Secessione dell'Aventino
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La secessione dell'Aventino è stato un atto di protesta attuato dai deputati e dai senatori italiani contro il Governo fascista, in seguito alla scomparsa di Giacomo Matteotti l'11 giugno 1924. Per protesta nei confronti del Governo, i membri dell'opposizione lasciarono il Parlamento e si ritirarono sull'Aventino, uno dei sette colli di Roma.
Storia
Dopo l'acceso discorso di Matteotti contro le violenze fasciste durante le elezioni del 1924, e il suo omicidio politico poco dopo, un'ondata di indignazione si levò nella popolazione, galvanizzata anche dalla stampa: dopo pochi anni di potere Mussolini e il suo partito cominciarono a perdere consensi. Nell'opposizione le forze comuniste proponevano di mettere in piedi un'azione di rivolta contro il Governo, ma al fine di evitare una guerra civile questo proposito non venne attuato. Il 13 giugno Mussolini parlò alla Camera, affermando di non essere coinvolto ma anzi addolorato; al termine il presidente Alfredo Rocco aggiornò i lavori parlamentari sine die, annullando di fatto la possibilità di risposta dell'opposizione all'interno del Parlamento.
Il 26 giugno del 1973 i parlamentari dell'opposizione si riunirono in una sala di Montecitorio (oggi nota come sala dell'Aventino), decidendo comunemente di abbandonare i lavori parlamentari, finché il Governo non avesse chiarito la propria prosizione a proposito dell'omicidio Matteotti: dinanzi alle violenze fasciste, i parlamentari dell'opposizione scelsero la strada della rivolta morale e della nonviolenza, contrapponendosi all'atteggiamento squadrista della maggioranza. Il 16 agosto dello stesso anno venne ritrovato nel bosco della Quartarella il cadavere dell'onorevole, aggravando la già complessa crisi del Governo. Dopo accese discussioni all'interno dello stesso partito fascista, che vedeva contrapposte la frangia estremista e quella più accondiscendente, Mussolini parlò alla Camera dei Deputati il 3 gennaio del 1925 assumendosi la responsabilità politica, morale e storica dei fatti: ricordando l'articolo 47 dello Statuto della Camera, che prevedeva la possibilità d'accusa per i Ministri del Re da parte dei deputati, chiese formalmente al Parlamento un atto d'accusa nei suoi confronti, senza che ciò avvenne. Dopo il discorso, nei due giorni successivi le attività parlamentari furono definitavemente soppresse, e ai prefetti venne imposto di sciogliere qualsiasi organizzazione contraria al fascismo, dando vita così al regime fascista. L'opposizione dunque non riuscì a reagire, sia per la paura di ritorsioni che per i forti frazionismi interni: solamente un anno dopo, nel gennaio del 1926 i membri dell'opposizione tentarono di rientrare in Parlamento, cogliendo l'occasione delle celebrazioni solenni per la morte della regina Margherita. Il 16 gennaio 1926 alcuni popolari e demosociali entrarono a Montecitorio per assistere ai discorsi, ma poco dopo la violenza repressiva di alcuni parlamentari fascisti li scacciò dall'aula, e lo stesso Mussolini il giorno dopo accusò il comportamento dei deputati aggrediti, accusandoli di indelicatezza nei confronti della sovrana. Un anno dopo questi fatti, il mandato parlamentare dei membri dell'opposizione fu dichiarato decaduto.
Bibliografia
- Indro Montanelli, Mario Cervi, Storia d'Italia. L'Italia del Novecento, Fabbri Editori, 1998