Utente:Xavier121/Sandbox
| Operette morali | |
|---|---|
| Autore | Giacomo Leopardi |
| 1ª ed. originale | 1827 |
| Genere | Novelle e Dialoghi |
| Sottogenere | Morale |
Dialogo di Timandro e di Eleandro, rr. 202-211»
Le Operette morali, scritte dal poeta e studioso letterario Giacomo Leopardi tra il 1824 ed il 1832, sono ventiquattro componimenti in prosa, tra dialoghi e novelle, dallo stile medio e ironico. Sono state pubblicate definitivamente a Napoli nel 1835[1] dopo due edizioni intermedie nel 1827 e nel 1834.
I temi sono quelli cari al poeta: il rapporto dell'uomo con la storia, con i suoi simili e in particolare con la Natura, di cui Leopardi matura una personale visione filosofica.
A differenza dei Canti, l'opera è stata concepita interamente nell'anno 1824. Le differenti edizioni testimoniano integrazioni di dialoghi successivi e aggiustamenti circa il messaggio finale del testo.
Le Operette furono spesso confuse con un progetto parallelo del padre Monaldo, che ebbe molto successo[2] e Giacomo era citato spesso come l'autore, procurando al poeta forte imbarazzo e frustrazione.
I temi delle Operette, in particolar modo quelli sviluppati nel Dialogo della Moda e della Morte e Dialogo di Tristano e di un amico, saranno ribaditi con decisione, come un corollario della filosofia leopardina, da Carlo Michelstaedter ne La persuasione e la rettorica.





Genesi
Le prosette satiriche
Leopardi accarezzava già dal 1820 l'idea di scrivere delle Prosette satiriche[3], ma solo nel 1824 il progetto matura e coinvolge più argomenti ed esperienze. Sono gli anni del trasferimento a Roma, nel tentativo di lasciare Recanati, la tomba de' vivi, per trovare la felicità (illusione presto svanita); della crisi poetica (l'inaridimento della vena lirica della prima gioventù) e filosofica (il passaggio dal materialismo storico-progressivo a quello cosmico). In un passo dei Disegni letterari ricostruito sulle carte autografe recanatesi, Leopardi rivela di voler scrivere dei:
Al Besomi spetta il merito di aver ricostruito, il più fedelmente possibile, la data di composizione di questi primi abbozzi. Non estranea l'influenza della delusione dei moti rivoluzionari del ‘20-‘21 a Napoli che, successivamente, farà sparire la coloritura politica di queste prime bozze. Il Blasucci considera i tempi delle prosette satiriche, momenti distinti dalle Operette vere e proprie, con lui concorda il Secchieri. Sebbene di data incertissima si possono datare al 1820-21, i seguenti esperimenti di prosette. Dallo sporadico accenno del 1820, l’opera cresce fino alle dichiarazioni esplicite del 1821 al Giordani[5].
Il primo nucleo
É costituito da cinque scritti, qui riportati nel più verosimile ordine di composizione[6]:
- Dialogo: ...filosofo greco, Murco senatore romano, popolo romano, congiurati
- Dialogo tra due bestie, p. e. un cavallo e un toro
- Dialogo di un cavallo e un bue e relative aggiunte
- Dialogo: Galantuomo e Mondo
- primo frammento di Novella: Senofonte e Niccolò Machiavello
In queste prime prove sono presenti alcune caratteristiche tipiche delle stile lucianeo (il dialogo agli inferi, forme di comicità bassa, ecc.) che diventeranno proprie della produzione maggiore.
Tema principale di questo nucleo è la penitenza della virtù[7], ovvero la scelta di una scrittura morale che non può più insegnare quegli errori magnanimi che abbelliscono la nostra vita[...]. Questi errori sono la virtù e la gloria. La nuova scrittura rinuncia alla poesia (lirica) e alla persuasone dell’entusiasmo; e consiste, molto praticamente, nell’astensione dall’impegno politico e filantropico. Resta solo l’ironia e il gioco fine sé stesso: a confronto ci sono Senofonte e Machiavelli, la Ciropedia e il Principe.
I dialoghi e le novelle sono costantemente intrecciati e variati: è difficile se non impossibile tracciare un quadro d’insieme. Mutano continuamente situazioni, personaggi, luoghi e tempi; emerge un mondo bizzarro di gusto popolare e fanciullesco, pieno di grazia e di geniale vanità[8]. Troviamo già ben rappresentato il piacere della variazione, della discontinuità: il lettore è provocato e stimolato; la conclusione del libro viene lasciata alla sua responsabilità. Questo aspetto troverà la sua più compiuta attuazuione nel Dialogo di Plotino e di Porfirio.
Gli abbozzi del ‘20-‘21 riportano temi antitirannici e contro l'antropocentrismo. La forte coloritura politica, che sparirà successivamente per essere ripresa solo nelle ultime operette, costituirà uno spunto di riflessione talemente profondo da far mutare l’atteggiamento psicologico, filosofico-morale e letterario dell’autore, tanto da riconsiderare la forma stessa dell’espressione: è questo il passaggio dalla poesia alla verità (alla prosa):
Tra il '22 e il '23 il poeta trascrive in una pagina dello Zibaldone, indicata come progetti letterari un indice approssimativo di 17 operette. Molti dialoghi e novelle sono già presenti ma con un titolo provvisorio:
- 1. Salto di Leucade
- 2. Egesia pisitànato
- 3. Timone e Socrate
- 4. Natura ed anima
- 5. Principe del nuovo Cinosarge
- 6. Seconda gioventù
- 7. Misènore e Filènore
- 8. Beppo
- 9. Tiresia
- 10. Astuzia e Forza
- 11. Tasso e Genio
- 12. Galantuomo e Mondo
- 13. Asinaio ed Asino o l’Aponòsi
- 14. I due topi
- 15. Ippocrate e Democrito
- 16. Il rosignuolo e la rosa
- 17. Il sole e l’ora prima, o, Copernico
Tematiche e contenuti
Il titolo
Il titolo lega insieme i due aspetti principali dell’opera leopardina: il carattere satirico e il fine morale[11].
Operette è un diminutivo di umiltà: si tratta di componimenti brevi, considerati piccoli in mole e in valore dall'autore. La loro minuzia contribuisce a renderli, però, di un'efficacia filosofica e poetica lucida, programmatica e chiara. Il termine morali segna il contenuto filosofico: i mores, i costumi, indicano la volontà di individuare nuovi modelli di comportamento, mettendo a confronto l'antichità e la modernità: implicito il richiamo agli Opuscula Moralia di Plutarco.
L’attenuazione canonica del genere morale antico e umanistico, riporta a Isocrate, di cui Leopardi volgarizza alcune ‘’Operette morali’’ [12] e Plutarco, fino a Machiavelli e al moralismo illuministico. Le Operette prendono il titolo anche dal messaggio pratico, non solo teoretico che danno: proponendo un umile rimedio, agli effetti funesti della filosofia moderna o della verità, recuperano l’inesperienza, le passioni e l’immaginazione dell’antichità, (fondate sul falso), unico rimedio per migliorare la qualità della vita umana, e, in alternativa, suggeriscono delle tattiche di narcotizzazione per alleviare il dolore.
L'intento morale pratico sarà proseguito dall'autore in un altro scritto nel 1826, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani, in cui sono evidenti le finalità politiche, morali e storiche.
Le Operette sono l’approdo di quasi tutto lo Zibaldone[13] Il rapporto tra l'Uomo, la Natura, la Storia; il confronto tra i valori del passato e la situazione, statica e degenerata, del presente; la potenza delle illusioni; l'Infelicità; la gloria; la noia: sono tematiche qui riproposte alla luce del cambiamento che sta avvenendo in Leopardi: da un materialismo storico-progressivo (ovvero, la tesi in base alla quale l'uomo ha perso la possibilità di essere felice quando all'immaginazione si è sostituito il raziocinio) ad un materialismo cosmico (ovvero, la tesi che l'uomo sia infelice a causa della natura indifferente). La ragione non è più, adesso, un ostacolo all'infelicità, ma l'unico strumento umano per sfuggire alla disperazione.
Fase materialista
Alla fine del ’24 con il primo progetto di operette concluso, il pensiero Leopardi è decismante orientato verso il materialismo, come attestano le letture d’Holbach annotate nello Zibaldone, mentre il tono pessimistico, sovente usato per riferirsi alla filosofia leopardiana è da rivedere perchè non accettata dall’autore:
Il ‘’Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco’’ costituisce il culmine filosofico del libro. Insieme con l’’’Islandese’’ e il ‘’Metafisico’’ costituisce il gruppo di ‘’Operette’’ che definicse più compiutamente il materialismo leopardiano. Fine della natura non è il bene ma la conservazione in vita degli esseri, anzi nemmeno quelli se si considera il punto di vista dell’Islandese. La vita è infelice: meglio un’esistenza breve ma intensa e ricca di forti illusioni, che una lunga, piena di emozioni dilatate e narcotizzanti. ‘’A chi piace e a chi giova questa infeliscissima vita dell’universo?’’ Nessun filosofo sa rispondere alla domanda. E’ una sconfitta del pensiero filosofico e in generale la rappresentazione dell’inadeguatezza della filosofia a spiegare la condizione del genere umano nell’universo. Il ‘’Cantico del gallo silvestre’’, con il suo andamento lirico, snocciola monolitiche sentenze mettendo il lettore nell’attesa di una soluzione filosofica, ‘’Così questo arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale, innanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perderassi’’, fornita nel Frammento:
Malgrado le apparene, resta un non un non finale e sarà il punto modificato più spesso dall’autore.
Leggerezza apparente
All’interno delle operette si rincorrono e si sovrastano diversi temi, particolarmente cari all’autore. Un argomento spesso presente è la ‘’perfezione naturale’’. Tale condizione implica uno stato di felicità che per natura agli uomini è impossibile conseguire (‘’Scommessa di Prometeo’’, Dialogo di un Fisico e un Metafisico), mentre è concessa ad altre specie, come gli uccelli (‘’Elogio degli uccelli’’), simbolo del movimento continuo e armonico, rapido ed elegante. L’assenza della felicità nel mondo è la prova della sua imperfezione e la miserabile condizione umana verificata da Prometeo una inoppugnabile verità, simbolicamente costata una scommessa. Impossibilitato a raggiungere una perfezione naturale, l’uomo può ambire a raggiungere uno stato di eccellenza attraverso l’intelletto e la ragione: è il caso del ‘’genio’’. E’ il tema del ‘’Parini’’ chiamato a rinnegare la gloria a causa della sproporzione esistente tra il progresso del sapere e la condizione del genio. Situazione toccata anche nel Dialogo della Natura e di un’Anima dove la gloria è associata ad una condizione umana miserevole in cui grandezza e infelicità sono due aspetti inseparabili e il genio vive quotidianamente l’incapacita di relazionarsi con i suoi simili, argomento toccato anche nell’’’Ottonieri’’, in cui i grandi ingegni solitamente mal si relazionano col resto del mondo. L’Anima pertanto chiederà d’essere ‘’alluogata’’ nell’essere umano più imperfetto e stupido.
Altro tema che ricorre attraverso più operette è il suicidio indicata nella ‘’Storia del genere umano’’ come morte preposta o preponibile alla vita. E’ una desiderio proprio dell’essere umano estraneo a tutti gli altri esseri viventi. Nel ‘’Fisico e Metafisico’’, Leopardi spiega come ‘’non la vita ma la felicità è amata dall’uomo’’.
L’analisi tra antichi e moderni è esplorata nel ‘’Timandro’’, nel ‘’Tristano’’, ‘’Dialogo d’Ercole e Atlante’’, ‘’Moda e Morte’’. La vitalità antica si oppone all’inerzia moderna: Ercole e Atlante giocano a palla con la terra, leggera e priva di vita, inutile. La Moda ha fatto sparire gli esercizi e le fatiche che fanno bene al corpo e spento nell’uomo il desiderio d’immortalità che era proprio degli antichi. Nel Tristano il ‘’corpo è l’uomo’’, anche nel Parini si svolge l’argomentazione della superiorità dell’azione sul pensare e lo scrivere[16]
La teoria del piacere, ovvero la teoria del piacere derivante dall’idea di vastità e indefenito è l’argomento più famoso e conosciuto dell’autore, ampiamente esplorato nelle sue opere maggiori, Zibaldone[17], Canti e Operette. Ad essa si ricollegano diversi temi minori: la noia, che deriva dall’assuefazione e da una vita priva di grandi azioni (‘’Tasso’’, ‘’Porfirio’’); il ‘’rischio’’ e la ‘’distrazione’’, che allontanano l’uomo dal tedio e per pochi attimi catturano l’essenza della vità, tanto più la si mette in gioco (‘’Colombo’’, ‘’Elogio degli uccelli’’, ‘’Storia del genere umano’’); i grandi sentimenti, gli unici in grado di mover il core a grandi azioni; lo stupore, vissuto nel sogno, attraverso la meraviglia degli antichi, nei fanciulli, nei non civilizzati e nei solitari.
