Giulio Cesare (nave da battaglia)

corazzata della Regia Marina

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La Giulio Cesare fu una nave da battaglia italiana classe Conte di Cavour, intitolata a Gaio Giulio Cesare che servì nella Regia Marina in entrambe le guerre mondiali. Il suo scafo fu impostato il 24 giugno 1910 nei cantieri navali Ansaldo di Genova Sestri Ponente. Venne varata il 15 ottobre 1911 e completata il 14 maggio 1914.

Motto e bandiera di combattimento

 
Il varo del Giulio Cesare

L'insegna di battaglia e il cofano[1], acquistati con una colletta fra le scuole d'Italia, furono consegnati a Napoli il 7 giugno 1914 dal preside del Liceo Mamiani di Roma, alla presenza del Duca d'Aosta e sono sono conservati a Roma, nel Sacrario delle Bandiere del Vittoriano.

L'unità ebbe nel corso della sua storia vari motti. Il primo fu Ad quamvis vim preferendam, tratto da una frase del de Bello gallico che nel 1920 venne cambiato dal motto Caesar adest e dal motto Guai agli inermi! dopo la ricostruzione. Altre scritte latine comparivano nella nave, come Veni, vidi, vici e Sit romana potens italica virtude propago.

Primo conflitto mondiale e primo dopoguerra

La Giulio Cesare non effettuò missioni attive durante la prima guerra mondiale. Nel 1923 attaccò l'isola greca di Corfu, come rappresaglia per l'uccisione di rappresentanti italiani a Janina.

 
Il Giulio Cesare alla fonda a Taranto nel 1917

Nel 1925 venne imbarcato un idrovolante da ricognizione M.18, che venne sistemato sul cielo della torre centrale, in un apposita sella brandeggiabile per potere orientare il velivolo secondo la direzione del vento. L'aereo veniva messo in mare ed issato a bordo per mezzo di un albero di carico. Nel 1926 per il lancio dell'idrovolante era stata anche installata una catapulta.

Successivamente fu rinnovata e dal 1928 al 1933 venne utilizzata come nave d'addestramento per gli artiglieri. Nel 1933 lascio La Spezia per rientrare in cantiere ed essere sottoposto fino al 1937 ad un più estensivo e radicale riammordernamento.

La ricostruzione

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La ricostruzione lasciò inalterato solo il 40% della struttura originale, cambiando il profilo della nave ed aumentandone le capacità di combattimento.

 
Il Giulio Cesare in un'accostata dopo i lavori di ricostruzione

La lunghezza venne aumentata di 10,3 m e la nave venne dotata di nuovi ponti corazzati, di un nuovo armamento e di un nuovo impianto di propulsione della potenza di 93.000 hp (69 MW) che le permise di raggiungere una velocità di 28 nodi. I lavori di ricostruzione, iniziati il 25 ottobre 1933 durarono fino all'1 giugno 1937 e vennero effettuati presso i Cantieri del Tirreno di Genova. Al termine dei lavori l'unità venne assegnata alla base di Taranto che raggiunse il 3 giugno 1937 per entrare in squadra il successivo 1 ottobre.

Seconda guerra mondiale

 
Il Giulio Cesare in navigazione dopo i lavori di ricostruzione

Allo scoppio della seconda guerra mondiale venne inquadrata nella Vª Divisione navi da battaglia nell'ambito della Iª Squadra Navale di cui divenne nave ammiraglia, imbarcandone il comando con a bordo l'ammiraglio di squadra Inigo Campioni. Il 9 luglio 1940 partecipò alla battaglia di Punta Stilo durante la quale venne colpita da un proiettile da 15 pollici (381 mm) sparato dalla corazzata britannica HMS Warspite, nave ammiraglia dell'ammiraglio Andrew Cunningham. Il colpo messo a segno dall'unità britannica stabilì il record per cannoneggiamento navale contro un bersaglio in movimento a più di 24 km di distanza.[2] In seguito a questa battaglia la sua bandiera venne decorata di medaglia d'argento al valor militare.[3] I danni non furono gravi e dopo alcuni minuti di immobilità la nave riprese la navigazione. Le riparazioni durarono fino al 31 agosto 1940.

