Pri, Oddo Biasini, dichiara: «Troppo a lungo si è tollerato il permissivismo nelle scuole e disordini nei posti di lavoro». Gli esperti per l’ordìne pubblico nei partiti della maggioranza si riuniscono per decìdere misure anti terrorismo. Il papa nel suo discorso in piazza San Pietro ha lanciato un appello affinchè Moro sia restituito ai suoi cari: il cardinal Benelli, vicario di Roma, di¬chiara che l’eversione ha colpito lo Stato. Sulla Stampa il giuri¬sta Giovanni Conso afferma che lo scambio di Moro con dete¬nuti delle Br è un non senso giuridico; Sossi dichiara al Giorno che certe esperienze possono togliere l’autocontrollo e Giovanni Ferrara sulla prima del Giorno avanza l’ipotesi che possano essere usati degli psicofarmaci su Aldo Moro. Sul l’assassinio dei due giovani di sinistra tutti i giornali affermano che ci sono ancora punti oscuri da risolvere nelle in¬dagini. Lotta Continua in un’edizione speciale afferma: «Una squadra della morte uccide due compagni a Milano». Alberto Moravia intervenendo sulle vicende del caso Moro dice che «il sentimento che provo di fronte agli eventi storici di questi giorni è duplice: prima di tutto c’è il sentimento di estraneità e poi del già visto (...) Sento con precisione che non avrei voluto scrivere una sola riga come quelle che scrivono le Brigate rosse nei loro proclami, d’altra parte non avrei mai scritto una sola delle (tan¬tissime parole che in discorsi, articoli, libri hanno scritto gli uomini dei gruppi dirigenti italiani negli ultimi trent’anni, ne fatto una sola delle tantissime cose che essi hanno fatto da quando sono al potere (...)» In un intervento sul Messaggero, Giuseppe Branca ex presidente della Corte costituzionale, afferma sotto il titolo «Un uomo da salvare»; «Pena di morte, guerra alla guerra terroristica, reagire duramente, difendere le istituzioni con ogni mezzo, giudici speciali, non cedere ai ricatti: sono le parole e le invettive che più si sono sentite in questi giorni del nostro tormento. Sembra quasi che ci si sìa dimenticati la cosa più importante: che c’è un uomo da salvare (...) Però un uomo e un uomo e la sua vita non è una lucciola ma una stella. Ne il prestigio dello Stato ne quello delle istituzioni possono giustifi¬carne la soppressione. Tanto più è forte la repubblica quanto più ricorda in ogni occasione che lo Stato e fatto per gli uomini e non gli uomini per lo Stato». Giancarlo Pajetta continua ad indicare il pericolo che può nascere dall’eccessivo spazio dato al fenomeno del terrorismo da parte della stampa Il centro-destra prevale alle elezioni politiche in Francia.

21 MARZO Vengono varate al governo, con l’appggio di tutti i partiti della maggioranza, le leggi di emergenza per fronteggiare il fenomeno terrorislico: d’ora in poi per le intercettazioni telefo¬niche basterà l’autorizzazione orale del magistrato: viene istituito il fermo di identificazione; arresto provvisorio per chi e sospettato di preparare delitti; ammesso l’interrogatorio in questura senza la presenza dell’avvocato; modificato il segreto istruttorio e la figura del giudice naturale per creare una banca delle notizie. I brigatisti sotto processo a Torino rivendicano il sequestro Moro. Il presidente Barbaro della Corte di Assise di Torino respinge l’ordine del ministero dell’Interno che vieta alla stampa e alla TV di entrare nell’aula del processo. Il fermato Gianfranco Moreno torna in libertà per assoluta mancanza di indizi. Sospesi in Italia la maggior parte degli scioperi, si avvia a conclusione anche la dura vertenza dell’ltalsider. Macaiw, La¬ma e Benvenuto si incontrano con il generale comandante dell’Arma dei Carabinieri Corsini per esprimere la solidarietà dei sindacati con le forze dell’ordine. «Magistratura democratica» prende posizione contro le leggi eccezionali. A Milano si svol¬gono cortei e scioperi nelle scuole per i due giovani assassinati; viene annunciato dai sindacati uno sciopero nelle fabbriche per i funerali. Dopo le elezioni in Francia, per gli Usa il settore critico in Europa resta l’italia. L’esperto di mass media Marshall McLuhan dichiara in un’intervista al Tempo che per combattere il terrorismo è auspicabile il buio totale sull’informazione. Sulla Repubblica e il Giorno si dà notizia che la Dc sta discutendo sulla validità del silenzio stampa. Eugenio Montale sul Corriere della sera afferma che la pubblicazione o meno dei documenti e un caso di coscienza. Vittorio Foa sul Quotidiano dei lavoratori afferma che il pericolo maggiore rispetto al caso Moro è l’emergere della fredda ragion di Staio. Il Giornale attacca la Dc per aver censurato Il volantino di De Carolis e denuncia di nuovo il pericolo che si formi una milizia operaia secondo le direttive della Cgil. Davide Maria Turoldo in una tribuna aperta sul Corriere dal titolo «Per tornare a sperare» ricorda la disperazione dei gio¬vani e quanto siano inutili questi discorsi sull’Fordine e sulla giustizia: sempre gli stessi discorsi e detti dalle stesse bocche.

22 MARZO Ampio rilievo da parte di tutta la stampa all’approvazione delle leggi eccezionali i cui contenuti vengono riportali in tutte le prime pagine. Prosegue il dibattito su Brigate rosse e mass media. Il Corriere della Sera apre un’inchiesla tra tutti i direttori dei principali giornali internazionali. Vengono intervistati giornalisti della televisione, mentre da parte della Dc vengono escluse iniziative per bloccare la libertà di stampa; interviene anche il quotidiano della Confindustria che prende posizione con un articolo di Luigi Pedrazzi dal titolo «Informazione come dovere». Sulla Stampa si continua a discutere se è giusto o meno il silenzio stampa, mentre Lotta Continua e Il Quotidiano dei lavoratori prendono posizione contro il tentativo di «black out nelle teste» e viene duramente attaccato Amonello Trombadori, definito per il suo intervento nella trasmissione televisiva Bontà loro «un laido attore che recita a soggetto la sua parte, un pezzo viscido, consumato, falso» e annunciano di averlo querelato per aver paragonato Lotta Continua ad Ordine nuovo. Sulle leggi speciali inizia un aspro dibattito. Adolfo Beria d’Argentine sul Corriere della sera critica le nuove leggi antiterrorismo, mentre su Paese sera il giudice Luciano Violante afferma che questi provvedimenti sono un primo passo verso la difesa dei cittadini e Giovanni Conso sulla Stampa afferma che questi provvedimenti si muovono nello Stato e per lo Stato. Emerge sulla stampa la polemica tra il direttore di Paese sera Aniello Coppola e Leo¬nardo Sciascia aperta dal primo nelI’ediloriale di Paese sera di domenica, in cui accusava lo scrittore siciliano di un colpevole silenzio. Sciascia risponde a Coppola e al Pc con durissime accuse non ultima quella di stalinismo riconoscendosi nelle posizioni di estraneità manifestate da Moravia sul Corriere della Sera. I sindacali si recano da Cossiga ad esprimere la loro soli¬darietà con le forze dell’ordine, mentre per i funerali dei due giovani assassinati a Milano si è aperto un aspro contrasto nei sindacati milanesi sulla durata dello sciopero per permettere la partecipazione degli operai ai funerali: alla posizione rigida della Cgil, che vorrebbe solo assemblee interne contro il terro¬rismo, si contrappone una posizione più aperta da parte della Cisl che vorrebbe permettere la partecipazione degli operai ai funerali. Continuia inoltre la polemica sulle posizioni di Pecchioli rispetto alla prcsenza di terrorisiti nelle fabbriche. A que¬sto proposito Mario Colombao, segretario della CisI milanese, dichiara che coloro che hanno cercato di dipingere le fabbriche come dei covi di brigatisti hanno ricevuto la più ampia smentita dai lavoratori milanesi con la grande manifesitazione di giovedì scorso e con la mobilitazione in atto in tutte le fabbriche anche in relazione ai più recenti fatti ed all‘assassinio dei due giovani militanti della nuova sinistra. Non è però da escludere che l’enfasi in taluni interventi sia strumenle A sostegno di una proposta che circola da tempo nel movimento sindacale: la co¬stituzione di nuclei o di veri e propri “commisariati di polizìa nelle fabbriche. La Malfa sulla Voce repubblicana in un editoriale, afferma che è necessaria maggiore energia, viene ventilata l’adozione della pena di morte e ritenute insufficienti le nuove leggi contro il terrorismo. Zaccagnini in una lettera ai dirigenti periferici della Dc per la riunione del 29 marzo chiede l’adozione di leggi nel rispetto della costituzione e Amendola in una nota scritta per il Popolo, giornale della Dc, chiede di «isolare i terroristi, fare terra bruciata intorno ai gruppi che esaltano e praticano la violenza di massa e nella scuola respingere tutte le intimidazioni affermare la libertà e la dignità dei docenti e degli studenti». Secondo i liberali le nuove leggi non tutelano gli interessi dei cittadini e rischiano di essere anticostituzionali. In questi giorni viene smentita l’esistenza di un piano per rapire Berlinguer diffusa dalla stampa nei giorni precedenti. E’ firmato l’accordo ltalsider e i sindacati dichiarano: «abbiamo contribuito ad al¬lentare la tensione».

23 MARZO Tutti i partiti decidono di non rinviare le elezioni di maggio. A Torino, la corte respinge le proposte sull’autodifesa; a Novara e arrestata Brunhilde Pertramer: inserita nell’elenco dei ricercati ha più volte smentito la sua partecipazione ai fatti di Torino e Roma. Il Giorno titola a tutta pagina: «Dopo una settimana, nulla», alla polizia servono altri diecimila uomini. E’ stato deciso in una riunione per l’ordine pubblico ove sono stati anche decisi controlli sulle radio private. Continua la polemica iniziata da Coppola. Sciascia è intervistato dalla Repubblica. Le posizioni di Sciascia verranno precisate dallo scrittore stesso in un articolo su Panorama: «Lo Stato italiano è un guscio vuoto che rischia dì riempirsi di contenuti pericolosi. Non intendo scambiare la costituzione per un po’ di ordine pubblico». In un articolo sul Giorno viene precisato che l’initellettuale non può restare indifferente. Sul Corriere della sera McLuhan, — di nuovo lui —, intervistato sul problema della stampa e il terro¬rismo precisa: «Bisogna ridurre al minimo lo spazio dei terroristi». Sempre in prima pagina in interviste a storici italiani, il Corriere afferma: «Sì alla cautela, no all’autocensura». I quotidiani dell’estrema sinistra rispondono alla posizione dell’Unità («Le armi della cultura contro il terrorismo») affermando che le posizioni assunte da Sciascia e da altri intellettuali sono posi¬zioni reali e denunciando la subordinazione della Rai e della stampa al potere nella gestione del caso Moro. Per il processo di Torino, il Corriere della sera scrive: «Fra codici e ideologie. E’ un processo politico. A Torino viene in¬tervistato dal Giorno l’avvocato Giannino Guiso, difensore di Renalo Curcio ed altri brigatisti. L’avvocato viene definito “uomo ponte fra lo Stalo e le Br” perché alla precisa domanda se — qualora gli venisse chiesto — accetterebbe di svolgere opera di mediazione nel caso Moro risponde: “Lo farei se lo chiedesse l’on. Craxi, segretario del mio partito, o l’on. Cossiga, che e stato mio professore di diritto costituzionale”». A Madrid viene ucciso il direttore delle carceri spagnole. L’attentato viene rivendicato dal Grapo.

24 MARZO Cossiga è il responsabile unico del coordinamento tra la Pubblica sicurezza, i carabinieri e la Guardia di finanza. Questo per decisione unanime fra i cinque partiti che approvano i miglioramenti per le forze di polizia. I sindacati accettano le leggi antiterrorismo, purché sia fissata una scadenza precisa. Biasini in un’intervista al Corriere della Sera a proposito della pena di morte dichiara: «Non escludiamo nessuna misura. Riteniamo che ogni indugio nella difesa dello Stato può far pagare al paese in un prossimo futuro prezzi molto più alti di quelli che oggi siamo cistretti a richiedere. C’è il rischio che si affaccino come difensori dell’ordine forze retrive e totalitarie. Intervistato sullo stesso problema, l’onorevole Macaluso del Cc del Partito comunista afferma che la pena di morte non serve, ma aggiunge: «Io sono d’accordo con La Malfa che siamo di fronte ad una situazione di emergenza… La risposta deve essere eccezionale e di emergenza». Viene ventilata un’amnistia per i reati minori. E’ arrestato a Milano Francesco Berardi, detto “Bifo”, leader dell’autonomia bolognese. La Cisl e la Uil prendono posizione contro la Cgil sul problema dei vigilantes in fabbrica. Uno dei venti ricercati, An¬tonio Favale, smentisce: è in carcere dall’agosto 1977. Lama dichiara al Gr2 di condividere le nuove leggi, e che compito dei lavoratori è quello di espellere dalle fabbriche i sostenitori del terrorismo. A Milano due delegati della Face Standard vengono processati in fabbrica: sono accusati di non aver scioperato per il sequestro Moro. I sindacati incontrano il comandante della Guardia di finanza. Terracini in un’intervista definisce la proposta di La Malfa per la pena di morte «un colpo di testa». Il Popolo in un lungo articolo prende posizione contro Sciascia, e il Giorno riprende la polemica sugli intellettuali con un articolo su Sciascia, Moravia, Amendola. Rossana Rossanda sul Manifesto in un articolo dal titoto «Chi sono i padri delle Brigate rosse» accusa i brigatisti di vetero-comunismo.

25 MARZO Le Brigate rosse hanno ferito a ‘Torino l’ex sindaco demo¬cristiano, Giovanni Picco. Sul sequestro Moro tutto tace. A Roma assalti a sezioni democristiane e disordini durante una Manifestazione di solidarietà per l’assassinio dei due giovani a Milano. Le indagini sono a un punto morto. La Cgil rinuncia alla sua proposta di creare ronde operaie antiterrorismo in fabbrica, in seguilo all’opposizione della CisI e della Uil. Viene pubblicata la relazione che Biasini terrà al Congresso del Pri, il 26 aprile (il congresso sarà poi rinviato). Vengono evidenziati tré punti: 1) Severità dello Stato; 2) Leggi speciali; 3) Limiti e compatibilità dei contratti autunnali con la situazione del paese. Si chiude anche la vertenza Dalmine, come già si era chiusa quella dell’Italsider. Il parlamento e i partiti resteranno aperti, data la situazione, anche a Pasqua. I liberali chiedono ad Andreotti limiti di tempo alle leggi eccezzionali e nessuna forma di autogestione per l’ordine pubblico. Si fa acuta all’interno della Dc, la polemica dopo la presa di posizione della Discussione, organo del partito, contro i firmatari del volantino distribuito a Milano in cui venivano chieste le dimissioni di Cossiga. Il Partito liberale viene attaccalo dal Partito repubblicano per le sue po¬sizioni rispetto alle leggi d’emergenza. Viene accoltellalo a Caserta un giovane di sinistra, da neofa¬scisti. Pansa intervista Paolo Grassi, presidente della Rai, sul problema dell’informaZIone e terrorismo. Dichiara: «I terroristi lo sappiano, non saremo il loro megafono. La stampa deve vendere, noi no». Grassi polemizza inoltre per le critiche con Pajetta, e paragona il caso Moro al caso Schleyer, giungendo alla conclusione che in Italia non sarebbe possibile un controllo dell’informazione come in Germania perché comunque le no¬tizie uscirebbero. Quindi l’unica alternativa e quella di dare i messaggi e le notizie con circospezione. Italo Pietra sul Mes¬saggero risponde a Moravia affermando che è necessaria la partecipazione di tutti, mentre Corrado Staiano sullo stesso giornale precisa che è assurdo attaccare Sciascia e Moravia per le loro posizioni. E’ necessario usare tolleranza. Barbato, diret¬tore del Tg2, sulla Stampa afferma che è necessario un giorna¬lismo come servizio. Sul Tempo si afferma che chi non si schiera costituisce l’acqua per il pesce guerrigliero.