Per Leopardi la vita è dolore, mentre la morte è cessazione del dolore. E’ un tema ricorrentissimo, si può dire il pilastro del suo pensiero. Il poeta propone vari modi per combatter il dolore. Lo stesso sonno (‘’Dialogo Malambruno e Farfarello’’) aiuta quando rende la relatà vaga e incerta, mai ben definita (secondo la teoria del piacere), oppure attraverso l’assunzione di sostanze narcotiche come gli alcolici (‘’Tasso’’). La morte non è ‘’molto dissimile dal diletto che è cagionato agli uomini dal languore del sonno, nel tempo che si vengono addormentando‘’ (Ruysch).
Il dolore è il rimedio contro la noia (‘’Tasso’’): ‘’Il sonno, l’oppio e il ‘’dolore’’. Quest’ultimo è il più potente di tutti, ‘’perché l’uomo mentre patisce, non si annoia per niuna maniera’’. Felicità quindi impossibile e patimento necessario.
Bazzecole grammaticali
L’apparenza è quella di una raccolta di pezzi diversi, con notevole impegno espressivo, senza una cornice e privi di collegamento tematico o formale: a volte testi fittizi, manoscritti ritrovati o volgarizzati, contraffati o apocrifi, il lettore è continuamente sorpreso e costretto a seguire il ragionamento da angolazioni sempre diverse; continuità e discontinuità forniscono ai testi la loro inconfondibile originalità filosofica, morale e poetica. Le ‘’Operette’’ non rilasciano conclusioni pacifiche, né fanno intravedere un percorso di pensiero compiuto, anzi si trovano alcuni risultati procedendo con la lettura. E’ un’opera aperta proprio per quel ‘’trionfo dell’immaginazione e dell’estro che governa l’invenzione in conflitto con l’attesa di una sistematicità che il titolo promette’’[8]. Leopardi attendeva di leggere le prosette alla ‘’maniera di Luciano’’ del Monti[19]. Il Monti aveva rivisitato il genere, evitando il tipo abusato del dialogo dei morti, e aveva inserito alcuni dialoghi nei quattro volumi della “Proposta di alcune correzioni e aggiunte al vocabolario della Crusca”, editi tra il 1817 e il 1824. Leopardi aspettò di vedere nel marzo del 1821 gli esemplari montiani prima di cominciare a lavorare su un progetto lucianeo già concepito da tempo.
Modelli e fonti
Genere di satira risalente all’opera del polemista greco Menippo di Gadara (II secolo a. C.), praticato poi da Varrone; ebbe profondi influssi su Petronio e soprattutto su Seneca (Apokolokyntosis) e Luciano di Samosata. Per quanto se ne sa, la menippea è caratterizzata da mescolanze volutamente disarmoniche tra prosa e versi. La forma letteraria da cui deriva è il prosimetro. Lo scrittore produce un’alternanza frequente, non episodica, di prosa e versi, esempi – oltre i classici, la Vita Nuova di Dante, l’Ameto di Boccaccio, l’Arcadia di Sannazzaro); di serietà e comicità (vedi spoudogeloion: è lo stile serio-comico usato dal filosofo greco Menippeo e dalla menippea in generale, in cui è data formulazione scherzosa e trattamento comico ad argomenti filosofici); di realismo popolare e di raffinate citazioni o parodie letterarie.
Luciano di Samosata, è stato un retore-narratore dalla ricca vena umoristica vissuto nel II sec. d. C. Nella sua opera imprime nuove tendenze al dialogo, alla parodia e alla satira menippea. Nel corpus di Luciano figura (non è suo, ma forse deriva da una sua opera narrativa andata perduta) quel Lucio o l’Asino che documenta un perduto modello del romanzo di Apuleio[20].
Il modello principale è l'antica satira menippea. Nelle Operette domina l'imitazione di Luciano, che per Leopardi è un modello di stile. In Italia non è mai esistito niente di simile. Ne imita la comicità e le mosse umoristiche e argute, muovendosi dal sostenuto al dialogo basso (imitazione gratuita). L’orchestrazione dei diversi stili sembra prendere il sopravvento quando s’inizia un discorso sul vero.
Molto importante è la variazione all’interno delle stesse Operette, in cui i numerosi inserti enfatizzano il paratesto per svuotarlo di significato[8]: su tutte ‘’Federico Ruysch’’, in cui troviamo contemporaneamente, novella fantastica, teatro comico, dialogo dei morti e coro finale – che ripropone un genere molto antico-, ‘’Il cantico’’, canto ridotto in prosa, temi comici accanto a temi biblici, contrasti che nella scrittura ricordano lo stile ebraico o il moderno francese ecc.
La finzione del manoscritto ha come prototipo il Pulci[22].}}, mentre il Prometeo e l’Islandese sono il miglior esempio di fusione narrazione e dialogo. Il Parini in alcune sue parti appare come un trattato alla maniera di Cicerone.
La scrittura alla maniera di Luciano è una scelta che mira ad innalzare la commedia e il miglior procedimento per assecondare la sua immaginazione, sicuramente non un semplice esercizio retorico, o bazzecole grammaticali.
Non si trova nella letteratura italiana un modello per le ‘’Operette’’ ovvero un altro libro di argomento profondo e tutto filosofico e metafisico[23] Per la contaminazione di generi e la vari registri stilistici interni Leopardi è stato preceduto dall’Alberti delle Intercenales[24]. L’erudizione, quindi le sterminate fonti e riferimenti culturali, dotti, sono un travestimento letterario responsabile del tono ludico e parodico del testo[8].
Leopardi si rifà al genere espresso da Luciano e gli autori che ad esso si sono ispirati, come il Machiavelli di Vita di Castruccio Castracani o la Vita di Leon Battista Alberti, in chiave moderna Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman (vedi l’Ottonieri[25]) di Thomas Luis Sterne [26]. Per la battuta di Malambruno (Fammi felice per un momento di tempo) e il gioco a palla di Ercole e Atlante è stato tirato fuori il Faust di Goethe[27].
Socrate rappresenta un modello di filosofia, fondatore della morale della cultura occidentale: Leopardi riteneva proprio l’etica la parte più importante della filosofia in generale. Tuttavia in alcuni momenti dell’Ottonieri, finisce per costruire un testo di maniera, molto libresco e poco vero.
Buona parte dei dialoghi leopardiani possiede una natura filosofica di matrice scettica, caratteristica della letteratura moralistica, sia antica (Luciano) che moderna (Illuminismo). Per difendere le sue convinzioni dall’attacco del Tommaseo, il poeta si rifà, per esempio, al pirronismo di Boyle:
Tolto Luciano, i modelli più significativi da un punto di vista di gusto meramente letterario sono principalemtne illuministi. Di Fontanelle apprezza la superficialità e la leggerezza; il cinismo di Voltaire nel suo Candido si affaccia sullo stato d’animo dell’Islandese. La battuta di un personaggio di Christoph Martin Wieland sono all’origine della misantropia di Eleandro. Sul fronte italiano Ariosto è un autore particolarmente caro al nostro che nel Dialogo terra Luna esprime al meglio il suo stile comico. Vastissima invece la mole di fonti letteraie citate più o meno direttamente dall’autore e che appartengono al suo bagaglio culturale[29], sono informazioni importanti funzionali alla creazione di un’atmosfera di divertita erudizione all’interno del testo, uno sfoggio di cultura ironica perché volutamente frivola[30]. Non semplice è il lavoro stesso di ricerca data l’alta frequenza di informazioni puntuali e dottrine in cui s’inseriscono, secondo il gusto tipico dell’autore, notizie curiose e bizzarre. Difficile quindi distinguere all’interno del teso l’ironia allusiva da ciò che è riuso poetico, memoria (volontaria o involontaria). Resta che la scrittura di Leopardi comporta sempre un fitto dialogo intertestuale[8].
Lingua e stile
La scelta della lingua va inquadrata all’interno di un ambizioso progetto linguistico:
Lo stile delle Operette è incisivo, ironico e serrato, caratterizzato da un linguaggio chiaro e puntuale, con l'effetto di trattare con estrema lucidità le tematiche fondamentali.
Leopardi rifiuta le due soluzioni moderne: puristica da un lato, francesizzante dall’altro. Scartato anche il modello ipotattico, latineggiante, caro all’amico Giordani. La scelta è per il recupero nell’italiano, a tutti i suoi livelli (popolare incluso), di tutto quello che c’era di analogo al greco attico. La bellezza della lingua italiana, ricchissima di varietà[32], avrebbe recuperato una lingua antica ma funzionale. Quello che l’autore ottiene costruendosi un linguaggio ad hoc è principalmente una semplificazione sintattica: meno ricorso all’ipotassi, alle figure retoriche, all’inversione dell’ordine delle parole. Importanti i procedimenti che individuano l’intensificazione emozionale: moltiplicazione verbale e accumulo di proposizioni; uso di elativi e di voci perplesse e indefinite.
Molte Operette hanno la struttura del dialogo, sulla base dello stile della trattazione filosofica dell'antica Grecia o del settecento illuminista; nelle narrative mostrano l’impronta anche di Cicerone, Machiavelli, Cervantes, Foscolo, Goethe, Sterne e l’Alfieri.
Uso del paradosso
La tecnica usata dall’autore viaggia come altre soluzioni su due piani: uno strutturale, lo scrivere un libro di filosofia morale per vivere meglio, consapevole dell’impossibilità di arrecare qualche bene; l’altro microstrutturale, il riprendere all’interno dei dialoghi sentenze antiche e motti moderni[33]. Insieme con l’ironia non può essere separata dal discorso leopardino ma considerata parte necessaria del suo pensiero filosofico.
Prosopopea
Il continuo ricorso di Leopardi ad esseri immaginari, (gnomi, folletti, mummie...), storici (Torquato Tasso, Cristoforo Colombo, il Parini...), mitologici (Ercole, Atlante, Giove...), filosofici ( Plotino, Porfirio, Amelio...), letterari (Malambruno, Farfarello...), comuni (passeggeri, islandesi, venditori ambulanti...), inanimati (la Terra, la Luna...), simbolici (la Natura, l'Anima, la Morte, la Moda...) sono una satira dell’antropocentrismo, la derisione del progresso moderno e di una società in cui prevale un odio distruttore. Tutti i protagonisti possiedono una forte rappresentatività simbolica, ottenuta attraverso la tecnica dello straniamento e della prosopopea che rende animati elementi che non lo sono.
Leopardi non ha mai voluto comparire nel testo. Nega la sua realtà di personaggio ideologico.
Nessun protagonista è Giacomo, tutti sono complici, portavoci del suo pensiero: il ricorso alla citazione continua, all’argomentazione discorsiva da un lato, le preoccupazioni didascaliche, il paradosso e l'ironia dall’altro, provocano nel lettore un senso di straniamento e sorpresa; una condizione, fortmente cercata dall’autore, che la personificazione, a qualsiasi livello, finirebbe per annullare.
