Storia d'Italia

vicende storiche dell'Italia

Template:Storiaitalia Per storia d'Italia si intende per convenzione la storia della regione geografica italiana e dei popoli che l'hanno abitata, dotata - al di là delle molteplici differenze culturali e delle successive trasformazioni politiche - di una specifica identità che l'ha condotta nei secoli a essere riconosciuta come un unico soggetto storico. In un'accezione più ristretta, per storia d'Italia si intende unicamente la storia dello stato unitario, ossia la storia del Regno d'Italia e della Repubblica Italiana, nonché degli eventi che condussero alla sua formazione, ossia la storia dell'espansione del Regno di Sardegna, tradizionalmente conosciuta come Risorgimento.

Preistoria e protostoria

  Lo stesso argomento in dettaglio: Italia preistorica e protostorica.

Preistoria

Il popolamento del territorio italiano risale alla preistoria, epoca di cui sono state ritrovate importanti testimonianze archeologiche. L'Italia è stata abitata durante il periodo Paleolitico, quando ancora non si conoscevano i metalli e non si sapeva levigare la pietra. Tra i più interessanti siti archeologici italiani risalenti al paleolitico, si ricorda quello di Monte Poggiolo, presso Forlì.

Tra i popoli insediatisi nel Neolitico, quando l'uomo non è più solo cacciatore ma anche pastore e allevatore, ricordiamo gli antichi Camuni (in Val Camonica).

Etruschi e Genti Italiche

 
Cartina con i maggiori centri Etruschi, ed "espansione" della civiltà etrusca nel corso dei secoli

Le informazioni sulle genti abitanti la penisola in epoca preromana sono, in taluni casi, incomplete e soggette a revisione continua. Popolazioni di ceppo indoeuropeo, trasferitesi in Italia dall'Europa Orientale e Centrale in varie ondate migratorie (veneti, umbro-sabelli, latini, ecc.), si sovrapposero ad etnie pre-indoeuropee già presenti nell'attuale territorio italiano, o assorbendole, oppure stabilendo una forma di convivenza pacifica con esse.

Secondo alcune fonti, la loro provenienza andrebbe ricercata in Asia Minore, secondo altre, avrebbero costituito una etnia autoctona. Certo è che, già attorno alla metà del VI secolo, riuscirono a creare una forte ed evoluta federazione di città-stato che andava dalla Pianura Padana alla Campania e che comprendeva anche Roma ed il suo territorio. In Italia settentrionale, accanto ai Celti (comunemente chiamati Galli), troviamo i Liguri (originariamente non indoeuropei poi fusisi con i Celti) stanziati in Liguria e parte del Piemonte mentre nell'Italia nord-orientale vivevano i Veneti (paleoveneti) di probabile origine illirica o, secondo alcune fonti, provenienti dall'Asia Minore.

Nell'Italia più propriamente peninsulare accanto agli Etruschi, cui abbiamo già accennato, convivevano tutta una serie di popoli, in massima parte di origine indoeuropea, fra cui: Umbri in Umbria; Latini, Sabini, Falisci, Volsci ed Equi nel Lazio; Piceni nelle Marche ed in Abruzzo Settentrionale; Sanniti nell'Abruzzo Meridionale, Molise e Campania; Apuli, Messapi e Iapigi in Puglia; Lucani e Bruttii nell'estremo Sud; Siculi, Elimi e Sicani in Sicilia. La Sardegna era abitata, fin dal II millennio a.C., dai Sardi, risultato, forse, di un connubio tra le preesistenti popolazioni megalitiche presenti nell'Isola ed il misterioso popolo dei Shardana.

Nell'area laziale, invece, un posto a se stante meritano i Latini protagonisti, assieme ai Sabini, della primitiva espansione dell'Urbe e forgiatori, insieme agli Etruschi ed ai popoli italici più progrediti (Umbri, Falisci, ecc.), della futura civiltà romana.

Storia antica

Magna Grecia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Magna Grecia.
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Dracma di Siracusa, 4° secolo a.C.-

Tra l'VIII ed il VII secolo a.C., coloni provenienti dalla Grecia cominciarono a stabilirsi sulle coste del sud Italia e della Sicilia. Le prime componenti stabilitesi in Italia furono quella ioniche e quelle peloponnesiache: gli Eubei e i Rodii fondarono Kymai, Rhegion, Parthenope, Naxos e Zankle, i Corinzi Syraka, i Megaresi Leontinoi, gli Spartani Taras, mentre i coloni provenienti dall'Acaia fondarono Sybaris e Kroton. Oltre a quelle sopra menzionate, altre importanti furono Metapontion, fondata anch'essa da coloni Achei, Heraclea e Locri Epizephiri.

L'importanza della colonizzazione greca per i popoli italici è dovuta al fatto che essi vennero così a contatto con forme di governo democratiche caratterizzate da forti responsabilizzazioni del cittadino, e con espressioni artistiche e culturali elevate; in questo senso basti pensare ai grandi filosofi e uomini di scienza dell'epoca, fra cui Pitagora ed Archimede, nati in Italia dalla cultura greca.

I contrasti fra le colonie greche e gli indigeni furono frequenti, ma i Greci cercarono di instaurare rapporti pacifici con le popolazioni locali, favorendo, in molti casi, un lento assorbimento delle stesse. La ricchezza e lo splendore delle colonie furono tali da far identificare l'Italia meridionale dagli storici romani con l'appellativo di Magna Grecia. Nel III secolo a.C. tutte le colonie italiote e siciliane furono assorbite nello Stato romano. Per molte di esse iniziò un fatale declino.

Roma (753 a.C. - 476 d.C.)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia romana.
 
La scultura rappresenta la Lupa capitolina che allatta i gemelli Romolo e Remo, che furono aggiunti, probabilmente da Antonio del Pollaiolo, nel tardo XV secolo.

Secondo la tradizione, la città di Roma fu fondata il 21 aprile del 753 a.C. da Romolo sul colle palatino. In realtà, già in precedenza erano sorti villaggi in quella posizione, fondamentale per la via di commercio del sale, ma solo alla metà dell'VIII secolo questi si unirono in una sola città. La zona era dotata, inoltre, di un buon potenziale agricolo, e la presenza dell'isola Tiberina rendeva facile l'attraversamento del vicino fiume Tevere.

Età regia (753 - 509 a.C.)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Età regia di Roma.

Romolo instaurò nella città il regime monarchico: fino al 509 a.C., Roma fu retta, secondo la tradizione, da sette re, che apportarono notevoli contributi allo sviluppo della società.
Ognuno dei primi quattro, infatti, operò in un diverso ambito dell'"amministrazione statale": il fondatore eponimo Romolo diede il via alla prima guerra di espansione contro i Sabini, originatasi dall'episodio del ratto delle Sabine, e associò al trono il re nemico Tito Tazio, allargando per primo le basi del neonato stato romano.
Stabilì poi la suddivisione della popolazione in tre tribù e pose le basi per la ripartizione tra patrizi e plebei.
Il suo successore Numa Pompilio istituì i primi collegi sacerdotali, come quello delle Vestali, e riformò il calendario.
In seguito, Tullo Ostilio riprese le ostilità contro i popoli vicini e sconfisse la città di Alba Longa, mentre il successore Anco Marzio operò nel campo dell'urbanistica: costruì il primo ponte di legno sul Tevere, fortificò il Gianicolo e fondò il porto di Ostia.
Ai primi quattro re, di origine latina, fecero seguito altri tre di origine etrusca: verso la fine del VII secolo, infatti, gli Etruschi, all'apogeo della loro potenza, decisero di estendere la loro influenza anche su Roma, poiché la città stava divenendo sempre più grande e la sua importanza a livello economico iniziava a farsi considerevole. Era dunque fondamentale assicurarsi il controllo su una zona che assicurava il passaggio delle rotte commerciali.
Ma la fusione tra classe mercantile etrusca e classe aristocratica romana e sabina non funzionò. L'ultimo re fu cacciato nel 510 a.C. e tentò di riprendersi il trono con l'aiuto degli Etruschi, fallendo però il tentativo.
Come più tardi quella dei Plantageneti in Inghilterra e quella dei Borboni di Francia, anche la monarchia di Roma era durata sette re.

Età repubblicana (509-49 a.C.)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica Romana.

Dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo ed il fallimento (determinato, secondo la leggenda, dalle eroiche azioni di Muzio Scevola, Orazio Coclite e Clelia) del suo tentativo di riprendere il potere con l'aiuto degli Etruschi condotti dal lucumone di Chiusi, Porsenna, fu instaurata, ad opera di Lucio Giunio Bruto, organizzatore della rivolta antimonarchica, la forma di governo della Repubblica. Essa prevedeva la spartizione tra più cariche dei poteri che prima erano appartenuti ad un uomo solo, il re: il potere legislativo fu assegnato alle assemblee dei comizi centuriati e del senato, e furono create numerose magistrature, consolato, censura, pretura, questura, edilità, che gestissero i vari ambiti dell'amministrazione. Tutte le cariche, alcune delle quali erano cum imperio, erano collegiali, in modo tale che si evitasse l'affermazione di singoli uomini che potessero accentrare il potere nelle loro mani.

I primi anni di vita della Repubblica Romana non furono semplici, in quanto le gravi disuguaglianze sociali che avevano portato alla caduta del regno non erano state cancellate. I plebei iniziarono così una serie di proteste (la più forte fu quella che li vide asserragliati sul Monte Sacro nel 494 a.C.), che li portarono di volta in volta ad ottenere dei vantaggi sociali che li rendessero più partecipi alla vita della Repubblica ed a migliorare il proprio status. Tra le leggi più importanti varate dal Senato ci furono le Leggi delle Dodici Tavole (451-449 a.C.) e la Lex Canuleia (445 a.C.).
Sul fronte delle guerre, nel 396 a.C. venne infine distrutta Veio, dopo uno scontro quasi secolare. Ma nel 386 a.C., un'improvvisa invasione di galli portò alla quasi distruzione di Roma: dopo averne battuto regolarmente le legioni, i galli entrarono nella città e la saccheggiano. Quarant'anni dopo, Roma si era già ripresa, e cominciò una serie di guerre fortunate prima contro i Sanniti (tre guerre e tre vittorie: una prima tra il 343 ed il 341 a.C.; una seconda, seppur con la grave disfatta delle Forche Caudine, tra il 327 ed il 304 a.C.; la terza tra il 298 ed il 290 a.C.), poi contro galli ed etruschi, infine, contro la Magna Graecia, con le conquiste di Tarentum (272 a.C.) e Rhegium (270 a.C.).
L'Italia continentale, così, era per la prima volta quasi interamente unificata.