26-27 MARZO Recapitato in quattro città il “comunicato n. 2” delle Bri¬gate rosse. In esso le Brigate annunciano che è iniziato il pro¬cesso ad Aldo Moro ed enunciano i capi d’accusa. Affermano che l’organizzazione si muove in base al principio “contare sulle proprie forze” e il comunicato termina con la frase: «Onore ai compagni Lorenzo lannucci e Fausto Tinelli assassinati dai sicari del regime».Nell’editoriale dì Repubblica Eugenio Scalfairi afferma che la causa prima del fenomeno delle Brigate rosse è da individuarsi nell’aver costretto per troppo tempo il Pci all’opposizione anche se questo dichiarava la propria disponibi¬lità ad assumere funzioni di governo. Questo eccessivo lasso dì tempo ha permesso, secondo Scalfari, la nascita alla sua sinistra di una opposizione; il partilo armato. Cossiga si riunisce a consulto con i capi della polizia. Zaccagnini riunisce il vertice democristiano. Guido Bodrato afferma in un’intervista che la Dc è più unita che mai, le decisioni sono collegìali e la base è pronla a rispettarle. Afferma inoltre che l’attacco alla Dc è anche imputabile al fatto che i giovani hanno assorbito una realtà del paese distorta. Alla precìsa domanda se come partito la Dc accetterebbe lo scambio di Moro con un gruppo di brigatisti risponde: «Su questo non ci possono essere opinioni personali e strettamente di partito. E’ un problema di governo e di Stato». Il Popolo afferma che si colpisce la Dc perché essa rappresenta il pilastro di uno Stato libero e demo¬cratico. L’Avanti! afferma che «è importante che non si continui a fingere di aver di fronte un gruppetto di disperati, isolati, brac¬cati nella loro pazzia. Leggendo il “comunicato n. 2” si ha un’impressione purtroppo diversa, e proprio questo rende ancora più umiliante l’impotenza dello Stato». L’Unità parla di «follia lucida, di struttura tipicamente paranoica di ragionamento (..) L’attacco ai partiti costitluzionali, e in particolare al Pci dimo¬stra l’irritazione chiaramente avvertibile per le grandi manifestazioni di massa che hanno marcato l’isolamento dei terroristi (...) Si vuole preparare uno sbocco tragico a quesla farsa chia¬mata processo? La coscienza di tutti insorge. E’ urgente fermare la mano di questi pazzi criminali». A Torino la Uil attacca l’FIm per la stampa di un manifesto in cui appaiono le foto di dirigenti Fiat accusati per le schedature. Alcuni sindacalisti sostengono che “questa stampa può associare le Confederazioni alla linea di persecuzione dei funzionari dell’azienda già ber¬saglio preferito dei brigatisi. Per la Cisl «il tono di reazione al terrorismo talvolta sfiora l’isteria». A Genova il Pci espelle sei portuali del collettivo del porto colpevoli di aver distribuito un volantino in cui sotto il tilolo «Né con lo Stato, né con le Br» prendevano posizione sul rapimento Moro affermando che questo fatto non deve portare all’assoluzione della classe poli¬tica democristiana e all’approvazione di leggi spceciali libertici¬de. Il segretario provinciale del Psi, prendendo posizione sul problema parla cosi: «espellere i socialisti presenti nel collettivo del porto? Direi che nel nostro partito questi problemi si pon¬gono in modo diverso, non sono d’accordo su certi slogan e neppure col colleilivo, ma non penso che le questioni si risol¬vano cacciando via i compagni». Enzo Mattina, della segreteria nazionale dell’FIm, sul pro¬blema delle leggi speciali dichiara: «Penso che non sia il mas¬siccio spiegamento di forze a ridurre l’influenza del terrorismo. L’esperienza nostra e mi ha fatto piacere trovarla confermata nelle parole di Pertini è che di fronte a gruppi terroristici è illusorio pensare che l’ampliamento della repressione possa tornare utile. Ho delle forti perplessità: ritengo che nonostante il momento non possono venir meno certi principi. Le intercettazioni, iI fermo e l’interrogatorio senza avvocato sono provve¬dimenti ingiustificati anche davanti all’emcrgenza. Ci sono ga¬ranzie costituzionali a cui non si può rinunciare neppure in momenti come questi».

28 MARZO Il direttore della Stampa, Arrigo Levi, su suggerìmento di La Malfa lancia alcune proposte per l’emergenza. Esse sono: 1) Costiluzione di un comitato formato dai capi partito incluso il Pli. Sul modello di quello formato in Germania per il caso Schleyer. 2) Il governo e il comitato dei capi partito devono indire manifestazioni in tutta Italia di solidarietà con Moro in concomitanza con una sospensione nazionale del lavoro. 3) Chiedere la convocazione del Consiglio d’Europa da Tenersi a Roma che esamini la minaccia dei terrorismo in Europa: questa seduta dovrebbe tenersi nominando presidente presidente Aldo Moro e attorno ad una sedia vuota. 4) Chiedere alle Nazioni Unite e alle massime potenze una dichiarazione di solidarietà e di appoggio al governo. 5) I sindacati e le organizzazioni degli im¬prenditori dovrebbero dichiarare una tregua per tutte le ver¬tenze. 6) Viene sottoposta a discussione una proposta sulla presidenza della Repubblica: si dimetta Leone per rendere possìbile l’elezione a capo dello stato l’on. Moro. A Milano, i giovani del «Leoncavallo» rispondono polemi¬camente al volantino delle Br in cui vengono citati i due giovani assassinati. Lotta Continua afferma che non accetta la loro solidarietà e la rispedisce al mittente. Davide Lajolo in una “tribuna aperta” sul Corriere della sera attacca il disimpegno degli intellettuali. A Torino la colonna «Mara Cagol» delle Br rivendica con un volantino il ferimento dell’ex sindaco Dc di Torino. Dopo il “giallo” della trasferta fantasma in Calabria del giudice Infelisi circolano voci di una sua sostituzione. Giorgio Galli in un articolo sulla Repubblica afferma che non era certo il processo che stanno compiendo le Br quello che Pasolini intendeva come “il processo al palazzo”. Pasolini vedeva nei Pci il pubblico accusatore di questa Dc, sulla posizione di collaborazione del Pci, invece che un processo o con la Dc rinnovata, si è inserito il terrorismo. Unica risposta: la sinistra dimostri che è ancora in grado di operare una evolu¬zione in uno Stato che oscilla tra la devozione e la tentazione depressiva. Rodotà riaprendendo l’attacco contro gli intellettuali ripete che gli untori vanno ricercali altrove. Si riporta la dichia¬razione rilasciato da Mancini a Panorama in cui viene sottoli¬neato che l’affare Lockheed è nato in America e che Moro era una delle persone che più si opponeva alle ingerenze esterne nel mondo politico italiano. Tra il Corriere e l’Unità continua la polemica aperta da Ronchey sulla posizione del Pci e i collegamenti internazionali. Il quotidiano albanese afferma che il se¬questro Moro è un altro segno del caos italiano e che la bor¬ghesia italiana usa il sequestro per rafforzare le leggi repressive. Mosca accusa Pechino di coordinare la strategia dell’ultra sini¬stra.

29 MARZO Si apre a Torino il 41° congresso del Partito socialista italia¬no. Riprende — sempre a Torino — il processo alle Br con lo scoglio dell’autodifesa. Secondo i computer tedeschi la prigione di Moro si trova vicino a Roma. La proposta Levi per Moro alla presidenza della repubblica provoca un ampio dibattito. Per¬plessità e interesse tra gli uomini politici. Tutti i giornali tendono a minimizzare sottolineando che l’iniziativa è stata respinta dai vertici del partito democristiano e che il Popolo afferma questa una proposta impraticabile. Sarebbe Fanfani il vero presidente… Lotta Continua: «Proposta di Agnelli: condannare Aldo Moro alla presidenza della repubblica». L’argomento è ripreso poi dall’editoriale: «Cinismo e pessimo gusto» in cui si puntualizza che le indicazioni date da Levi vengono dalla trilaterale e dal capo dei padroni Agnelli. La Repubblica dà notizia che per l’indagine si segue anche una pista nera: vengono fatti dei confronti con il rapimento De Martino. Macaluso in risposta a Ronchey parla di lotte di cor¬renti all’interno dei servizi segreti e porta l’esempio Miceli che ha ricevuto finanziamenti dall’ambasciata americana. Montanelli in una intervista afferma che gli italiani sono gli inquinatori d’Europa. Scalfari intervenendo su Repubblica chiede che Fanfani chiarisca la sua posizione dopo la proposta di Levi. La Voce repubblicana in un pezzo «Terrorismo non è sinonimo di paranoia» afferma di condividere l’analisi di Amendola sulla gravità del fenomeno e che tra il partito armato e le altre posizioni estremiste c’è una differenza solo quantitativa e non qualitativa. Paolo Spriano in un editoriale sull’Unità attacca le posizioni di Sciascia affermando «questo stato non è un guscio vuoto»

30 MARZO Viene data la notizia che è giunto un terzo comunicato delle Br che annuncia una lettera di Moro a Francesco Cossiga. Moro invita il presidente del consiglio e il presidente della repubblica a riflettere opportunamente sul da farsi per evitare guai peg¬giori, pensare dunque fino in fondo per evitare una situazione emotiva ed irrazionale. In queste circostanze entra in gioco, al di là di ogni considerazione umanitaria che pure non si può ignorare la ragione di Stato» (...) «Il sacrifìcio degli innocenti in nome di un’astratto princìpio di legalità, mentre un indiscutibile stato di necessità dovrebbe indurre a salvarli, è inammissibile. Tutti gli Stati del mondo si sono regolati in modo positivo, salvo Israele e la Germania, ma non per il caso Lorenz». «Queste sono le alterne vicende di una guerriglia che bisogna valutare con freddezza bloccando l’emotività e riflettendo sui fatti poli¬tici. Penso che un preventivo passo della Santa Sede potrebbe essere utile. Un atteggiamento di ostilità sarebbe una astrattezza e un errore». Tutti i giornali riportano il testo della lettera di Moro in prima pagina con enorme evidenza. Tutti i quotidiani eviden¬ziano nella titolazione della prima pagina che la lettera è chia¬ramente estorta. Repubblica: «Moro scrìve a Cossiga. In un messaggio chiaramente estorto il leader Dc chiede al governo di trattare con le Brigate rosse». Corriere: «Le Brigate rosse hanno costretto Moro con una lettera a chiedere uno scambio». Il Giornale: «Moro chiede in una lettera a Cossiga che siano aperte trattative con le Br. Il testo è autografo ma lo stile è comunque diverso da quello abituale dello statista». Messaggero: «Una lettera di Moro. Vera? Falsa? Scritta sotto costrizione?!» La Stampa: «Un nuovo messaggio delle Br con lettera (vera?) di Moro». Il Tempo: «Una lettera estorta a Moro col terzo messaggio delle Br». L’Unità: «Una tragica lettera di Moro. Dice di scrivere co¬stretto dalle Br. Accenna a torture e chiede lo scambio». Manifesto: «Moro nella prigione delle Br (o di chi altro?) Sotto un dominio pieno e incontrollato chiede lo scambio perché lo Stato non lo ha difeso. Avanti!: (Non riporta la notizia in prima, dando enorme spazio all’apertura del congresso del partito a Torino). Unico giornale con una titolazione diversa (Lotta Continua) non ha potuto riportare in tempo la notizia. Il Giorno: «Lettera di Moro dal carcere. “Il processo diventa sempre più stringente si deve guardare lucidamente al peg¬gio”». Il Sole-24 ore si limita a dare la notizia tra i fatti di cronaca. Terzo messaggio delle Br. Moro scrive a Cossiga.

Unico giornale, Repubblica riprende la proposta di Arrigo Levi titolando «La crisi investe il Quirinale. Inevitabili per La Malfa le dimissioni del capo dello Stato. Viene data notizia che La Malfa ha posto chiaramente la questione dell’inagibilità di Leone e della necessità dì sostituirlo al più presto. Fanfani, in una lettera, risponde alla richiesta di chiarimenti di Scalfari smentendo assolutamente di non aver nessuna inten¬zione né di accettare né di appoggiare una richiesta come quella di Levi. In un’editoriale Scalfari sottolinea la validità della risposta di Fanfani titolando il pezzo «Iniziative premature accrescono la tensione». Tutti i quotidiani riportano articoli in cui viene precisato che le parole di Aldo Moro non sono di Aldo Moro. La Dc “preoccupata ma composta” si prepara alle elezioni amminisirative. Viene data notizia della riunione dei dirigenti regionali del partito. Fausto De Luca precisa in un articolo su Repubblica che la lettera di Moro non è altro che «parole scritte sotto ta tortura».

31 MARZO Corsera: «La risposta della Dc: non è possibile accettare (il ricatto delle Br». La Stampa: «Non si può accettare il ricatto delle Br». L’Unità: «La repubblica non può cedere al terrorismo. I partiti democratici respingono il ricatto e le miniacce delle Br». Il Giornale: «La Dc non tratta con le Br». Il Giorno: «Con le Br non si tratta». La Repubblica: «Non si tratta con le Br. Tutti i partiti sono d’accordo nel rifiutare qualunque tipo di scambio coi terroristi». Il Messaggero: «La Dc decide di rifiutare il ricatto delle Br: lo Stato non può cedere», II Tempo: «La Dc respinge il ricatto delle Br». L’Avanti!: «Il caso Moro ci riguarda tutti»». L.C: «Moro in Cile, Curcio in Urss».

1 APRILE Sul Corriere della Sera prosegue la polemica contro il Pci per la tesi comunista del “complotto internazionale” che secondo Ronchey serve soltanto a coprire la franca ammissione che il sequestro Moro dimostra che ci si trova di fronte ad un feno¬meno complesso, con profonde radici sociali nella realtà italia¬na. Dello stesso tono un articolo di Sabino Acquaviva in cui si puntualizza la matrice leninista del fenomeno Br e la sua estraneità da quel fenomeno magmatico e complesso che si sviluppa nella realtà italiana durante il 77 denominato “movimento”. Al congresso socialista di Torino, De Martino affronta il problema della scelta tra autorità dello Statò e salvaguardia della vita umana; «Mi auguro che se doresse porsi il problema di una scelta tra la fermezza dello Stato e la vita dell’ ostaggio il pro¬blema venga affrontato esaminandone tutti gli aspetti tenendo conto dei precedenti e del modo in cui si sono comportati altri Stati che hanno agito con fermezza ma hanno cercato di salvare la vita dell’ostaggio». Pajetta al congresso del Psi a Torino portando il saluto del Pcì afferma: «La risposta data dal governo e dalla Dc all’attacco alla democrazia ci trova e spero trovi anche voi consenzienti». II Valicano conferma ufficialmente che è pronto ad interve¬nire per Moro, Precisando comunque che ciò sarebbe possibile se non ci fossero richieste inique. Vengono anche rievocati dal giornale valicano i precedenti casi di intervento da parte della Santa Sede. La Pertramer. indicata fin dai primi giorni come una delle componenti il commando che aveva sequestralo Moro ed ese¬guito l’uccisìone del maresciallo Berardi a Torino viene completamente scagionala da questa accusa. Ampio rilievo sui quotidiani alle smentite di ogni trattativa e al fatto che tutte le forze politiche sarebbero concordi nel ri¬fiutare il ricatto”. Viene precisato che la Dc dopo la lettera di Moro ha attra¬versato momenti difficili, dibattuta tra la ragion di Stalo e quella dell’ umamità. Senza riportare nessuna posizione della “componente umanitaria” viene precisato che ha prevalso la ragion di Stato, anche per le pressioni operate in tal senso dalle forze politiche dai liberali ai comunisti. Macaluso sull’Unità polemizza con i “garantisti” affermando che il problema non è “prima riformare e pos reprimere”, ma affrontare immediata¬mente il problema del terrorismo senza per questo interrompere l’opera di rinnovamento. Nello stesso articolo viene portata una risposta alla posizione di Galloni, che aveva affermalo la radice comunista del fenomeno.