Storia delle edizioni
Edizione del '24
- 1. Storia del genere umano (dal 19/01-7/02/1824)
- 2. Dialogo d'Ercole e Atlante (10-13/02/1824)
- 3. Dialogo della Moda e della Morte (15-18/02/1824)
- 4. Proposta di premi fatta all'Accademia del Sillografi (22-25/02/1824)
- 5. Dialogo di un lettore di umanità e di Sallustio[35] (26-27/02/1824)
- 6. Dialogo di un folletto e di uno gnomo (2-6/03/1824)
- 7. Dialogo di Malambruno e di Farfarello (1-3/04/1824)
- 8. Dialogo della Natura e di un'anima (9-14/04/1824)
- 9. Dialogo della Terra e della Luna (24-28/04/1824)
- 10. La scommessa di Prometeo (30/04-8/05/1824)
- 11. Dialogo di un fisico e di un metafisico (14-19/05/1824)
- 12. Dialogo della Natura e di un Islandese (21-27-30/05/1824)
- 13. Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare (1-10/06/1824)
- 14. Dialogo di Filénore e Misénore[36] (14-24/1824)
- 15. Il Parini ovvero della gloria (6/07-13/08/1824)
- 16. Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie (16-23/08/1824)
- 17. Detti memorabili di Filippo Ottonieri (29/08-26/09/1824)
- 18. Dialogo di Cristoforo Colombo e Pietro Gutìerrez (19-25/10/1824)
- 19. Elogio degli uccelli (29/10-5/11/1824)
- 20. Cantico del Gallo silvestre [37](10-16/11/1824)
- 21. Note (7-13/12/1824)
Nel 1888 al passaggio delle carte da Antonio Ranieri alla Biblioteca Nazionale di Napoli emerse un autografo che riporta un indice per le venti operette fino ad allora composte, diverso dalla prima e da ogni edizione a stampa nota[38].
Questo autografo è una bella copia abilmente predisposta con ampi margini per contenere note e appunti soprattutto di carattere grammaticale e stilistico. In base ai diversi colori degli inchiostri usati è stato possibile distinguere tre fasi correttorie anteriori al maggio del 1826[39]. A differenza dei Canti, le Operette morali non hanno subito grandi cambiamenti[40]. In questa prima prova mai data alle stampe, è interessante la chiusura affidata al Cantico del Gallo Silvestre che richiama la novella iniziale Storia del genere umano: Leopardi affida ad un essere soprannaturale un messaggio escatologico che integra il tema della morte, facendo prevalere nel libro l'aspetto più filosofico del suo pensiero. Questa immagine svanirà nelle successive edizioni per poi essere recuperata nel dittico che il Cantico formerà con il Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco, introdotto da un piccola nota in calce nell'edizione del 1835.
Edizione del '27
Conosciuta come la prima edizione ufficiale delle Opertte morali è stata pubblicata a Milano da Antonio Fortuna Stella, intelligente editore che seppe mediare con i rigidi censori dell'epoca. Lo Stella è da annoverare, insieme con Giordani e Montani tra quei personaggi che seppero comprendere lo spirito dell'opera, anche se l'Italia non era abituata a quel genere di letture. Tra il 1825 e il 1827[41] Leopardi scrive tre nuove prose[40]ma qui non ve n'è traccia[42]. Dalla fitta corrispondenza del periodo, testimone delle correzioni, revisioni e commenti dell'auotre, emerge l'unitarietà del registro retorico delle Operette[8] che giustifica l'assenza di un'introduzione che spieghi il suo disegno programmatico. Nello spostamento del Timandro la critica ha intravisto una sorta di apologia dell'opera contro i filosofi moderni [43]: la composizione del Frammento apocrifo che con il Cantico andrà a formare il pilastro del concetto leopardiano del tutto è male, ha condizionato il cambiamento del finale. Lo spostamento del Dialogo della Natura e di un Islandese, inserito tra il Tasso e il Parini è dettato da variatio letteraria: l'autore evita la successione di due opertte che hanno per protagonisti due storici poeti e letterati.
Edizione del '34
La seconda edizione delle Operette fu pubblicata sei anni dopo, nel 1833, perché la prima era letteralmente, introvabile. In quel periodo Leopardi soffriva di un fastidioso male agli occhi e a causa del problema alla vista, fu Antonio Ranieri ad occuparsi materialmente della stampa, presso l'editore Guielmo Piatti di Firenze, che nel 1831 aveva già pubblicato i Canti. Nel 1832, il poeta aveva composto: Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere e Dialogo di Tristano e di un amico, quest'ultimo è un testo polemico legato alla rottura col gruppo fiornetino dell'Antologia[44].
La nuova edizione è una risposta alle opinioni ostili mosse nei suoi confronti e un'occasione per riprendere in modo più radicale le riflessioni in essa contenute. Delle operette del '25-'27 ancora nessun segno, tuttavia il contenuto del Frammento si fa sentire in una nota posta al Cantico in cui l'autore dichiara: Questa è conclusione poetica non filosofica; il passo successivo sarà quello di approfondire questa conclusione in un testo più ampio e articolato.
Ancora una volta problemi di censura fanno il resto: nella Storia del genere umano compare una nota posta dal censore fiorentino Mauro Bernardini:
Cassate per il momento anche Porfirio e il Copernico, probabilmente più per indecisione dell'auotre che per paura della censura[45].
Edizione del '35
La terza edizione delle Operette presso l'editore Saverio Starita di Napoli, corretta e accresciuta[46], fa parte di un progetto per la stampa completa delle opere poetiche e in prosa di Giacomo Leopradi in tre volumi: il primo per i Canti e il secondo, diviso in due tomi, per le Operette. Sfortunatamente la pubblicazione fu interrotta dalla censura e solo le prime tredici videro la luce. Leopardi aveva finalmente risolto di pubblicare Il Copernico ovvero della gloria e il Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco[47].
Nonostante la soppressione molte copie del primo volume furono vendute con uno stratagemma: il frontespizio originale fu sostituito con il seguente: Prose di Giacomo Leopardi, Edizione corretta, accresciuta e sola approvata dall'autore, Napoli, Italia 1835.
Edizione del '45
Nel 1845 uscì la prima edizione postuma presso l'editore di Firenze, Le Monnier curata gelosamente[8] da Antonio Ranieri che, sebbene piena di errori, fu costruita sull'autografo dell'auotore e su i suoi appunti preaparatori per l'edizione Starita e quella parigina[47]. Ranieri aggiunse alcune note al testo ma non sempre in modo puntuale[49]. Il Frammento trova posto dopo il Cantico[50]. Il Copernico e il Porfirio sono interposti a Timandro e alle operette composte per ultime. La palinodia del Tristano si conferma a conclusione dell'opera. Escluso il Dialogo di un lettore di umanità e di Sallustio, per volontà dell'autore, ma nessun documento ne spiega i motivi. Ad avvalorare il lavoro, che testimonia sia stata attuata la volontà di Leopardi e non quella di Ranieri, un esemplare del primo volume della Starita e un'edizione della Piatti corretta dall'autore, più alcuni autografi e bozze [51]. Nella stampa era presente un'avvertenza, imposta a varie operette dal censore fiorentino, padre Amerigo Barsi, per proteggere il lettore, in nome del sistema cattolico dagli errori del poeta.
Edizioni postume
Le basi per la prima edizone critica furono gettate dal Mestica che concentrò la maggior parte del suo lavoro sulla carte napoletane. Nonostante la morte prematura del curatore, avvenuta prima del compimento dell'opera, la casa editrice Le Monnier, approntò una nuova edizione che si basava su i suoi studi nel 1906. Ad essa seguì l'edizione di Giovanni Gentile, Zanichelli, Bologna nel 1918 che si rifaceva all'ultima edizione curata da Leopardi, più l'autografo napoletano. A questo punto l'edizione critica ufficiale fu portata a termine da F. Moroncini, e ad esse si rifanno tutte le successive edizioni. Il Moroncini, come il Ranieri ma perfezionandolo, si basò su una copia del primo volume della Starita corretta da Leopardi stesso e sulla Piatti con correzioni a mano del Ranieri dettate dal poeta. Per Copernico utilizzò una bozza corretta per il terzo volume delle Opere edizione Starita che non uscì mai, mentre per Porfirio l'edizione del '45 più riscontri con autografi.
Anteprima in riviste e giornali
Le predilette Operette sono state pubblicate da Leopardi anche su riviste e giornali e hanno preceduto l'edizione in volume. Queste anticipazioni autorizzate più di una volta sono state motivo di grande frustrazione. Molti gli errori e le sviste. Nella prima edizione dell'Antologia, contenente solo tre dialoghi[52] e apparsi sul numero LXI del gennaio 1826, l'ultima operetta è stata inserita come prima, stravolgendo il significato del libro.
La seconda edizione, emendata di molti errori, è apparsa sul Nuovo Ricoglitore[56]: la prima operetta sul numero del 15 marzo 1826, le altre due sul numero del 16 aprile 1826. Un'altra preoccupazione per Leopardi era la pubblicazione spezzata: l'esordio con La storia del genere umano e la chiusura sempre diversa da un'edizione all'altra testimoniano un disegno ben preciso e articolato. Un testo smembrato può produrre incomprensioni da parte dei lettori.
Il fianco a malintesi, anche da parte degli editori, si presta principalmente per l'assenza nella struttura di qualsiasi elemento di sistematicità[8].
Analisi delle Operette[58]
[59].»
LC 325 Composta a Recanati, tra il 19 gennaio e il 7 febbraio 1824 (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827), è una novella che come preannuncia il titolo descrive la storia dell’uomo attraverso quattro epoche segnate da altalenanti momenti di felicità, ma tutto visto attraverso la lente ‘’classicista’’ dell’autore. Nell’edizione fiorentina, Piatti, del 1834, questa operetta portava la seguente nota, dovuta ad esigenze di censura: “Protesta l’autore che in questa favola, e nelle altre che seguono, non ha fatto alcuna allusione alla storia mosaica, né alla storia evangelica, né a veruna delle tradizioni e dottrine del Cristianesimo”.
La storia umana è qui distinta in quattro età, due anteriori al diluvio e due posteriori: l’ultima, la nostra, è la più infelice di tutte, perché dominata dalla Verità. E’ una lettura della storia da un’infanzia generale dell’umanità a una condizione di vita che ha accolto tutti i riferimenti della natura e della vita sociale, ma che infine è rimasta dominata dalla nuda verità, senza più il beneficio dell’immaginazione, con la sola, sporadica, apparizione dell’amore capace di avvicinarla a quella degli dèi. (note) Della terra di Atlantide il L. parla nel Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, cap. XII e nei Paralipomeni, VIII, ottave 33-34; dello ‘’strepito sordo e profondo’’ che percorre le selve nel Saggio cit. cap. XIV. Per la presenza degli Dei sulla terra cfr. Saggio cit. cap VII e l’abbozzo dell’’’Inno ai Patriarchi’’. Sulla dottrina dell’amore sviluppata da Platone nel ‘’Convito’’, cfr. Zibaldone 3909 e ss.
Secondo ilTimpanaro fu proprio questo pensiero a costituire il maggior scandalo dell’opera quando fu pubblicata. Le convinzioni leopardiane si sarebbero scontrate frontalemente con l’ottimismo provvidenziale della chiesa cattolica.
Composto a Recanati, tra il 10 e il 13 febbraio 1824. (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827). Sul motivo dei poeti e della fondazione della civiltà cfr. Zibaldone 3432.
Con sequenze di parlato di stampo toscano, Atlante, che sorregge l’asse della Terra, ed Ercole, che è venuto a sostituirlo, giocano a palla con una Terra leggera e silenziosa e che enanche in questo caso si scuote da un sonno simile alla morte.
[a p. 87 A r. 1] nella prima edizione Ercole continua: ‘’Eccetto che il sole, pensando che fosse una focaccia, non l’abbia cotta, in modo che sfumata via l’umidità, sia calato il peso’’ e Atlante soggiunge: ‘’Ch’io sappia, il sole non ha più forza oggi che prima; e certo che il mondo non è più caldo che per l’addietro. Ma della leggerezza…’’
[a p. 88 B r. 15] nella prima edizione il passo relativo ad Orazio è più ampio. ‘’Questo poeta, che è un bassotto e panciuto, beendo, come fa la più parte del tempo, non mica nettare, che gli sa di spezieria, ma vino, che Bacco gli vende a fiasco per fiasco, va canticchiando…’’
Composto a Recanati tra il 15 e il 18 febbraio 1824. (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827). Viene affermato che tutto è passeggero e incostante sulla terra, dove trionfa la caducità e la morte. La Moda si presenta alla Morte come sua sorella, per aver spinto le persone a seguire tutte le stravaganze possibili in suo nome fino al punto di spegnere in ogni essere umano ogni speranza d’immortalità e di poprtarle a d invocare la morte.
Il verso citato della Morte è il 77 della canzone ‘’Spirto gentil, che quelle membra reggi’’ di Francesco Petrarca (R.V.F. LIII) e l’allusione successiva riguarda il III dei ‘’Trionfi’’, Triumphus mortis.
Composto a Recanati, 22-25 febbraio 1824. (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827). Sillografi sono stati chiamati dai Greci gli autori di silloi, composizioni burlesche e satiriche, cfr. Zib. 4035.