 
L'estensione della Repubblica Romana nel 49 a.C..

Ma la conquista dell'Italia portò, inevitabilmente, allo scontro con l'altra grande potenza mondiale: Cartagine. Le guerre puniche che si scatenarono furono di inaudita ferocia, e videro il trionfo definitivo di Roma come massima potenza mondiale, seppur dopo diverse batoste: Annibale sbaragliò le legione romane in più occasioni, aggirandole da nord e scendendo poi dalle Alpi verso il cuore della penisola italiana. L'ultima grande disfatta romana avvenne nella Battaglia di Canne, dove perse la vita il fiore dell'esercito e tutto lo "stato maggiore" romano. Roma, ancora una volta, incassò lo schiaffo ma non chiese pace. Ed alla fine, grazie al console Quinto Fabio Massimo detto "il Temporeggiatore" (figlio del conquistatore di Taranto), fautore di una guerra basata su piccole scaramucce volte al logoramento dell'esercito cartaginese, riuscì a scacciare Annibale dall'Italia ed ad invadere addirittura il territorio africano della città punica. Le annessioni romane della Sicilia, della Sardegna e della Corsica prima, e della penisola iberica dopo, fecero sì che Cartagine si ritrovasse, alla vigilia della terza guerra punica con le spalle al muro: una nuova sconfitta ne avrebbe decretato la fine, che puntualmente avvenne.
I Romani, sapendola in quello stato, iniziarono a provocare ripetutamente Cartagine:

«...il Senato chiese trecento bambini di famiglia nobile per tenerli in ostaggio [...] Subito dopo, visto che la provocazione non era bastata, i romani chiesero la consegna di tutte le armi, di tutta la flotta e di gran parte del grano. Quando anche queste richieste furono accolte, il Senato chiese che tutta la popolazione di Cartagine si ritirasse a dieci miglia dalla città, che doveva essere rasa al suolo. Gli ambasciatori cartaginesi obbiettarono invano che la storia non aveva mai visto una simile atrocità [...] Niente da fare. Roma voleva la guerra, e guerra doveva essere ad ogni costo.»

E guerra fu. Alla fine della quale, Roma riservò un trattamento particolarmente feroce al vinto:

«L'assedio, per terra e per mare, durò tre anni. Scipione Emiliano [...] espugnò la città, dove per sei giorni ancora, strada per strada, casa per casa, si continuò a combattere. Insidiato dai franchi tiratori che combattevano da tetti e finestre, fece radere al suolo ogni edificio. Quelli che alla fine si arresero furono solo 55.000 dei 500.000 abitanti di Cartagine [...] Scipione chiese al Senato il permesso di desistere da quel macello. Gli fu risposto che non solo Cartagine ma tutte le dipendenze dovevano essere distrutte. La città continuò a bruciare per 17 giorni. I pochi sopravvissuti furono venduti come schiavi. Ed il suo territorio fu d'allora in poi una provincia designata col nome generico di Africa. Non ci fu trattato di pace perché non si sarebbe saputo con chi stipularlo. Gli ambasciatori cartaginesi avevano avuto ragione: mai si era vista una nella storia una simile atrocità.»

La vittoria di Roma, che de facto la resero l'unica grande potenza mondiale, già mostrava però i primi segni delle future disgrazie: intanto, il territorio italiano usciva da questi oltre cent'anni anni di guerra (nel 264 a.C. era iniziata la prima guerra punica, la distruzione di Cartagine avvenne nel 146 a.C.) semi-distrutto dalle scorrerie di Annibale; Roma stessa volgeva lo sguardo ad Oriente, verso la Grecia, che già Marco Porcio Catone vide come un pericolo per le idee e le teorie che vi circolavano liberamente e minacciavano di distruggere la gerarchia romana.

I Cesari (49 a.C.-14 d.C.)

Principi della Famiglia Claudia (14-69 d.C.)

Principi della Famiglia Flavia (69-193 d.C.)

I Severi (193-235 d.C.)

La grande anarchia (235-312 d.C.)

Da Costantino ad Odoacre (312-476 d.C.)

L'Alto Medioevo

  Lo stesso argomento in dettaglio: Italia medievale.

Nel 476 il re degli Eruli Odoacre, ultimo di una lunga schiera di condottieri germanici che nel periodo di decadenza dell'Impero romano d'Occidente avevano condotto le proprie orde in territorio italico, depose l'ultimo imperatore d'occidente, Romolo Augusto. Convenzionalmente, la data del 476 segna il passaggio dall'Antichità al Medioevo.

Inizialmente appoggiato dall'imperatore d'Oriente Zenone, che lo aveva insignito del titolo di dux Italiae ("duca d'Italia") per indicarlo - almeno formalmente - come suo rappresentante, Odoacre presto si proclamò, per la prima volta nella storia, rex Italiae ("re d'Italia"). Nel 489 Zenone invitò gli Ostrogoti, altro popolo germanico allora stanziato nel bacino del basso Danubio, a intervenire in Italia per scacciarne Odoacre, allentando in questo modo la pressione che esercitavano sulla sua stessa capitale, Costantinopoli. Gli Ostrogoti, guidati da Teodorico, sconfissero definitivamente Odoacre nel 493.

Il Regno ostrogoto (494-535)

 
Il Mausoleo di Teodorico a Ravenna
  Lo stesso argomento in dettaglio: Italia gotica.

Teodorico proseguì in gran parte la politica del suo predecessore e avversario, assegnando ai suoi Ostrogoti i compiti di sicurezza e di difesa e delegando ai Latini (o Romanici) le funzioni amministrative. Tra i collaboratori latini del sovrano si contarono anche i grandi intellettuali Cassiodoro e Boezio, anche se quest'ultimo cadde in seguito in disgrazia, venne imprigionato e fu infine ucciso.

La struttura latifondista della società e dell'economia italiana fu sostanzialmente preservata; la nuova ripartizione delle terre introdotta da Teodorico assegnò un terzo dei fondi ai conquistatori e i due terzi agli antichi abitanti. Durante il regno del sovrano germanico furono costruite nuove opere pubbliche, come il Mausoleo di Teodorico a Ravenna, e cercò, almeno nei primi anni, di mantenere pacifici i rapporti tra la maggioritaria Chiesa cattolica e gli aderenti al cristianesimo ariano, tra i quali si contava la maggior parte degli Ostrogoti e lo stesso re.

Alla morte di Teodorico (526) il trono passò al giovane nipote Atalarico, sotto la reggenza della madre Amalasunta, e in seguito al secondo marito della regina madre, Teodato (a sua volta nipote di Teodorico). Amalasunta perseguì una politica apertamente favorevole al cattolicesimo, che determinò una frattura tra il potere regio e la nobiltà gotica; la divisione favorì i progetti di riconquista dell'Italia del nuovo imperatore d'Oriente (ormai "imperatore bizantino"), Giustiniano, che nel 535 lanciò l'armata del generale Belisario contro gli Ostrogoti.

Dalla Guerra gotica all'invasione longobarda (535-568)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra gotica (535-553), Esarcato d'Italia e Longobardi.
 
L'impero bizantino durante il regno di Giustiniano. La penisola italiana venne inglobata totalmente nel 553

La riconquista giustinianea della penisola fu completata solo nel 553. Il conflitto si protrasse quindi per quasi un ventennio, devastando l'intera Italia tanto da portarla a una grave crisi demografica, economica, politica e sociale. I sovrani ostrogoti che si succedettero al comando (Teodato, Vitige, Totila, Teia), forti anche del sostegno fornito dai vicini Franchi e Burgundi, altri Germani stanziati in Gallia (l'odierna Francia), riuscirono a resistere a lungo agli attacchi dei Bizantini, a lro volta indeboliti da una rivalità tra i due comandanti, Belisario e Narsete. La definitiva sconfitta degli Ostrogoti nella Battaglia dei Monti Lattari, dove Narsete piegò Teia, portò l'intera Italia sotto la sovranità bizantina, ma gli anni seguenti furono funestati, oltre che da un aggravamento delle condizioni di vita dei contadini a causa della forte pressione fiscale, anche da una terribile pestilenza che spopolò ulteriormente la penisola (559-562).

L'Italia bizantina, indebolita e impoverita, non ebbe la forza di opporsi a una nuova invasione germanica, quella dei Longobardi capeggiati da Alboino. Tra il 568 e il 569 i Longobardi, che trovarono spesso appoggio tra la popolazione esasperata dalla fiscalità bizantina, occuparono gran parte dell'Italia centro-settentrionale. Questa regione, che da allora sarebbe stata detta Langobardia Major ("Langobardia Maggiore"), costituì il nucleo del Regno longobardo, con capitale Pavia, ma contingenti germanici si spinsero anche nell'Italia meridionale, dove costituirono i ducati della Langobardia Minor ("Langobardia Minore"): Spoleto e Benevento. L'intero Regno longobardo fu infatti ripartito in numerosi ducati, ampiamente autonomi rispetto al potere centrale.

Con la invasione longobarda l'Italia rimase quindi suddivisa in due grandi zone d'influenza. I Longobardi occuparono le aree continentali della penisola, mentre i Bizantini conservarono il controllo di gran parte delle zone costiere, incluse le isole. Fulcro delle province bizantine in Italia furono l'Esarcato d'Italia, corrispondente grosso modo all'odierna Romagna (detta Romania nel latino dell'epoca, proprio per sottolineare la sua appartenenza all'Impero Romano d'Oriente) con Ravenna capitale, e la limitrofa Pentapoli bizantina, serie di città fortificate lungo la costa adriatica. Il potere supremo era esercitato dal luogotenente generale dell'imperatore bizantino, l'esarca, che aveva poteri quasi assoluti - sia vicili, sia militari - e doveva rispondere del suo operato soltanto all'imperatore. Formalmente bizantina era anche di Roma con il suo contado (il Ducato romano), ma in realtà la città era governata in modo quasi del tutto autonomo dal papa, in un primo embrione del futuro Stato della Chiesa.

Il Regno longobardo (568-774)

 
La Corona Ferrea che cingeva il capo dei re d'Italia longobardi, oggi conservata nel duomo di Monza
  Lo stesso argomento in dettaglio: Regno longobardo.