2 APRILE Signorile al congresso Psi di Torino afferma: «Le parole di Sciascia e di Moravia e di altri mi hanno colpito profondamente. Nella loro assoluta buonafede e sincerità esse rivelano uno sialo d’animo che non è limitato ad una ristretta cerchia di intellettuali». Enzo Forcella, in un suo intervento su Repubblica fa notare che Io stato d’animo di estraniazione dolorosa di cui parlano Sdascia e Mòravia si estende ad ampie fasce dì cittadini. Tortorella, della direzione del Pci, in un editoriale sull’Unità dal titolo «Le responsabiltà» interviene rigettando le accuse fatte al Pci di isolare e reprimere il dissenso, e precisa che non è certo attribuibile all’ideologia del Pci il proliferare del terrori¬smo. Sulla Voce repubblicana Giovanni Ferrara accusa Sciascia di dilettantismo politico e lo condanna per immobilismo...

3 APRILE II democristiano Granelli ribadisce in un’intervista alla ra¬dio che l’atteggiamento del suo partito è unito senza smaglia¬ture nell’attegiamento di fondo, che è quello di salvare i valori fondamentali dello Stato. Dichiarazione di Saragat. «Un atto del parlamento che con¬dannasse a sicura morte un innocente sarebbe insensato. Oc¬corre, in una situazione tanto complessa, lasciare al potere ese¬cutivo la necessaria elasticità di atteggiamenti per fare il possi¬bile allo scopo di salvare la vita dell’onorevole Moro». I giornali precisano comunque che la posizione di Saragat è una posizione personale: infatti danno ampio spazio alle di¬chiarazioni del segretario del Psdì Romita che ha respinto con intransigente fermezza qualsìasi trattativa in cui possano essere coinvolti orfani dello Stato. Papa Paolo VI da piazza San Pietro ha rivolto un appello ai rapitori per scongiurarli di dare la liberità al prigioniero. Craxi, nella replica al congresso di Torino si dislacca dai sostenitori più intransigenti della ragion di Sialo, affermando che essendo in gioco una vita umana non dovrebbero essere lasciali cadere alcuni margini ragionevoli di trattativa. Craxi respinge anche polemicamente le richieste avanzate da La Malfa di dimissioni del presidente della repubblica e ricorda al segre¬tario repubblicano di essere stato uno dei grandi elettori di Leone» Continuano all’ interno del sindacato le divergenze sui modi di mobilitazione nei posti di lavoro contro il terrorismo tra Cgìl e Cisl.

4 APRILE II fronte delle non-trattative si rafforza, poiché Andreotti ha ottenuto l’ assenso non solo sulla linea dì intransigente rifiuto da parte dello Stato, di una trattativa con le Br, ma anche sull’opportunità di non affrontare un dibattito sul caso Moro. A Roma la polizia porta avanii delle operazioni-setaccio, rastrellando interi quartieri e facendo 41 arresti. In Vaticano trapelano voci di divergenze che sarebbero sorte dopo l’appello di Paolo VI, perché alcuni vorrebbero più “cau-tela”. II congresso socialista si è concluso e il nuovo comitato cen¬trale. nel suo schieramento vede Craxi e Signorile con il 63 per cento dei voti, i demartiniani con il 26, i manciniani con 7 e la “nuova sinistra” di Achilli con il 4 per cento. Sul Corriere della sera. l’on, Macaluso dichiara che il lin¬guaggio che il Pci usava negli anni “50 non è assimilabile a quello usato oggi dalle Br. Alta domanda se sull’ esistcnza del terrorismo il Pci abbia qualche autocritica da fare, risponde: «Su questo punto non abbiamo autocritica da fare». Ma nella stessa intervista Rossana Rossanda risponde che il terrorismo «ci ap¬pare come il frutto molto moderno di una crisi sia dell’integrazione capitalistica, sia della speranza di un mutamento. Se il terrorismo ha origine da queste frange di disperazione è chiaro, che la sinistra, vecchia e nuova, ha la responsabilità di aver lasciato crescere questo ascesso». Sul Giornale si legge che il vertice della maggioranza ha ribadilo la volontà di non cedere al ricatto dei rapitori di Moro. I liberali si dichiarano contrari a trattative con le Br, fosse anche per il tramite del Vaticano. Nell’opperazione di polizia scattata a Roma 129 persone vengono “fermate”’. Rossanda replica dura¬mente ai rimproveri dell’Unità. In aspra polemica con Macaluso scrive sul Manifesto che «I messaggi delle Br sono foto di album di famiglia del Pci» e accusa il partito dì Bterlinguer di volersi «scrollare violemtemente la criniera dal ricordo del pas¬sato». In un trafiletto si dà la notizia che è iniziato il processo di appello contro Ordine nuovo, Giorgio Bocca, intervista Antonio Bellavita, indicato come uno dei possibili autori del sequestro Moro, da quel cervello elettronico che aveva peraltro già indicato come probabili au¬tori due persone ospitate in carceri italiane. Il Giorno riferisce sull’accordo al vertice sul metodo da se¬guire: nessun patteggiamento (perché lo Stato non può piegare la testa) ma ricerca ogni soluzione per liberare il prigioniero. Il Manifesto informa sulla collaborazione fra Germania e Italia nelle indagini per la ricerca dei rapitori di Moro ed emerge l’evidente inferiorità tecnica delle polizie italiane e la subordinazione alla polizia tedesca nella raccolta dei dati «dell’ invadente calcolatore di Schmidt». Il brigatista Paroli, nell’ udienza del processo di Torino, ri¬volto alÌa Corte dice: «Noi cantiamo poco, come le formiche, ma a voi cicale, faremo un inverno duro». Curcio assicura: «Diciamo anche al pubblico che i prigionieri del popolo, da Amerio al fascista Labate fino a Moro, non hanno mai subito alcuna forma di violenza».

5 APRILE Una lettera dall’ inferno, scrive il Corriere della sera. an¬nunciando la lettera che Moro dalla sua prigione manda a Zaccagnini. «Caro Zaccagnini scrivo a tè, intendendo rivolgermi a Piccoli, Barlolomei, Galloni. Gaspari, Fanfani, Andreotti e Cossiga, ai quali tutti vorrai leggere la lettera e con i quali lutti vorrai assumere le responsabilità che sono ad un tempo indivi¬duali e collettive». La lettera prosegue: «Sono un prigioniero politico che la vostra brusca decisione di chiudere un qualsiasi discorso relativo ad altre persone parimenti detenute, pone in una situazione insostenibile. Il tempo corre veloce e non ce n’è purtroppo abbastanza. Ogni momento potrebbe essere troppo tardi”. MORO prospetta non in astratto diritto ma sul piano dell’ opportunità umana e politica la liberazione di prigionieri di ambo le parti. Ricorda che altri Stati hanno avuto il coraggio di farlo e ammonisce: «Se così non sarà l’avrete voluto, e lo dico senza animosità, le inevitabili conseguenze ricadranno sul par¬tito e sulle persone». E profetizza: «Poi comincerà un altro ciclo più terribile e parimenti senza sbocco (...) che Iddio vi illumini e lo faccia presto, come necessario». E Andreotti alla Camera. tempestivamente: «Non si può patteggiare con gente che ha le mani grondanti di sangue». La Dc ribadisce il suo “no”, dice il Corriere della sera, spiegando che «L’atteggiamento è stato concordalo dai leader del partito conla morte nel cuore». Piccoli (capogruppo Dc) ripete il rifiuto di avviare trattative; Natta {capogruppo Pci) ribadisce la fermezza della posizione comuni¬sta. Lotta Continua titola invece: «Moro tenta un disperato arbi¬traggio, stretto tra le Br che lo processano e Dc-Pci che lo vogliono morto». Sul Giornale, Indro Montanelli sostiene che nessun commento ha da fare sulla seconda lettera di Moro «per il semplice motivo che non è di Moro». Smentisce quanto da Moro affermalo su Taviani e Gui a proposilo del caso Sossi dicendo che anche se Gui e Taviani invitali a testimoniare confermassero quanto da Moro affermato, «a noi non risulla, nè pare credibile. E dobbiamo aggiungere che non cambieremmo idea nemmeno se i due parlamentari lo confermassero». L’articolo di fondo di Montanelli avvia il processo sulla psi¬chiatrizzazione di Aldo Moro. La Malfa, sui Messaggero dichiara (in previsione di un suo rapimento da parte delle Br) di aver consegnalo una lettera ai suoi familiari affinché possa servire da riscontro. «Questa e la mia scrittura - ha detto La Malfa alla moglie Orsola e ai due figli Giorgio e Luisa. Ove voi non la ricordiale, se mi succedesse quel che e successo a Moro, qualunque lettera vi arrivi, voi dovrete negare che la grafica è la mia». II quotidiano non riferisce se la lettera è stata scritta su caria intestata con il simbolo dell’ edera e non spiega se il rifiuto di accettare da parte di La Malfa le lettere di Moro debba essere letto in questa ottica di negazione dell’evidenza. L’Unità: «La repubblica non cederà». Allegato al messaggio delle Br una lettera a firma Moro diretta a Zaccagnini che svolge «incredibili argomentazioni». Il Popolo commenta: «Non è moralmente ascrivibile a Moro». Lama dichiara: «E’ il testo di un uomo che non è padrone della propria persona». Il Manife¬sto: «In una camera atona, incapace di dibattito e di responsa¬bilità, giunge un drammatico personalissimo appello di Moro. La risposta, elusiva, cinica, burocratica, è: non è lui». E nel corsivo («Inerte fermezza») scrive: «Quel che appare inspiegabile. inaccettabile, assurdamente vergognoso, è coprirsi dietro un rigido principio di Stalo e insieme non far nulla». La Repubblica si allinea alla psichiatrizzazione di Moro con un editoriale di Eugenio Scalfari dal titolo perentorio; «Quelle parole non sono credibili». Perche? «Manca alla lettera auto¬grafa una data certa e manca ogni prova verificabile sull’ effettivo stato di salute e di consapevolezza psichica del prigioniero. Le Br hanno ridotto un uomo alla condizione disumana d’un fantoccio. Non è attraverso un fantoccio che possono parlare ad una nazione». In terza pagina, Sandro Viola sostiene che Moro è sottoposto «ad una prova che avrebbe fiaccato la psiche, l’autocontrollo, l’equilibrio nervoso di qualunque uomo (...)”. E’ quindi con fredde e ciniche analisi che gli intransigenti rimuovono dalla propria attenzione le invocazioni e i suggeri¬menti che Moro indicava per la sua salvezza. Polemico riferimento di Andreotti contro gli intellettuali che van parlando di Stato autoritario e repressivo, perché sono oggettivamente complici dei terroristi. «Caso mai in Italia stia¬mo pagando per l’ eccesso opposto», Balzamo alla Camera denuncia «la retata romana» e l’ondata di fermi come un fatto gravissimo. Sono siate violale precise norme garantiste e mani¬festa la seria preoccupazione che la indiscriminata lotta al ter¬rorismo possa facilmente sfociare nella risposta repressiva.

6 APRILE II Corriere titola che dopo il tentativo delle Br di dividere il partito servendosi del prigioniero, la Dc fa quadralo intorno a Zaccagnini. Tutti concordi nel riconoscere la mano dei terroristi nelle frasi in cui viene chiamalo in causa il segretario della Dc. Nella Dc c’è la certezza che gli obiettivi del terrorismo sono essenzialmente di distruggere la figura di Moro con lettere moralmente a lui non ascrivibili e di dividere il partito, usando le parole di Moro come grimaldello. Dopo il nuovo messaggio delle Br la Santa Sede appare perplessa. Il Vaticano sta rinunciando ai tentaitivi per liberare Moro. Essendo stato proposito lo scambio dei prigionieri, questa pro-posta viene definita assurda. Editoriale Vittorelli in cui si afferma che hanno fatto bene tutti i gruppi democratici della Camera a respingere ogni proposta di baratto. Perche questo dramma abbia fine, e perché esso non si ripeta «lo Stato non può, lo Stato non deve mollare». Di Vagno dichiara invece che per salvare una vita umana, lo Stato democratico non può chiudersi dietro schemi o afferma¬zioni apolitiche. ma deve fare tutto quanto è possibile e neces sario perché questa vita venga salvata. Il diritto che lo Stato ha di punire è la controfaccia del dovere, di quanto deve e può fare per salvare la vita non solo di Moro. ma di qualsiasi cittadino. Editoriale sul Corriere di Leo Valiani: «La volontà di Moro è coartata dai suoi torturatori». Commenti sul Corriere dopo il ritrovamento dell’opuscolo della direzione delle Br. Viene pre¬cisato che la matrice ideologica e semantica si muove tra Marx e Meinhof, Indagini: su 300 persone irreperibili secondo un rap¬porto della Digos. 200 sarebbero brigatisti. Dalla Dc viene precisalo che siccome i terroristi cercheranno di nuovo di far pressione tramite le lettere di Moro la Dc rifiuterà qualsiasi valore ai messaggi che Moro scriverà dalla sua prigione. Vittorelli apre un altro editoriale affermando: «Condivi¬diamo il giudizio del Popolo quando .scrive che la Iettera di Moro non e moralmente a lui ascrivibile».

7 APRILE Editoriale sul Corriere di Piazzesi. Affrontato il problema del terrorismo nel mondo, citando gli studi della Rand Corpo¬ration, Dai dati contenuti negli archìvi della Rand. dei 47 uomini politici sequestrati in questi anni risulta che 7 su 10 si sono comportati nello stesso modo del presidente della Dc pur non essendo stati sottoposti a torture fisiche e nemmeno a grosse pressioni psicologiche. Si afferma che è forse il caso che certe ipotesi drammatiche e romanzesche vengano accantonate, an¬che perché (sempre tenendo come punto di riferimento gli studi della Rand Corporation) appare evidente che le dichiarazioni «con i terroristi non si tratta», basate su un giudizio morale e non politico, «non si possono stringere mani lorde di sangue», o di principio: «lo Stato non può subire una umiliazione tanto grave», si scontrano con il modo in cui avvenimenti di questo tipo sono stati affrontati nella maggioranza dei casi. Hanno trattato con i terroristi Stati forti come gli Usa e la Germania federale. La moglie di Moro lancia un messaggio al marito attraverso il quotidiano Il Giorno. Sfiducia in Vaticano sui contatti con le Br per salvare Aldo Moro. Scoperto a Napoli un covo di terroristi con armi e targhe false. Tutti liberati i fermati dell’ operazione del giorno precedente.

8 APRILE Vertice a Copenhagen. L’ impegno europeo contro il terrori¬smo: i capi di governo della comunità diffonderanno una di¬chiarazione comune contro la violenza politica. Genova. Ferito il presidente degli industriali. E’ il decimo attentalo Br in quella città. Dichiarazioni di Lama alla Repubblica sul terrorismo. Vengono anticipati i temi di discussione del direttivo confede¬rale. Reazioni all’ interno del sindacato anche per le dichiara¬zioni sul terrorismo. Dal carcere di Cuneo il brigatista Maraschi si dissocia dalle analisi e dalle azioni delle Br. Voci di trattative segrete tra i familiari e le Br. La tesi della famiglia è che non esistono nella situazione italiana elementi tali da escludere comportamenti che hanno un precedente nel caso Lorenz (ve¬dere nelle pagine seguenti). Dichiarazioni degli autonomi in cui si criticano le posizioni «verticistiche e aristocratiche» dulle Br nell’ uso della violenza e nel lavoro di massa. Appello al paese degli uomini della resistenza. Firmalo da tutti gli uomini più rappresentativi della resistenza. In un editoriale del Corriere della sera viene criticata la posizione di Macario nei confronti di Lama precisando che Lama nell’ intervista a Repubblica altro non ha fatto che precisare alcune sacrosante posizioni sul risanamento economico delle aziende e la lotta al terrorismo. La gravita dei tempi impone a tutti di ripensare a tutto e quindi anche Macario ripensi alla sua posizione. Il Manifesto titola: «In un’ora grave, una seconda intervista di Lama a Repubblica porta il sindacato alla lacerazione». Il Consiglio superiore della magistratura critica le leggi anti-Br. Roberto Mazzola, uno dei leader del “gruppo dei cento” in una intervista a Repubblica afferma: «Il 16 marzo con il .rapimento di Moro è praticamente avvenuto un piccolo colpo di Stato, è nato un nuovo regime. Noi rappresentiamo la maggio¬ranza del partito e ci faremo sentire. L’accordo con i comunisti ha destabilizzato il paese». Enzo Forcella (“La vita umana e la ragion di Stato”) scrive: «Sono tra coloro (ce ne sono, anche se si sia facendo il possibile per ignorarne l’ esistenza) che non sono dispositi ad accettare a scatola chiusa l’ interpretazìone ufficiale delle lettere di Moro adottala sin dall’ inìzio dai partiti dell’ arco costituzionale e recepita con poche eccezioni dalla maggior parte dei giornali e degli altri mezzi della comunicazione di massa (si tenga presente che Forcella è direttore della rete 3). Le forze che oggi egemonizzano il potere e in primo luogo i democristiani avrebbero dovuto agire in maniera diversa: non lo hanno fatto (...) però dovrebbe essere chiaro, nelle coscienze se non nei documenti ufficiali, che si tratta di una manifestazione di debo¬lezza, non di forza».