Satira pungente contro il progresso della civiltàmeccanica a danno del progresso spirituale e morale. ‘’In questo secolo di macchine’’, lAccademia promuove un concorso in cui a premi per l’invenzione di macchine che procurino benefici spirituali: una macchina che siua un vero amico; una macchina-uomo che sia capace di fare cose virtuose e magnanime; una macchina-donna.
Il poeta illustre del quale è riportato un verso è G. B. Casti (1721-1803), tratto da ‘’Animali parlanti’’, XVIII, 106: ‘’…dei fortunati secoli in cui siamo’’. Cfr. casti-Leopardi in W. Binni L. e la poesia del secondo Settecento.
I ‘’trattati di Cicerone e della Marchesa di Lambert sopra l’amicizia’’, sono rispettivamente il ‘’Laelius, de amicitia’’ ed il ‘’Traité de l’amitié’’ di Anna Maria Lambert marchesa de Marguenat de Courcelles (1647-1733)
Giovanni Mùller, detto Regiomontano dalla natia Kònigsberg (Regiomontanum), vissuto dal 1436 al 1477, astronomo e matematico, fu ritenuto creatore di numerosi automi (cfr. Saggio sopra gli errori popolari degli antichi). Giacomo de Vaucanson di grenoble (1709-1802), chiamato da Voltaire ‘’rival de Prométhée’’, celebre meccanico, costruì alcuni robots, tra cui un suonatore di flauto, un tamburino ed alcune oche.
Il ‘’detto di pindaro’’ (desunto dal Voyage du jeune Anacharsis del Barthélemy) si legge in Zib. 2672.
Alberto Magno (1193-1280) filosofo e botanico. Fu maestro di S. Tommaso d’Aquino. Gli erano attribuite invenzioni meravigliose tra le quali una testa parlante, spezzata da S. Tommaso che la ritenne opera diabolica. Il ‘’pappagallo di Nevers’’ è un’allusione al poemetto ‘’Vert-Vert’’ di G. B. Gresset (1709-1777) tradotto in italiano dall’abate Francesco Martinetti. [p. 92 A r. 39] A questo punto nella prima edizione seguiva un ironico riferimento al poema di Alexander Pope ‘’The Rape of the Lock (ove il poeta inglese immagina che la residenza dell’Ipocondria sia circondata da esalazioni e fantasmi): ‘’E notisi che l’Accademia dicendo un uomo a vapore, non vuole intendere che egli sia conforme alla dea de’ vapori descritta nel penultimo canto del ‘’Riccio rapito’’, della qual condizione v’ha uomini e donne già da gran tempo, e non ha bisogno fabbricarne, oltre che non fanno al proposito dell’Accademia, come apparisce dalle cose sopradette’’. ‘’Quo ferrea… mundo’’: Virgilio, Ecl. IV vv. 8-9 ‘’Nel libro del Cortegiano’’: riferimento al III libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione , ove si tratta della perfetta dama di compagnia. L’’araba fenice del Metastasio’’ è un’allusione ai versi pronunciati da Mitrane nella scena III dell’atto II del Demetrio: E’ la fede degli amanti, Come l’araba Fenice: Che vi sia, ciascun lo dice; Dove sia nessun lo sa. Se tu sai dov’ha ricetto, Dove muore o torna in vita, Me l’addita – e ti prometto Di serbar la fedeltà. I ‘’tre asini d’oro’’ costituiscono un’allusione alla favola dell’asino d’oro che si legge nel ‘’Metamorphoseon’’ libri XI di apuleio (nato nel 125 d.C.) tradotta e rielaborata da Agnolo Firenzuola e al poemetto in terza rima incompiuto del Machiavelli, derivato dal dialogo ‘’Grillo’’ di Plutarco.
Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo Composto a Recanati, 2-6 marzo 1824. (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827).
Satira contro gli uomini che si credono centro e ragione dell’iuniverso, mentre ne costituiscono solo una parte delo tutto trascurabile. Un Folletto e uno Gnomo, ciascuno nel proprio campo, osservano che la terra è morta e, di conseguenza, non esiste più il tempo, Ma ‘’la terra non sente che le manchi nulla’’, e la natura perpetua il suo ciclo senza mutamento.
Sulle leggi di Licurgo che vietavano agli Spartani di possedere oro e argento e consentivano solo l'uso di monete di ferro che non avevano corso fuori della città, cfr. Zib., 1170. Il verso citato dal folletto conclude la tragicommedia Rutzvanscad il giovine. Arcìsopratragichissima Tragedia elaborata ad uso del buon gusto dei Grecheggianti compositori, pubblicata nel 1724 dal senatore Zaccaria Valaresso, in Arcadia Catuffio Panchiano. Crisippo è un filosofo della scuola stoica nato ,t Sol; e vissuto nel III secolo a. C. « Secondo Virgilio »: riferimento a Virgilio, Georg., t, vv. 466-467: « lite etiam extincto miseratus Caesare Romam, / cum caput obscura nitidum ferrugine texit... ;>.
Dialogo di Malambruno e di Farfarello. Composto a Recanati, 1-3 aprile 1824 (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827).
L’infelicità umana deriva dal fatto stesso di esistere. La felicità, negata al genere umano per la presenza in esso dell’amor proprio, diventa infelicitàsolo interrotta dal sogno e dalla morte. ‘’Il non vivere è sempre meglio del vivere’’, afferma Malambruno, dal momento che, continua Farfarello, ‘’la privazione dell’infelicità è sempre meglio dell’infelicità’’.
Farfarello, Ciriatto, Alichino sono tre diavoli che Dante incontra iella bolgia dei barattieri (Inf., XXI-XXII); Baconero si trova nel Malman-ile riacquistato di Lorenzo Lippi (c. v); Asta- rotte nel Morgante di Luigi Pulci (e. v); Bel ehi !dall'ebraico Ba' al zebub, « signore delle tronche »I é una divinità filistea col nome della quale si indica nella Bibbia il principe dei de -noni. Una satirica descrizione della città leggendaria di Manoa si legge nei capp. XVII-XVIII dei Candide ou l'optimisme di Voltaire.
Dialogo della Natura e di un'Anima. Composto a Recanati, 9-14 aprile 1824, (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827).
L’infelicità è di tutti gli uomini, ma è maggiore in quelle grandi. La Natura predice ad un’Anima, prima della sua nascita, l’infelicità, tanto più grande per la grandezza dell’anima: sarà oggetto di lodi e di invidia presso gli uomini, la sua memoria imperitura. Ma l’Anima rinuncia alle sue qualità rare e chiede, in cambio dell’immortalità, di essere quanto prima raggiunta dalla morte.
Per i motivi svolti nell'operetta cfr. Zib_ 649 e 4079-4081. Il nome del poeta portoghese Luiz Vaz de Camoens (1524 c. - 1580), autore dei Lusiadi, è nella schiera degli « infelicissimi » che si legge nel Dialogo: galantuomo e mondo, probabilmente del giugno 1821 e torna più volte nello Zibaldone.
Dialogo della Terra e della Luna. Composto a Recanati, 24-28 aprile 1824. (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827).
La Terra, che ‘’scoppia di noia’’, rivolge una serie di domande alla Luna, che afferma di non essere in nulla conforme alla Terra, se non nel male che ‘’è cosa comune a tutti i pianeti dell’universo.
Sulle personificazioni mitologiche della luna cfr. Storia della astronomia cap. 1; sulla dot trina pitagorica dell'armonia delle sfere celesti, sulla tradizione secondo la quale gli astri sarebbero abitati e sulle presunte scoperte fatte a proposito della luna dall'olandese Davide Fabricio (1564-1617), ibidem, cap. ti; sul mito di Linceo e Idas cfr. Saggio sopra gli errori popolari cit., cap. XVIII. Giuseppe Girolamo de la Lande (11,32-1807) fu un celebre astronomo francese; « un fisico di quaggiù » è l'astronomo inglese Herschel che nel 1824 dal Capo di Buona Speranza avrebbe scoperto sulla Luna, secondo un'operetta apocrifa, la città fortificata di Selenopoli ed avrebbe anche assistito ad urta battaglia tra i popoli lunari avvenuta il giorno 7 febbraio alle ore 11; il « fisico moderno » è don Antonio de Ulloa (17161795), ufficiale di marina spagnuolo, noto per le sue ricerche sull'elettricità e sul magnetismo. II bairam c« piccolo bairam » è una- festa maomettana che comincia con la luna nuova del mese Shewal, a conclusione del Rarnadban. Nel XXXIV canto dell'Orlando furioso, l'Ariosto immagina che Astolfo salga nel cielo della Luna a cercarvi, con l'aiuto di san Giovanni Evangelista, il senno di Orlando. II riferimento successivo alla pazzia « che non si parte dagli uomini » è ai versi finali dell'ottava 81 di quel canto: Sol la pazzia non v' è poca né assai; Che sta quaggiù, né se ne parte mai.
La scommessa di Prometeo. Composta a Recanati, 30 aprile - 8 maggio 1824. (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827).
Svolge il concetto dell’infelicità e malvagità dell’uomo, cui la civiltà non fa che accrescere il tedio della vita La premiazione di Bacco, per il vino, di Minerva, per l’olio, e di Vulcano, per una pentola economica adatta a cuocere tutto, scontenta Prometeo, che ha presentato l’impasto dell’uomo, e che fan quindi una scommessa con Momo per dimostrare che l’uomo è la migliore invenzione, ma un viaggio nel mondo degli uomini lo convince del contrario.
Lo spunto dell'operetta è tratto da due dialoghi di Luciano: l'Ermotimo ed il Prometeo; così Ipernéfelo è il secondo titolo (tradotto dal Settembrini « Passanuvoli ,j dell'Icaromenippo dello stesso autore ed è qui adottato a designare una località immaginaria, L'interlocutore di Prometeo. Momo, secondo la mitologia classica, era figlio della Notte e dio della maldicenza e della malignità. Per alcuni dei motivi svolti nell'operetta cfr. Zib. 3795-3796; 1570-1,572; 1737174Ú; 2898-2899; 484-485 e 177. Secondo la tradizione Pitagora per primo assunse l'appellativo di « filosofo r>, giudicando quello di « sapiente ,>- degno solo degli dei, come fa dire Platone a Socrate nel Fedro. Sinesio, vescovo di Cirene, vissuto fra il IV ed il V secolo d. C.- compose un « elogio » della calvizie; Svetonio (Caes., 45 narra che Giulio Cesare non sopportava « calvitiei deformítatem » e per questo apprezzò molto lo « ius laureae coronae perpetuo gestandae n. L'episodio delle Arpie si legge in Virgilio, Aen., III, v. 225 e ss. Plotino (203 c. - 270 c. d. C.) svolse la dottrina dell'uomo « perfettissimo » nel III libro della u Enneade e Leibniz (1646-1716) espose la teoria « che il mondo presente fosse il migliore di tutti i mondi possibili » nella Teodicea.
Dialogo di un fisico e di un metafisico. Composto a Recanati, 14-19 maggio 1824. (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827).
La vita degli uomini è tanto meno infelice, quanto più fortemente agitata e occupata. Quindi libera dal tedio. Ad un Fisico, che crede di aver scoperto l’immortalità, un Metafisico obbietta che la vita non è amata per se stessa, ma per la felicità che può derivare da essa, e che essendo infelice, è meglio che duri poco; e se per il Fisoco la vita è più bella della morte, il Metafisico gli consiglia di trovare un modo per moltiplicare, anche in intensità, le sensazioni degli uomini, le quali toglieranno tempo al tedio, che rende la vita in tutto simile, e infine inferiore, alla morte.