Il VI secolo

Dopo la morte di Alboino, vittima nel 572 di una congiura ordita dalla moglie Rosmunda, la corona fu affidata a Clefi. Tra i Longobardi il re era infatti generalmente eletto dall'assemblea del popolo in armi (Gairethinx), anche se non sarebbero mancati tentativi di rendere ereditaria la trasmissione del potere. A essere eletti re, comunque, erano in genere gli esponenti di alcuni gruppi famigliari, tanto che nel corso della storia longobarda figurano diverse dinastie.

Clefi estese ulteriormente i confini del regno e tentò di continuare la politica del suo predecessore, volta a spezzare gli istituti giuridico-amministrativi consolidatisi durante il dominio ostrogoto e bizantino attraverso l'eliminazione dell’aristocrazia latina, l'occupanzione delle sue terre e l'acquisizione dei suoi patrimoni. A differenza degli Ostrogoti, quindi, i Longobardi esautorarono del tutto l'elemento romanico, accentrando nelle mani dei duchi ogni potere. Nel 574 anche Clefi venne assassinato e per un decennio, detto Periodo dei Duchi, non fu nominato alcun successore e i duchi regnarono autonomamente sui loro possedimenti (574-584).

L'interregno ebbe termine quando i duchi si resero conto che, separati, non avrebbero saputo reggere alla pressione militare dei Bizantini e dei Franchi; la corona venne quindi assegnata ad Autari, figlio di Clefi. Il nuovo re respinse entrambe le minacce e rafforzò la stabilità del regno alleandosi con i Bavari. L'accordo fu siglato con le nozze del re con la principessa bavara Teodolinda; rimasta presto vedova (590), la regina si risposò con il duca di Torino Agilulfo, che subito dopo (591) fu proclamato re dei Longobardi. La coppia, fondatrice della dinastia Bavarese, regnò congiuntamente e rafforzò ulteriormente il regno, garantendone i confini esterni e ampliandone l'area a danno die Bizantini. Il potere centrale venne rafforzato a danno di quello dei duchi, che furono affiancata da funzionari di nomina regia (gli sculdasci), fu avviata una maggior integrazione con i Romanici, anche attraveso l'avvio della conversione dei Longobardi dall'arianesimo al cattolicesimo, e stimolata la produzione artistica.

Il VII secolo

La debole reggenza assunta alla morte di Agilulfo (616) da Teodolinda in nome del figlio Adaloaldo favorì l'opposizione della fazione più aggressiva dei duchi, ancora ariani e contrari alla poitica di pacificazione con i Bizantini e di integrazione con i Romanici. Nel 626 un colpo di Stato esautorò Adalaoaldo e portò sul trono l'ariano Arioaldo, che tuttavia dovette concetrare il suo impegno bellico a parare le minacce esterne portate dagli Avari a est e dai Franchi a ovest. Il suo successore Rotari, re dal 636 al 652, ampliò ulteriormente i domini longobardi, rafforzò l'autorità centrale anche sui duchi della Langobardia Minor e promulgò la prima raccolta scritta del diritto longobardo, l'Editto di Rotari. La nuova legislazione era d'ispirazione germanica, ma introduceva anche elementi desunti dal diritto romano e sostituì la faida (vendetta privata) con il guidrigildo (risarcimento in denaro stabilito dal re).

 
L'Italia longobarda e bizantina alla morte di Rotari (652)

La seconda metà del VII secolo fu caratterizzata dal prevalere dei sovrani della dinastia Bavarese (Ariperto I, Pertarito, Godeperto, Cuniperto), che ripresero la consueta politica di pacificazione con i Bizantini e di integrazione con i Romanici sudditi del regno, tanto da arrivare infine alla completa conversione dei Longobardi al cattolicesimo. La continuità dinastica fu tuttavia interrotta da tentativi di usurpazione ispirati dalle residue frange ariane: nel 662 il duca di Benevento, Grimoaldo, riuscì a esautorare Pertarito e a regnare per una decina d'anni con una pienezza di poteri maggiore di ogni suo predecessore; i suoi sudditi ne apprezzarono (come testimonia il grande storico longobardo Paolo Diacono) la saggezza legislativa, l'opera mecenatistica e il valore guerriero.

L'VIII secolo

L'VIII secolo si aprì con una grave crisi dinastica, che per più di dieci anni vide il Regno longobardo dilaniato da colpi di Stato, guerre civili e regicidi; soltanto nel 712, con l'ascesa al trono di Liutprando, l'Italia longobarda ritrovò compattezza. Quello di Liutprando è anzi considerato il epriodo di maggior splendore del Regno longobardo, caratterizzato da pacificazione interna, fermezza del potere centrale, grande rilievo internazionale e creatività artistica (la cosiddetta "Rinascenza liutprandea").

Alla morte morte di Liutprando (744) il trono, dopo il brevissimo regno di Ildebrando, passò al duca del Friuli, Rachis. Definito "il re monaco", Rachis fu un sovrano debole, incapace di opporsi tanto alle spinte autonomiste dei duchi quanto alle pressioni esercitate dal papa e dai suoi alleati Franchi; nel 749 fu deposto e sostituito dal fratello Astolfo, che riprese la via dell'espansione territoriale a danno dei residui possedimenti bizantini. Sotto la sua guida il Regno longobardo toccò la massima espansione territoriale, arrivando a occupare l'intero Esarcato (compresa la capitale Ravenna), ma tanto potere preoccupò il pontefice, che vedeva minacciato direttamente il suo Ducato romano. Papa Stefano III invocò quindi l'aiuto del nuovo re dei Franchi, Pipino il Breve, che sconfisse Astolfo in due occasioni e lo costrinse a rinunciare alle sue conquiste.

Alla morte di Astolfo, nel 756, il trono passò a Desiderio, che ne proseguì la politica con maggior accortezza: puntò soprattutto sulla coesione interna del regno e favorì la massima integrazione con i Romanici e con la Chiesa cattolica, fino a costringere il papa ad accettare una forma di tutela da parte del re longobardo.

La conquista carolingia (774-814)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Impero carolingio.

Nel 771 papa Stefano IV invocò l'intervento del nuovo re dei Franchi, Carlo Magno, contro Desiderio. La guerra tra Franchi e Longobardi si concluse nel 774 con la vittoria di Carlo, che assunse il titolo di Rex Francorum et Langobardorum ("Re dei Franchi e dei Longobardi") e unificò la parte dell'Italia che aveva conquistato (sostanzialmente la Langobardia Major) al suo Regno dei Franchi. Il papa riacquistò una piena autonomia, garantita da Carlo stesso, mentre a sud, nella Langobardia Minor, sopravvisse in piena indipendenza il longobardo Ducato di Benevento, presto elevato al rango di principato.

Nel 781 Carlo affidò l'Italia, sotto la sua tutela, al figlio Pipino. Il giovane sovrano avviò varie campagne di espansione verso nord, ma morì nell'810; pochi anni dopo morì anche il padre, Carlo Magno (814).

Il Regnum Italiae entro il Sacro Romano Impero (814-1002)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Regnum Italiae.

Dopo la morte di Pipino, il potere venne assunto dal suo figlio illegittimo Bernardo. Nell'817, però, suo zio l'imperatore Ludovico il Pio assegnò l'Italia al prprio figlio, Lotario I; Bernardo tentò la ribellione, ma venne imprigionato e a aprtire dall'822 il dominio di Lotario sulla penisola divenne effettivo. Tra i suoi provvedimenti, uno statuto sulle relazioni tra papa e imperatore riservò il potere supremo alla potenza secolare; Lotario emise inoltre varie ordinanze per favorire un governo efficiente dell'Italia. La morte di Ludovico, avvenuta nel 840 causò vari tumulti tra gli eredi; Lotario si scontrò più volte con i fratelli, venendo infine sconfitto.

Il IX secolo

Il titolo di re d'Italia venne inizialmente detenuto dai sacri romani imperatori (Ludovico II, Carlo il Calvo, Carlo III il Grosso), ma con l'indebolimento della compagine imperiale i territori del Regnum Italiae finirono in una sorta di anarchia feudale, dominata dai signori locali nonostante alcuni deboli monarchi si avvicendassero sul trono, arrivando anche talora a venire incoronati dal papa.

Tra l'888 e il 924 il titolo, al quale tuttavia non corrispondevano reali poteri, fu conteso da fra numerosi feudatari locali, sia di origine italiana sia provenienti da regioni limitrofe: Berengario del Friuli, Guido da Spoleto, Lamberto da Spoleto, Arnolfo di Carinzia, Ludovico III il Cieco e Rodolfo II di Borgogna.

Il X secolo

Un momento di maggior solidità del Regnum fu il governo di Ugo di Provenza, che tra il 926 e il 946 regnò e cercò di risolvere le diatribe ereditarie sul titolo associandolo fin da subito a suo figlio Lotario II. Questi però scomparve già nel 950, per cui gli successe il marchese d'Ivrea Berengario II, che a sua volta elesse come successore il figlio Adalberto. Berengario, temendo lotte e trame per il potere, fece perseguire la vedova di Lotario II, Adelaide, che si rivolse all'imperatore tedesco Ottone I, chiedendogli aiuto a fronte di quella che riteneva l'usurpazione della corona da parte di Berengario.

Ottone colse il pretesto e scese in Italia, già nelle sue mire per via delle vie di comunicazione che l'attraversavano, per la possibilità di avviare un confronto con l'Imperatore bizantino, che possedeva ancora numerosi territori nella penisola (costa adriatica, Italia meridionale) e per instaurare un rapporto diretto con il papa. Dopo aver sconfitto, Berengario entrò nella capitale Pavia, sposò Adelaide e si cinse della corona italiana nel 951, legandola a quella dell'Impero romano-germanico. Da allora la corona d'Italia fu istituzionalmente connessa a quella imperiale, per cui fu automaticamente ereditata dai successori di Ottone I (Ottone II e Ottone III) fino al 1002.

Lo Stato della Chiesa e il monachesimo

  Lo stesso argomento in dettaglio: Stato della Chiesa e Monachesimo.