9 APRILE II Corriere ripropone i! mistero delle lettere di Moro alla moglie Eleonora. Zaccagnini e il presidente del consiglio Andreotti tengono un “vertice”. Nulla trapela del loro colloquio, Forse il tema è stato il nuovo messaggio delle Br. Ma quale? Sempre Zaccagnini. rispondendo alle richieste della base barese del collegio elettorale di Aldo Moro, scrive una lettera di¬chiarando di non voler lasciare nulla di intentato, ma non spe¬cifica che cosa voglia tentare. L’on. Galloni non è più chiaro del suo segretario ed usando più parole afferma che il partito adempirà fino in fondo al proprio dovere che consiste, nello stesso tempo. nella difesa intransigente dello Stato e nel non tralasciare occasione per salvare la vita di Moro che ha un valore inestimabile per sè, per la sua famiglia, per la collettività nazionale ecc. ecc. Sull’Unità un editoriale dì Gerardo Chiaromonte fa notare che «non c’è tempo da perdere; vanno ri¬spettate le scadenze della attività parlamentare e governativa. Vanno approvate in tempo utile le leggi per evitare il referen¬dum. Nel contempo e necessario rendere più incisiva l’ azione della polizia, della magistratura, dei servizi di sicurezza». La Voce repubblicana, secondo la linea espressa da Ugo La Malfa, afferma che tutto quanto è avvenuto e avverrà durante la pri¬gionia di Moro è attribuibile esclusivamente alle Br. Con le quali non deve essere in alcun modo avviata la trattativa. I liberali appoggiano la fermezza democristiana, ma lamentano che non tutto avviene alla luce del sole perché molto e affidato a riunioni di partito o di gruppi ristretti. Ieri mattina un giornale torinese ha attribuito a Fanfani una non precisata iniziativa per la libe¬razione di Moro, nìa un portavoce di Palazzo Madama com¬menta: «Sono sciocchezze che non meritano neppure smentite”. Sul Giorno si da notizia di un intervento della polizia per intercettare una lettera di Moro diretta alla moglie e di riunioni notturne al Viminale. Mentre il Pci presenta un dossier sulla violenza, denunciando che in soli tré mesi sono siati compiuti 913 attentati. La cifra è spaventosa. Statisticamente, gli atti di violenza sono esattamente il dop¬pio rispetto a quelli dello stesso periodo del 1977. Per un’intervista intempestivamente concessa da Lama si crea una spacca¬tura tra Cgil e Cisl. In un arlicolo di Vecchiato si spiega il conflitto politico. Vassalli interviene sul caso Moro con «Tré considerazioni sulla linea dura» e dichiara, pur tra molte perplessità, di propendere per la via della trattativa. L’attentato all’ing. Schiavetti di Genova suggerisce al Giorno la definizione di “Uomini cerniera” per questi rappresentanti del mondo economico preso di mira dalle Br. Intanto la Lockheed e Ovidio Lefébvre occupano uno spazio minimo nelle cronache. Stessa sorte per il processo contro il direttore del manicomio di Aversa dove ai malati che dicevano di avere sete «davano da bere iodio e aceto». Il Giornale di Montanelli in un riquadro in prima pagina titola: «Cresce il malumore nella Dc per la paralisi del partito». La paralisi è politica. Il segretario Zaccagnini viene sollecitato da più parti a convocare la direzione e il Consiglio Nazionale e ad abbandonare la pratica dei misteriosi “vertici” adottati fino ad ora. Il Pci sollecita la Dc per l’ applicazione del programma concordalo. I repubblicani intervengono per im¬pedire eventuali cedimenii della Dc verso le trattative, su ispi¬razione del solilo La Malfa, Sulla Stampa ferme parole sul dramma tra famiglia Moro e partito: «Fate ciò che dovete fare» dice la signora Moro alla Dc. La Dc non fa niente.

10 APRILE La polizia ha intercettato la lettera di Moro diretta alla moglie ove ripropone in chiarì termini lo scambio di prigionieri. La lettera di MORO è un accorato appello per la sua vita e chiede al suo partito e al governo di rivedere l’atteggiamento di chiusura rigida assunto nei confronti di qualsiasi trattativa. In un editoriale si fa notare che sebbene il caso Moro presenti parecchie analogie con il caso Schleyer, le situazioni interne per la gestione del caso sono diverse nei due paesi. «Una strategia efficace In Germania può rivelarsi inutile o dannosa in Italia (...), In Germania at silenzio del governo corrisponde in perfetta sincronia si silenzio della stampa. Ma tale comportamento in Italia non sarebbe possibile in quanto implica una totale auto¬censura» Come mai? Perché il silenzio presuppone un rapporto di fiducia tra Stato e cittadini: rapporto che in Italia non esiste. Nel pomeriggio giunge il “comunicalo n. 5” delle Brigate rosse, ma solo all’ indomani sarà reso noto dalla stampa. Scalfari. in un corsivo, annuncia che il governo e la De sarebbero orien¬tali verso la possibilità di indicare una persona che possa entrare in contatto con le Br che sarebbero alla ricerca del riconosci¬mento di uno status. La De non vorrebbe compromettere se stessa, nè Io Stato», nè la famiglia Moro. Tutto ciò ‘si rivelerà fervida fantasia. Più realistico l’articolo di De Luca che indica Fanfani e Zaccagnini candidali alla presidenza della repubblica e titola: «Grandi manovre nella Dc, si prepara una nuova troi¬ka». C’è il problema del Quirinale. Moro è sempre in mano delle Br. Lo stato maggiore del Pci discute in gran segreto ma come sempre: “Solo una richiesta al governo: fermezza». Rodolfo Brancoli arriva a New York per conoscere gli studi che in America vengono falli da diversi psichiatri sul caso Moro. Sì tratta di specialisti nella analisi del comportamento dell’indivi-duo tenuto in prigionia e sottoposto a fortissima pressione psi¬cologica per obiettivi politici. La conclusione unanime, che non desia d’altronde meraviglia, è che, anche senza che gli venga torto un capello, con il tipo di pressione adeguato e il tempo necessario, qualsiasi uomo può essere indotto a dire, fare e scrivere qualsiasi cosa. Insomma, Moro che chiede di essere salvato è in preda ad uno stalo psichico ai confini del patologico (...)

11 APRILE Spiegato il mistero della lettera privata alla famiglia. La polizia controllando il telefono del collaboratore di Moro, Rana, ha intercettato una telefonala in cui le Br annunciavano la lettera ai familiari nei giorni precedenti. Arriva il quinto co¬municalo delle Brigale rosse in cui i rapitori di Moro annun¬ciano che il processo continua e che non esiste nessuna trattativa segreta, e «nulla verrà nascosto al popolo». Nel messaggio vi sono dei primi accenni ai risultati del processo con accuse nei confronti di Tavianì. Allegata al volantino viene resa pubblica una lettera di Moro in cui il rapito ricorda al collega di partito come abbia smentito le sue dichiarazioni. confermale invece da Gui. sulla sua disponibilità ad adottare una linea flessibile du¬rante il sequestro Sossi. Le accuse a Taviani continuano preci¬sando qual è il suo ruolo all’ interno del partito. Taviani, interpellato, precisa che non intende polemizzare con le Br. (dimenticandosi che la lettera è di Moro, non delle Br). Tutti i giornali riportano la lettera precisando e dando rilievo che gli amici (quali?) dichiarano che questo è un Moro irriconoscibile e i giornali sottolineano che dopo tre settimane di cattività Moro chissà in quali condìzioni di tortura fisica e psichica è costretto a scrivere ciò che vogliono i suoi carcerieri. Sui problemi della sicurezza sono siate decise riunioni setti-manali dei ministri europei. Torino. In serata. un ginecologo è stato ferito a revolverate nel suo studio- L’allentalo è rivendicalo dalle “Squadre proletarie di combattimento”. Il Popolo scrive che le Br insistono nell’ insensata provocazione allo Stato e costringono un benemerito della Democrazia repubblicana a una prova fisica morale e psicologicamente in¬sopportabile. I giornali riportano che il tragico dilemma sulla trattativa ha crealo un contrailo tra la famiglia e il parlito. Si apre un dibat¬tito all’ interno del gruppo “Fcbbraio ‘74” di cui il figlio di Moro è stato fondatore. Dopo il vertice dei ministri dell’ Interno, a cui ha partecipato Cossiga. a Zurigo. presto un nuovo vertice con Francia. Ger¬mania. Austria e Svizzera, Montanelli in uri editoriale afferma che sarebbe estremamente grave se il caso Moro diventasse un caso di famiglia.

12 APRILE Ucciso a Torino un agente del carcere in un agguato. Viene ferito e catturalo uno degli alternatori che dichiara: «Sono un prigioniero politico». I dirigenti della Dc sostengono che i peri¬coli maggiori oggi sono essenzialmente tré. Una frattura nel loro partito. Diffcoltà nel Partito comunista e una polemica sul caso Moro visto sotto il profilo umano che spacchi l’ opìnione pub¬blica in falchi e colombe. Berlino. Al processo ai rapitori di Peter Lorenz. appartenenti al gruppo «2 Giugno», gli imputati inneggiano alle Brigate rosse e dichiarano che il vero processo si svolge in Italia e non a Berlino.Sulla Repubblica. Antonio Gambino. dopo aver verificato che il fronte delle trattative aumenta di giorno in giorno, sostiene («Perché non si può trattare con le Br») che un negoziato può essere aperto solo se si ammette chiaramente di essere in una situazione di guerra civile e comportarsi di conseguenza, ma se questo vuol essere evitato va da se’ che debbano essere evitate le trattative. Il Popolo, dopo aver precisalo di essere tra i più strenui sostenitori della libertà di stampa, critica alcuni giornali che hanno riportato il volantino e la “pseudodeposizione” di Moro senza chiose e commemi che richiamassero la virulenza anti¬democratica dei testi. Secondo l’Unità, la terza via teorizzata da alcuni intellettuali di fronte al fenomeno del terrorismo non è altro che un’illusione. Si disgrega in questa situazione «una controcultura che, col pretesto di tutelare l’ autonomia dell’intellelluale si sottrae alla necessità di difendere la democrazia». Dichiarazioni del comunista Pecchioli sulla vicenda Moro: «C’è anche il rischio che le Brigate rosse ottengano una sorta di status politico da parte dell’opinione pubblica, che i terroristi riescano a darsi un’immagine sul tipo della Olp dei palestinesi. Per questo il Pci continua a ripetere alla Dc che non deve trattare con le Br. Chi vuoi trattare è o l’estrema destra o Lotta continua».

13 APRILE Le Br rivendicano l’uccisionc della guardia carceraria a To¬rino. Il brigatista arrestato si chiama Cristoforo Piancone, ex operaio Fiat iscritto al Pci e al sindacato. Il P.G. Pascalino avoca l’inchiesta sul rapimento Moro. La Repubblica annuncia a tutta pagina che il sindacato scen¬de in campo contro le Br. Viene anche annunciato che le pros¬sime piattaforme «non potranno che avere un contenuto sala¬riale obietti vamente ristretto». La Gazzetta del mezzogiorno pubblicherà domani un appello proveniente da Bari affinchè si tratti per salvare la vita di Aldo Moro. Galloni dichiara la sua adesione convinta alla lìnea del rifiuto del ricatto. La Malfa scrive: «La ragione di Stato vuole che noi riusciamo a liberare attraverso le forze dello Stato l’onorevole Moro. Il senso dello Stato vuole che non si ceda in nessun modo e in qualunque circostanza al ricatto delle Br». In una dichia¬razione a Paese Sera Cossiga polemizza con chi critica le nuove leggi. Luigi Pedrazzi sul Popolo scrive: «L’unità della Dc al servizio del paese». Sempre sul Messaggero Giuseppe Branca affronta per la seconda volta l’argomento «Ancora su una vita da salvarci».

14 APRILE Corriere della Sera, nell’editoriale di Gianfranco Piazzesi: «Il crollo di un sistema, lo sfascio di una nazione, non sono mai dovuti alla violenza dei partiti armati, bensì agli errori e alle insipienze di quelli disarmati». E ancora: «Senza la tutela di Moro, Zaccagnini e i suoi diretti collaboratori difficilmente potranno guidare da soli una forza politica composita come la Dc (...): due partiti dalle tradizioni e dalle finalità così diverse, come sono appunto la Dc e il Pci possono impostare rapporti realistici solo se si accordano su un programma minimo e se stabiliscono un modus vivendi dai limiti ben precisi (...). Anche una tregua fra Dc e Pci, oggi indispensabile, non può essere considerata una soluzione duratura. In quanto tale tregua con¬duce o alla ripresa delle ostilità o a rapporti meno occasionali e improvvisati tra le parti contraenti». La Dc conferma la chiusura ai terroristi, che vuoi dire rifiuto della trattativa per la liberazione di Moro. Acquaviva, il sociologo, analizza la origini storiche del partito armato e si chiede in che modo il ‘68 è diventalo il ’78. II magistrato Pomarici propone l’uso del siero della verità poiché l’azione illecita che verrebbe commessa dai rappresen¬tanti della legge sarebbe giustificala dallo stato di necessità. Qualcuno lo prende sul serio. Scalfari, sulla Repubblica intitola un editoriale: «Colombe che sono falchi» Si accorge che sta prendendo corpo il partito della trattativa. Tra i trattativisti elenca, allarmato. Lotta continua. Avanguardia operaia, settori creativi del Movimento studentesco, Luigi Pintor che viene definito un anarchico-individualista e sentenzia che «una parte delle nostre colombe è formata infatti da anarchici individualisti. Cent’anni fa, per distruggere Io Stato, gli anarchici indivi¬dualisti attentavano alta vita di qualche monarca; adesso, sem¬pre per distruggere lo Stato, sostengono che la vita umana va difesa a qualsiasi prezzo, li mutamento è notevole, ed anche apprezzabile, ma l’ obiettivo rimane il medesimo”.

15 APRILE Cristoforo Piancone dichiara di far parte delle Br. Il segretario del leader Dc Rana è convocato in Procura. Gli inquirenti si recano nello studio di Moro. Si riaffaccia l’ipotesi di contatti segreti tra Br e famiglia. Nel Veneto vengono eseguili undici allentati. Presi di mira anche un giudice e un vicequestore. Alla guardia carceraria Cotugno viene assegnala la medaglia d’oro alla memoria. A vuoto ogni ricerca della” prigione del popolo’*. I socialisti al Senato nella dichiarazione di voto chiedono che i nuovi prov¬vedimenti per l’ordine pubblico siano limitali nel tempo.

16 APRILE Arriva il comunicalo n. 6 delle Br. L’interrogatorio al pri¬gioniero Aldo Moro è terminato. Non ci sono dubbi, Moro è colpevole e viene pertanto condannalo a morte. Riunione del comitato di emergenza della Dc. Sul Popolo si dichiara: «Fare tutto ciò che è possibile per salvare la vita del nostro presidente nell’ ambito dei nostri doveri indicati dalla direzione del nostro partito». Le Br rivendicano con un volantino l’uccisìone della guardia carceraria a Torino.

