Colloqui con sé stesso

opera di Marco Aurelio

I Colloqui con se stesso o Pensieri o Meditazioni o Ricordi dell'imperatore romano, Marco Aurelio, costituiscono una serie di riflessioni di questo imperatore filosofo, apparentemente fuori dal tempo, senza cronologia. Scritti in XII libri, rappresentano un'opera letteraria unica nel suo genere, che sembra ripercorrere gli ultimi 12 anni della vita interiore di questo imperatore.

Molti autori moderni ritengono che il primo di questi libri, scritto sulla Granua (l'odierno fiume Gran, della Slovacchia), costituisca una specie di testamento interiore, dove Marco Aurelio ricordava tutte le persone importanti della sua vita in forma autobiografica, forse databile al 179 (poco prima della sua morte). Il libro II, scrittto a Carnuntum, ritenuto anch'esso di più tarda datazione, potrebbe essere stato scritto nel 178, e cosa più importante, rappresentare la chiave di lettura per una possibile interpretazione cronologica dell'opera. In questo caso sarebbe troppo facile (anche se assolutamente possibile) ipotizzare una cronologia in cui il primo dei libri è databile al 179 e l'ultimo, il XII, al 168, poco dopo la morte dell'amico fraterno, nonché suo insegnante Marco Cornelio Frontone.

La vera unità dell'opera, che a molti studiosi moderni appare come una sorta di zibaldone di pensieri, senza apparente concatenazione tra le numerose riflessioni, si trova nell'atteggiamento spirituale dell'autore nell'osservare la vita e le singole cose terrene, in una visione più ampia, fuori dal tempo, fuori dagli eventi contemporanei che lo circondano, a Marco appartenenti, ma "lontani" da chi verrà dopo di lui. I libri dal II al XII contengono meditazioni sulla condizione umana, la vita, la morte, l'universo, la creazione, la moralità, la fortuna, i valori a cui gli uomini dovrebbero ispirarsi. Marco sembra rinchiudersi in se stesso con malinconica meditazione, accettando il peso dell'impero come un triste dovere.

Marco sembra riprendere le posizioni stoiche, con un accento sul senso di impotenza dell'Uomo di fronte a Dio, e della superficialità delle rappresentazioni umane. Egli sembra adeguarsi alle ragioni supreme che governano il mondo, in quanto sapiente e filosofo, pur tendendo in questo suo scritto di fuggire dal mondo e dalla materialità della vita. Di fronte al "non senso" del mondo e delle sue realtà caduche, l'unica via che rimane al saggio è il ripiego su se stessi che dà significato alla propria esistenza individuale.

Come in Seneca, per Marco Aurelio l'anima è distinta e separata dal corpo ma essa è poi ulteriormente composta dall'anima vera e propria, intesa come spirito, pneuma, soffio vitale e l'intelletto, la sede dell'attività spirituale.

Nel suo ruolo di imperatore, compie stoicamente il suo dovere per ciò che attiene al suo ruolo politico, ma sente l'inutilità e il non senso di azioni che non cambieranno l'irrazionalità che travaglia il mondo umano:

  • " Volgi subito lo sguardo dall'altra parte, alla rapidità dell'oblio che tutte le cose avvolge, al baratro del tempo infinito, alla vanità di tutto quel gran rimbombo, alla volubilità e superficialità di tutti coloro che sembrano applaudire... Insomma tieni sempre a mente questo ritiro che hai a tua disposizione in questo tuo proprio campiello " (Ricordi, IV, 3).


Bibliografia

  • Marco Aurelio, Colloqui con se stesso, Milano 2001.
  • Pierre Grimal, Marco Aurelio, trad.it., Milano 2004.
  • Anthony Birley, Marco Aurelio, trad.it., Milano 1990.
  • Luciano Perelli, Storia della Letteratura latina, Torino 1979.

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