Per i motivi svolti nell'operetta cfr. Zib., 4062-4064 e 4092; 3509-3514; 4270 e 4272; 625-629. Eureca (gr. eúpvtxa): ho trovato. Col nome Alessandro di Cagliostro si faceva chiamare l'avventuriero palermitano Giuseppe Balsamo (1743-1795), medico, oculista, alchimista, negromante, guaritore, che, implicato a Parigi nell'affare della collana della regina ed esiliato, fu quindi condannato a Roma dall'Inquisizione come franco-muratore e morì nella fortezza di S. Leo. L'esempio di Bitone e Cleobi, si legge nel Voyage du jeune Anacharsis en Grèce del Barthélemy e ne prese appunto il L. in Zib., 2675; nella stessa pagina è citato un passo dell'orazione consolatoria scritta da Plutarco per la morte dei figlio di Apollodoro, dalla quale è tratto il successivo esempio di Agamede e Trofonio. Antonio van Leeunwenhoek (1632-1723), naturalista olandese, nella sua opera Arcana naeurae detecta scrive che u pisces in profundis ac magnis aquis, ac cursu exercitatis fluviis, in quibus aqua corruptionem non patitur, nullis morbís esse obnoxios, nec prae aetate mori ». Pierre Louis Moreau de Maupertuis (16981759), matematico e moralista francese, afferma nelle Lettres philosophiques, a proposito dell'« art de prolonger la vie », che effetto ultimo della vita e della vegetazione è la morte, per cui il solo modo di prolungare l'esistenza sarebbe quello « de suspendre ou de ralentir cette végétation ».
Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare. Composto a Recanati, 1-10 giugno 1824. la ed.: « Antologia » gennaio 1826.
Il piacere non è mai una realtà presente ma ricordo o rimpianto del passato o speranza fallace del futuro. Il Tasso crede di parlare al suo Genio, e gli dice che, quando ripensa alla donna amata, torna ad essere quallo di un tempo e sente ancora possibile la felicità. D’altronde la realtà è solo capace di corrompere la bellezza del sogno, il piacere essendo ‘’subbietto speculativo’’ che non può mai essere appagato, ma che rimanda sempre ad altro maggiore. A questo punto la vita, sempre mancante di felicità, costituisce uno ‘’stato violento’’segnato solo dal dolore e noia. La solitudine consente il beneficio di sottrarre i sogni dal confronto con la realtà e di far tornare la speranza, come nel periodo della gioventù.
Per i motivi svolti nell'operetta cfr. Zib., 532-535; 2685; 3745-3746; 4074-4075; 3713-3715; 3622; 654 e 678-683 e la lettera al Jacopssen del 13 giugno 1823.
[p. 110 B r. 131 nella prima ed.: « - Che io segga? Non sai tu che gli Spiriti non hanno il sedere? A ogni modo vedrò di acconciarmi alla meglio. Ecco: fa conto ch'io sto seduto ».
Leonora è Eleonora d'Este, sorella di Alfonso II duca di Ferrara, amata - secondo una tradizione leggendaria - dal Tasso.
« Che cosa è il vero? » (Quid est veritas?) è la risposta di Pilato a Cristo che si legge nel Vangelo secondo Giovanni, XVIII, 37-38.
Sui sogni cfr. il cap. v del Saggio sopra gli errori popolari degli antichi.
Dialogo della Natura e di un Islandese. Com posto a Recanati, 21-30 maggio 1824. (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827).
Natura potenza in eterno e meccanimo moto costruttore e distruttore, e della naturale infelicità umana. Un Islandese incontra nel cuore dell’Africa, al di sotto dell’Equatore, una donna gigantesca, alla quale racconta di aver fuggito per tutti i luoghi, prima la società umana, poi la stessa Natura, riducendosi a viaggiare continuamente; sebbene abbia rinunciato al piacere, con ciò non ha potuto evitare tutti gli inconvenienti che occorrono a chi lo cerca; e quindi conclude che la natura è ‘’nemica scoperta degli uomini’’. La donna, che si rivela essere la Natura, gli risponde che il mondo non è stato fatto per gli uomini, e che l’eterno ciclo di produzione e distruzione non può essere mai interrotto.
Per i motivi svolti nell'operetta cfr. Zib., - 4087; 4127-4137. Vasco de Gama è il navigatore portoghese - (1469 e. - 1524) che scoprì il passaggio alle Indie orientali per il Capo di Buona Speranza, celebrato nel v canto del poema i Lusiadi di Camoens donde è tratto il favoloso episodio ri cordato dal L. Il « filosofo antico » è Lucio Anneo Seneca (4 a. C. c. - 65 d. C.); il pensiero riportato dal L. (Natural. quaestion. vi, 2): « Si vultis ,nihil timere, cogitate omnia esse timenda ».
Il Parini ovvero della gloria. Composto a Recanati, 6 luglio - 13 agosto 1824. (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827).
Gloria ombra vana. Il Parini mette in guardia un promettente allievo dagli ostacoli che incontrerà se vorrà perseguire la gloria nelle lettere o nella filosofia, tenendo sempre presente che la gloria non porta grandi premi: il maggior diletto dei poeti e dei filosofisi trova neoi loro studi, nel compiacimento dei loro progressi nella solitudine, poiché essi ‘’hanno per distino di condurre una vita simile alla morte, e vivere, se pur l’ottengono, dopo sepolti.
Per i motivi svolti in questa operetta cfr. Zib., 2453-2454 (e la a dedicatoria » al Trissino della canzone Ad Angelo Mai); 2676; 2682-2683; 2796-2799; 4021; 3673-3675; 1788-1789; 3769; 227-228; 2233-2236; 192; 1883-1885; 2600; 345347; 359; 1650; 1833-1840; 3245; 3382-3383; 4108-4109; 1720-1721; 1729-1732; 455; 263-264; 273-274; 3975-3976; 2544-2545; 3383-3385; 271; 826-829; 593; 306-307; 643-644; 3027-3029; 15311533; 1708-1709. Telesilla, eroina di Argo, (VI secolo a. C.) difese la città priva di uomini contro i Lacedemoni di Cleomene. a Un principe » è Federico II il Grande, di Prussia (1712-1786) il cui parallelo fra l'Eneide di Virgilio e l'Henriade di Voltaire si legge nell'elogio di quest'ultimo, pronunziato all'Accademia di Scienze e lettere di Berlino il 26 novembre 1778. L'Henriade poema in x canti, fu pubblicato da Voltaire nel 1723 dapprima col titolo La Ligue ou Henri le Grand, poi modificato nelle edizioni successive, e tratta del saggio re Enrico IV che risolse i gravi contrasti religiosi in Francia fra cattolici e calvinisti, abiurando la sua fede di Ugonotto. Il « filosofo francese » è Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu (1689-1755) il famoso autore dell'Esprit des Lois. A Bosisio in Brianza presso il lago Pusiano nacque Giuseppe Parini il 22 maggio 1729. Francesco Bacone da Verulamio (1561-1626) è il filosofo autore del Novum organum, considerato l'iniziatore del metodo sperimentale; Nicolas de Malebranche (1638-1715) è il filosofo francese fondatore dell'occasionalismo; John Locke (1632-1704) è il filosofo inglese autore dell'Essay concerning Human Understanding, cunsiderato l'iniziatore dell'empirismo.
Esempio di dialogo intertestuale molto studiato è il Coro dei morti che segnerà, insime con la canzone ‘’Alla sua donna’’ ed ad alcune ‘’Volgarizzamenti di Simonide’’, la rottura per L. della struttura metrica della canzone tradizionale. L’atto unico riprende progetti di Tragedia giovanile e un mai sopito rapporto con il dramma pastorale (Aminta Tasso).
Esempio di dialogo intertestuale molto studiato è il Coro dei morti che segnerà, insime con la canzone ‘’Alla sua donna’’ ed ad alcune ‘’Volgarizzamenti di Simonide’’, la rottura per L. della struttura metrica della canzone tradizionale. L’atto unico riprende progetti di Tragedia giovanile e un mai sopito rapporto con il dramma pastorale (Aminta Tasso).
La morte come non un male, ma un diletto, paragobaile al languore del sonno, quando ci si addormeta. Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie. Composto a Recanati, 16-23 agosto 1824. l(NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827).
Un coro di mummie, nel compimento di un certo periodo cosmico, sorprende l’archeologo Ruysch, che le interroga sulla morte. Le mummie affermabo che la morte avviene per gradi come l’addormentarsi, e nell’ultimo di tali istantinon reca più né dolore né piacere, e che nessuno, finché è in vita, crede possibile la morte, o sipera di scanmparla ancora per un poco; Ruysch chiede ancora se si accorsero di essere morti, ma il tempo è saduto e non riceve risposta.
Per i motivi sviluppati nell'operetta cfr. Zib., 281-283; 290-292; 2182-2184; 599. Fredrik Ruysch medico e anatomista olandese (1638-1731) scoprì un metodo per la preservazione dei pezzi anatomici e dei cadaveri dalla putrefazione. « Vampiri »: secondo una tradizione, diffusissima nel XVIII secolo, si chiamavano così i morti in stato di dannazione che, usciti nottetempo dalle tombe, si nutrivano del sangue dei viventi. « Anno grande e matematico »: « Secondo gli antichi, la vita del mondo dovrebbe descrivere un cerchio, e tutti gli astri, compiuta la propria rivoluzione, dovrebbero ricominciare il loro giro al punto donde si sono mossi. Il tempo, in cui poi si sarebbe compiuto questo giro, si chiamava anno grande o matematico e si divideva in dieci secoli di varia durata; alcuni lo calcolavano di 49.000 anni ordinari, altri di 23.760 o anche di 12.954. Col compiersi di questo grande anno si credeva dovessero avvenire fatti mera vigliosi ». (DELLA GIOVANNA). Il « poeta italiano » è Francesco Berni (1498 1535) che rifece l'Orlando innamorato del Boiardo; il riferimento è alla parte ti, c. xxiv, str. 60.
Detti memorabili di Filippo Ottonieri. Composta a Recanati, 29 agosto - 26 settembre 1824. (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827).
Filosofare significa intendere senza pregiudizi e senza illusioni la viata e adattarvisi da saggio, senza vani lamenti. Il ritratto dell’Ottonieri, filosofo vero, epicureo nella vita, socratico nella filosofia, è tracciato in sette capitoli, quasi a contrasto dei suoi aforismi, con dei tratti che lo accomunano all’Islandese, uomo schivo della società e dei suoi piaceri. Volle scritto, nella sua epigrafe: ‘’nato alle opere virtuose e alla gloria, vissuto ozioso e disutile e morto senza fama, non ignaro della natura e della fortuna sua’’.
Per i motivi sviluppati nell'operetta cfr. Zib., 38-39; 64-65; 220-221; 527; 4095; 1044; 15371538; 4104; 69; 703; 4090; 2526-2527; 1477; 2800-2803; 676; 479-480; 1364; 1329; 97-99; 2767-2770; 238-239; 183; 375-376; 4068-4069; 3447-3448; 3183-3191; 3520-3524: 194-195; 1362; 55; 1833; 293; 2481; 2611; 1926; 3000; 352353; 1653-2654; 4075-4076; 4023; 162; 231; 249; 303-304; 2602; 2680-2681; 3761; 593-595; 62-63; 29-30; 58; 60-61; 2588; 4068; 212; 1; 273; 66; 6; 309. Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) era noto per la sua misantropia e per l'eccentricità dei suo modo di vivere; Democrito (nato in Abdera nel 460 a. C.) ebbe fama di uomo eccentrico, come i cinici seguaci di Antistene, che vivevano disprezzando gli agi e le convenienze dell'esistenza. La « questione » di Orazio si legge in Satire, i, i, vv. 1-3: « Qui fit, Maecenas, ut nemo, quam sibi sortem / Seu ratio dederit seu fors obiecerit, illa / Contentus vivat, laudet diversa sequentis? ». II retore Diogene Laerzio, vissuto fra il Il ed il III secolo d. C., scrisse in x libri, Le Vite e dottrine dei filosofi illustri, fonte importantissima per la conoscenza della filosofia greca. Egesiaci erano detti i seguaci di Egesia, filosofo cirenaico vissuto nel III secolo a. C. che fu detto « persuasor di morte »(Cft. il Dialogo di Plotino e Porfirio). Bione « boristenite » era detto così da Bori-stene, sua città natale nella Sarmazia, per non confonderlo con gli altri nove che, secondo Diogene Laerzio, avevano lo stesso nome. Marcello Adriani (1553-1604) tradusse gli Opuscoli e le Vite parallele di Plutarco. Flavio Arriano di Nicomedia in Bitinia allievo di Epitteto, vissuto nel II secolo d. C., fu autoree di un'opera storica in vii libri sulla spedizione di Alessandro Magno. Jacques-Benigne Bossuet (1627-1704) vescovo i di Meaux fu un famoso oratore sacro francese, apologista e controversista. L'imperatore Flavio Claudio Giuliano detto l'Apostata (331-362) nel Micoawyov ~ 'Avtwxixbc; i si scaglia contro i costumi effeminati degli abi tanti di Antiochia. Lorenzino de' Medici (1514-1548) scrisse l'Apologia per giustificarsi dell' omicidio del cugino duca Alessandro signore di Firenze (1537).
Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro ' Gutierrez. Composto a Recanati, 19-25 ottobre -1824. 1° ed.: « Antologia », gennaio 1826.
Esaltazione della vita attiva come mezzo per scacciare la noia e il dolore e, coll’incorrere nei pericoli, rendere più cara la vita. Colombo e Gutierrez sull’oceano parlano del destino del loro viaggio, di cui Colombo non è più certo; tuttavia l’occupazione della navigazione lo distoglie dal pensiero dell’inutilità della vita, e i segni ravvisati negli elementio della natura lo fanno ancora sperare
Pietro Gutierrez, gentiluomo di camera del re Ferdinando il Cattolico, compì la traversata dell'Atlantico sulla nave ammiraglia di Colombo. Gomera è l'isola delle Canarie dalla quale ' Colombo partì il 6 settembre del 1492. Annone (V secolo a. C.) navigatore cartaginese, esplorò le coste occidentali del continente afri cano fino alla Guinea e lasciò una descrizione dei suoi viaggi (Periplo) pervenutaci in una versione greca. Salto di Leucade era il titolo di una progettata operetta, cfr. Zib., 82.
Elogio degli uccelli. Composto a Recanati, 29 ottobre - 5 novembre 1824. (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827).
Il filosofo Amelio in una serie di osservazioni sugli uccelli, lieti e contenti, il cui canto è ‘’significazione di allegrezza’’, introcuce il discorso sul riso, ‘’specie di pazzia non durabile o pure di vaneggiamento o delirio’’, del quale anche gli uccelli, al pari degli uomini, sembrabno essere dotati, perché non conoscono la noia, per le abitudini di vita e per l’immaginazione che sembrano avere; infine anche il filosofo desidererebbe divantare un uccello per provare il piacere della loro vita. L’uomo è il più infelice degli animali, e il riso deriva in lui non dalla sanità dell’animo, ma dal suo disordine.
Per i motivi svolti nell'operetta cfr. Zib., 159; 1722; 4138; 107; 188; 109.
L'operetta si ricollega alla Histoire naturelfe des oiseaux del Buffon per la parte scientifica, e per alcuni dei motivi che vi sono svolti al coro della commedia di Aristofane, Gli uccelli e al Trattato del riso di L. Joubert. Amelio (=lo Spensierato) era il soprannome di Gentiliano, filosofo vissuto in Etruria nel III secolo d. C., come si legge nella Vita di Plotino di Porfirio. « Come dice Virgilio »: Fcl., tv, v. 60: « Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem ». Anacreonte è il famoso lirico greco (VI secolo a. C.) nativo di Teo in Asia minore.
Cantico del gallo silvestre. Composto a Recanati, 10-16 novembre 1824. (NOTA 1° edizione: Stella, Milano 1827).
Rinvenuto su una cartapecora, vine narrato il cantico di un gallo favoloso, che ricorda agli esseri umani che col risveglio del mattino ritorna l’infelicità; meglio sarebbe un dormire perpetuo, meglio ‘’essere liberi dalla vita’’. Il mattino, in tutto simile alla giovinezza, concede la speranza, ma poi c’è solo il declino. Tutto questo almeno fino a quando durerà la natura, poi subentrerà il silenzio, e il mistero dell’esistenza si dileguerà restando sconosciuto.
La vita è un peso ed ad essa è èreferibile la morte, alla quale si affrettano incessantemente tutte le cose. Fui chiamato cantico per il suo carattere lirico.
Per i motivi svolti nell'operetta cfr. Zib., 1282; 193-194; 151-152.
« Un certo gallo salvatico »: « Et gallus sylvestris, cuius pedes consistunt in terra et caput eius pertingit in caelum usque, cantat coram me » Psalm. v, tt. Il caldeo è una lingua aramaica e in caldeo sono scritti i. targum, parafrasi della Torah (legge mosaica, in particolare il Pentateuco); rabbinica è la lingua dei dottori della religione ebraica (rabbini); cabalistica è la lingua della Cabala, dottrina occulta che, secondo una tradizione ebraica medievale, gli angeli avrebbero rivelato ad Abramo; talmudica è la lingua del Talmud, codice religioso morale del giudaismo postcristiano.
Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco. Composto probabilmente nell'autunno 1825 a Bologna. la ed.: F 45.
Da un codice greco dei monaci del monte Athos, viene tradotto un frammento di due capitoli, forse di Stratone: ‘’Della origine del mondo’’ e ‘’Della fine del mondo’’.
Nel primo, la materia è classificata come non nata e non soggetta a finire, con modi di essere transitori. La materia ha una sua propria forza, che lamuove e la anima (nell’uomo tale forza è chiamata amor proprio, piacere o altro), e che opera in continuazione, distruggendo le creature da essa formate e ricreandone altre.
Nel secondo, rinnovando l’osservazione della continua trasformazione, vengono addotte le osservazioni astronomiche sulla fine della terra, deglòi altri pianeti, del sole e delle altre stelle. Poi tutto rinascerà in forma sconosciuta e inconoscibile.
Svolge il concetto dell’etrnità della materia ma non della sua attuazione: le forme materiali nascono e muoiono, la materia si svolge sempre venso nuove forme.
Ma il L. intendeva inserire l'operetta nell'edizione Starita che rimase interrotta e nella progettata edizione parigina. Per i motivi svolti nell'operetta cfr. Zib., 4248; 4510; 629-633; 2490-2491. Stratone di Lampsaco filosofo greco (328 c. - 268 a. C.) fu il successore di Teofrasto alla guida della scuola peripatetica. Sulla « natura * dell'anello di Saturno cfr. Storia dell'astronomia, cap. IV.
Dialogo di Timandro e di Eleandro, rr. 189-192»
Dialogo di Timandro e di Eleandro. Composto a Recanati, 14-24 giugno 1824. 18 ed.: « Antologia » gennaio 1826.
Lo scrittore Eleandro, che non desidera nulla dagli uomini, non li ama, né li odia, che si duole del loro destino di infelicità e riconosce nel riso l’unico rimedio, spiega a timandro che, sebbene nei suoi scritti ci siano alcune ‘’verità dure e triste’’ ciò nonostante egli incita gli uomini ad azioni nobili e virtuose, alle immaginazioni che danno forza alla vita, agli errori antichi, e deplora il misero e freddo vero della filosofia e della civiltà moderna.
Il dialogo concludeva la serie delle Operette nell'edizione Stella del 1827. Sul significato dell'operetta, « nel tempo stesso una specie di prefazione, ed un'apologia dell'opera contro i filosofi moderni », cfr. la lettera allo Stella del 16 giugno 1826. 584 Per i motivi svolti nell'operetta cfr. Zib., 304305; 2711; 21-23. I nomi Timandro ed Eleandro (nel ms. dapprima Filénote e Misénore) significano etimologicamente « colui che stima l'uomo » e « colui che ne ha compassione ». Timone ateniese, vissuto secondo Plutarco (Vite, Antonio, LXX) al tempo della guerra peloponnesiaca era noto per la sua misantropia. Su di lui, Luciano compose il dialogo omonimo, il Boiardo una commedia e Shakespeare il Timon of Athens. L. avrebbe voluto scrivere anche un altro Dialogo di Timone e di Socrate, ma non lo scrisse mai.
Il Copernico. Composto nel 1827. 15 ed.: F 45. Ma il L. intendeva inserire l'operetta nell'edizione Starita che rimase interrotta e nella progettata edizione parigina.
Il sole, che è stanco di fare il suo giro, vuole in filosofo per diffondere la sua nuova condizione, e quindi dà modo a Copernico di fare la sua osservazione astronomica sul sistema solare, con la terra che non è più al centro dell’universo. A Copernico, toimoproso di essere condannato al rogo, consiglia solo di dedicare la scoperta al papa. Svolge il concetto della nullità del genere umano, contro i filosofi che dichiarano l’uomo signore dell’universo.
Per i motivi svolti nell'operetta cfr. Storia dell'astronomia capp. iii, iv, v e Zib., 84. « Quella certa aria da servire per ardere » è il gas illuminante. Almagesto è il titolo della traduzione latina dall'arabo (secolo IX) del trattato di astronomia Sintassi matematica, cosiddetta grandissima (Meytczn), di Claudio Tolomeo. Giovanni di Sacrobosco - nome latino della città di Holywood in Inghilterra - vissuto fra l'inizio del XIII secolo e il 1256 fu astronomo e autore del trattato De sphaera Mundi nel quale è esposto il sistema tolemaico. « Uno spagnuolo » è Pedro de Cieza autore di una Chronica del Perù (1550). Il « vostro matematico antico » è Archimede di Siracusa (287-212 a. C.). Il passo di Cicerone cui fa riferimento il Sole (scena tv) si legge nell'orazione Pro Sestio, XLV, 98: « Neque enim rerum gerendarum dignitate homines ecferri ita convenit ut otio non prospiciant, neque ullum amplexari otium quod abhorreat a dignitate ».
NOTA Argomento affettivo (sempre sensibile il poeta vedi Canto e sopra un basso rilievo antico sepolcrale) risale al 1827 con le Operette
NOTA Argomento affettivo (sempre sensibile il poeta vedi Canto e sopra un basso rilievo antico sepolcrale) risale al 1827 con le Operette
Dialogo di Plotino e di Porfirio. Composto, probabilmente a Firenze, nel 1827, la ed.: F. 45.
Plotino è stanco della vita, ‘’principato dell’infelicità’’; la filosofia di Platone, con la promessa di una vita ultraterrena, ha amareggiato l’unico conforto concesso dalla natura, cioè appunto la morte, che si rende necessaria come la medicina, ‘’bisognando ai mali non naturali, rimedio non naturale’’. Ma il dolore causato dal privare i cari della propria presenza, e del conforto di condividere i mali e la ‘’fatica della vita’’, è l’argomento finale col quale Porfirio cerca di distrarre l’amico dal suo proprosito.
E’ la giustificazione del suicidio secondo ragione, e la sua riprovazione secondo il sentimento, col quale la natura ci riconcilia con la vita.
Per i motivi svolti nell'operetta cfr. Zib., 3497-3509; 814-818; 56; 1978-1982; 2241-2242; 2402-2404; 2549-2555; 57-58. Plotino (203-270 circa), filosofo di Licopoli, allievo di Ammonio Sacca, fu il fondatore del neoplatonismo; dal 244 a Roma, ebbe grande ascendente sull' imperatore Gallieno. Porfirio (233-304 circa) di Tiro, suo discepolo, curò la pubblicazione dell'opera fondamentale del maestro: le Enneadi. L'operetta trae spunto da un passo della biografia di Plotino scritta appunto da Porfirio, IIept Mozivov Ptov xai iik zótl;ews iwv jit(i1iwv aGtoO, che nel 1814 il giovane Leopardi aveva commentato nel Porpbyrii de vita Plotini et ordine Librorum eius Commentarius Gr. lat. ex versione Marsilii Ficini emendata cum notis amplissimis et praevia commentatione. Eunapio di Sardi fu un retore vissuto nella seconda metà del IV secolo, autore di una serie di biografie di filosofi. La « sentenza » di Platone sul suicidio si legge in Fedone iv, 62 b. Sul « principato dell'infelicità » che Omero attribuiva agli uomini cfr. il canto xvii dell'Iliade, vv. 446-447. Su Egesia cfr. i Detti memorabili di Filippo Ottonieri e la nota relativa. Mitridate VI « Eupatore » re del Ponto (12063 a. C.), sconfitto da Lucullo e Pompeo, fuggì nel regno del Bosforo dove, tradito anche dal figlio Farnace, si fece uccidere; Cleopatra, figlia di Tolomeo Aulete e regina d'Egitto, si suicidò nel 30 a. C., dopo la battaglia di Anzio; Ottone, imperatore dopo l' uccisione di Galba, sconfitto da Vitellio a Bedriacum, si suicidò nel 69 d. C.
Dal dialogo di Plotino e di porfirio emerge una costante delle operette ovvero la mancanza di una conclusione, una promessa di conciliazione del conflitto, conclusione che nel caso del Plotino avviene al di fuori di essa, come il gesto del suicidio.
Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere. Composto, a Roma o a Firenze, nel 1832. 1' ed.: Firenze, Piatti, 1834.
