Alasdair MacIntyre
Alasdair MacIntyre (Glasgow, 12 gennaio 1929) è un filosofo scozzese, noto per i suoi contributi nella filosofia morale e politica e alcune opere di storia della filosofia e della teologia.
Alasdair MacIntyre nasce a Glasgow nel 1929, studia a Londra e a Manchester, dove inizia la sua carriera universitaria nel 1951 come professore di filosofia della religione . La sua formazione universitaria è permeata dalla filosofia linguistica della scuola di Oxford, che predomina in quegli anni nelle maggiori sedi accademiche. Il suo contributo filosofico verte inizialmente su temi etico-politici e religiosi; all'età di 23 anni pubblica Marxism. An interpretation , anticipando il dibattito tipico degli anni successivi tra materialismo dialettico e cristianesimo e dando una versione personale del marxismo, che vede come riflesso e prodotto della tradizione cristiana; questo tema verrà interamente ripreso per una revisione e un ampliamento interpretativo nella seconda edizione dell'opera. Altro aspetto che qui compare per la prima volta è la sua posizione critica nei confronti della filosofia linguistica dominante che MacIntyre accusa di essersi distaccata troppo da problemi umani e sociali di interesse attuale. La religione è vista sotto l'aspetto sociologico, cosicché MacIntyre è al tempo stesso marxista e cristiano, spaziando da una soluzione etica ad una fideistica della religione.
Dopo aver insegnato filosofia all'Università di Leeds dal 1957 al 1961, entra a far parte del corpo accademico oxoniense, prima al Nuffield College (1961-'62 e 1965-'66) poi all'University College (1963-'66). Nel frattempo è Senior Fellow al Council of the Humanities della Princeton University (1962-'63). Dal 1966 al '70 occupa la cattedra di sociologia all'Università di Essex ed ha l'incarico di lettore all'Università di Copenaghen nel 1969. Dal 1970 al '72 è Professor of History of Ideas alla Brandeis University, mentre dal 1972 al 1980 è Professor of Philosophy and Political Science all'Università di Boston. Nel 1979 riveste la funzione di Visiting Fellow alla Princeton University; infine, dopo altri incarichi al Wellesley College dal 1980 al 1982, alla Vanderbilt University dal 1982 al 1988 e alla Yale University dal 1988 al 1989, lo troviamo dal 1988 in poi come Hank Professor of Philosophy all'Università di Notre Dame a Notre Dame, Indiana . Dal 1970 quindi si trasferisce definitivamente in America. Qui la sua impostazione si allontana ben presto da quella della filosofia "continentale", acquistando tratti ibridi e per certi versi innovativi, che gli fanno assumere un carattere anglosassone e analitico nel metodo ma decisamente "postanalitico" per quanto riguarda il contenuto.MacIntyre, infatti, appartiene alla cosiddetta "quarta generazione" dei filosofi angloamericani, quella cioè nata intorno agli anni Trenta ed apparsa sulla scena negli anni Sessanta. E' una generazione ricchissima di pensatori fertili di stimoli culturali che hanno contribuito ad approfondire il dibattito filosofico in varie direzioni: pragmatismo (R.J. Bernstein), filosofia del linguaggio ordinario di matrice austiniana (ultimo P. Grice e J. Searle), filosofie anti-positivistiche (N. Chomsky, J.A. Fodor, J.J. Katz), filosofia della scienza di impostazione positivistico-logica (T. Kuhn, P. Feyerabend, I. Lakatos), filosofia quineana (D. Davidson, primo S. Kripke, H. Putnam), tematica delle logiche modali e dei mondi possibili (D. Lewis, A. Plantinga, Montague ed altri). Tra i tanti filoni, quello di taglio prettamente etico-politico-giuridico interessa filosofi come J. Rawls, R. Nozick, R. Dworkin; si sposta dal piano metaetico a quello dell'etica pratica con H. Putnam (per la relazione mente-corpo), Th.Nagel, D. Davidson, D.R. Parfit, R. Rorty, D.C. Dennet ed altri; esce infine dal campo della filosofia tout-court prospettando soluzioni nuove e differenti, ma tutte appartenenti al "post", cioè al salto ormai operato dai nuovi intellettuali con filosofi quali R. Rorty, A. MacIntyre e per certi versi Ch.Taylor .
L'interesse di MacIntyre, inizialmente rivolto a questioni religiose, si sposta gradualmente verso temi etico-politici ; in Marxism and Christianity la sua posizione si fa scettica nei confronti sia del marxismo che del cristianesimo. Nella Prefazione a proposito del suo mutamento di posizione rispetto al 1953, scrive: Then I aspired to be both a Christian and a Marxist, at least as much of each as was compatible with allegiance to the other and with a doubting turn of mind; now I am skeptical of both, although also believing that one cannot entirely discard either without discarding truths not otherwise available. Come nel volume precedente l'Autore considera il marxismo un prodotto della cultura cristiana. Infatti egli afferma che, con la secolarizzazione della morale e l'avvento dell'Illuminismo, il senso della vita umana così come era concepito dalla tradizione cristiana, fu sostituito da una interpretazione razionalistica dei concetti di uomo e di natura. Gli interrogativi tipici della cultura religiosa, come le questioni teologiche relative a Dio, l'immortalità, la libertà e la morale, non poterono ricevere più le risposte attinenti a quel contesto, ma acquisirono un nuovo contenuto laico.