Durante l'intero Alto Medioevo la Chiesa cattolica fu l'unico potere che si dimostrò capace di conservare, tramandare e sviluppare la cultura latina, sia attraverso il monachesimo, sia mediante la creazione di un potere temporale concretizzatosi nel centro Italia con lo Stato della Chiesa. Questo si dimostrò in grado di contrapporsi alle varie invasioni, come quelle dei Longobardi, e a limitare l'influenza in Italia di altre potenze europee, come quella dei Franchi, dell'Impero Bizantino e del Sacro Romano Impero.

Il cristianesimo peraltro permise una convivenza tra due mondi un tempo inconciliabili: quello romanico e quello germanico. Grazie al cristianesimo, nacque uno spirito propriamente europeo accomunato dalla comune religione. Ovviamente tale fusione fu instabile e ci vollero secoli prima di trovare un equilibrio. Equilibrio che però, una volta raggiunto, portò ad apici di cultura e spiritualità, quali non solo le innovazioni tecnologiche, ma anche la fioritura delle università come luoghi di diffusione e di ricerca del sapere. Nei secoli più travagliati, invece, l'eredità culturale classica era stata custodita prima con i monasteri cluniacensi, poi con quelli cistercensi. I monasteri medievali infatti si impegnarono a custodire il sapere di ogni tipo, dalla letteratura pagana (classici greci e latini) ai testi arabi di filosofia, matematica e medicina. È anche grazie alla lungimiranza dei monaci medievali che sono potuti fiorire i secoli dell'età moderna.

Fra Medioevo, Umanesimo e Rinascimento

  Lo stesso argomento in dettaglio: Rinascimento.

Agli inizi dell'XI secolo, le turbolenze politiche portarono ad una crescente autonomia delle città italiane del centro-nord, che fu la premessa per la ripresa del commercio e dell'industria, con l'inizio di una nuova era di prosperità economica e culturale, che durò fino al XVI secolo e portò al grande sviluppo intellettuale ed artistico del Rinascimento.

Per quanto riguarda il meridione, nell'XI secolo si ebbe l'invasione dei Normanni che riuscirono a creare un Regno moderno, efficiente e fortemente centralizzato, grazie anche ad uno stretto controllo del territorio. Questa eredità passò alle dinastie angioine ed aragonesi che, a partire dal XIII secolo, si succedettero alla guida dello Stato. Nel centro-nord dell'Italia assistiamo invece ad un progressivo sfaldamento del Feudalesimo.

 
Dante fu a capo dei Guelfi Bianchi, ed a causa delle sue idee politiche venne esiliato da Firenze

Dal Medioevo al Quattrocento

Per difendere la propria autonomia dall'Impero al nord, dallo Stato della Chiesa al centro, e dalle invasioni arabe al sud, i Comuni iniziarono a costituire leghe che non furono mai, però, sufficientemente forti da potersi opporre all'influenza papale o feudale a causa di forti rivalità interne. Si segnalarono, però, alcune città, come Milano (importante nucleo urbano del Regno d'Italia, e quindi dell'Impero) per quanto riguarda la lotta contro il potere imperiale, Forlì e Perugia, (città nominalmente comprese nello Stato della Chiesa) per quanto riguarda la lotta contro il dominio pontificio. Il protrarsi degli scontri tra impero e chiesa, la nascita di una borghesia mercantile, i cui interessi si opponevano frequentemente a quelli delle aristocrazie rurali, la lotta delle classi dirigenti urbane per acquisire quote di autonomia sempre più ampie, portò la società italiana del tempo a dar vita a tutta una serie di correnti e schieramenti spesso contrapposti. Particolare rilievo ebbero, a partire dal XII secolo e fino almeno agli ultimi decenni del XIV secolo, le fazioni dei Guelfi e Ghibellini. Altro fenomeno che vide unite motivazioni politiche e religiose furono le Crociate, cui parteciparono attivamente molte entità statuali italiane con il deliberato proposito di contrapporsi al crescente potere islamico e nel contempo di poter espandere i propri commerci verso l'Oriente. Come conseguenza di queste guerre di religione, vi fu anche tra il XV e il XVIII secolo una ondata migratoria dall'Albania che portò alla fondazione di vari paesi di lingua e cultura albanese sparsi dalla Sicilia alle Marche, che ancora oggi rappresentano la più consistente minoranza linguistica autoctona, gli Arbëreshë.

Per quanto riguarda le forme di governo, si assistette, negli ultimi secoli del Medioevo, all'affiancamento di Signorie di recente costituzione e di governi legati a famiglie nobili, spesso rappresentanti l'antica feudalità, (come i Visconti e gli Sforza a Milano, i Gonzaga a Mantova, gli Este a Ferrara, gli Ordelaffi a Forlì, ed i Savoia, nel Ducato omonimo ed in Piemonte), con forme di governo repubblicane (come a Venezia, Genova e Firenze, quest'ultima prima dell'avvento della casa De' Medici).

 
Ritratto di Lorenzo il magnifico

La sottomissione degli Stati italiani fra 500 e 700

Agli inizi del XVI secolo buona parte degli stati italiani furono occupati o entrarono nell'orbita di Francia o Spagna che lottarono lungamente per il predominio in Europa. I primi anni videro anche l'espansione dello Stato Pontificio, grazie a varie campagne intraprese dal papa Giulio II, il quale nel 1506 conquistò Bologna e Perugia. Si dovette al papa stesso la sottomissione della penisola italica a potenze straniere, in quanto nel 1512, quando scacciò i francesi oltre le Alpi, si dovette alleare con altre potenze, in primo luogo la Spagna. Lo scontro tra francesi e spagnoli per il dominio della penisola continuò infatti negli anni, culminando nella battaglia di Pavia del (1525), vinta dai celebri tercios castigliani, ed il crollo delle posizioni francesi in una Regione chiave come la Lombardia, iniziò, di fatto, l'egemonia spagnola in Italia ratificata, una trentina d'anni più tardi, dalla pace di Cateau-Cambrésis. La Spagna esercitò da allora, e per oltre un secolo e mezzo, il dominio diretto su tutta l'Italia meridionale ed insulare, sul Ducato di Milano e sullo Stato dei Presidi nel sud della Toscana. Lo Stato della Chiesa, il Granducato di Toscana, la Repubblica di Genova ed altri stati minori furono costretti di fatto ad appoggiare la politica imperiale spagnola. Il Ducato di Savoia, tendente a convertirsi in ago della bilancia fra Francia e Spagna divenne nella realtà dei fatti un campo di battaglia fra queste due potenze. Solo la Repubblica Veneta riuscì a conservare una relativa indipendenza che però non fu sufficiente a preservarla da una lenta ma inesorabile decadenza. Dopo la pace di Utrecht (1713), l'eredità degli Asburgo di Spagna fu raccolta dal ramo austriaco di questa grande famiglia che riuscì ad insediarsi stabilmente in Lombardia e successivamente anche in Toscana (con gli Asburgo-Lorena). Nei primi decenni del XVIII secolo i sovrani d'Austria si impossessarono anche del Regno di Napoli, ceduto nel 1734, dopo la disfatta di Bitonto, ai Borboni di Spagna.

L'età moderna

In età moderna, l'Italia, e, più in generale, tutta l'Europa meridionale, ebbe a soffrire dello spostamento delle grandi rotte commerciali dal Mediterraneo all'Atlantico, chiaramente percepibile a partire dagli ultimi decenni del '500. Le devastazioni belliche a seguito della guerra dei trent'anni che colpiranno soprattutto l'Italia settentrionale. Il principale di questi scontri che vide contrapposti gli interessi imperiali a quelli francesi fu la guerra di successione di Mantova e del Monferrato. la forte pressione fiscale esercitata dalla Spagna sui suoi domini dovuta alle esorbitanti spese di guerra, che invece si farà sentire con gravissime conseguenze in tutto il meridione ed in Lombardia, i vuoti lasciati dalla grave pestilenza del 1630 avranno effetti devastanti sull'economia italiana del tempo. È un dato di fatto che fin dal quarto decennio del XVII secolo quasi tutta l'Italia era passata ad essere un'area con gravi problemi di sottosviluppo economico, politicamente amorfa, socialmente disgregata. Fame e malnutrizione regnavano incontrastate in molte regioni peninsulari e nelle due isole maggiori.

Il declino culturale dell'Italia non marciò di pari passo con quello politico, economico e sociale. È questo un fenomeno riscontrabile in molti paesi, Spagna compresa. Se nel '500 il rinascimento italiano produsse i suoi frutti più maturi e si impose all'Europa del tempo, l'arte ed il pensiero barocchi, elaborati a Roma a cavallo fra '500 e '600 avranno una forza di attrazione ed una proiezione internazionale non certo inferiori. È comunque un dato di fatto che ancora per tutta la prima metà del '600 ed oltre, l'Italia continuò ad essere un paese vivo, capace di elaborare un pensiero filosofico (Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Paolo Sarpi) e scientifico (Galileo Galilei, Evangelista Torricelli) di altissimo profilo, una pittura sublime (Caravaggio), un'architettura unica in Europa (Gianlorenzo Bernini, Borromini, Baldassare Longhena, Pietro da Cortona) ed una musica, sia strumentale (Arcangelo Corelli, Girolamo Frescobaldi, Giacomo Carissimi) che operistica (Claudio Monteverdi, Cavalli) che fece scuola. A questo proposito ricordiamo che il melodramma è una tipica creazione dell'età barocca.

Attorno agli anni '30 del XVIII secolo, assistiamo ad una timida ripresa dell'economia italiana che si consolidò, soprattutto nel meridione, nei decenni successivi. L'illuminismo, nato in Inghilterra, ma diffusosi in Italia attraverso l'intermediazione dei philosophes francesi iniziò a far sentire i suoi benefici influssi nel nord (Parma) come a Napoli e in Sicilia, dove regnò uno dei più grandi sovrani europei del tempo: il futuro Carlo III di Spagna. L'Austria, che, come abbiamo già visto, si era sostituita alla Spagna come potenza egemonica in Italia, soprattutto nella sua parte centro-settentrionale, fu governata da alcuni monarchi particolarmente capaci, Maria Teresa e Giuseppe II in particolare, che introdussero in Lombardia, nel Trentino e nella regione di Trieste (la futura Venezia Giulia) delle riforme atte a fomentare lo sviluppo economico e sociale di quelle terre.

L'Italia sotto il dominio napoleonico

 
L'Italia nel 1803

Verso la fine '700 sulla scena politica italiana si affacciò Napoleone Bonaparte. Questi nel 1796, comandò, come generale, la campagna italiana, al fine di far abbandonare al Regno di Sardegna la Prima coalizione, creata contro lo stato francese, e per far arretrare gli austriaci.