Superata indenne la notte di Taranto dell'11-12 novembre 1940, in cui la gemella Conte di Cavour venne gravemente danneggiata, il successivo 27 novembre prese parte alla battaglia di Capo Teulada,[4] insieme alla Vittorio Veneto, altra nave da battaglia uscita indenne dalla notte di Taranto.

Dopo essere stata lievemente danneggiata l'8 gennaio 1941 quando nel corso di un bombardamento inglese su Napoli gli caddero vicino tre bombe, fino al 1942 venne assegnata a compiti di scorta ai convogli e dopo aver partecipato alla prima battaglia della Sirte,[5] effettuò la sua ultima missione operativa partecipando dal 3 al 5 gennaio 1942, all’operazione M 43 che aveva la finalità di far giungere contemporaneamente in Libia tre convogli, sotto la protezione diretta ed indiretta della maggior parte delle forze navali.

Dichiarata obsoleta per missioni operative venne destinata a Pola per essere utilizzata solamente per operazioni di addestramento.

 
Il Giulio Cesare in livrea mimetica durante il secondo conflitto mondiale

Dopo l'armistizio, a seguito delle clausole armistiziali, il 9 settembre 1943 ricevette l’ordine del Re di consegnarsi a Malta insieme al resto della flotta e nel pomeriggio mosse per la sua destinazione scortato dalla torpediniera Sagittario e dalla corvetta Urania. L'equipaggio, rendendosi conto della destinazione, guidato da alcuni ufficiali e sottufficiali tentò di impadronirsi della nave, per riportarla indietro ed autoaffondarsi. Il comandante dell'unità, il capitano di fregata Vittore Carminati dopo una notte di trattative, riuscì a riprendere il controllo della situazione e alle 12.45 del giorno seguente il Giulio Cesare si ricongiunse con la nave appoggio Miraglia proveniente da Venezia e dopo avere respinto nella mattinata dell'11 settembre un attacco aereo tedesco raggiunse Taranto alle 14:00 dello stesso giorno per poi proseguire per Malta insieme alle corazzate Doria, e Duilio.

Mentre le altre navi che erano state internate a Malta rientrarono a Taranto i primi giorni di ottobre del 1943, il Giulio Cesare, che insieme all'Andrea Doria, e al Caio Duilio rimase internato nella base inglese con equipaggio ridotto fu autorizzato al rientro il 17 giugno 1944 facendo ritorno a Taranto il 28 giugno 1944 dopo un sosta di 10 giorni ad Augusta.

Durante il conflitto effettuò 38 missioni di guerra, delle quali 8 per ricerca del nemico, 2 per scorta ai convogli e protezione del traffico nazionale, 14 per trasferimenti e 14 per esercitazioni, per un totale di 16.947 miglia percorse e 912 ore di moto effettuate.

Novorossijsk

Al termine della guerra il Giulio Cesare venne ceduto, nel 1949 in ottemperanza alle clausole del trattato di pace, all'Unione Sovietica come risarcimento per danni di guerra e venne definitivamente radiato dal registro navale italiano il 15 dicembre 1948.

Entrato in servizio con la sigla di Z.11 nella nuova marina di appartenenza il 5 febbraio 1949, venne successivamente ribattezzato con il nome di Novorossijsk (Новороссийск), e fu la prima corazzata relativamente moderna della marina sovietica, che fino ad'allora possedeva solo due vecchie corazzate della classe Gangut e la vecchia corazzata britannica HMS Royal Sovereign a titolo di prestito, che fu restituita nel 1949. Sin dal luglio 1949 venne destinato alla base di Sebastopoli, servendo prima come ammiraglia della della Flotta del Mar Nero e successivamente come vascello di addestramento per artiglieria.