17 APRILE La Dc lancia un appello per la salvezza di Moro. Il vicese¬gretario Galloni precisa il senso dell’ inìziativa quando gli viene rivolta la domanda: concretamente in che modo? Sono pro¬blemi che non può risolvere la De da sola. Ecco il senso dell’appello». La De. viene precisato, lancia un appello umanitario ma non direttamente alle Br «perche ciò comporterebbe l’ apertura formale di trattative». Lo scopo è sollecitare un inter¬vento esterno al partito, al governo e allo Stato. Il PCI ribadisce la sua intransigenza, anzi dall’ ultimo comunicato trae nuove conferme a resistere con estrema fermezza. Solidali con la Dc anche tutti i partiti minori e i sindacati. Viene data notizia che sabato Craxi si è incontralo con la signora Moro portandole la solidarietà dei socialisti e ha fatto sapere che considera «dovere fondamentale dello Stato la libe¬razione di Aldo Moro». Il Vaticano è disponibile a passi uma¬nitari per la liberazione di Moro. In un articolo di Ruggero Orfei su Repubblica viene attaccato il partito delle trattative e il giornale Il Giorno che si è fatto portavoce di molte “colombe cattoliche”.

18 APRILE Leo Valiani dalle colonne del Corriere della sera fa sapere che i provvedimenti che di recente sono stati decretali ampliando i poteri alla polizia sono ancora troppo blandi. E’ suo convincimento che si debba rafforzarli ulteriormente. Moro, prigioniero delle Br. dopo la sua condanna a morte aspetta che due organizzazioni internazionali possano intervenire. Una è la Caritas. L’altra è Amnesty International. Waldheim rivolge un appello ai “mèmbri” delle Br, Carter manda un messaggio alla famiglia Moro. Il Pci con la relazione di Bufalini al comitato centrale chiede più energia sull’ ordine pubblico, e precisa: «Non dimentichiamoci che non siamo più all’opposizione». Sempre in prima pagina del Corriere della sera: «Moro è vivo si può ancora trattare». Giannino Guiso, il legale che ebbe un ruolo importante nella soluzione del caso Sossi: “L’esecuzione non può essere già avvenuita, Moro va salvalo, le cose che ha scritto vanno prese sul serio». Inizia la battaglia di Guiso per la salvezza dì Aldo Moro con qualche precisazione: «Moro va salvato: per salvare la sua vita sono pronto a mettere a repen¬taglio la mia. ma non muoverei un dilo per salvare la Demo¬crazia cristiana. Di fronte alla Dc ripeto le parole di Sciasela: “Non farò niente per evitare che si suicidi”». Il Psi: «Lo Stato deve rimanere estraneo, non indifferente». Raniero La Valle, su Paese Sera rilancia con un suo articolo la necessita della tratta¬tiva: “Non si tratta di separare e di mettere tra parentesi la politica, ma di scegliere le politiche giuste». Sulla Repubblica, Sealfari insiste invece: «Un prezzo che lo Stato non deve paga¬re», dice. Mentre Bocca ricordando l’abitudine degli italiani di convivere da secoli con catastrofi naturali e politiche, afferma che: «Non è colpa nostra,, di noi manipolatori di professione, se il comunicato n. 6 delle Br, con quel suo modo di fare la storia e l’analisi della Dc nel dopoguerra dice, su per giù. quello che la sinistra storica ha detto per decenni. La storia non è una linea retta e non è neppure una maestra».

19 APRILE Un messaggio, che in seguilo sarà clamorosamenle smentito, annuncia che Aldo Moro è stato ucciso. Il testo dice: «Il processo ad Aldo Moro. Oggi 1° aprile 1978 si conclude il periodo dittatoriale della Dc che per ben 30 anni ha tristemente dominato con la logica del sopruso. In concomi¬tanza con questa data comunichiamo l’ avvenuta esecuzione del presidente della De Aldo Moro mediante “suicidio”. Consen¬tiamo il recupero della salma, fornendo l’esatto luogo ove egli giace. La salma di Aldo Moro è immersa nei fondali limacciosi (ecco perché si dichiarava impantanato) del lago della Duches¬sa. altezza 1.800 m. circa, località Carlore in provincia di Rieti confinante tra Abruzzo e Lazio. E’ soltanto l’inizio di una lunga serie di suicidi. Il suicidio non deve essere soltanto una prerogativa del gruppo Baader-Mcinhof. Inizino a tremare per le loro malefatte i vari Cossiga, Andreotti, Taviani e tutti coloro i quali sostengono il regime. P.S. Rammentiamo ai vari Sossi. Barbaro. Corsi ecc. che sono sempre posti in libertà vigilata, Comunicalo n. 7 18-4-1978. Per il comunismo Brigate rosse». Mobilitale in tutto il paese le sezioni della De. Sospeso il Cc del Pci Berlinguer si reca in piazza del Gesù. Si apprenderà in seguito che sia la De che il Pci avevano già pronti i manifesti dì commemorazione e si attendeva solo il ritrovamento del cadavere per dare il via alle cerimonie funebri. Scoperto a Roma per una perdita nelle tubature dell’acqua un covo delle Brigate rosse in via Gradoli. La Malfa esce piangendo dalla sede della Dc ed afferma: «E’ un giorno tragico per il Paese”. I giornali pubblicano le fotografie di sei persone a cui erano stati sottratti i documenti poi ritrovali in via Gradoli.

20 APRILE I titoli dei quolidiani a tutta pagina riportano la cronaca» delle affannose ricerche del corpo di’Aldo Moro nel lago della Duchessa. Elicotteri, centinaia di uomini, cani polizziotto, sommozzatori cercano sotto uno spesso strato di ghiaccio formatosi da mesi, il corpo di Aldo Moro. Sulla prima pagina del Corriere della sera, gli avvocati delle Br sostengono la falsità del documento n. 7. Per esempio Guiso: «Chi ha dato credito a quel documento ha fatto perdere un giorno prezioso. Vi sono possibilità di trattare». E alla domanda: ma chi potrebbe essere il mediatore per un caso tanto delicato? Risponde: «Ho già detto l’altro ieri che se si vuole aprire una trattativa su basi politiche e reali, è necessario dialettizzarsi con Moro. Media¬tore potrebbe essere lo stesso presidente democristiano». Nasce così la tesi che Moro va rivalutato, che Moro deve essere intermediario di se stesso. I suoi scritti indicano la strada della salvezza. Sta alla Dc ed al governo accogliere o lasciare cadere le invocazioni di Moro. I partiti sul comunicato n. 7 (quello falso) dicono che le caratteristiche sono analoghe a quelle dei precedenti comuni¬cati «in ogni caso però, secondo gii esperti grafici, la certezza matematica che il comunicato n. 7 delle Br sia autentico non si potrà mai avere». Zaccagnini ha parlato di «speranza cristiana che in questa terribile prova ci unisce a Moro e alla sua famiglia». In extremis per salvargli ia vita viene lanciato un appello da Lotta conitinua e sollecitato da «Febbraio ’74», sottoscritto da Davide M. Turoldo, Baget Bozzo, Italo Mancini, Raniero la Valle. Heinrich Boell e altri. Turoldo dichiara: «Uno Stato che non vuol difendere Moro, difende molto meno me. E allora non so che farmene di uno Stato simile». Moro: «E’ morto o è vivo?» si chiede la Repubblica, nell’editoriale titola: «II pericolo di cedere» e prospetta ancora ipotesi che presup¬pongono autentico il comunicato che annunciava il “suicidio” di Moro, gettato nel lago della Duchessa. Per Washington Moro «Politicamente è ormai morto». Cossiga conferma al Senato: «Molti dubbi sul messaggio» (...). «C’è una larga improbabilità della fondatezza dell’indicazione data dalle Br: la presenza del corpo di Moro nel lago della Duchessa». Nessuno chiede a Cossiga come mai esprima giudizi di validità su un comunicato palesemente falso, rozzamente formato, privo di contenuto politico e delle caratteristiche della produzione brigatista. Cgil, Cisl e Uil sospendono tutti gli scioperi e le agitazioni. I sindacati sono riuniti in permanenza. La Malfa teme un altro 16 marzo (eppure ormai ha già fatto la lettera ai familiari...) Pajetta teme una svolta autoritaria (da pane di chi?). Moro intanto e ancora prigioniero delle Br ed attende che il suo partito risponda alle sue invocazioni di aiuto. Invano.

21 APRILE Arriva il vero “comunicato n. 7”, accompagnato da una foto del presidente della Dc con un giornale del giorno precedente che certifica che Moro e vivo. Il volantino, dopo aver affermato che il falso volantino del lago della Duchessa è una provocazione organizzata da Andreotti, dà 48 ore di tempo alla Dc per rispondere ad un ultimatum in cui si dichiari disponibile a trattare la liberazione di detenuti politici non specificati. Nel riferire il testo del messaggio, Sandro Viola sulla Repubblica afferma che le Brigate rosse, dopo aver aperto un varco con le lettere di Moro ora che hanno visto «crescere e farsi balanzoso il partito delle trattative» hanno sferrato il colpo che tenevano di riserva. Non è da meno il suo direttore Scalfari che in un editoriale dal titolo «Sacrificare un uomo o perdere Io Stato» conclude dicendo: «La decisione da prendere è infatti terribile perché sì tratta di sacrificare la vita di un uomo o di perdere la repubblica; purtroppo per i democratici la scelta non consente dubbi». Sarà citata da Craxi come esempio di inutile cinismo nella «Tribuna elettorale» del 10 maggio. In serata. Zaccagnini ha ricetuto un’altra lettera di Moro. Le Brigate rosse uccidono a Milano un marescialle di San Vittore: Lama si dichiara contro ogni trattativa, ma il sindacato è diviso. Giovanni, Bentivoglio e Didò si schierano per le trattative. Scalfari in altri due pezzi affannosi precisa che «iniziative avventurose sono state prese» sia dalla Cei, che ha invitato la Dc a scostarsi dalla linea di immobilità, e si muove per cercare di mettere in crisi l’iniziativa di Craxi favorevole ad esplorare possibili vie che portino alla liberazione di Moro. Trombadori, scontrandosi con Mimmo Pinto alla Camera, alla notìzia che Moro è vìvo ha affermato: «Vivo o morto. Moro è morto perché deve vivere la repubblica». Craxi si schiera per la trattativa: lo scambio dei prigionieri è tecnicamente impossibile. Ma possono esserci altre vie d’uscita e quelie vie bisogna esplorarle. Dichiara: «Sono andato a troppi funerali, e non voglio andare ad un altro». Ma c’è chi ha già a portata di mano il vestito nero. Terracini e Lombardo Radice, che avevano firmato l’appello per le trattative apparso su Lotta continua, vengono “processa¬ti” dal Pci, Lombardo Radice scrive una smentita pubblica del suo operato sull’Unità.

22 APRILE «Passa nel Psi la via della trattativa», scrive Pansa sulla Repubblica che contesta a Craxi di ricalcare in modo troppo meccanico la tesi dell’avvocato di Curcìo, Guiso. («Moro deve farsi mediatore fra le Br e lo Stato»). Claudio Signorile dice che il Psi è messo sotto accusa da tutta la stampa italiana e la spiegazione della scelta del partito arriva puntuale in un documento unitario, L’Unità invece insiste sull’intransigenza» e accusa «il partito della trattativa» di utilizzare le ore dramma¬tiche dell’odiosa minaccia alla vita di Moro per giocare una partita terribile sulla pelle della nostra repubblica. Secondo l’Unità, nel partito della trattativa emergono tre componenti. La prima è rappresentata da coloro che puntano alla destabilizzazione. Sono finti umanitari. Lotta continua, gli aperti eversori, La seconda componente raccoglie forze che obbediscono a calcoli di parte, che vogliono isolare il Pci presentandolo all’opinione pubblica come malato di statolatria. La e spa componente è quella dei familiari e degli amici di Aldo Moro. L’editoriale finisce con una domanda. «Diteci: chi vuole uccidere fisicamente e moralmente Aldo Moro?». (Saremmo tentati di dare una precisa risposta, certi dì non essere smentiti dai fatti). Baget-Bozzo, sulla Repubblica, sostiene che la Dc ha tre problemi il primo è il tipo di rapporti da instaurare con il Pci: il secondo problema che ha la Dc è il suo rapporto con la chiesa: il terzo è quello della composizione della sua classe politica. Achilli, del Psi. lamenta: «Troppi poteri alla polizia», e motiva le sue perplessità. Il solito Leo Valiani, credendo che il fenomeno Br si esaurisca lasciando Moro in balia dei brigatisti setenzia che se si dovesse cedere «poi saremmo condannati a un ricatto senza fine». Il Corriere pubblica in prima pagina questa ingenua affermazione. L’Unità si preoccupa di fare una biografia dell’avvocato di Curcio e dedicandogli enorme spazio in 5a pagina spiega «Chi è Giannino Guiso il legale di cui si parla, e che ha anticipato il contenuto dei messaggi». Quando l’avvocato intuisce le mosse dei brigatisti, sostiene il quotidiano del Pci, deve essere chiamato indovino, e quando suggerisce che Moro, lucido e presente a se stesso può essere il mediatore tra il suo partito e i brigatisti, è perfido! Non si trova sui giornali una dichiarazione di Guiso che prenda in considerazione il complimento. Secondo il Giornale, ostacoli insormontabili chiudono ogni possibilità di trattative con le Br. La legge non lascia alcuna scappatoia, L’Avvenire garantisce che «si esplora ogni via praticabile per salvare la vita di Moro», che verrà invece trovato cadavere il 9 maggio in via Caetani. Dalle pagine dell’Avanti! la direzione del Psi sollecita la responsabilità di tutte le Forze democratìche e l’impegno di difendere lo Stato e salvare la vita a Moro.

23 APRÌLE La Dc ha indicato nella Caritas internazionale, l’organizzazione umanitaria che può fare dei passi per Moro ribadendo però di non essere disposta a nessuna trattativa. Applausi dai banchi repubblicani. Sul loro quotidiano, trasformato in un bollettino di guerra, proclamano: «Il limite invalicabile». «La Democrazia cristiana – annunciano trionfanti – ha trasferito sul terreno privato e umanitario ogni iniziativa». Il papa scrive una lettera alle Brigate rosse pregandole «in ginocchio» di rilasciare Moro senza condizioni. Plauso di Scalfari, che sottolinea —- solenne come un film di Sartana —: «Dio perdona ma Cesare castiga». «II papa si è mosso con molta sapienza politica e dipiomaiica. dove chiede la liberazione del prigioniero senza condizioni e laddove accenna alla im possibilità per lui di mettersi in comunicazione coi rapitori di Moro che è un modo non equivoco di sollecitare una comunicazione diretta». In questura bisbigliano il nome del Psi a proposito delle indagini, informa Lotta continua. Il segretario generale dell’Onu si rivolge ai rapitori chiedendo di salvare la vita di Aldo Moro. Berlinguer in un intervento al convegno della Fgci riconferma più che mai la strada della fermezza e della collaborazione di ogni cittadino per combattere il terrorismo.

24 APRILE Francesco Alberoni si chiede sul Corriere della sera «Che cosa vogliono». Se dovessero uccidere Aldo Moro, rapirebbero subito qualcun altro con cui ricominciare il gioco. Curcio in assise a Torino, nell’udienza tragica del 10 maggio confermerà questa profezia. “Non crediate che sia finita!“, grida. Si fanno ipotesi. L’ultimatum è scaduto. La Dc insiste sull’intransigenza e sull’immobilismo». «Non si tratta!». Però si vivono “ore di ansia nella sede Dc di piazza del Gesù” mentre Berlinguer afferma che «cedendo al ricatto si arriverebbe alla guerra civile». Una volta rotto il principio — si dice — come potrebbe Io Stato respingere altri dieci, cento ricatti di terroristi che sequestrassero un qualsiasi cittadino? Bcrìinguer elogia Ìa Dc per la sua fermezza» Moro, intanto, nella “prigione del popolo” vede esaurirsi le ultime speranze. Le sue invocazioni di aiuto sono sostenute solo dai socialisti. In Moro subentra forse a questo punto la cristiana rassegnazione. Alla Caritas attendono una telefonata dalle Br. Waldheìm fa sapere che verrebbe in Italia per salvare Moro. Il Giorno rilancia la tesi della psichiatrizzazione di Moro sostenendo che la lettera a Zaccagnmi è «di pugno di Moro ma sicuramente non della mente di Moro», La tesi acuta e sottile viene sostenuta da Giovanni Ferrara. Bettino Craxi rilascia all’Avanti! una dichiarazione ove tra l’altro afferma che «la Dc ha assunto un’iniziativa che appoggiamo e che appoggeremo nei suoi sviluppi se questi saranno resi possibili. Non possiamo rassegnarci all’idea che nell’alternativa tra umanità e barbarie, debba essere quest’ultima, ancora una volta a prevalere». La Dc però non assumerà alcuna iniziativa.