Gli scontri iniziarono il 9 aprile, contro i piemontesi e nel breve volgere di due settimane Vittorio Amedeo III di Savoia fu costretto a firmare l'armistizio. Il 15 maggio poi il generale francese entrò a Milano, venendo accolto come un liberatore. Successivamente respinse le controffensive austriache e continuò ad avanzare, fino ad arrivare in Veneto nel 1797. Qui si verificò anche un episodio di ribellione a causa dell'oppressione francese chiamato Pasque Veronesi, che tenne occupato Napoleone per circa una settimana. A ottobre del 1797 venne però firmato il Trattato di Campoformio con il quale la Repubblica di Venezia fu annessa allo stato austriaco, causando quindi la delusione dei patrioti italiani. Il trattato riconobbe anche l'esistenza della Repubblica Cisalpina, la quale comprendeva Lombardia, Emilia Romagna oltre a piccole parti di Toscana e Veneto, mentre il Piemonte venne annesso alla Francia. Nel 1802 venne poi denominata Repubblica italiana, con Napoleone Bonaparte, già Primo Console della Francia, in qualità di Presidente.

 
Napoleone con la corona ferrea

Il 2 dicembre 1804 Napoleone era incoronato Imperatore dei Francesi. In conformità col nuovo assetto monarchico francese Napoleone divenne anche Re d'Italia, tramutando la Repubblica italiana in Regno d'Italia. Questa decisione lo mise in contrasto con l'Imperatore del neonato Impero austriaco Francesco II che, essendo prima di tutto Imperatore dei Romani, risultava de iure pure Re d'Italia. La situazione si risolse con la guerra contro la Terza coalizione: l'Austria venne sconfitta (2 dicembre 1805) e il trattato di Presburgo (26 dicembre 1805) pose di fatto fine al Sacro Romano Impero che verrà però sciolto solo nel 1807.

L'anno successivo Bonaparte riuscì a conquistare il Regno di Napoli affidandolo al fratello e dandolo poi, nel 1808 a Gioacchino Murat. Inoltre Napoleone riservò alle sorelle Elisa e Paolina i principati di Massa e Carrara e Guastalla. Proprio nel 1808 il Regno d'Italia subì un ampliamento con le annessioni di Toscana e Marche.

Nel 1809, poi, Bonaparte occupò Roma, per contrasti con il papa, che l'aveva scomunicato, e per mantenere in efficenza il proprio stato[1], relegandolo prima a Savona e poi in Francia. Con la conquista della Russia che Napoleone intraprese nel 1811 fu determinante per l'appoggio degli abitanti della penisola italiana. Questa si risolse con una sconfitta e molti italiani trovarono la morte. Dopo la fallimentare campagna di Russia gli altri stati europei si riorganizzarono coalizzandosi tra loro e sconfiggendo Bonaparte a Lipsia. I suoi stessi alleati, prima tra tutti Murat lo abbandonarono alleandosi con l'Austria.[2] Ormai abbandonato dagli alleati e sconfitto a Parigi il 6 aprile 1814 Napoleone fu costretto ad abdicare e venne mandato in esilio all'Isola d'Elba. Sfuggito alla sorveglianza riuscì a ritornare in Francia e a riprendere il potere. Guadagnò l'appoggio di Gioacchino Murat, che tentò di esortare, ma senza successo, gli italiani a combattere con il Proclama di Rimini. Sconfitto Bonaparte anche Murat venne battuto e ucciso. I regni creati in Italia scomparvero ed iniziò quindi il periodo storico della Restaurazione.

Restaurazione

Con la Restaurazione ritornarono sul trono gran parte dei sovrani precedenti al periodo napoleonico. Vennero uniti Piemonte, Genova e Nizza, oltre alla Sardegna che andarono a creare lo Stato di Savoia, mentre Lombardia, Veneto, Istria e Dalmazia andarono all'Austria. Si ricostituirono i ducati di Parma e Modena, lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli tornò ai Borboni.

Il Regno di Sardegna

  Lo stesso argomento in dettaglio: Regno di Sardegna.

I moti carbonari

  Lo stesso argomento in dettaglio: Carboneria.
 
L'arresto di Pellico e Maroncelli da parte delle forze austriache

Dopo la Restaurazione, che aveva portato al ritorno degli antichi sovrani e alla cessione di regioni italiane all'Austria portarono alla nascita di forti ideali patriottici. Nacque così la Carboneria e si diffuse proprio nelle regioni cedute agli austriaci e in Romagna, grazie anche a Piero Maroncelli.

I primi moti carbonari nella penisola italiana vi furono nel 1820-21 e colpirono il Regno di Napoli nel luglio 1820 e il Piemonte nel marzo 1821. A Napoli il sovrano fu costretto a cedere la costituzione, obiettivo dei carbonari, ma l'intervento degli austriaci riportò tutto come prima, e stessa cosa nel Regno di Sardegna. Contemporaneamente in Lombardia e Veneto vi furono molti processi, i più famosi al conte Federico Confalonieri, a Silvio Pellico e Piero Maroncelli.

Nonostante le sconfitte subite la carboneria continuò ad esistere e si ripresentò sulla scena politica nel 1830, in particolare nel Ducato di Modena e nello Stato Pontificio, venendo per la seconda volta repressa. Il risultato fu il decadimento della carboneria e la nascita della Giovine Italia, movimento anch'esso segreto fondato da Giuseppe Mazzini nel 1831.

Dopo aver trovato una discreta adesione Mazzini decise di organizzare i primi moti in terra sabauda, ma questi vennero scoperti ancor prima di iniziare e fallirono. Nonostante ciò il Re Carlo Alberto di Savoia cambiò la sua linea politica e alcuni anni dopo, nel 1848 concesse la costituzione, nota come Statuto Albertino, temendo reazioni pericolose alla monarchia. Prima di questo si verificarono altri tentativi. Il più noto è quello dei Fratelli Bandiera, italiani appartenenti alla marina austriaca che tentarono di sollevare il sud, ma vennero catturati, anche grazie alla popolazione che li riteneva briganti, e fucilati.

Risorgimento

  Lo stesso argomento in dettaglio: Risorgimento.

Prima guerra di indipendenza

  Lo stesso argomento in dettaglio: Prima guerra di indipendenza italiana.
 
Monumento a Carlo Cattaneo, protagonista delle Cinque Giornate di Milano

Dopo le campagne napoleoniche, spinte nazionali e nazionalistiche appoggiate dai Savoia, che videro in queste l'opportunità di allargare il proprio Regno di Sardegna, portarono ad una serie di guerre di indipendenza contro l'Impero Austro-Ungarico.

Nel 1848 cominciarono a manifestarsi varie insurrezioni nei domini sottoposti agli austro-ungarici, in particolare a Venezia e Milano, famose appunto le cinque giornate di Milano, che si conclusero il 22 marzo con la vittoria della popolazione locale e l'abbandono da parte del maresciallo austriaco Radetzky della città.

Visti i successi ottenuti dalle due città Carlo Alberto di Savoia decise di entrare in azione il 23 marzo dando inizio alla Prima guerra di indipendenza italiana. Oltre al Re di Sardegna parteciparono alla guerra altri vari stati italiani, come lo Stato della Chiesa, il Granducato di Toscana e il Regno delle Due Sicilie, che fornirono uomini per la guerra. L'inizio del conflitto fu favorevole agli stati italici, con varie vittorie, a Pastrengo, la Battaglia di Santa Lucia a Verona, poi Peschiera e Goito. Ma il papa ritirò le sue truppe dal conflitto temendo una reazione religiosa austriaca che avrebbe potuto provocare uno scisma. In questa azione fu seguito dal Re delle Due Sicilie Ferdinando II di Borbone. Rimasero quindi a combattere i volontari e gli austriaci poterono rafforzarsi e con una potente controffensiva ripresero gran parte delle città perse e il 4 agosto Carlo Alberto firmò l'armistizio. Dopo una breve tregua nel marzo 1849 venendo presto sconfitto. Fu quindi costretto ad abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Tra le città che si erano ribellate al dominio austriaco l'anno precedente l'unica a resistere fu Venezia, caduta però nell'agosto 1849 per un'epidemia di colera.

La prima guerra di indipendenza si concluse con la vittoria austriaca e i Savoia non riuscirono ad ampliare i propri possedimenti nel tentativo di riunificare la penisola.

Seconda guerra di indipendenza

  Lo stesso argomento in dettaglio: Seconda guerra di indipendenza italiana.
 
Vittorio Emanuele II di Savoia, il primo re d'Italia

Nel 1852 divenne primo ministro del Regno Sabaudo Camillo Benso Conte di Cavour, il quale attuò numerose riforme economiche al fine di rendere lo stato di Sardegna più moderno, aumentando le ferrovie, ampliando il porto di Genova e favorendo la nascita dell'industria, fino ad allora inesistente nel Paese.

Nel 1855 il Regno di Sardegna, sotto indicazione di Cavour, partecipò alla Guerra di Crimea, inviando 15000 uomini. Questa partecipazione permetté al regno sabaudo di essere presente al Congresso di Parigi l'anno seguente e il primo ministro attaccando il comportamento austriaco e creandosi simpatie tra inglesi, francesi e prussiani.

Ricevuti pareri favorevoli all'azione da Napoleone III nel 1858 i due strinsero un accordo segreto a Plombières, con il quale i francesi avrebbero sostenuto i Savoia in caso di attacco austriaco a patto che fossero gli austriaci ad attaccare. I due però avevano scopi opposti: Cavour riteneva che controllando la parte più sviluppata d'Italia avrebbe di fatto controllato l'intera penisola, mentre Napoleone III era convinto che avendo sotto il suo dominio i due terzi della penisola, avrebbe di fatto controllato anche il Piemonte.