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Il Giulio Cesare in un'immagine del 1948 in procinto di essere trasferito all'Unione Sovietica
 
Monumento ai marinai della Novorossijsk a Sebastopoli

L'affondamento

La nave[6] il 29 ottobre 1955 venne ancorata nella baia di Sebastopoli a 300 metri dalla riva di fronte ad un ospedale. Alle 1:30 di notte un'esplosione, della potenza stimata di 1 200 kg di TNT sotto lo scafo della nave squarciò tutti i ponti dalla corazzatura inferiore fino al ponte del castello di prua. Sul ponte del castello di prua il foro misurava 14x4 metri.

Affondò lentamente dalla prua, capovolgendosi alle 4:15 di notte, 2 ore e 45 minuti dopo l'esplosione e 18 ore più tardi era completamente sommersa. Il capovolgimento causò la morte di 608 marinai la maggior parte dei quali si trovavano nei compartimenti della nave. Fu il più grande disastro nella storia navale russa.

All'epoca, il Cremlino sostenne che la tragedia fosse stata innescata da alcuni incendi accidentali a bordo, ma a causa del clima politico della guerra fredda il fato della Novorossijsk rimase oscuro fino alla fine degli anni '80. Ancora oggi le cause dell'esplosione sono poco chiare. La causa ritenuta ufficialmente come più probabile è l'esplosione di una RMH magnetica deposta dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale che avrebbe causato la successiva esplosione del serbatoio di carburante utilizzato per il rifornimento delle lance imbarcate. Nei due anni successivi i sommozzatori trovarono 19 mine magnetiche sul fondo della baia di Sebastopoli, undici di queste avevano una potenza corrispondente a quella dell'esplosione sotto la Novorossijsk. Vi sono comunque molti dubbi su questa spiegazione. Il luogo dove si trovava la Novorossijsk era stato considerato ripulito ed era già stato utilizzato più volte da altre navi. Alcuni esperti dicono che l'innesco elettrico delle mine magnetiche non avrebbe più potuto funzionare dopo 11 anni, a causa del tempo massimo di vita delle batterie (che era di 9 anni). Alcuni esperti ritengono che le dimensioni del cratere sul fondo (prodondo 1 - 2,1 m) sono troppo piccole per una mina di queste dimensioni. D'altra parte il danno alla nave fu notevole e secondo alcuni ricercatori equivalente a 5 000 kg di TNT.

Una spiegazione più teatrale è l'ipotetica vendetta da parte di ex membri della Decima Flottiglia MAS per il trasferimento di una corazzata italiana all'Unione Sovietica, è stata ipotizzata una loro missione segreta e ci sono rapporti secondo i quali non molto tempo dopo un piccolo gruppo di sommozzatori italiani ricevette delle decorazioni militari. Comunque non ci sono prove solide a conferma di questa ipotesi.

L'ipotesi che l'affondamento fosse dovuto ad un sabotaggio italiano è stata rievocata con dovizia di particolari dalla rivista russa Itoghi nel 2005 in occasione del cinquantenario dell'affondamento. Secondo questa rivista russa, l'ipotesi più accreditata è che l'affondamento sia dovuto a bombe a orologeria piazzate da sabotatori italiani sulla chiglia, e sarebbero stati otto uomini-rana agli ordini dei servizi segreti italiani. Secondo questa rivista i servizi segreti italiani dell'epoca avrebbero agito per conto della Nato al fine di impedire che la corazzata appartenuta alla Regia Marina potesse essere equipaggiata di missili a testata nucleare ed i servizi avrebbero trovato complici entusiasti tra i reduci della Decima Mas che consideravano la cessione della corazzata un "atto di disonore".

La rivista, facendo notare come all'epoca soltanto due stati della NATO, l'Italia e la Gran Bretagna, avevano personale addestrato ad un'impresa del genere, sostiene che l'unico tra i protagonisti di quell'impresa ancora in vita, durante una vacanza in Florida avrebbe raccontato ad un ex-ufficiale sovietico, conosciuto casualmente, i particolari dell'impresa.

Non è stata questa la prima volta che i russi hanno tirato in ballo il sabotaggio italiano per l'esplosione della nave. Nel 1999 il quotidiano "Segodnia" era arrivato a scrivere addirittura che l'azione rientrava in un più ampio piano di invasione dell'Unione sovietica, bloccato dalla Nato all'ultimo momento.