25 APRILE L’anniversario della liberazione riserva la sorpresa del “comunicato n. 8” che chiede la scarcerazione di tredici detenuti politici in cambio della vita di Aldo Moro. La lista inizia con il nome di Sante Notarnicola, uno dei primi compo–nenti di nuclei di lotta armata e si conclude con Cristoforo Pìancone. accusato dell’omicidio dell’agente di custodia Cotugno, in Torino, Le reazioni della stampa sono decise. Una nuova lettera di Moro arriva a Zaccagnini. Il Corriere della sera dice che Moro è un condannato a morte che pare scrivere sotto dettatura. Eppure la lettera è lucidissima, lo stile è il suo. La lettera è anche il suo testamento spirituale e politico perché chiede che ai suoi funerali non partecipino nè autorità dello Stato nè uomini di partito. La famiglia farà rispettare questa deposizione testamentaria restituendo ad Aldo Moro quella dignità di cui i suoi “amici” Io avevano privato. Nonostante il comunicato, il difensore di Renato Curcio indica i punti che consentono una soluzione ragionevole, ove la Dc affronti il problema della liberazione. Ma le lunghe angosciose ore in piazza del Gesù, si concludono con un “doloroso rifiuto“ della Democrazia Cristiana. Galloni dice: «L’ipotesi indicata era stata già prospettata e respinta». Le decisioni sono prese ma resta da attendere. Ma che cosa?

26 APRILE Il Giorno pubblica una lettera dei figli a Moro. «Caro papà, sentiamo il bisogno dopo tanti giorni, di farti giungere con queste poche righe, un segno del nostro affetto...». Appello dell’Onu alle Brigate rosse. La Repubblica, i repubblicani e i comunisti criticano l’appello, sostenendo che vi è un riconoscimento politico dei brigatisti e che Waldheim ha trattato il problema come se fosse un problema tra Somalia e Etiopia. Cinquanta personalità del mondo cattolico firmano un appello in cui affermano che le lettere «non sono parole di Moro». Craxi propone una iniziativa autonoma dello Stato italiano. L’Unità mette in rilievo come il segretario del Psi. nonostante tutto, parli ancora di negoziati escludendo soltanto l’ipotesi dello scambio dei prigionieri. L’appello delle personalità cattoliche che smentiscono le lettere viene portato in prima pagina con grande rilievo dall’Unità.

27 APRILE Craxi si è incontralo con Zaccagnini. Si parla di una proposta di grazia per tre terroristi non colpevoli di delitti gravi. Piccoli comunque dichiara che la Dc non muta posizione. Le Br sparano al democristiano Mechelli, ex presidente della regione Lazio. Piazzesi in una lettera aperta al suo giornale — che lo ha emarginato in quanto favorevole alla linea del Psi — si schiera apertamente per le trattative, sostenendo di non condividere le posizioni del Pci e del Pri. L’Avaniti!, rispondendo a La Malfa, afferma che sono insi–nuazioni fuori luogo quelle per cui il Psi vorrebbe incrinare la maggioranza parlamentare. Viene anche precisato che se questo è avvenuto o è stato minacciato non è stato fatto dal partito socialista ma da qualcun allro. Esplodono sulla stampa i casi Craxi e Waldheim. Uno criticato per il suo continuare a cercare tutte le possibili soluzioni del caso e l’altro accusato di aver dato troppo valore politico alle Br con il suo appello. Tra Fanfani e i Moro, 20 minuti di colloquio. Pecchioli. Mammì e Romita respingono immediatamente la proposta di Craxi. Quanto a Scalfari,indignato, afferma che Waldheim ci ha scambiati per il Libano. La Repubblica si allarma che Craxi proponga la grazia per tre terroristi ma afferma che la Dc rifiuta ogni cedimento. In un’intervista, il vicesegretario del Psi Signorile precisa la posizione del suo partito: «Perché non tentare? E’ sempre meglio che restare immobili ad aspettare la notizia di un assassinio».

28 APRILE Aniello Coppola su Paese sera critica la posizione possibilista del Psi che chiede alla Dc e al governo di esplorare tutte le possibili vie percorribili nel rispetto della legge e della costitu-zione. Conclude che se lo Stato desse il segnale che il delitto paga, sarebbe davvero il principio della fine. (Infatti, sarà la fine di Aldo Moro). Il Corriere della sera raccoglie una frase dì Bettino Craxi «La battaglia per salvare Moro è solo all’inizio». Infatti il Psi insiste sulla via umanitaria, mentre gli altri partiti sono per la linea dura. Zaccagnini dà a Craxi significativi incoraggiamenti, tuttavia non fa nulla di concreto per smuovere le acque della palude. Il Pci che aveva detto che se si fosse ceduto si sarebbe dato l’avvio ad una serie indeterminata di delitti adesso comincia a preoccuparsi. E se l’iniziativa di Craxi riuscisse a sfondare nella Dc? In Vaticano però ora sono contrari alle trattative Dc-brigatisti (Corriere della sera), mentre la Dc dice di essere in «ansiosa attesa di un segnale delle Brigate rosse sulla sorte del presidente Dc». Martellante, continua la campagna per affermare che Aldo Moro “NON E’ LUI”. Franco Fortini sul Manifesto smaschera in un bell’intervento il preciso interesse politico che si nasconde dietro questa scelta. «Noi vogliamo che Aldo Moro viva. Lo vogliamo non solo perche non si debbono distruggere nè le persone nè soprattutto le memorie e tutti devono vivere e sapere, cioè sapere per vivere diversamente; ma anche per un preciso interesse politico, e cioè perché la sua sopravvivenza disarmi il partito degli eroici furori, i difensori di uno Stato che sarebbe solo forte per la debolezza dei più, i virtuosi della intimidazione e della demagogia».

29 APRILE In un discorso al paese alla Tv, Andreotti sancisce chiaramente il rifiuto del governo a trattare con le Br. “Non esistono falchi e colombe nella maggioranza. Abbiamo giurato di rispettare e di far rispettare la legge questo è un limite che nessuno di noi ha il diritto di valicare” Plauso dell’Unità. «Sulla fermezza del governo non può esserci discussione». (Ma chi aveva detto di infrangere la legge?) Scalfari va all' affondo. Col titolo “Colombe blindate” definisce la proposta di Craxi “un topolino partorito da una montagna di chiacchiere”. Incapace di affrontare la questione nei termini reali (il raggiungimento del massimo scopo — la salvezza di Moro - col minimo prezzo). Scalfari si invischia in un contorto ragionamento politico il cui nocciolo è questo: chi cerca di salvare Moro e un reazionario. Queste argomentazioni non sopravviveranno due giorni, ma restano consegnate sulla carta stampata a marcare il limite più basso raggiunto dalla polemica dei “falchi” nei due mesi neri dell’affare Moro.

30 APRILE II Leit-motiv è: «Sesto messaggio del presidente rapito scritto nella costrizione del carcere del popolo. Dc e governo fermi nel NO a ogni trattativa dopo la drammatica lettera di Moro». «Guai, caro Craxi, se la tua iniziativa fallisse», scrive il presidente Dc esortando il segretario socialista che non ha abbandonalo la ricerca di una soluzione per liberarlo. Perché un democristiano si affida ad un socialista e non ad un “amico” del suo autorevole partito? La Dc si è dimenticata del suo presidente che muore. Lo spirito cristiano del partito di Zaccagnini si è polverizzato di fronte agli appelli di un uomo e di uno statista. L’immobilismo degli altri condanna Moro. La Dc pensa alle elezioni, il Psi pensa alla vita di Aldo Moro. Scalfari prosegue: «Le lettere di Moro dal carcere possono avere molli fini e prestarsi a molti usi (...). Annunzia con cinismo che e nato il “partito della famiglia”, coi suoi leader politici, i suoi plenipotenziari, i suoi organi di stampa, la sua rappresentanza parlamentare che comprende perfino Marco Pannella. Moro guida da lontano. Lo scollamento a questo punto e completo. Il solo aspetto positivo è che, finché lo scollamento aumenta, la vita di Moro è certamente al sicuro». Scalfari riesce ora a speculare anche sugli ultimi messaggi di un condannato a morte... Si vuole dunque che Moro taccia per sempre.

1 MAGGIO Il Corriere della sera titola a piena pagina: «Pressante e duro appello della famiglia Moro alla Dc dopo l’arrivo di sette lettere del prigioniero delle Br». Nel comunicato la famiglia usa parole durissime contro la Dc: «Sappia la delegazione democristiana che il comportamento di immobilità e di rifiuto di ogni iniziativa ratifica la condanna a morte». I messaggi alla Dc sono stati recapitati a Leone, Fanfani, Ingrao, Andreotti, Piccoli, Misasi e Craxi. Forse anche a Galloni e a Berlinguer. Solo Craxi renderà pubblico lo scritto a lui inviato dal presidente della Dc. Si celebra oggi il primo maggio e Ugo Indrio sul Corriere della Sera commenta: “Il movimento dei lavoratori è tutt’altro che compatto, sebbene tale sia apparso nella grande adunata a piazza San Giovanni il 16 marzo, poche ore dopo la strage di via Fani e il rapimento dì Moro”. Claudio Martelli della direzione del Psi scrive un pezzo sul Corriere della sera a favore dell’autenticità delle lettere di Moro. Afferma tra l’altro: “Sin dall’inizio, una sorta di disposizione all’incredulità ha accompagnato la disposizione all’intransigenza esibita da molte parti, giornalistiche e politiche. L’incredulità riguardo le lettere di Moro è andata crescendo sino a tramutarsi in ostilità, in rapporto al carattere vieppiù angosciato dì ciò che scrive il presidente della Dc e al cresere delle critiche nel confronti delle forze politiche maggiori. segnatamente rivolte al ristretto gruppo dirigente della Dc che ha seguito l’evolversi del caso. Non doversi prendere in seria considera–zione le lettere di Moro è stata la consegna del Pci (...). Costoro sembrano più preoccupati della “memoria” di Moro che non della sua vita e si disputano l’ìnterpretazione di uno siile e di una vita che non è ancora perduta». Afferma ancora Martelli: «Perché non leggere le lettere di Moro come quelle di un prigioniero lucido anche se disperato anche perché ormai da 45 giorni si sente abbandonato?». Nella stessa pagina Giuseppe Ferrari, ordinario di diritto pubblico alla facoltà di giurisprudenza di Roma afferma a proposilo della presunta proposta avanzata da Moro di pro–porre l’adozione del provvedimento deIl’esilio per coloro che sono detenuti nelle carceri italiane per motivi politici: «Nessuno poteva avere tanta immaginazione da immaginare che un giorno un gruppo di assassini fanatizzati avrebbe potuto ridurre in schiavitù uno degli uomini più eminenti della politica internazionale, soggiogandolo sino a dare l’impressione che abbia smarrito la propria identità». Sempre sulle lettere di Moro, il Corriere mette in evidenza che «La Dc è nella tempesta. Le nuove lettere dì Moro, i suoi appelli sempre più disperati, gli ultimatum delle Brigate rosse. Ma soprattutto il conflitto con la famiglia Moro esploso con effetti forse irrimediabili e una situazione interna che dietro l’unanimità di vertice lascia trasparire molto nervosismo», Zaccagnini ha già scelto che sarà la direzione a prendere le decisioni finali. La nuova ondata di lettere di Moro ha portato anche gli altri partiti ad esprimersi nuovamente”. Craxi afferma: «Noi respìngiamo le assurde richieste dei terroristi, ma anche la linea del rifiuto pregiudiziale ad esplorare altre vie, cosi come hanno fatto altri Stati democratici. Non sì salva la repubblica lasciando uccidere Moro». L’Unità in un corsivo afferma che «una cosa sola sia certa: ciò che esce dalla prigione è ciò che pensano e vogliono i suoi carcerieri». Su posizioni vicine ai comunisti sono i repubblicani. Nel Psdi, Saragat è pienamente favorevole alla linea Craxii, Preti contrario. Romita sta in mezzo. I liberali giudicano «del tutto sconcertante l’atteggiamento di Craxi e di chi, con lui. accredita, se pur involontariamente, la linea del ricatto permanente delle Brigate rosse». Pannella sollecita un dibattito in Parlamento sul caso Moro.

3 MAGGIO La Repubblica titola «Battaglia sul piano Craxi. Andreotti e Berlinguer ribadiscono la fermezza. La Dc incerta si rimette al Governo». Viene dato l’annuncio che la Democrazia cristiana dopo l’ncontro della sera precedente con la delegazione socialista ha deciso di rimettersi al governo. Le cronache dei giornali mettono in evidenza che la delegazione socialista ha cercato di riversare la responsabilità dell’iniziaiiva sulle spalle di Zaccagnini, cioè di chiedere un provvedimento di clemenza e, afferma la Repubblica «Craxi se ne dice sicuro, ciò permetterebbe la liberazione di Moro».Viene anche riferito che nella giornata di ieri Craxi ha incontrato sia Berlinguer che Andreotti. Sia Berlinguer che Andreotti hanno risposto: no. Per questo Craxi ha cercato di far pressione sulla Democrazia cristiana. Questo si deduce dalla cronaca della giornata redatta dalla Repubblica che titola anche «Col Pci gelido incontro». Sui risuItati di quest’ultimo Perna che accompagnava Ber–linguer ha dichiarato che il Pci non rifiuta «di appoggiare qualunque tentativo umanitario che sia rispettoso della sovranità dello Stato e dei principi del regime democratico e delle leggi. Non ci rifiutiamo di appoggiare tentativi umanitari a queste tre condizioni molto precise», Il Corriere della sera del 3 maggio ha per la prima volta un atteggiamento possibilista. Titola infatti in prima pagina; «Si prospetta la liberazione di qualche brigatista non colpevole di omicidi. Ora Craxi punta ad un atto di clemenza. Più flessibìle la posizione della Dc. Pri e Pci confermano il loro rifiuto allo scambio (...) Il segretario del Psi avrebbe già pronto un elenco di detenuti ai quali si potrebbe concedere la grazia. Un varco di disponibilità nel Psdi». L’Avanti! titola sempre in prima pagina: “Colloqui di Craxi con Andreotti e Berlinguer – Riunone tra le delegazioni DC e PSI. Incontri tra i partiti. Possibile una soluzione?” Viene data notizia che “nella tarda serata si è svolto un incontro ufficiale a piazza del Gesù tra la delegazione DC, guidata da Zaccagnini, e quella socialista composta da Craxi, Signorile, Balzamo, Cipellini, Di Vagno”. L’ufficio stampa del PSI ha poi diffuso il seguente comunicato: “Nel corso del colloquio il segretario socialista ha confermato l’appoggio del PSI al governo ed ha ribadito la convinzione che sia necessaria un’iniziativa autonoma dello Stato, nell’ambito delle leggi e dei poteri costituzionali, volta a conseguire il fine umanitario sul quale concordano tutte le forze politiche”. Repubblica afferma invece che non esisterebbe una terza via. “Stranamente” per il direttore di Repubblica questa volta anche Moro lo afferma nelle lettere che dicono, “La terza via è una menzogna con la quale si cerca di nascondere il negoziato. Craxi non propone altro che la grazia o la libertà provvisoria per alcuni detenuti e una riforma del regime carcerario. Tutte cose che le BR hanno chiesto direttamente o attraverso le lettere di Moro o per gli interposti uffici del loro avvocato”. Riferendosi alla prigionia di Moro afferma: “Quelle grida, comunque finisca questa vicenda, nessuno di noi potrà scordarle mai più”. Il documento di lavoro socialista prevede l’unamizzazione delle carceri e la liberazione di alcuni brigatisti. Dopo che la famiglia Moro ha rivendicato con forza l’autenticità delle lettere del proprio congiunto, in Vaticano si percepisce una situazione di silenzio e di imbarazzo. La Repubblica annuncia che se si arrivasse al dibattito in Parlamento sulla proposta Craxi, potrebbe essere messa in gioco la stabilità del governo. E’ da notare che l’editoriale del Corriere della sera è di Romano Prodi (su inflazione e sviluppo economico). Il Giornale titola dando notizia che Fanfani e Ingrao hanno respinto l’appello di Moro, e in un editoriale di Montanelli viene affermato che a questo punto sarebbe un atto di pietà chiedere l’atto di decesso politico di Moro. L’Unità affermando che il PCI ribadisce la sua posizione di fermezza e dando notizia dei colloqui di Berlinguer con Andreotti e Zaccagnini e Craxi, precisa in un editoriale (“Limite invalicabile”): “Quando diciamo nessuna concessione, intendiamo dire no a qualsiasi atto che significhi entrare in un qualsiasi rapporto contrattuale con le BR. Tale sarebbe anche un cosiddetto patteggiamento mutuo tra Stato e BR”. La Voce repubblicana denuncia il cosiddetto “partito delle trattative”. Riportiamo testualmente:“ Sembra attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e necessariamente quindi degli inquirenti, il problema della via più o meno nascosta attraverso cui le BR fanno pervenire ai rispettivi destinatari le ormai numerose lettere attribuite all’on. Moro. A tale riguardo i membri della famiglia, appunto per il loro stato angoscioso e affettivo, sono fuori dal dovere di dare qualunque indicazione. Ma tutte le altre persone che si sono intensamente occupate della drammatica vicenda e continuano ad occuparsene, sono proprio sicure di non potere fare o dire nulla che faciliti o dia addirittura il successo ale indagini della magistratura e delle forze dell’ordine? E non si può assumere qualche responsabilità al riguardo proprio al fine di fare tutto il possibile per salvare la vita dell’on Moro senza cedere al ricatto?”. Il Lavoro di Genova riporta l’intervista all’avvocato Giannino Guiso. Alla domanda “cosa pensa della lettera di Moro e dell’azione del PSI?” Guiso risponde: “ La lettera di Moro recapitata al Messaggero dimostra, al di là di ogni dubbio, quanto sia stata opportuna la posizione presa dal PSI e dal suo segretario, Craxi, in circostanze drammatiche e con l’opposizione incessante degli altri partiti. Il merito dei socialisti è di non avere accettato subito la logica della passività e della falsa fermezza e dell’immobilismo colpevole e l’aver capito che non è qui in gioco il prestigio dello stato – ben altrimenti compromesso – ma la vita di un uomo. Credo che se Moro è rimasto in vita fino a poter scrivere quella lettera, lo si debba – come egli stesso riconosce – all’intervento instancabile di noi socialisti”.