Adottando un comportamento provocatorio nei confronti degli austriaci Cavour riuscì nell'intento di farsi dichiarare guerra, dando inizio alla Seconda guerra di indipendenza italiana, che iniziò il 29 aprile 1859. Gli austro-ungarici, sotto la guida del maresciallo Ferencz Gyulai, inizialmente invasero il Piemonte, senza incontrare resistenze. Un contrordine proveniente da Vienna impose poi il ritiro in Lombardia. L'arrivo di Napoleone III, il 14 maggio, diede il via alle operazioni militari. Il 20 maggio si ebbe il primo e vero scontro a Montebello, che vide la vittoria franco-italica. Dieci giorni dopo i piemontesi riportarono un'altra vittoria a Palestro, sotto la guida stessa di Vittorio Emanuele II. I francesi, invece, batterono gli austro-ungarici a Turbigo e Magenta. Il 5 giugno venne poi presa Milano. Nei giorni successivi gli austriaci vennero respinti in Veneto e, a questo punto, Napoleone III cominciò le trattative, a insaputa dei piemontesi, che terminarono con la cessione della Lombardia. Gli accordi di Plombières, prevedevano però la conquista del Veneto e Cavour deluso tentò, senza successo di convincere il re a continuare da solo. Terminata la Seconda guerra di indipendenza alcuni ducati vollero unirsi allo stato sabaudo ed erano Modena, Parma, Emilia, Romagna e Toscana. Gli accordi di Plombières prevedevano però la cessione di Nizza e della Savoia, cosa che provocò varie proteste, in quanto non era stata mantenuta la promessa di conquistare anche il Veneto.

Il nuovo stato di Savoia comprendeva quindi Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Liguria e Toscana, mentre rimanevano escluse Umbria, Marche e Lazio, sottoposti al dominio pontificio, oltre al sud.

 
Garibaldi nel 1866

Venne così organizzata nel 1860 la spedizione dei Mille, che sotto la guida di Giuseppe Garibaldi conquistò il sud e contemporaneamente i Piemontesi discesero da nord e riuscirono ad unificare sotto i Savoia gran parte della penisola.

Mancavano ancora Veneto e Friuli, Roma, Trentino-Alto Adige e Venezia Giulia. Nonostante ciò avvenne la proclamazione del Regno d'Italia nel 1861.

Terza guerra di indipendenza

  Lo stesso argomento in dettaglio: Terza guerra di indipendenza italiana.

Per conquistare Veneto e Friuli nel 1866 il Regno d'Italia dichiarò guerra all'Austria alleandosi con la Prussia e dando così iniziò alla Terza guerra di indipendenza. Le sconfitte però furono molte, le più famose a Custoza e Lissa. Gli unici successi vennero ottenuti da Garibaldi. La vittoria prussiana, però, fu d'aiuto all'Italia, che poté quindi richiedere l'annessione di Veneto e Friuli.

Mancava Roma e per due volte Giuseppe Garibaldi ne tentò al conquista con i suoi volontari: nel 1862 e nel 1867, venendo fermato nel primo caso dalla truppe italiane, nel secondo dall'esercito francese, che anche nel 1862 aveva costretto l'esercito regio a intervenire.

La guerra con la Prussia contro la Francia e la sconfitta di Napoleone III portarono ad una mossa militare da parte dell'Italia contro Roma, che il 20 settembre 1870 venne conquistata grazie alla Breccia di Porta Pia. Si venne però a determinare una profonda frattura tra Stato italiano e Chiesa, formalmente sanatasi con i Patti Lateranensi del 1929. La forma di governo proclamata fu quella di una monarchia costituzionale, con un parlamento eletto a suffragio limitato.

Regno d'Italia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Regno d'Italia (1861-1946) e Impero coloniale italiano.

L'Italia liberale (1861-1914)

Appena sorto il Regno d'Italia era molto fragile a causa dell'elevato analfabetismo, dell'assenza di un'unica lingua nazionale e della grande povertà diffusa, soprattutto al sud, che negli anni compresi tra il 1861 e il 1869 tenne occupato l'esercito regio contro la guerriglia dei combattenti meridionali antisabaudi. Appena formato nel Regno d'Italia la Destra storica salì al potere e tentò di ristabilire le finanze statali, tramite la tassazione sui beni di consumo, che colpì soprattutto le persone meno abbienti, causando scontento popolare. Inoltre nel tentativo di unire politicamente tutta la penisola con l'applicazione di tutti gli ordinamenti piemontesi nell'intero Paese. Nel 1876, poi, si riuscì ad avere un sostanziale pareggio finanziario del bilancio.

Proprio nello stesso anno si giunse alle elezioni politiche, che videro la vittoria della Sinistra storica, con leader Agostino Depretis, che diede vita al trasformismo. Un'importante riforma riguardava l'istruzione, resa obbligatoria e gratuita fino ai nove anni di età. Inoltre venne aumentato anche il numero di elettori, tramite una legge del 1882 che concedeva diritto di voto a tutti i maschi, che avessero compiuto i 21 anni, sapessero leggere e scrivere oppure che avessero un determinato reddito da versare allo stato. Con la suddetta riforma il corpo elettorale salì al 6,9% della popolazione italiana, rispetto al 2,2% del 1880.[3]

Per ciò che concerne la politica estera Deprestis abbandonò l'alleanza con la Francia, a causa della conquista da parte dello stato d'oltralpe della Tunisia, che aveva attirato le mire italiane, entrando a fare parte della Triplice Alleanza.

Guerre coloniali
 
Bandiera Nazionale del Regno d'Italia

L'inizio del regno vide l'Italia impegnata anche in una serie di guerre di espansione coloniale. L'occupazione cominciò nel novembre 1869 con il padre lazzarista Giuseppe Sapeto che, avviò le trattative per l'acquisto della Baia di Assab. Il governo egiziano contestò tale acquisizione e rivendicò il possesso della baia: da ciò seguì una lunga controversia che si concluse solo nel 1882.

Il 10 marzo 1882 il governo italiano acquistò il possedimento di Assab, che il 5 luglio dello stesso anno diventò ufficialmente italiano. Negli anni dal 1885 al 1890 fu acquisita l'importante città portuale di Massaua, facendo sì che il controllo italiano si estendesse nell'entroterra. Nel 1890 l'Eritrea fu ufficialmente dichiarata colonia italiana.

Un anno prima anche la Somalia entrò nella sfera d'influenza italiana, divenendo protettorato e rimanendo tale fino al 1905, quando venne dichiarata colonia. Anche Libia, Dodecanneso ed una concessione di ridotte dimensioni in Cina sarebbero poi divenuti possedimenti dello stato.

L'Italia nella Prima Guerra Mondiale (1915-1918)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Fronte italiano (Prima guerra mondiale).
 
Armando Diaz al fronte

Nella Prima Guerra Mondiale l'Italia rimase inizialmente neutrale, per poi scendere al fianco degli alleati il 23 maggio 1915 dopo la firma del segreto Patto di Londra.

Il Patto di Londra prevedeva che l'Italia entrasse in guerra al fianco dell'Intesa entro un mese, ed in cambio avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il Trentino, il Tirolo fino al Brennero (Alto Adige), la Venezia Giulia, l'intera penisola istriana, con l'esclusione di Fiume, una parte della Dalmazia, numerose isole dell'Adriatico, l'arcipelago del Dodecaneso, la base di Valona in Albania e il bacino carbonifero di Adalia in Turchia.

 
Schema della Battaglia di Vittorio Veneto nel 1918 risultata decisiva per la vittoria italiana nella guerra

Lo stato italiano decise quindi di entrare in guerra 24 maggio 1915. Il comando dell'esercito venne affidato al generale Luigi Cadorna, che aveva come obiettivo il raggiungimento di Vienna passando per Lubiana.[4] La guerra si rivelò però di posizione e nel primo anno non si fecero conquiste, se non minime, territoriali. Nel 1916 gli austro-ungarici diedero inizio a una grande offensiva in Trentino, ma vennero respinti e le truppe italiane, con una controffensiva riuscirono a prendere Gorizia. Nell'autunno dello stesso anno si tentarono nuove offensive sul Carso, senza però ottenere alcun risultato di rilievo. La situazione cambiò poi a favore austriaco nel 1917, quando, le forze dell'Intesa lanciarono contro le truppe italiane stanziate a Caporetto una massiccia controffensiva e li fece arretrare fino al Piave su cui venne fissata la linea difensiva. La disfatta portò alcune conseguenze: Cadorna venne rimosso dall'incarico e sostituito dal maresciallo Armando Diaz nel ruolo di capo di stato maggiore. Oltre a Cadorna perse il posto anche il generale Luigi Capello, ritenuto principale responsabile della sconfitta. Inoltre nelle truppe italiane, a causa di un elevato malcontento, furono frequenti i disordini, conclusesi con sommarie fucilazioni. Per quel che riguarda la guerra riprese la guerra di trincea. La situazione tornò poi a favore italiano nel 1918 e il 24 ottobre si diede inizio alla Battaglia di Vittorio Veneto, che si concluse il 3 novembre con la sconfitta austro-ungarica. Contemporaneamente i tedeschi vennero sconfitti e fu firmata la pace nel novembre 1918.

L'Italia completò la sua riunificazione nazionale acquisendo il Trentino-Alto Adige, la Venezia Giulia, l'Istria ed alcuni territori del Friuli ancora irredenti. Queste regioni avevano fatto parte, fino ad allora, della Cisleitania nell'ambito dell'Impero Austro-Ungarico (ad eccezione della città di Fiume, incorporata nel Regno d'Italia nel 1924 e posta in Transleitania).

Tuttavia, l'Italia non vide riconosciuti i diritti territoriali acquisiti sulla Dalmazia con l'intervento a fianco degli alleati: in base al Patto di Londra con cui aveva negoziato la propria entrata in guerra, l'Italia avrebbe dovuto ottenere la Dalmazia settentrionale incluse le città di Zara, Sebenico e Tenin. Tuttavia, in base al principio della nazionalità propugnato dal presidente americano Woodrow Wilson, la Dalmazia venne annessa al neocostituito Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, con l'eccezione di Zara (a maggioranza italiana) e dell'isola di Lagosta, che con altre tre isole vennero annesse all'Italia.