E’ il pesnatore a colloquio, con l’uomo incolto. Il concetto del dialogo è contenuto in questo passo dello Zibaldone (229-30, 42-83): ‘’nella vita che abbiamo sperimentata e che conosciamo con certezza, tutti abbiamo provato più male che bene; e se noi ci contentiamo ed anche desideriamo di vivere ancora, ciò non è che per l’ignoranza del futuro, e per una illusione della speranza, senza la quale illusione o ignoranza non vorremmo più vivere, come noi non vorremmo rivivere nel modo che siamo vissuti .’’
Per i motivi svolti nell'operetta cfr. Zib., 4283-4284.
Dialogo di Tristano e di un amico. Composto nel 1832, non prima del maggio, a Firenze. 1' ed.: Piatti.
E’ la difesa delle operettee la conclusione ulima del pensiero leopardinao, ormai volto magnanimamente al desiderio della morte. Tristano, che ha scritto un libro sull’infelicità, confessa ora all’amico di essersi sbagliato: la vita è felice, egli crede nel sec. XIX, più grande di tutti gli altri, la specie umana ha fatto progressi, soprattutto nel sapere. Ma conclude che, in un secolo di ragazzi, gli uomini debbono nascondersi, che l’apparenza di tutte le cose (del sapere, della letteratura, ecc.) supera di gran lunga il vero, e che lui, avendo esaurito ‘’da ogni parte la favola della vita’’, desidera ora solo la morte.
Per i motivi svolti nell'operetta cfr. la lettera al De Sinner del 24 maggio 1832, Pensieri, LIV e Zib., 4525; 2672; 96; 125; 473; 1332; 1601; 1631-1632; 358; 830-836; 646; 4269-4270; 4271-4272; 4354. « Come dice il Petrarca »: R. V. F., cccxxi, vv. 7-8: « Or, lasso, alzo la mano e l'arme rendo / a l'empia e violenta mia fortuna ». « Uno che sia caro agli Dei, muore in giovanezza » è parafrasi del verso di Menandro « Sv oi óeoi cp0„oúctv lc,to8v,jaxei vÉOS » che il L. tradusse e pose come epigrafe ad Amore e morte. « Un mio amico »: Gino Capponi
Appendice alle Operette morali
Questa Appendice, messa insieme per la prima volta in un'edizione critica, dal Moroncini, raccoglie testi di provenienza diversa ma riconducibili al disegno programmatico dell'autore, in particolar modo il nucleo primordiale delle Operette, costituito dalla famose Prosette satiriche[3].
Comparazione delle sentenze di Bruto Minore e di Teofrasto vicini a morte. Composta a Recanati, in otto giorni, nel marzo 1822. 1' ed.: B 24, premessa al Bruto Minore; 2' ed., con le varianti apportate dall'autore, F 45. Testo secondo l'ed. Flora.
Dialogo di un lettore di umanità e di Sallustio. Composto a Recanati, 26-27 febbraio 1824, occupava il quinto posto delle Operette nelle edizioni milanese e fiorentina, ma fu escluso da quella del 35 « per volontà dell'autore ». Testo secondo l'ed. Flora.
Forse perché gli parve troppo scolastico e di materia non abbastanza originale, sebbene i pesnsieri in esso contenuti siano conformi al suo filsofare’’ (Mestica, Scritti letterari di GL, Firenze Le Monnier 1924).
Novella: Senofonte e Niccolò Machiavello. t Datata 1822 dal primo editore, ma da asse- c gnarsi con tutta probabilità al 1820, secondo la 1 proposta dello Scarpa, che la pone in rapporto ( ai pensieri politici che si leggono nello Zibaldone di quell'anno. la ed: Scritti vari inediti cit. Testo secondo l'ed. Flora.
Per la novella Senofonte e Machiavello. Auto- t grafo, fra le carte napoletane, datato 13 giugno 1822. la ed.: Scritti vari inediti cit. Testo se- t condo l'ed. Flora.
Alla novella Senofonte e Machiavello. Autografo fra le carte napoletane. 1+ ed.: Poesie e prose a c. di F. FLORA cit. I.
Dialogo: Filosofo greco, Murco senatore ro- ' mano. Assegnato al '22 dal primo editore, fu datato agosto 1820 dallo Scarpa in rapporto alla lettera al Giordani del 4 settembre 1820: « In questi giorni, quasi per vendicarmi del mondo, e quasi anche della virtù, ho immaginato e abbozzato certe prosette satiriche ». la ed.: Scritti vari inediti cit. Testo secondo l'ed., Flora. Ispirato ai moti carbonari napoletani dello stesso anno.
Dialogo tra due bestie p. e. un cavallo e un toro. Dialogo di un cavallo e un bue. Al dialogo del cavallo e del bue. Composti presumibilmente, secondo un'ipotesi dello Scarpa, nell'agosto 1820 in quanto farebbero parte delle « prosette satiriche » di cui Leopardi scrisse al Giordani il 4 settembre 1820. 1+ ed.: Scritti vari inediti cit., con l'aggiunta di due foglietti ed una schedina dei mss. napoletani, omessi dal primo editore: Opere a. c. di G. SCARPA Cit. Testo secondo l'ed. Flora. E’ una satira contro l’antropocentrismo
Dialogo. Galantuomo e Mondo. I primi editori lo assegnarono al periodo '22-'24, il LEVI riportò la data del dialogo al giugno 1821 (Inizi romantici e inizi satirici del L., « Giornale storico della letteratura italiana », XCIII, 1929). 14 ed.: Scritti vari inediti cit. Testo secondo l'ed. Flora. Nella viat la virtù e inefficace, mentre conta la prepotenza la bassezza d’animo, l’adulazione e il denaro.
Frammento sul suicidio. Datato dubitativamente dai primi editori (ai quali si deve anche il titolo) 1832, si deve riportare - come propone lo Scarpa che lo pubblica con un diverso titolo, Frammento di un trattato filosofico, - al 1820 perché «i concetti espressi nel frammento limitano il tempo della sua probabile composizione, che noi poniamo fra la canzone al Mai e il Dialogo del filosofo greco e del senatore romano » (Opere cit., p. 1291). 1a ed.: Scritti vari inediti cit. Testo secondo l'ed. Flora.
Appunti per le operette. Il primo appunto, che si riferisce a Terra e Luna, fu pubblicato dal Moroncini in una nota dell'ed. critica cit. delle Operette morali (II, pp. 737); il secondo I (che si trova nello stesso foglio, fra le carte napoletane) dal Flora (I, p. 1085 sotto il titolo Stralci per le operette). Testo secondo l'ed. Flora.
Notizia intorno a queste operette. Premessa al u volume delle Opere (Napoli, Starita, 1835), t riprodotta dal Flora sulla base dell'esemplare t corretto, di cui si è detto nella prima nota al I testo delle Operette nella sezione precedente. 1
Note
Le Note delle Operette morali, in totale sessantadue[60], sono state scritte da Leopardi tra ottobre e dicembre del 1824. Nelle varie edizioni hanno subito poche modifiche, si ricordano alcune integrazione di mano del Ranieri, espunte nell'edizione critica dal Moroncini. Nel complesso si tratta di informazioni puntuali circa alcuni argomenti trattati o curiosità di ordine storico, filosofico, filologico, ma anche cronaca dell’epoca. Sarà lo stesso poeta a spiegarne il senso e la collocazione:
Note
- ^ Edizione censurata, ma ristampata dieci anni dopo dall'amico Antonio Ranieri, per l'editore Le Monnier. Edizione che, alla luce dei nuovi studi critici su Leopardi, ha rilevato numerose sviste. Vedi anche l'Edizione del '35 e quella del '45.
- ^ L'opera maggiore di Monaldo Leopardi sono i Dialoghetti sulle materie correnti nell'anno 1831, usciti nel gennaio 1832 con lo pseudonimo di 1150, MCL in cifre romane, iniziali di Monaldo Conte Leopardi. Ebbero immediatamente un grande successo, sei edizioni in pochi mesi, e sono stati tradotti in più lingue. Giacomo, da Roma, ne informa il padre in una lettera dell'8 marzo:
«I Dialoghetti, di cui la ringrazio di cuore, continuano qui ad essere ricercatissimi. Io non ne ho più in proprietà se non una copia, la quale però non so quando mi tornerà in mano.»
I suoi scritti esprimevano gli ideali dell'assolutismo e della reazione. Tra le tesi sostenute, la necessità di restituire la città di Avignone al papato e il ducato di Parma ai Borbone; la critica a Luigi XVIII di Francia per la concessione della costituzione e la proposta della suddivisione del territorio francese fra Inghilterra, Spagna, Austria, Russia, Olanda, Baviera e Piemonte; la difesa dell'oppressione turca sul popolo greco.
- ^ a b (Lettera a Pietro Giordani del 4 settembre 1820, n°166). Prima testimonianza della conclusione di un ciclo di prose iniziate presumibilmente tra il ‘18-’19, in seguito al progetto letterario di dare all’Italia una lingua filosofica e moderna, ispirata, sul piano della scrittura, dai moralisti greci e dalla satira menippea (aveva tradotto Luciano di Samosata, Plutarco ecc.) Errore nelle note: Tag«In questi giorni, quasi per vendicarmi del mondo, e quasi anche della virtù, ho immaginato e abbozzato certe prosette satiriche»
<ref>non valido; il nome "Prosette satiriche" è stato definito più volte con contenuti diversi - ^ Leopardi inizia un traduzione del ‘’Caronte e Menippo’’ di Luciano tra la primavera e il luglio 1818 secondo il Flora, ma secondo il Besomi nel 1819 cfr. Giacomo Leopardi, Operette morali, edizione critica a cura di O. Besomi, Milano, 1979.
- ^ Zibaldone di pensieri, pp. 1393-94, 27 luglio 1821; [...]trattato in prosa alla maniera di Luciano, lettara a Pietro Giordani del 6 agosto 1821, n° 202.
- ^ Besomi risale alle probabili date in base agli autori e ai testi classici in esse citate e riportate nelle pagine dello Zibaldone: Valleio Patercolo, 22 dicembre, 1820; De bellis civilibus di Appiano, 29 aprile, 1821; Floro, 7 gennaio, 1821; Tacito, 2 gennaio, 1821 ecc.
- ^ Concetto introdotto nel ‘’Bruto minore’’ e nella Comparazione delle sentenze di Bruto Minore e di Teofrasto vicini a morte è approfondito nella Novella: Senofonte e Niccolò Machiavello e nel Dialogo: Galantuomo e Mondo: vi compare la concezione della vanità della vita e della sapienza, che si traduce in un'apostasia della stessa gloria e della stessa virtù che non è una situazione propria degli antichi ma solo dei moderni. Cfr. W. Binni, La protesta di leopardi pp.136-167.
- ^ a b c d e f g h L. Celerino, Giacomo Leopardi, Operette morali, Letteratura italiana – Le Opere vol. III, Torino, UTET, 1995. Errore nelle note: Tag
<ref>non valido; il nome "LC" è stato definito più volte con contenuti diversi - ^ Zibaldone di pensieri pp. 2171-2172 (26 Nov 1821)
- ^ Giordani rimase molto colpito dalla morte del poeta, come esprimono alcune lettere inviate agli amici: L’afflizione per Leopardi è nelle midolle; e vi durerà. Non è da dolere che abbia finito di penare; ma sì che per 40 anni abbia dovuto desiderar di morire: questo è il dolore immedicabile […]. Io confesso di non aver pianto: ma una tristezza invincibile mi avvelena ogni piacere che qui potrei gustare. Torino, 12 luglio 1837. In seguito i suoi pensieri riguardo la memoria dell’amico cambiarono radicalmente: Quando cominciò ad essere conosciuto, non mi scrisse più: quando a Firenze andavo a trovarlo, non mi parlava. Nelle sue scritture ha posto molti, di me non mai parola. Pare che il cuore non corrispondesse all’ingegno, altri ancora l’han detto ingrato. Ma questo non fa nulla. 1 ottobre 1839. Io credo che originalmente Giacomo avesse cuor buono ed affettuoso, ma credo che poi si fosse fatto molto egoista. Per me passò dalle smanie amorose a più che indifferenza, ed ebbe gran torto. 28 maggio 1840
- ^ R. Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, La scrittura e l'interpretazione: storia e antologia della letteratura italiana nel quadro della civilta europea, ed. blu, vol. 2, Palumbo Editore, Palermo.