Tra la molteplicità delle dottrine secolari che emersero, solo il marxismo salvò lo scopo del cristianesimo medievale, ovvero quello di conservare la ricerca del senso di una vita umana vista non solo come identità sociale e appartenenza ad un gruppo, ma anche come superamento del propri limiti in una tensione ideale verso la perfezione. Scrive MacIntyre: Only one secular doctrine retains the scope of traditional religion in offering an interpretation of human existence by means of which men may situate themselves in the world and direct their actions to ends that trascend those offered by their immediate situation: Marxism. Non solo quindi il marxismo conserva alcuni aspetti della tradizione cristiana, ma anche la religione può essere considerata, così come fa Marx, l'espressione di determinate strutture sociali e di particolari concezioni politiche. MacIntyre analizza come Hegel, nonchè la destra e la sinistra hegeliana, trascendendo i limiti dell'Illuminismo ed introducendo per la prima volta alcuni dei temi salienti del marxismo, trasportarono la discussione della religione sul piano filosofico. Il passaggio dalla filosofia alla pratica è attuato da Marx. Egli dimostra che il fallimento della teoria politica hegeliana e della pratica politica prussiana è avvenuto per non aver tenuto conto che "politics is a human activity and that the ultimate reality is that of man".
MacIntyre spiega come la teologia si conservò in maniera latente lungo la linea della tradizione inaugurata da Hegel sino a giungere al marxismo più maturo, per il quale la religione svolge due funzioni: quella di giustificare per autorità divina un certo ordine sociale insieme a quella di fornire un modello di comportamento umano. Se, da una parte, il comunismo considera la religione come "l'oppio dei popoli", dall'altra, riconosce che essa originariamente possedeva un vero e proprio spirito rivoluzionario, come quello espresso dal millenarismo, e che andò perduto quando il tentativo di attuare la liberazione sulla terra fallì. In conclusione sia il marxismo che il cristianesimo sono accomunati poichè essi "rescue individual lives from the insignificance of finitude (to use an Hegelian expression) by showing the individual that he has or can have a role in a world-historical drama" . Nella produzione di MacIntyre a partire dagli anni Settanta troviamo, da un lato, un'ampia serie di saggi critici che spaziano da Hegel a Marcuse ; dall'altro lato, si va sempre più evidenziando l'interesse prevalente dell'Autore verso problematiche etiche, ovvero di "storia della morale" nei tre libri Against the Self Images of the age, A Short History of Ethics, e Secularization and Moral Change .
Ma il progetto postfilosofico e postanalitico di rifondare un'etica ormai morta si rivela appieno nella sua opera più citata e recensita: After Virtue: a Study in Moral Theory. In un quadro di decadenza MacIntyre avanza una soluzione originale, forse un po' nostalgico-conservatrice: il ritorno ad una comunità medievale pre-marxista che si ispiri per certi versi ad Aristotele e per certi altri a San Benedetto .Del 1983 è un'altra raccolta di saggi pubblicata in collaborazione con S. Hauerwas di cui fa parte il saggio Moral Philosophy: What Next?, nel quale l'Autore manifesta seri dubbi sul destino dell'etica che è andata via via affacciandosi a problematiche di tipo applicativo, mentre hanno perso forza le discussioni metaetiche della tradizione analitica. Ritorna anche qui la critica alla mancanza di valori, di modelli di riferimento, che egli attribuisce alla perdita del concetto di Dio, di "vita buona" e di telos, temi che verranno trattati per esteso nei prossimi capitoli. Le questioni di etica applicata riguardano l'ambiente (etica ambientale), gli animali (loro diritti), il controllo demografico e la nascita (contraccezione, aborto, fecondazione), la morte (eutanasia). L'analisi della perdita dei modelli di riferimento, avvenuta dopo il distacco dalle "etiche teleologiche", quelle cioé che vedevano la vita umana come un viaggio verso una meta prefissata che poteva essere il raggiungimento dell'eudaimonia per Aristotele o il ricongiungimento con Dio per il cristianesimo, è qui condotta in maniera non dissimile da quella di Dopo la virtù, opera alla quale l'Autore rinvia per la prognosi. In questo saggio egli anticipa la pubblicazione del libro successivo, frutto delle Carlyle Lectures, dal titolo provvisorio The Transformations of Justice, che verrà poi trasformato [Whose Justice? Which Rationality?].