 
Incontro tra Benito Mussolini e Gabriele D'Annunzio, il poeta attivo nella Prima Guerra Mondiale ed anche nella lotta per l'indipendenza di Fiume

Il Fascismo (1919-1945)

Con la fine della I guerra mondiale ed essendo l'Italia risultata vittoriosa nel conflitto, alla conferenza di pace di Parigi richiese che venisse applicato alla lettera il patto (memorandum) di Londra; così non fu a causa del parere contrario del presidente Wilson, il quale aveva moglie croata e dottore serbo.[senza fonte] La Francia inoltre non vedeva di buon occhio una Dalmazia italiana poiché avrebbe consentito all'Italia di controllare i traffici provenienti dal Danubio. Il risultato fu che le potenze dell'Intesa alleate dell'Italia opposero un rifiuto ingiustificato e ritrattarono quanto promesso nel 1915 (un testo tuttavia pieno di omissioni e ambiguità), l'Italia dal quanto suo fu divisa sul da farsi, e Vittorio Emanuele Orlando abbandonò per protesta la conferenza di pace di Parigi. Le potenze vincitrici furono così libere di disegnare il nuovo confine orientale dell'Italia senza che essa presenziasse, e applicarono il trattato di Londra secondo il loro giudizio; la Dalmazia, che pure fu occupata militarmente dall'Italia dalla fine della prima guerra mondiale alla prima conferenza di pace di Parigi, fu assegnata al neonato regno dei Serbi, Croati, e Sloveni

Il mancato rispetto dei patti stipulati generò l'indignazione Italiana; in modo pressoché unanime il popolo italiano accusò che il sacrificio di un'intera generazione al fronte non fosse stato ricompensato: è la "vittoria mutilata". La delegazione italiana abbandonò per protesta le trattative, senza ottenere altro risultato che autoescludersi dal tavolo dei vincitori.

Sulla spinta del malcontento dovuto anche alle difficoltà economiche e sociali del dopoguerra, nel 1922 si assistette alla salita al potere del Fascismo, tramite la Marcia su Roma che relegò il ruolo dei Savoia ad aspetti puramente formali.

L'espansione coloniale italiana e la Guerra d'Etiopia

A partire dal 1926-27 l'Albania entrò gradualmente nella sfera d'influenza dell'Italia ma solo nell'aprile del 1939 fu occupata militarmente da questo paese che le impose come sovrano Vittorio Emanuele III.

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Truppe italiane in marcia durante la Guerra d'Etiopia

Nel 1928, inoltre, gli italiani cominciarono a penetrare in Etiopia, divenuta ormai il principale interesse del fascismo, e gli etiopi ad attaccare il territorio italiano in Eritrea. L'incidente più importante, però, avvenne a Ual Ual, nel 1934, e Mussolini lo usò in seguito per giustificare la sua guerra contro lo stato etiopico.

Mussolini, quindi, nel gennaio 1935 prese accordi con il ministro degli esterni francese, Pierre Laval per assicurarsi un sostegno diplomatico contro l'Etiopia.[5] Pochi mesi più tardi la società delle nazioni riconobbe la buona fede di entrambi i Paesi, ma prima l'Etiopia, che presentò ricorso a marzo dello stesso anno, e l'Italia poi, con una dichiarazione del duce a Cagliari non erano soddisfatti.

Il 2 ottobre del 1935, poi Mussolini dichiarò guerra all'Etiopia (Guerra d'Etiopia) e il giorno successivo iniziarono le operazioni, con un doppio attacco italiano proveniente sia dalle basi eritree, sotto il comando di De Bono, che da quelle somale, sotto al guida di Graziani. Contemporaneamente la Società delle Nazioni decise di sanzionare l'Italia per aver attaccato uno stato membro, ma la sentenza venne aggirata e non ebbe effetti rilevanti.[senza fonte] In poco tempo gli italiani avanzarono e sconfissero ripetutamente le truppe abissine. A novembre Pietro Badoglio sostituì De Bono e il 7 maggio 1936 l'Etiopia venne sconfitta ed entrò a fare parte del Regno d'Italia, divenuto Impero. Vittorio Emanuele III assunse infatti il titolo di Governatore d'Etiopia.

L'Italia nella Seconda Guerra Mondiale (1940-1945)

1940
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Mezzi motorizzati inglesi distrutti da un attacco aereo italiano nel Somaliland

Nel 1940 l'Italia fu alleata con la Germania nazista nella Seconda Guerra Mondiale contro Francia e Regno Unito, dichiarando nel 1941 guerra alla Unione Sovietica e con l'Impero giapponese agli Stati Uniti d'America. Mussolini credeva infatti in una guerra lampo a favore della Germania di Hitler da cui poter trarre vantaggi come alleato. Il 10 giugno 1940 l'Italia entrò quindi in guerra. I primi scontri ebbero luogo il 21 giugno sulle Alpi, contro la Francia, ormai attacatta dai tedeschi con la tattica del blitzkrieg, che portò allo stato fascista italiano la sola conquista di una piccola striscia nel sud del Paese, riportando i confini a prima del 1850, con l'esclusione di Nizza. Tra agosto e settembre cominciarono le operazioni nell'Africa. Venne attaccata la Somalia britannica e la si conquistò. Contemporaneamente, a nord, le truppe comandate dal generale Rodolfo Graziani attaccarono gli inglesi stanziati in Egitto e si spinsero fino a Sidi el Barrani. Nello stesso momento lo stato maggiore fascista concentrò le sue mire espansionistiche in Grecia. Più volte bloccati dalla Germania durante l'estate nell'ottobre del 1940 gli italiani cominciarono a muoversi verso la penisola. Pensando di non trovare alcuna resistenza le truppe italiane avanzarono, ma tra novembre e dicembre i greci, aiutati anche dagli inglesi, passarono all'azione e costrinsero gli italiani a ritirarsi in Albania. Anche la flotta italiana subì alcune perdite tra gli uomini e il parziale affondamento della Corazzata Cavour e il danneggiamento di altre due navi a causa di un attacco dell'aviazione inglese al porto di Taranto. Intanto la situazione peggiorò anche in Africa.

 
La corazzata Cavour parzialmente affondata nella Notte di Taranto dall'aviazione inglese

Gli insuccessi in Grecia portarono poi, il 4 dicembre alle dimissioni dal ruolo di capo di Stato Maggiore Pietro Badoglio, che venne sostituito dal generale Ugo Cavallero. Pochi giorni dopo, tra il 10 e l'16 dicembre gli inglesi iniziarono un'offensiva in Nord Africa, sconfiggendo le truppe italiane e riprendendosi Sidi el Barrani e la Baia di Sollum.

1941

Nel febbraio 1941 gli inglesi sconfissero nuovamente gli italiani, in Egitto penetrando anche in Libia nella regione della Cirenaica. Contemporaneamente si registrarono i primi insuccessi anche nelle colonie del corno d'Africa, culminati il 20 maggio con la resa del Duca d'Aosta sull'Amba Alagi. Nel marzo ripresero poi le operazioni in Grecia, ma nonostante gli sforzi fatti da Cavallero, l'esercito italiano venne nuovamente sconfitto e questo fatto causò la fine della Guerra parallela, così chiamata da Mussolini.[6] Nell'aprile, quindi gli sforzi militari italiani si diressero verso la Jugoslavia al fine di anticipare i nazisti, senza ottenere grandi risultati. L'11 aprile i tedeschi si impossessarono dell'area balcanica, concedendo allo stato fascista di mettere nominalmente a capo dello stato croato un rappresentante di casa Savoia. L'influenza italiana si limitò solamente alle zone costiere e, in base ad accordi con il capo del governo croato Ante Pavelic, l'Italia avrebbe avuto per 25 anni il dominio del litorale della Croazia.[7]

L'intervento tedesco nei Balcani fece rinviare la campagna in Russia, in quanto i nazisti avevano interesse a proteggere dagli inglesi gli stati satelliti. Nel giugno 1941, comunque venne intrapresa la campagna militare, con l'Operazione Barbarossa. Il governo italiano decise un ampia partecipazione delle proprie truppe, temendo di avere un ruolo sempre più marginale nella guerra, mandando in azione il CSIR al comando del generale Giovanni Messe. Contemporaneamente l'arrivo di Rommel in Libia vide un netto miglioramento della situazione, ma con il passare dei mesi la scarsità di rifornimenti dovuti all'affondamento di questi da parte degli inglesi stanziati a Malta fece arretrare nuovamente il fronte. In Russia il CSIR vinse alcune battaglie, ma, a partire da ottobre, l'inverno causò vari problemi ai soldati italiani, non muniti di sufficienti protezioni contro il freddo.

1942
 
I granatieri difendono Roma il 9 settembre del 1943

Nel 1942 le operazioni italiane si concentrarono in Unione Sovietica e Africa. In entrambi i fronti, grazie alle truppe tedesche si ebbero frequenti successi: in Russia si conquistarono vasti territori e si arrivò a controllare durante l'estate anche Stalingrado, mentre nel nord Africa Rommel si spinse in Egitto, conquistò varie città, più importante delle quali Tobruch, facendo prigionieri molti inglesi, ma a causa degli attacchi dell'aviazione anglo-americana e dei rinforzi sempre meno frequenti si arrivò ad una sconfitta nella battaglia di El Alamein, che segnò la fine delle speranze dell'Asse di conquistare l'Egitto ed i campi petroliferi del Medio Oriente. A seguito di questa sconfitta cominciò la ritirata e gli italiani, non muniti di mezzi veloci vennero sconfitti dagli inglesi, con le divisioni Ariete e |Littorio che vennero quasi completamente annientate dalla controffensiva.

La situazione peggiorò poi anche in Russia con l'avvicinarsi dell'inverno, infatti Mussolini non si era curato di rafforzare l'equipaggiamento delle truppe italiane appartenenti all'ARMIR.[8] Già nell'estate vi erano state pesanti decimazioni nell'esercito italiano e nel dicembre 1942 cominciano le prime pesanti sconfitte, seguite dalla ritirata.

1943-1945
 
Lo sbarco americano a Gela

Le sconfitte sia sul fronte africano che su quello russo causarono in Italia vari scioperi e un calo di consensi nei confronti del fascismo e di Mussolini. Intanto, in Africa, proseguì la resistenza delle truppe italiane, mentre in Russia procedeva la ritirata. A maggio venne presa Tunisi, ultimo baluardo dell'esercito regio italiano e poche settimane più tardi anche le isole di Lampedusa e Pantelleria, dando inizio all'Operazione Husky. Le difficoltà militari colpirono anche Mussolini. Il 24 luglio si riunì il Gran Consiglio del Fascismo e il mattino seguente il duce venne sfiduciato. Vittorio Emanuele III decise quindi di sostituirlo a capo del governo con Pietro Badoglio. Proprio mentre si trovava a colloquio con il re, Mussolini venne arrestato: il monarca aveva fatto circondare l'edificio dai carabinieri, e il duce viene portato a Ponza, in carcere. Successivamente fu trasferito a La Maddalena e sul Gran Sasso. Intanto il nuovo capo del governo Badoglio annunciò il continuo della guerra a fianco dei tedeschi, ma stava trattando l'armistizio con gli Alleati, che venne firmato il 3 settembre e reso pubblico l'8.