- ^ Tra il ’24 e il ‘25 Leopardi s’era imbarcato in un progetto editoriale che prevedeva la traduzione di una ‘’Scelta di Moralisti greci’’, per l’editore Stella, che non fu mai realizzata a causa della censura milanese. Faceva parte della raccolta anche il volgarizzamento del ‘’Manuale di Epitteto’’, l’unico completato del tutto nel dicembre del 1825.
- ^ ‘’Il frutto della mia vita finora passata […]’’, lettera ad Antonio Fortunato Stella, del 12 marzo 1826.
- ^ Zibaldone, 4174, 22 aprile 1826.
- ^ Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco, rr. 33-38.
- ^ Il ripiego dell’uomo sulle lettere e la filosofia è pensiero alfieriano che il ‘’Parini’’ cita esplicitamente, r.42 p.185.
- ^ Vedi Zibaldone pp. 51, 77, 105, 157-158, ‘’’teoria del piacere 165-189’’’, 230, 246, 271, 384, 400-401, 532-535, 646-650, 826-829, 1025, 1044, 1382, 1456-1457, 1464-1465, 1507-1508, 1574-1575, 1580-1581, 1583, 1746, 1758-1759, 1777-1778, 1779, 1826-1827, 1916, 2017-2018, 2157-2159, 2526-2527, 2528-2529, 2549-2555, 2599-2602, 2629, 2685, 2702-2703, 2883-2884, 3315-3316, 3501-3502, 3514, 3525, 3550-3552, 3622, 3713-3715, 3745-3747, 3814, 3823-3824, 3835, 3876-3878, 3895, 3909-3910, 3921, 4043, 4061, 4074, 4087, 4095, 4126, 4127-4132, 4175, 4180-4181, 4250, 4266-4267, 4273-4274, 4283-4284, 4288, 4305, 4415, 4418, 4472.
- ^ Cantico del gallo silvestre rr. 68-79.
- ^ Definite dall’autore “bazzecole grammaticali” in un passo dello Zibaldone (p. 1393? E in un lettera a P. Giordani (n° 202)) del 4 agosto 1823.
- ^ Vedi anche Lucio di Patre: presunto autore di un romanzo Metamorfosi: le generalità concordano con il protagonista del Lucio o l’Asino attribuito a Luciano, e la notizia rinvia al complicato problema delle fonti delle Metamorfosi apuleiane.
- ^ Vedi Zibaldone pp. 2615-16
- ^ L. Pulci, Morgante maggiore, XIX vv. 153-54
- ^ (Lettera ad Antonio Fortunato Stella, del 6 dicembre 1826)
- ^ Testo che il Leopardi non conosceva.
- ^ . La novella Detti memorabili di Filippo Ottonieri riprende anche i memorabilia di Socrate, stesi dai suoi allievi, in particolare Senofonte.
- ^ Modello ripreso già da Foscolo con la Notizia intorno a Didimo Chierico.
- ^ G. Marzot, Storia del riso leopardiano, Messina-Firenze 1966.
- ^ Lettera AFS 23 agosto 1827.
- ^ Spesso Leopardi riporta studi e teorie di lavori precedenti come il ‘’Saggio sugli errori popolari degli antichi, Storia dell’Astronomia, Dialogo sullo stato presente dei costumi degli italiani, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica.
- ^ Non è stato ancora svolto, come nei lavori filologici per lo Zibaldone e i Canti, uno studio comparato degli autori e dei testi che hanno influenzato la stesura delle Operette.
- ^ Lettera a PG 13 luglio 1821
- ^ [...] quella sua immensa facoltà di dare ad una stessa parola, diverse forme, costruzioni, modi [...]. Zibaldone, pp. 1332-34 (17 luglio 1821)
- ^ Uno di D’Alambert in Natura e anima: Va figliuola mia prediletta, che tale sarai tenuta e chiamata per lungo ordine di secoli. Vivi e sii grande e infelice rr. 1-3; uno di Pirrone in Fisico e Metafisico: [...] (La vita) dà luogo a creder vera quella sentenza di Pirrone, che dalla vita alla morte non è divario. Il che se io credessi, ti giuro che la morte mi spaventerebbe non poco. Ma in fine, la vita debb’essere viva, cioè vera vita; o la morte la supera incomparabilmente di pregio. rr.272-273
- ^ Lettera ad Aantonio Fortunato Stella del 10 giugno 1826
- ^ Escluso dall'edizione finale Starita di Napoli.
- ^ Già corretto sull'autografo in Dialogo di Timandro e di Eleandro.
- ^ Primo dei tre finali che Leopardi cambierà nel corso delle varie edizioni, modificandone via via il messaggio.
- ^ In un altra pagina compare un indice corrispondente all'edizione Stella del 1827.
- ^ Periodo della copia definitiva inviata a Milano all'editore Stella nel 1827.
- ^ a b Quasi tutte furono composte tra il gennaio e il novembre del 1824 eccetto: Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco (autunno 1825); Il Copernico ovvero della gloria e Dialogo di Plotino e di Porfirio (1827); Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere e Dialogo di Tristano e di un amico (1832).
- ^ Impossibile precisare meglio la data; l'unico appunto consiste in una mezza pagina dello Zibaldone, datata 8 gennaio 1827 in cui l'autore riporta alcuni ragionamenti, compiutamente poi esposti nel Dialogo di Plotino e di Porfirio. Altre tracce non si trovano.
- ^ La paura della censura indussero Leopardi ad attendere tempi migliori per la pubblicazione di quei testi.
- ^ Vedi Giacomo Leopardi, Operette morali, edizione critica a cura di F. Moroncini, Bologna, 1928.
- ^ Le posizioni estreme di Leopardi si scontrarono con gli aspetti più moderati dei pensieri politici e culturali di G. Vieusseux e N. Tommaseo.
- ^ Leopardi le aveva promese a Luigi De Sinner nell'estate del 1832: Non vi mando le due prose, perché avendole rivedute, ne sono stato pochissimo contento, e credo che le sopprimerò tutte e due o almeno l'una di esse. Lettera a L. De Sinner 31/07/1832.
- ^ Vedi Notizia intorno a queste Operette.
- ^ a b La testimonianza si trova nei carteggi preparatori per un'edizione francese presso l'editore Baudry di cui si sarebbe occupato L. De Sinner e che solo la morte dell'autore impedì di realizzare. I materiali pronti per la tipografia sono stati conservati e usati, pur con numerose sviste, da Antonio Ranieri per la successiva edizione Le Monnier.
- ^ Lettera a Luigi De Sinner del 22/12/1836.
- ^ Numerose le sviste e gli errori, corretti nelle successive edizioni critiche, a partire dai primi del '900.
- ^ Leopardi ne discute ancora col De Sinner per l'edizione parigina nel 1835.
- ^ Gli stessi testi serviranno a F. Moroncini per fissare l'edizione critica definitiva delle Operette morali di Giacomo Leopardi.
- ^ Dialogo di Timandro e di Eleandro, Dialogo di Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez, Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, scelti e curati da Pietro Giordani.
- ^ Delle operette morali del conte Giacomo Leopardi / Primo Saggio, Antologia, LXI, gennaio 1826.
- ^ Lettera a Francesco Puccinotti del 22 giugno 1826 n. 454.
- ^ Lettera a Giampietro Vieusseux del 04 marzo 1826 n. 422.
- ^ Dal nuovo Ricoglitore furono tratti nello stesso anno alcuni estratti dall'editore Stella.
- ^ a b Lettera a Antonio Fortunato Stella del 6 dicembre 1826 n. 494.
- ^ Sansoni, Binni, Ghidetti
- ^ Storia del genere umano, rr. 131-135. Secondo S. Timpanaro fu proprio questo pensiero a destare il maggior scandalo quando furono pubblicate le Operette. Le convinzioni leopardiane si sarebbero scontrate frontalemente con l’ottimismo provvidenziale della chiesa cattolica.
- ^ Dagli autografi emerge un gran numero di appunti e annotazioni marginali, lasciati successivamente cadere dall’autore.
- ^ Lettera ad Antonio Fortunato Stella del 19 gennaio 1827.
Bibliografia
Testo critico
- Giacomo Leopardi, Operette morali, edizione critica a cura di O. Besomi, Milano 1979.
- Giacomo Leopardi, Operette morali, edizione critica a cura di F. Moroncini, Bologna, 1928.
Testo commentato
- Giacomo Leopardi, Operette morali, con introduzione di P. Giordani, a cura di G. Chiarini, Livorno 1870.
- Giacomo Leopardi, Operette morali, a cura di G. Gentile, Bologna 1918
- Giacomo Leopardi, Operette morali, a cura di M. Porena, Milano 1921
- Giacomo Leopardi, Operette morali, a cura di I. Della Giovanna, con introduzione di G. De Robertis, Firenze 1957.
- Giacomo Leopardi, Operette morali, Biblioteca Universale Rizzoli (BUR) 1951 a cura di Mario Oliveri, pp. 298
- Giacomo Leopardi, Operette morali, a cura di M. Fubini, Torino UTET 1966
- Giacomo Leopardi, Operette morali, a cura di C. Galimberti, Napoli 1977
- Giacomo Leopardi, Operette morali, a cura di G. Getto e E. Sanguineti, Milano 1982.
- Giacomo Leopardi, Operette morali, a cura di M. A. Bazzocchi, Milano 1991
- Giacomo Leopardi, Operette morali, a cura di Flora, Milano, 1949
Critica
- W. Binni, La nuova poetica leopardiana, Firenze, 1947
- W. Binni, La protesta di Leopardi, Firenze, 1973
- C. Galimberti, Linguaggio del vero in Leopardi, Firenze, 1973
- A. Borlenghi, Leopardi. Dalle “Operette morali”, ai “Paralipomeni”, Milano, 1973.
- S. Campailla, La vocazione di Tristano. Storia interiore delle “Operette morali”, Bologna, 1977.
- V. Melani, Leopardi e la poesia del Cinquecento, Messina-Firenze, 1979.
- A. Tartaro, Leopardi, Bari, Laterza', 1978.
- W. Binni, Lettura delle “Operette morali”, Genova, 1987
- A. Ferraris, La vita imperfetta. Le “Operette morali” di Giacomo Leopardi, Genova, 1991.
- A. Frattini, Leopardi. Il problema delle fonti alla radice della sua opera, Roma, 1990
- A. Valentini, Leopardi. Idillio metafisico e poesia copernicana, Roma, 1991.
- W. Binni, Lezioni leopardiane, Firenze, 1994.
- L. Celerino, Giacomo Leopardi, Operette morali, Letteratura italiana – Le Opere vol. III, Torino, UTET, 1995.
- F. Secchieri, ‘’Con leggerezza apparente. Etica e ironia nelle “Operette morali”, Modena, 1992.
- L. Blasucci, ‘’I tempi della satira leopardiana’’, Napoli 1989
- G. Macciocca, ‘’Letteratura Italiana, Dizionario delle opere M-Z’’, Einaudi, Torino, 2000.
- G. Marzot, ‘’Storia del riso leopardiano’’, Messina-Firenze 1966
- R. Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, La scrittura e l'interpretazione: storia e antologia della letteratura italiana nel quadro della civilta europea, ed. blu, vol. 2, Palumbo Editore, Palermo.
Strumenti di lavoro
- Luigi Castiglioni, Scevola Mariotti (con la collaborazione di Arturo Brambilla e Gaspare Campagna). IL – Vocabolario della lingua latina. Loescher editore. Torino, 1990. Pp. 1971.
- Lao Paletti. Corso di lingua latina. I. Fonetica, Morfologia, Sintassi. Paravia. Torino, 1974. 16ª rist. 1987 pp. 604. ISBN 8839503879
- Luca Serianni (con la collaborazione di Alfredo Castelvecchi). Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. UTET libreria, Linguistica. Torino, ed. 1989 seconda ed. 1991. Pp. 752 ISBN 8877500336.
- P.G. Beltrami, La metrica italiana, Il Mulino, Bologna, 1991.
Voci correlate
Personaggi
- Torquato Tasso
- Cristoforo Colombo
- Giuseppe Parini
- Pietro Giordani
- Vincenzo Monti
- Niccolò Tommaseo
- Giovan Pietro Vieusseux
- Alessandro Manzoni
- Antonio Ranieri
Luoghi
Altri progetti
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Collegamenti esterni
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