In quest'opera ci si domanda se esista ancora qualche criterio di razionalità comune a giudizi alternativi, talvolta totalmente incommensurabili e se sia possibile scegliere razionalmente tra opposte teorie della giustizia. Come nel libro precedente, il principale indiziato di reato è l'Illuminismo, qui colpevole di aver universalizzato un unico modello di ragione che presto si è trovato invece bersagliato dal proliferare di standards diversi tra i quali non è possibile scegliere con argomentazioni valide. Alla domanda su quale possa essere la via d'uscita dal rischio di relativismo, MacIntyre risponde avanzando una soluzione storicistica : <references/So rationality itself, whether theoretical or practical, is a concept with a history : indeed, since there are diversity of traditions of enquiry, with histories, there are, so it will turn out, rationalities rather than rationality, just as it will also turn out that there are justices rather than justice >. MacIntyre delinea quattro principali tradizioni che vengono esaminate per buona parte del libro: quella aristotelica, quella agostiniana, quella scozzese (fusione dell'agostinismo calvinistico e dell'aristotelismo classico) e quella liberale moderna (vengono brevemente analizzate anche altre tradizioni tra cui quella luterano-kantiana, quella islamica, quella indiana e quella cinese). Nella prima parte l'Autore si sofferma sul mondo greco. Mentre la società omerica non distingueva i valori ontologici da quelli deontologici, ovvero quelli che ci permettono di conseguire un fine per il suo valore intrinseco da quelli che ci consentono di perseguirlo per motivazioni ad esso esterne, con Aristotele tale distinzione viene evidenziata. La giustizia per Omero non prevedeva una separazione tra intenzioni e azioni, né fra il concetto di agathos (uomo virtuoso) e quello di dikaios (giusto). Con Aristotele il problema della giustizia è molto più complesso e presuppone una dottrina della virtù che si fondi sulla conoscenza del fine ultimo della vita umana, il cosiddetto telos.
Secondo MacIntyre, il "sillogismo pratico aristotelico" fornisce un modello d'azione ideale che difficilmente si concluderà con un dilemma di ordine pratico, una volta che l'uomo possegga le informazioni corrette ed abbia una visione completa del proprio telos. Passando all'esame un'altra tradizione, MacIntyre analizza la risposta del cristianesimo agostiniano alla sfida lanciata da Aristotele. Secondo Sant'Agostino, infatti, la teoria aristotelica non era in grado di fornire in adeguata misura un mezzo atto alla soluzione di tutti i problemi umani; solo Dio, con la sua provvidenza, può salvare l'uomo dalla sua limitatezza. MacIntyre elogia San Tommaso per il fatto di essere stato in grado di fondere elementi appartenenti alla tradizione aristotelica con altri ereditati da Sant'Agostino e relativi alla tradizione cristiana.
Le concezioni tomistiche della giustizia e della razionalità pratica mettono in evidenza i limiti della ragione umana e l'importanza della grazia divina. MacIntyre si sposta successivamente sulla tradizione dell'illuminismo scozzese, del quale mette in risalto gli importanti contributi di pensatori come Stair e Fletcher .Secondo l'Autore, il protestantesimo raggiunse risultati simili a quelli operati da San Tommaso all'interno del cattolicesimo. In particolare, la tradizione scozzese insisteva sull'importanza del dibattito razionale. Così come l'aristotelismo e il tomismo, questa tradizione definisce la razionalità pratica basandosi su un concetto di buono che esclude il calcolo utilitaristico. Inoltre, allo stesso modo di San Tommaso, ma diversamente da Aristotele, la tradizione scozzese insiste particolarmente sull'ortodossia religiosa come condizione necessaria alla saggezza razionale. L'ultima tradizione analizzata è il liberalismo moderno, qui concepito come stile di pensiero che possiede una propria continuità di ricerca. Gli ultimi tre capitoli costituiscono la parte fondamentale dell'opera poiché affrontano temi come la traducibilità fra linguaggi diversi, la razionalità delle tradizioni, l'importanza della storia, l'analisi dei quali verrà approfondita successivamente. La riflessione storico-filosofica sul significato delle varie razionalità pratiche e delle varie teorie della giustizia, porta sia al rifiuto di una razionalità astorica sia al rifiuto di quella concezione che la intende come mascheramento ideologico di interessi di gruppi sociali. Nel 1990, MacIntyre pubblica altri due libri: First Principles, Final Ends and Contemporary Philosophical Issues e il saggio Three Rival Versions of Moral Enquiry. Nel 1999 pubblica Dependent Rational Animals (traduzione italiana Animali Razionali Dipendenti, Vita e Pensiero, Milano 2001. Studi e approfondimenti sull'autore sono ad oggi in corso di svolgimento da parte di studiosi ed organizzazioni internazionali, tra le quali la International Society for MacIntyre Philosophy, costituita da professionisti e studiosi di vario orientamento, organizzatrice del Secondo Simposio Internazionale "Theory Practice and Tradition: Human Rationality in Pursuit of the Good Life", July 30 through August 3, 2008 St. Meinrad, Indiana, USA