4 MAGGIO Il titolo d’apertura del Corriere mostra che la possibilità di una ricerca di vie per la salvezza di Moro è ormai pressoché nulla. In netta contrapposizione con l’apertura possibilista del giorno precedente il quotidiano milanese scrive che: “la DC ha affidato al governo la valutazione delle proposte umanitarie per Moro. Andreotti deciso ad assicurare al paese che nessun terrorista verrà scarcerato”. Si palesa così la linea dura del Governo. Il sottotitolo rincara: “Non si ipotizza la benché minima deroga alle leggi e non si dimentica il dovere morale del rispetto del dolore delle famiglie che piangono le tragiche conseguenze dell’operato degli eversori”. Anche la segnalazione delatoria lanciata il giorno precedente dalla Voce repubblicana affinché i collaboratori di Moro venissero interrogati è stata accolta: “Il procuratore generale della Repubblica, Piero Pascolino, ha deciso di ascoltare i più stretti collaboratori dello statista rapito per chiedere loro se esiste realmente un canale diretto tra le Brigate Rosse le la famiglia Moro”. L’Unità rende in modo più che mai esplicito, al di là delle parole, il risultato dell’incontro di due giorni prima tra Berlinguer e il segretario del PSI, Craxi. Testualmente: “Quando si insiste sulla fermezza e sul rifiuto di cedere al ricatto non è perché in qualcuno sia meno forte la pena per la vita di un uomo che, tra l’altro, avrebbe ben capito ciò che stiamo scrivendo, e nemmeno perché si voglia difendere un generico ed astratto prestigio dello Stato che prevarica le ragioni dell’umanità. E’ in questione ben altro: la vita, la libertà, la sicurezza di tutti”. Onde non lasciare dubbi sulle proprie scelte, l’organo del PCI segnala nuovamente uomini del “partito delle trattative”. All’attenzione della polizia “colpisce sempre più il modo come alcune persone – l’avvocato Guiso,ma anche altri – parlano delle BR: rivelano una conoscenza sorprendente non solo della loro visione politica, ma anche delle mosse che esse compiono e perfino delle loro intenzioni” L’insinuazione è trasparente: Dalla condanna a morte di Moro si passa alla denigrazione e all’intimidazione. Craxi dà un’intervista ad Epoca in cui spiega i termini esatti dell’iniziativa socialista presa nei confronti del caso Moro. L’Avanti! La riporta integralmente. E’ ormai chiaro che il governo, marcato strettissimo dal PCI, ha chiuso ogni spiraglio che la DC aveva potuto aprire, spinta dai socialisti. Ed è come se una pietra calasse sul sepolcro di Moro, abbandonato in balìa dei carnefici.

5 MAGGIO La stampa riporta la notizia degli interrogatoridei tre principali collaboratori della famiglia Moro: Rana, Guerzoni, Freato. Le indagini continuano senza precisi criteri, con battute e perquisizioni in varie parti di Italia. Le BR compiono due attentati, uno a Genova e l’altro a Milano contro due dirigenti della Sit-Siemens e l’altro dell’Italsider. Il PCI chiede più decisione, mentre il PSI insiste per salvare la vita a Moro, affermando che le ricerche più energiche non escludono di lavorare ancora per liberare il leader democristiano. Inizia l’attacco sistematico e crescente contro l’avv. Guiso e quei socialisti che più si adoperavano nel ricercare ogni possibilità per la salvezza della vita di Moro. Guiso è iscritto al PSI, che si è avvalso della sua esperienza di legale che conosce le modalità dei sequestri. Il primo attacco proviene dal Giorno che prende pretesto da un libro scritto da Guiso nel settembre ’77 dal titolo “L’uomo senza diritti. Il detenuto politico”. Di questo saggio vengono estratti brani e passati al setaccio per poter affermare: “A questo punto sarebbe forse opportuno che l’avvocato di Curcio e della Mantovani accettasse di spiegare più a fondo, proprio perché sulla sua azione di “legale” e sulla sua militanza socialista non pesi alcun dubbio, quali siano esattamente le basi della sua ideologia”. La malafede di questa affermazione è evidente poiché non esistono dubbi sulla collocazione politica di Guiso che si è battuto fino all’ultimo per salvare la vita di Moro. La Stampa in un articolo di Fabrizio Carbone arriva addirittura ad affermare: «Un saggio sconcertante. Soprattutto per le tante analogie tra questo scritto e i volantini e i quaderni 4 e 5 delle Br». Come dire: prendete Guiso, è lui l’autore dei documenti delle Br! Stupisce la preveggenza – o come chiamarla? – del foglio comunista, che quando ancora non si conosce la sorte di Moro già si parla di uccisione.

6 MAGGIO Le Brigate rosse fanno pervenire il comunicato “numero 9”. “Concludiamo la battaglia eseguendo la sentenza a cui Moro è stato condannato”. Dai giornali si apprende anche che: “nella mattinata il comitato interministeriale per la sicurezza, discutendo la proposta socialista di un atto di clemenza aveva ribadito che lo Stato non può fare concessioni”. La Repubblica può finalmente titolare “L’assassinio di Moro preannunciato dalle BR”. L’Unità addirittura precorre “Gli assassini annunciano l’uccisione di Aldo Moro” (che però non è ancora avvenuta). Ed ecco le consegne del PCI per il sacrificio supremo : Mai come in questo momento sono necessari nervi saldi, sangue freddo, coraggio. Nessun abbandono a recriminazioni, speculazioni, calcoli di parte. L’unità del popolo italiano e delle forze politihe in cui il popolo si riconosce e si esprime è in questo momento l’argine più solido, il bene più prezioso da salvaguardare e questa unità va consolidata ed estesa a tutti i livelli nel tessuto vivo del paese. Per aver lavorato a costruire questa unità, non dimentichiamolo, Aldo Moro è stato rapito il 16 marzo. Unità e rinnovamento. E’ nella coscienza più profonda delle masse che una svolta è indispensabile”. Le speranze si affievoliscono. L’avvocato Spazzali dichiara, appena appreso il testo del “comunicato numero 9”: “Dalle parole del comunicato numero 9 non c’è spazio per pessimo né per ottimismo. Sono entrambi superati. Ogni interpretazione non può che essere banale. Si è aspettato troppo tempo. Alla richiesta di scambio non c’è stata nessuna proposta valida per bilanciare la trattativa. A questo punto c’è solo da domandarsi chi voleva veramente Moro vivo. Nessuno. Né le BR, né la DC. Solo la moglie e i figli”. Fanfani si reca a trovare la famiglia Moro. Il vescovo di Ivrea, monsignor Bettazzi, si offre alla BR in cambio di Moro. Continua l’attacco all’avv. Guiso. Questa volta a portarlo avanti è l’Unità.

7 MAGGIO Le forze politiche sono attestate in una posizione di attesa. Non si parla più né di trattativa, né di non trattativa. Le indagini sono ferme. Vengono effettuati 23 arresti a Roma, ma non sembrano vi siano indizi certi. A Novara sparano contro il medico delle supercarceri. Il Corriere della sera riporta un articolo su Gianni Guiso: “Fallita l’ultima mossa dell’avvocato di Curcio. E’ uscito sconvolto da un colloquio con i brigatisti rinchiusi nel carcere di Torino”. Nell’articolo si afferma: “Guiso è l’avvocato che con i suoi interventi e le sue prese di posizione è venuto ad assumere nella tragedia che il paese sta vivendo un ruolo particolare, a volte ingrato, a volte sfuggente, sempre difficile…I colloqui dell’avvocato con Renato Curcio e altri brigatisti si sono protratti senza sosta, in un crescendo che si può intuire drammatico, da mezzogiorno alle 15.30. Quando è uscito dal carcere Giannino Guiso era il ritratto di un uomo straziato, sconfitto”. Sempre il Corriere della sera titola: “Cupo silenzio dei terroristi sulla sorte di Aldo Moro. Zaccagnini: “La DC è ferita, ma non cederà mai”. Si Annuncia che alla famiglia è arrivato un messaggio poche ore dopo il Comunicato N. 9”. Si Preannunciano misure efficaci per colpire i fiancheggiatori delle BR, Corriere della sera: “Un piano del procuratore di Roma per colpire l’area dei consensi. L’iniziativa è di Pietro Pascolino. Anche a chi non fa parte delle BR, ma ne condivide l’ideologia, possono essere contestati i reati di cospirazione politica e di banda armata”. La Repubblica: “Nuova iniziativa della famiglia dopo un’ultima lettera del leader rapito. Disperato appello per Moro. Concedete la grazia ad almeno uno dei 13 detenuti”. “Per Zaccagnini cedere alle BR è la fine della democrazia”.

8 MAGGIO I giornali riflettono il pesante clima di attesa dopo il comunicato N 9.

9 MAGGIO Colpito un sindacalista dell’INAM. Colpito un sindacalista del PCI alla Sit-Siemens. Fanfani “Muoversi e non vivere alla giornata”.

10 MAGGIO I giornali annunciano il ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure, poco distante da piazza del Gesù. Una telefonata alla segreteria del presidente della DC era giunta alle 13, con le opportune indicazioni. La famiglia Moro diffonde il seguente comunicato: “La famiglia desidera che sia pienamente rispettata dalle autorità dello Stato e di partito la precisa volontà di Aldo Moro. Ciò vuol dire: nessuna manifestazione pubblica o cerimonia o discorso: nessun lutto nazionale, né funerali di Stato o medaglie alla memoria. La famiglia si chiude nel silenzio e chiede silenzio. Sulla vita e sulla Morte di Aldo Moro giudicherà la storia”. Il giorno dopo, la salma di Moro è tumulata dalla famiglia in un paesetto del Lazio, I funerali di Stato, il governo dovrà farli senza la bara.(da [critica sociale]http://www.criticasociale.net)

Le ipotesi, le indagini e i processi

La strage, il sequestro, la detenzione, i coinvolgimenti e le manovre intorno alle cause ed ai metodi della sua eliminazione, ancora non sono chiaramente identificabili in tutti i loro dettagli, malgrado parecchi processi e numerose indagini separate, condotte sia all'interno del paese che a livello internazionale.

Anche, ad esempio, le indagini esperite per verificare eventuali contatti e collegamenti con l'omologa organizzazione tedesca RAF, che non molto tempo prima aveva realizzato un'azione analoga e dalle inquietanti similitudini (sequestro dell'industriale tedesco Schleyer, massacro della sua scorta ed infine uccisione dell'ostaggio a seguito di trattative infruttuose), non ebbero seguito, per quanto l'avvocato Denis Payot venne incaricato dai familiari di Aldo Moro di tentare una trattativa per la liberazione.

La morte di Moro è stata oggetto di diverse speculazioni e teorie. La stampa ad esempio ipotizzò, a seguito delle interviste ad alcuni brigatisti catturati, che le BR avessero puntato su Moro ritenendo che l'obiettivo suppostamente prescelto dai terroristi, Giulio Andreotti, risultasse troppo protetto. Lo stesso Andreotti però smentì la fondatezza dell'assunto, pubblicamente raccontando che ogni mattina abitudinariamente si recava di buon'ora, a piedi e del tutto solo, a messa in una chiesa vicina alla sua abitazione; come obiettivo, affermò, era anche eccessivamente facile.


Il possibile coinvolgimento della P2

Qualcuno ha ipotizzato che nell'omicidio di Moro possa essere stata in qualche modo implicata la loggia massonica coperta P2 di Licio Gelli, o anche che le Brigate Rosse possano essere state infiltrate dall'intelligence degli Stati Uniti (CIA) o dall'Organizzazione Gladio, la rete clandestina della NATO destinata a contrastare l'influenza sovietica nei paesi dell'Europa Occidentale. Secondo queste teorie, Mario Moretti sarebbe stato "eterodiretto" durante il sequestro.

Il giornalista Mino Pecorelli, sulla sua rivista Osservatorio politico pubblicò un articolo intitolato "Vergogna, buffoni!", sostenendo che il generale Dalla Chiesa fosse andato da Andreotti dicendogli di conoscere la prigione di Moro, non ottenendo il via libera per il blitz a causa della contrarietà di una certa "loggia di Cristo in paradiso". L'allusione alla P2, i cui affiliati controllavano i punti chiave dello Stato, fu chiara soltanto in seguito. Il 20 marzo 1979 Pecorelli viene ucciso a colpi d'arma da fuoco. Nel 1992 il pentito di mafia Tommaso Buscetta rivela che l'uccisione fu eseguita dalla mafia - con la manovalanza romana della banda della Magliana - per "fare un favore ad Andreotti", preoccupato per certe informazioni sul caso Moro: Pecorelli avrebbe ricevuto dal generale Dalla Chiesa (di cui si conosce una domanda di adesione alla P2, ma apparentemente senza seguito) copia degli originali delle lettere di Aldo Moro che contenevano pesanti accuse nei confronti di Giulio Andreotti, e vi avrebbe alluso in alcuni articoli di OP. Della circolazione in quegli anni a Roma di una versione integrale delle lettere di Moro scoperte dai carabinieri nel covo milanese di via Montenevoso (delle quali solo un riassunto fu nell'immediato reso pubblico, il cosiddetto Memoriale Moro, mentre il testo integrale saltò fuori solo nel 1990 durante una sospetta "ristrutturazione" dell'appartamento che aveva ospitato il covo) è prova un episodio verificatosi qualche anno dopo: al congresso di Verona del 1983 Bettino Craxi diede lettura di una lettera di Aldo Moro, pesantemente critica verso i suoi compagni di partito, il cui testo non risultava da nessuno degli atti pubblicati fino a quel momento; la cosa fu considerata una sottile minaccia - nell'ambito della guerra sotterranea tra la DC ed il PSI - e produsse animate critiche che raggiunsero anche l'ambito parlamentare [5]. Nel processo a suo carico, Andreotti in primo grado ebbe l'assoluzione, mentre la Corte d'Assise d'Appello di Perugia il 17 novembre 2002 lo ha condannato a 24 anni di reclusione. Andreotti ha presentato ricorso in Cassazione, che ha dichiarato annullata senza rinvio la condanna rendendo definitiva l'assoluzione di primo grado.