Il giorno successivo il re e Badoglio fuggirono da Roma, andando in Puglia, sotto la protezione di inglesi e americani. Sempre in questi giorni le truppe italiane, che non avevano ordini precisi (e nella coscienza popolare l'8 settembre viene ricordato come il giorno del "Tutti a casa"), vennero catturate dai soldati tedeschi e molti componenti dell'esercito finirono prigionieri.

Il 12 settembre una spedizione tedesca liberò Mussolini, che venne incaricato di formare un nuovo regno nel nord Italia.

Il Paese si trovò così diviso in due: il Regno del Sud a fianco degli alleati contro la Germania e la Repubblica Sociale Italiana, formata dai reduci fascisti. Di fatto, erano entrambi due stati-fantoccio, rispettivamente degli anglo-americani e dei tedeschi. In questo quadro drammatico, nacquero però le prime formazioni partigiane, che soprattutto nel centro-nord diedero vita al primo nucleo dell'Italia libera; tutte le formazioni si schierarono contro i fascisti, responsabili della guerra, ma non tutte contro la monarchia. Gli stessi partigiani si divisero, dando inizio così alla guerra civile italiana.

Nascita dei Partigiani
  Lo stesso argomento in dettaglio: Formazioni Partigiane Italiane.

I partigiani si divisero subito in tre grandi gruppi:

Gli altri gruppi minori furono le Brigate Bianche e le Brigate Matteotti.

Tutte le formazioni partigiani riconobbero, nella diversità dei loro ideali (da ex-ufficiali a comunisti, da cattolici a monarchici), un obbiettivo comune: la cacciata di Mussolini e del fascismo dall'Italia, unici responsabili del disatro in cui viveva la nazione. Non mancò, comunque, qualche episodio di "regolamento di conti" privato tra diverse formazioni, episodi comunque isolati e che non mettono in dubbio l'altissimo valore della Resistenza italiana.

La Resistenza
  Lo stesso argomento in dettaglio: Resistenza Italiana.
La Guerra Civile Italiana

Con un paese troncato in due, occupato da diversi eserciti impegnati in una lotta all'ultimo sangue, gli italiani si ritrovarono in una posizione decisamente difficile. Nel Sud, la situazione era leggermente migliore, perché gli anglo-americani lasciarono un minimo di libertà alle popolazioni, seppur litigando continuamente sulle azioni da intraprendere nei confronti del paese a guerra finita. Al Nord, la situazione era difficile ed ingarbugliata. Da un lato, c'era uno stato fantoccio della Germania nazista, che di libertà non ne lasciava neppure a Mussolini, dall'altro i partigiani, che al di là delle ideologie, lottano per l'obbiettivo comune che era la fine del fascismo prima e della guerra poi. Ma quando questi si trovarono a combattere contro altri italiani, mandati da Mussolini a fianco dei tedeschi per frenare l'avanzata alleata, nacque una vera e propria guerra civile, che ha avuto forti strascischi anche molti anni dopo la fine della guerra. Sicuramente, è indubbio che chi combattè nelle fila della Repubblica Sociale Italiana stava dalla parte dei nazisti, ma bisogna ricordare che, di quei giovani, molti non avevano semplicemente "aderito" al fascismo, ma vi erano "nati" dentro. Non avevano mai conosciuto altro regime che quello fascista, e si trovarono, così, plasmati dalla propaganda nera, e dunque senza scelta. E' in quest'ottica che si parla di "Guerra Civile".

Fine del conflitto

Nell'aprile del 1945 le forze nazi-fasciste vennero sconfitte anche con il consistente contributo delle forze partigiane, formate da ex-militari sbandati dopo l'armistizio ma anche da donne, ragazzi ed anziani, e con un forte supporto delle popolazioni, che costò spesso gravi massacri per rappresaglia da parte delle forze occupanti. Nonostante questo, il trattato di pace di Parigi costò all'Italia gravi mutilazioni territoriali, tra le quali l'Istria e la Dalmazia che vennero cedute alla nascente Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia, il Dodecaneso alla Grecia, Briga ed il colle di Tenda alla Francia.

Repubblica Italiana

  Lo stesso argomento in dettaglio: Nascita della Repubblica Italiana e Italia repubblicana.

Prima Repubblica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Prima Repubblica.
 
Sandro Pertini, settimo Presidente della Repubblica, nel Primo Dopoguerra

Dopo la fine della guerra in Italia lo scontento nei confronti della monarchia, in particolare, di Vittorio Emanuele III era elevatissimo. Questi tentò di salvare il potere regio abdicando in favore del figlio, ma il 2 giugno del 1946 un referendum istituzionale sancì la fine della monarchia e la nascita della Repubblica. Per la prima volta in Italia anche la donne poterono votare.

La nuova costituzione entrò in vigore il 1 gennaio 1948.

Nel 1949 l'Italia aderì alla NATO (North Atlantic Treaty Organization) e nel 1955 venne ammessa alle Nazioni Unite. Il 1957 vide la nascita della Comunità Economica Europea, il primo passo verso la realizzazione dell'Unione Europea. Il 1968 vide l'Italia trasformarsi significativamente sul piano sociale, in seguito alle migliorate condizioni di vita dovute al boom economico degli anni precedenti, e il sorgere di movimenti radicali, soprattutto comunisti, di giovani e operai, che portarono profonde modifiche al costume, alla mentalità generale e particolarmente alla scuola. Nel 1970 venivano varate importanti riforme istituzionali e sociali: lo Statuto dei diritti dei lavoratori, l'ordinamento amministrativo regionale, la legge sul divorzio e quella per l'esercizio dell'istituto costituzionale del referendum. Negli anni settanta alcuni di quei movimenti, che sorgevano numerosi, degenerarono nel terrorismo rosso, accompagnato da quello nero.

La Democrazia Cristiana (DC), partito moderato e di centro, fece parte del governo della Repubblica Italiana dal 1946 al 1993, generalmente in coalizione con gli altri partiti di centro PSDI, PRI, PLI. Nel 1962 entrava nelle maggioranze governative anche il Partito socialista italiano (PSI), mentre, per qualche anno, il PLI andava all'opposizione. Salvo poche eccezioni, dal 1946 al 1993 la Presidenza del Consiglio fu democristiana.

Seconda Repubblica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Seconda Repubblica.

Nel 1992 le indagini di Mani pulite sul fenomeno dilagante delle tangenti (lo scandalo venne appunto chiamato "Tangentopoli"), portarono al coinvolgimenti di tutto il pentapartito, che alle elezioni successive (1994) venne "distrutto" dagli elettori indignati. Nel caos politico derivato dalla disintegrazione dell'ordine precedente emergeva un nuovo partito, Forza Italia, che si poneva come alternativa al vecchio sistema pur inglobando alcuni dei suoi protagonisti, e otteneva un forte successo alle elezioni nel 1994, con due distinte coalizioni, al Nord con la Lega Nord, e al Centro Sud con il MSI (non ancora Alleanza Nazionale). Della coalizione facevano parte anche il CCD e partiti minori. Le due coalizioni ottennero la maggioranza assoluta alla Camera, ma non al Senato.

In questa fase, definita "Seconda Repubblica", si consolida il principio del bipolarismo e l'alternanza fra i governi dei due schieramenti di centrosinistra e centrodestra: dal 1996 al 2001 i governi dell'Ulivo, dal 2001 al 2006 quelli della Casa delle Libertà e dal 2006 quello dell'Unione, una nuova coalizione dei partiti di centro-sinistra. Con le nuove elezioni indette dopo la caduta del governo dell'Unione, il 13 e il 14 aprile 2008 sale al potere la coalizione di centro-destra, composta dal PdL (Popolo della Libertà, risultato della lista unica di candidati tra FI, AN e altri partiti minori), dalla Lega Nord e dal Movimento per l'Autonomia. All'opposizione vi sono solo la coalizione tra PD (Partito Democratico, nelle cui liste sono inclusi anche i Radicali Italiani) e Italia dei Valori, e l'UdC (Unione di Centro, formata dall'UDC, dalla Rosa per l'Italia e da altri partiti minori). Per la prima volta nella storia dell'Italia repubblicana non sono presenti in parlamento rappresentanti dei partiti socialisti (che si sono riuniti proprio alla vigilia delle elezioni nel Partito Socialista unitario) e comunisti (anche loro riuniti ne La Sinistra L'Arcobaleno assieme alla Federazione dei Verdi, anch'esso rimasto fuori dal Parlamento.

Note

  1. ^ Dalle grandi rivoluzioni alla Restaurazione, La biblioteca di Repubblica, 2004, pp.342.
  2. ^ Dalle grandi rivoluzioni alla Restaurazione, La biblioteca di Repubblica, 2004, pp.349.
  3. ^ La crisi di fine secolo, l'età giolittiana e la prima guerra mondiale, La biblioteca di Repubblica, 2004, pp.14.
  4. ^ L'età dell'imperialismo e la Prima guerra mondiale, La biblioteca di Repubblica, 2004, pp.683.
  5. ^ Langer, William L. ed., An Encyclopaedia of World History. Houghton Mifflin Company, Boston, 1948, p. 990.
  6. ^ La seconda guerra mondiale e il dopoguerra, La biblioteca di Repubblica, 2004, pp.147.
  7. ^ La seconda guerra mondiale e il dopoguerra, La biblioteca di Repubblica, 2004, pp.147.
  8. ^ La seconda guerra mondiale e il dopoguerra, La biblioteca di Repubblica, 2004, pp.194.

Bibliografia

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  • Michael Seidlmayer: Geschichte Italiens. Vom Zusammenbruch des Römischen Reiches bis zum ersten Weltkrieg.Mit beiträgen von Theodor Schieder: Italien vom ersten zum zweiten Weltkrieg und Jens Petersen: Italien als Republik: 1946–1987. Alfred Kröner Verlag, Stuttgart 1989(2), ISBN 3-520-34102-6.

In spagnolo

  • Colomer, José Luis (dir). España y Bolonia. SIete siglos de relaciones artísticas y culturales. Centro de Estudios Europa Hispánica. ISBN 84-934643-5-X
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