Un'altra teoria ipotizza che a bordo fosse stato nascosto dell'esplosivo, prima che venisse ceduta ai russi. Nessuna traccia di sabotaggio è mai stata trovata, sebbene le inchieste sovietiche non abbiano completamente escluso questa possibilità, a causa delle cattive misure di sicurezza della flotta nella notte in cui avvenne l'esplosione.

Si deve far notare che un'azione simile avrebbe potuto causare lo scoppio della terza guerra mondiale se fosse stata scoperta e sarebbe stata pertanto un'operazione molto rischiosa.

Secondo un'altra teoria cospirazionistica l'affondamento del Novorossisyk è stata un'azione dei servizi segreti russi per accusare la Turchia del sabotaggio in modo da avere un pretesto per l'occupazione del Bosforo e dello stretto dei Dardanelli. A supporto di questa teoria non c'è alcuna prova.

C'è ancora un'altra teoria cospirazionistica che attribuisce l'affondamento del Novorossisyk ad agenti del KGB allo scopo di screditare i vertici della marina.

La colpa dell'enorme perdita di vite umane venne direttamente addossata alle azioni incompetenti del suo comandante, il vice ammiraglio comandante di flotta Victor Parkhomenko. Oltre ad aver sottostimato il pericolo in cui era la nave, non conosceva le condizioni del fondale, avendo creduto che la differenza tra la profondità del mare (17 m) e la larghezza della nave (28 m) avrebbe impedito il capovolgimento, mentre invece lo strato superficiale del fondo, composto di fango morbido per una profondità 15 metri, non offrì alcuna resistenza. Venne riportato che, durante questa situazione critica, il comandante mostrò boria e calma priva di fondamento e che espresse anche il desiderio di «andare a farsi un tè».

A causa della perdita della Novorossijsk, il primo ministro deputato della Difesa e comandante in capo della Marina Nikolai Gerasimovich Kuznetsov venne rimosso dalla sua posizione nel novembre 1955, e nel febbraio 1956 venne degradato al rango di vice ammiraglio e rimosso permanentemente dal servizio attivo.

L'ammiraglio Kuznetsov ebbe una riabilitazione postuma da parte del Praesidium dell'Unione Sovietica solamente nel 1988 ben 33 anni dopo che è avvenuto l'affondamento e 14 anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1974.

Note

  1. ^ Le corazzate Cavour e Cesare, su pietrocristini.com. URL consultato il 26-1-2008.
  2. ^ la battaglia di Punta Stilo: arrivano le corazzate, su regiamarina.net. URL consultato il 19-03-2008.
  3. ^ Note storiche, su agenziabozzo.it. URL consultato il 2 marzo 2008.
  4. ^ la battaglia di Capo Teulada, su regiamarinaitaliana.it. URL consultato il 19-03-2008.
  5. ^ La Iª battaglia della Sirte, su regiamarinaitaliana.it. URL consultato il 19-03-2008.
  6. ^ La vicenda dell'affondamento è ripresa da un sito ucraino, su kharkov.ua. URL consultato il 19-03-2008.

Bibliografia

  • Giuseppe Fioravanzo, La Marina Italiana nella seconda guerra mondiale. Vol. IV: La Guerra nel Mediterraneo – Le azioni navali: dal 10 giugno 1940 al 31 marzo 1941, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1959.
  • Arrigo Petacco, Le battaglie navali del Mediterraneo nella seconda guerra mondiale, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1996.
  • Brian Bethan Schofield, La notte di Taranto: 11 novembre 1940, Milano, Mursia, 1991.
  • Nino Bixio Lo Martire, La notte di Taranto (11 novembre 1940), Taranto, Schena Editore, 2000.
  • Antonino Trizzino, Navi e poltrone, Milano, Longanesi & C., 1952.
  • Franco Bargoni, Franco Gay, Corazzate classe Cavour, Roma, Edizioni Bizzarri, 1972.

Collegamenti esterni