Il possibile coinvolgimento della CIA

L'ex vicepresidente del CSM ed ex vicesegretario della Democrazia Cristiana Giovanni Galloni il 5 luglio 2005, in un'intervista nella trasmissione NEXT di Rainews24[6], disse che poche settimane prima del rapimento, Moro gli confidò, discutendo della difficoltà di trovare i covi delle Br, di essere a conoscenza del fatto che sia i servizi americani che quelli israeliani avevano degli infiltrati nelle BR, ma che gli italiani non erano tenuti al corrente di queste attività che sarebbero potute essere d'aiuto nell'individuare i covi dei brigatisti. Galloni sostenne anche che vi furono parecchie difficoltà a mettersi in contatto con i servizi statunitensi durante i giorni del rapimento, ma che alcune informazioni potevano tuttavia essere arrivate dagli USA:

«Pecorelli scrisse che il 15 marzo 1978 sarebbe accaduto un fatto molto grave in Italia e si scoprì dopo che Moro doveva essere rapito il giorno prima...l'assassinio di Pecorelli potrebbe essere stato determinato dalle cose che il giornalista era in grado di rivelare»

Lo stesso Galloni aveva già effettuato dichiarazioni simili durante un'audizione alla Commissione Stragi il 22 luglio 1998 [7], in cui affermò anche che durante un suo viaggio negli USA del 1976 gli era stato fatto presente che, per motivi strategici (il timore di perdere le basi militari su suolo italiano, che erano la prima linea di difesa in caso di invasione dell'Europa da parte sovietica) gli Stati Uniti erano contrari ad un governo aperto ai comunisti come quello a cui puntava Moro:

«Quindi, l'entrata dei comunisti in Italia nel Governo o nella maggioranza era una questione strategica, di vita o di morte, "life or death" come dissero, per gli Stati Uniti d'America, perché se fossero arrivati i comunisti al Governo in Italia sicuramente loro sarebbero stati cacciati da quelle basi e questo non lo potevano permettere a nessun costo. Qui si verificavano le divisioni tra colombe e falchi. I falchi affermavano in modo minaccioso che questo non lo avrebbero mai permesso, costi quel, che costi, per cui vedevo dietro questa affermazione colpi di Stato, insurrezioni e cose del genere.»

Il possibile coinvolgimento del KGB

Alcuni ritengono che le Brigate Rosse siano state efficacemente strumentalizzate da alcuni poteri nascosti (secondo alcuni le loro azioni dimostrerebbero che effettivamente non hanno realmente combattuto per la pretesa causa comunista), ma nessuna prova concreta di questa ipotesi è stata mai trovata.

Altri (articolo di Panorama del 2005[senza fonte]) invece affermano che almeno alcune azioni terroristiche delle Brigate Rosse erano state richieste dal KGB, il servizio segreto russo. Tra questi il senatore Paolo Guzzanti, giunto a questa conclusione dopo aver presieduto per 2 anni la Commissione parlamentare d'inchiesta sul dossier Mitrokhin[8]. Nel novembre 1977 Sergej Sokolov, studente presso l'Università La Sapienza di Roma, avvicina Moro per chiedergli di frequentare le sue lezioni. Nelle settimane successive, si fa notare per le domande sempre più indiscrete che fa agli assistenti circa l'auto e la scorta, tanto da suscitare anche qualche sospetto in Moro che raccomandò al suo assistente di rispondere vagamente ad eventuali domande dello studente. Nel 1999, in seguito allo scoppio dello scandalo Mitrokhin, si sospetterà che Sergej Sokolov sia in realtà Sergey Fedorovich Sokolov, ufficiale del Kgb avente come copertura un lavoro come corrispondente della TASS (report Impedian 83), che doveva operare a Roma dal 1981 al 1985, ma era stato richiamato in patria nel 1982. Sergej Sokolov incontra l'ultima volta Moro la mattina del 15 marzo. Da allora nessuno lo incontra più. Nel maggio 1979 i brigatisti Valerio Morucci e Adriana Faranda, due degli ideatori del sequestro, vengono arrestati a Roma nell'appartamento di Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto, con il rinvenimento nell'abitazione della mitraglietta skorpion usata per assassinare Moro. Nel Dossier (report Impedian 142) si parla di Giorgio Conforto come agente del KGB, nome in codice "Dario", capo rete dei servizi strategici del Patto di Varsavia, ma si dice anche che sia lui che la figlia erano estranei alle attività dei due terroristi e che, proprio in seguito alle indagini di cui sarebbe stato probabilmente oggetto dopo l'arresto dei brigatisti, i servizi sovietici decisero di "congelare" la sua attività di spia.

Francesco Cossiga durante la sua audizione alla Commissione Stragi sostenne che in un primo tempo era anche stato ipotizzato che il rapimento di Moro fosse stato effettuato su comissione dei servizi segreti degli stati del Patto di Varsavia, ma che il comando NATO non riteneva che il politico potesse conoscere informazioni riservate sull'Alleanza Atlantica tali da considerare il suo rapimento un pericolo per la stessa (ma nel suo memoriale Moro parlerà di una struttura stay-behind simile a Gladio, la cui esistenza allora era ancora ufficialmente segreta). Cossiga sostemne che gli Stati Uniti, al contrario di altre nazionia lleati come la Germania, si rifiutarono di fornire all'Italia il supporto diretto delle loro agenzie di spionaggio, proprio per il fatto che il rapimento di Moro, a quanto ritenevano, non costituiva pericolo per gli interessi americani; gli USA si limitarono quindi, su insistenza di Cossiga, a mandare in Italia Steve Pieczenik (a volte riportato come Pieczenick), ufficialmente uno psicologo dell'ufficio antiterrorismo del Dipartimento di Stato statunitense, esperto in casi di rapimento, il quale riteneva si dovesse fingere una trattativa per poter proseguire le indagini ed individuare i brigatisti che tenevano prigioniero Moro.[9]

Il falso "comunicato n. 7" e la scoperta del covo di via Gradoli

Altro fatto di nebuloso sviluppo fu il falso comunicato n. 7 delle BR, in cui si annunciava la morte dello statista e la sua sepoltura presso il Lago della Duchessa, nel reatino. In esso sarebbe stato coinvolto un falsario romano Antonio Chichiarelli, legato alla Banda della Magliana, ucciso nel settembre 1984 in circostanze misteriose, quando ancora il suo legame con il comunicato non era stato accertato[10].
Il comunicato venne diffuso lo stesso giorno, il 18 aprile 1978, in cui le forze dell'ordine scoprirono a Roma un appartamento in via Gradoli 96 usato come covo delle Brigate Rosse: la scoperta avvenuta a causa di una supposta perdità d'acqua per cui erano stati chiamati i Vigili del fuoco, si rivelerà essere causata invece da un rubinetto della doccia "misteriosamente" lasciato aperto con la cornetta rivolta verso un muro, quasi a voler far scoprire il covo, che era usato abitualmente dal brigatista Mario Moretti (il quale avrà notiza della scoperta dai media che la riporteranno subito e non vi farà ritorno). Si scoprità successivamente che lo stabile in cui si trovava questo covo era stato già perquisito il 18 marzo, pochi giorni dopo il rapimento, ma essendo allora l'appartamento senza nessuno all'interno gli agenti se n'erano andati senza controllarlo. Non si è mai appurato se i due fatti fossero connessi o se la diffusione del falso lo stesso giorno della scoperta del covo sia stata solo una coincidenza, nè si è mai risaliti all'eventuale mandante del falso.
Successivamente si scoprirà anche che nella stessa via, sia prima del 1978 che dopo, erano presenti alcuni appartamenti utilizzati da agenti e aziende al servizio del SISMI.[11]
Due giorni dopo le BR diffonderanno il vero comunicato n. 7 con allegata una foto di Aldo Moro con una copia del quotidiano La Repubblica del 19 aprile (per dimostrare che era ancora vivo e che la notiza della sua uccisione era falsa).

Le infiltrazioni mafiose

Un ulteriore mistero riguarda la presenza della 'ndrangheta calabrese in via Fani. È quanto emergerebbe da una telefonata intercettata tra il segretario di Moro Sereno Freato e Benito Cazora, deputato della Dc incaricato di tenere i rapporti con la malavita calabrese, nella quale Freato cerca di avere notizie sulla prigione di Moro.

Altri sospetti e aspetti controversi

Misteri anche sulla conclusione della tragedia: secondo le Br Moro venne ucciso a via Montalcini e poi trasportato in via Caetani. Ma l'autopsia rivela che l'esecuzione di Moro avvenne a non più di 50 metri da dove fu ritrovato e che sopravvisse ai colpi d'arma da fuoco per quasi 15 minuti. I giornalisti Giovanni Fasanella e Giuseppe Rocca nel loro libro "Il misterioso intermediario" sostengono che Moro era vicino alla liberazione, salvato da una mediazione della Santa Sede. Condotto in un palazzo del ghetto ebraico, stava per essere trasportato in Vaticano su un'auto con targa diplomatica, ma all'ultimo momento qualcuno all'interno delle Br non avrebbe mantenuto gli impegni, ed avrebbe ucciso lo statista. Dà spazio a congetture l'ambiguo commento di Francesco Cossiga che definì il libro "bellissimo".

Pare, infine, che nelle tasche della giacca dello statista ucciso siano stati ritrovati gettoni telefonici, il che risulterebbe incomprensibile, visto che tali gettoni venivano di norma dati dai brigatisti ai rapiti che decidevano di liberare (perché potessero telefonare e farsi riportare a casa) e questo secondo alcuni fa supporre che la decisione di ucciderlo sia stata presa solo da alcuni dei suoi rapitori che poi la misero in atto. Altri scenari, addirittura esoterici, sono evocati nel libro di Giovanni Fasanella e Giuseppe Rocca Il misterioso intermediario che chiama in causa il direttore d'orchestra Igor Markevic come oscura figura di raccordo sul caso Moro.

Molte di queste teorie si basano sull'ipotesi che il lavoro duro che Moro aveva prodotto per ammettere i membri del Partito Comunista Italiano in un governo di coalizione, stava profondamente disturbando quegli interessi (la c.d. Pax Americana); questo, secondo alcuni osservatori, avrebbe considerato che quanto accaduto a Moro poteva risultare vantaggioso per gli Stati Uniti. Questa posizione era stata espressa per la prima volta nello studio Chi ha ucciso Aldo Moro? (1978), diretto da Webster Tarpley e commissionato dal parlamentare della DC On. Giuseppe Zamberletti.

La moglie di Moro in seguito, durante una sua deposizione, disse che, prima del misfatto, "Una figura politica statunitense di alto livello" disse ad Aldo Moro "O lasci perdere la tua linea politica o la pagherai cara". Il cambiamento era inteso come un abbandono di ogni ipotesi di accordi con i comunisti. Alcuni ritengono che quella figura fosse Henry Kissinger, che già aveva parlato in termini inquietanti al Ministro degli Esteri Moro in un incontro a tu per tu nel 1974.[senza fonte]

Si disse anche che Moro tenesse i contatti tra Enrico Berlinguer, segretario del PCI e Giorgio Almirante, segretario dell' MSI, rispettivamente i principali partiti di sinistra e di destra, con lo scopo - secondo questa ipotesi - di "raffreddare la tensione delle rispettive frange estremiste" (Brigate Rosse e Nuclei Armati Rivoluzionari), l'esatto opposto di quanto volevano gli strateghi della tensione. Di certo, tra Berlinguer ed Almirante ci furono contatti personali e stima (come dimostrato dalla presenza di Almirante ai funerali di Berlinguer nel 1984, presenza ricambiata da Alessandro Natta ai funerali di Almirante nel 1988).

Le conseguenze politiche

 
Francobollo commemorativo emesso nel venticinquennale della morte

L"affaire" Moro segnò profondamente la storia italiana del dopoguerra, e alcuni politologi si spingono ad affermare che la cosiddetta Prima Repubblica sia morta il 9 maggio di quel tragico 1978, e non qualche anno più tardi con Tangentopoli.

È un dato di fatto che di lì a poco naufragò definitivamente il progetto del compromesso storico e con esso i "governi di solidarietà nazionale", con ciò allontanando nel tempo, o ancor più precisamente rendendo impossibile in quel dato contesto storico, la realizzazione dell'antico anelito del PCI di pervenire al governo centrale.

Nel giugno 1976, la DC è al 38 per cento, seguita a breve distanza dal PCI di Berlinguer al 34. Moro è il probabile candidato alla presidenza della Repubblica da dove sembra chiaro favorirà l'alleanza tra PCI e DC. Con il suo assassinio, si chiude definitivamente la stagione del compromesso storico.[12] Il 16 marzo 1978 , giorno del rapimento, il governo Andreotti ottiene la fiducia: votano contro soltanto liberali, missini, radicali e demoproletari. L'esecutivo è un monocolore DC che si regge grazie all'astensione dei comunisti (il cosiddetto governo della "non sfiducia").

Le conseguenze politiche del rapimento di Moro furono da un lato l'esclusione del PCI da ogni ipotesi di governo per gli anni successivi, e dall'altro un ridisegno del cosiddetto "regime democristiano": la DC di Andreotti rimase partito di governo fino al 1992 anno di tangentopoli, partecipando sempre a maggioranze che lasciarono il PCI all'opposizione, ma queste politiche tuttavia portarono dal 1981, col primo Governo Spadolini ad avere alternanze di presidenti del consiglio democristiani con altri "laici", rompendo quindi il monopolio democristiano. All'interno del Partito socialista italiano (PSI), che aveva sostenuto la possibilita' di uno scambio di prigionieri per liberare Moro, vinse la linea di Bettino Craxi per l'esclusione del PCI dal governo, e inizio' una lotta politica con lo stesso per tentare di superarlo nelle elezioni. Le elezioni anticipate del giugno 1979 vedranno una tenuta della DC e un sensibile calo del PCI.

La figura di Moro fu in seguito appannata dalle risultanze di alcune indagini circa malversazioni riguardanti importanti società petrolifere. Uno dei principali collaboratori di Moro, Sereno Freato, fu pesantemente coinvolto in ciò che sarebbe stato poi chiamato lo "scandalo dei petroli", che portò addirittura all'arresto dell'allora comandante generale della Guardia di Finanza (in armi), ed in contestazioni minori circa appalti di ditte di trasporti e costruttori pugliesi.

Note

  1. ^ sito ove e' possibile scaricare il fumetto sul rapimento Moro
  2. ^ audizione Mario Baldassarri, Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 35' seduta, 17 giugno 1998
  3. ^ audizione Alberto Clò, Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 36' seduta, 23 giugno 1998
  4. ^ Carlo Alfredo Moro, Storia di un delitto annunciato, 1998
  5. ^ Atti parlamentari, IX legislatura, Camera dei deputati, Assemblea, Resoconto stenografico, interventi dei deputati Adolfo Battaglia (p. 15202) e Virginio Rognoni (p. 15245).
  6. ^ Galloni a 'Next': Moro mi disse che sapeva di infiltrati CIA e Mossad nelle BR, notizia di RaiNews24 del 5 luglio 2005
  7. ^ audizione Giovanni Galloni, Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 39' seduta, 22 luglio 1998
  8. ^ Sì, le BR erano manovrate dal KGB, in Panorama, 20 dicembre 2005.
  9. ^ Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 27esima seduta, audizione Francesco Cossiga, 27 novembre 1997
  10. ^ Aldo Moro,il lago della Duchessa, e il falso comunicato n°7, dal sito rifondazione-cinecitta.org
  11. ^ Sergio Flamigni. I segreti di Via Gradoli e la morte di Moro, dal sito rifondazione-cinecitta.org
  12. ^ Guy Debord, gennaio 1979, Prefazione alla quarta edizione italiana de "La società dello spettacolo" (editrice Vallecchi, Firenze, 1979) (Editions Champ Libre, Paris, febbraio 1979).

Filmografia

Teatro

Bibliografia

Collegamenti esterni