Tiberio
Tiberio Claudio Nerone (in latino: Tiberius Claudius Nero, oggi noto più semplicemente come Tiberio; Roma, 16 novembre 42 a.C. – Miseno, 16 marzo 37) fu il secondo imperatore romano; appartenente alla Dinastia Giulio-Claudia, governò dal 14 al 37.
Tiberio | |
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Imperatore romano | |
In carica | 14 – 16 marzo 37 |
Predecessore | Augusto |
Successore | Caligola |
Nome completo | Tiberius Claudius Nero Tiberius Iulius Caesar Tiberius Caesar Augustus |
Nascita | Roma[1], 16 novembre 42 a.C.[2] |
Morte | Miseno, 16 marzo 37 |
Sepoltura | mausoleo di Augusto |
Dinastia | giulio-claudia |
Padre | Tiberio Claudio Nerone |
Madre | Livia Drusilla |
Coniugi | Vipsania Agrippina (20 a.C.-12 a.C.) Giulia maggiore (12 a.C.–2 a.C.) |
Figli | Giulio Cesare Druso (da Vipsania); un figlio morto infante (da Giulia); Gaio Giulio Cesare Claudiano Germanico per adozione, figlio del fratello Druso maggiore |
Fu adottato da Augusto nel 4, ed il suo nome mutò in Tiberio Giulio Cesare (Tiberius Iulius Caesar); alla morte del padre adottivo, il 19 agosto 14, ottenne il nome di Tiberio Cesare Augusto (Tiberius Caesar Augustus) e poté succedergli ufficialmente nel ruolo di princeps, ma già dall'anno 12 aveva affiancato Augusto al governo dell'impero.
Biografia
Origini famigliari e giovinezza
Tiberio nacque il 16 novembre 42 a.C.[2] a Roma[1] dall'omonimo Tiberio Claudio Nerone, cesariano, pretore nello stesso anno, e da Livia Drusilla, di circa trent'anni più giovane del marito. Apparteneva per nascita, dal ramo paterno come da quello materno, alla gens Claudia, un'antica famiglia patrizia giunta a Roma nei primi anni dell'età repubblicana e distintasi nel corso dei secoli mediante il raggiungimento di numerosi onori e alte magistrature.[3] Fin dalla sua nascita, la gens Claudia si divise in numerose famiglie, tra cui si distinse quella che assunse il cognomen Nero (Nerone, che in lingua sabina significa "forte e valoroso"),[3] a cui apparteneva Tiberio. Egli poteva dunque dirsi membro di una stirpe che aveva dato alla luce personalità di grandissimo rilievo,[4] come Appio Claudio Cieco,[5] che rientravano tra i più grandi assertori della superiorià del patriziato.[6]
Tiberio Claudio Nerone era stato tra i più ferventi sostenitori di Gaio Giulio Cesare, e, dopo la sua morte, si era schierato dalla parte di Marco Antonio, che era stato luogotenente di Cesare in Gallia, entrando in contrasto con l'erede designato dello stesso Cesare, Ottaviano. Dopo la stesura del secondo triumvirato tra Ottaviano, Antonio e Marco Emilio Lepido e le conseguenti proscrizioni, i contrasti tra i sostenitori di Ottaviano e quelli di Antonio si concretizzarono in una situazione di conflitto, ma Tiberio continuò ad appoggiare l'ex luogotenente di Cesare. Allo scoppio del bellum Perusinum, suscitato dal console Lucio Antonio e dalla moglie di Marco Antonio, Fulvia, Tiberio si unì dunque agli antoniani, fomentando il malcontento che si stava sviluppando in molte regioni d'Italia. Dopo la vittoria di Ottaviano, che riuscì a sconfiggere Fulvia asserragliata a Perugia e a restaurare il proprio controllo su tutta la penisola italica, Tiberio fu costretto a fuggire, portando assieme a sé la moglie e il figlio omonimo. La famiglia si rifugiò dunque a Napoli, e partì poi alla volta della Sicilia, controllata da Sesto Pompeo. Da qui, poi, i tre furono costretti a raggiungere l'Acaia, dove si stavano radunando le truppe antoniane che avevano lasciato l'Italia. Il piccolo Tiberio, costretto a prendere parte alla fuga e a patire le insicurezze del viaggio, ebbe dunque un'infanzia disagevole e agitata,[7] fino a quando gli accordi di Brindisi, che ristabilivano una pace precaria, permisero agli antoniani fuoriusciti di fare ritorno in Italia.
Nel 39 a.C., Ottaviano, già marito di Scribonia, dalla quale aveva avuto la figlia Giulia, decise di divorziare per prendere in sposa la madre del piccolo Tiberio, Livia Drusilla, della quale era sinceramente innamorato.[8] Il triumviro chiese per le nozze l'autorizzazione del collegio dei pontefici, poiché Livia aveva già un figlio e ne stava attendendo un secondo. I sacerdoti, tuttavia, acconsentirono al matrimonio tra i due, ponendo come unica clausola il fatto che fosse accertata la paternità del nascituro figlio di Livia. Il 17 gennaio del 38 a.C., dunque, Ottaviano sposò Livia, che partorì dopo tre mesi un figlio a cui fu imposto il nome di Druso. La questione della paternità, in realtà, rimase incerta: alcuni sostenevano che Druso fosse nato da un rapporto adulterino tra Livia e Ottaviano, mentre altri ancora lodavano il fatto che il neonato fosse stato generato nei soli novanta giorni che erano intercorsi tra il matrimonio e la sua nascita.[9][10] Si poté in un secondo momento accertare che la paternità di Druso dovesse spettare a Tiberio Claudio Nerone, poiché Livia e Ottaviano non si erano ancora incontrati nel momento in cui il bambino fu concepito.[10]
Mentre Druso fu allevato dalla madre nella casa di Ottaviano, Tiberio rimase presso l'anziano padre fino all'età di nove anni: nel 33 a.C., infatti, Tiberio Claudio Nerone morì, e fu il giovanissimo figlio a pronunciarne la laudatio funebris dai rostri[11] nel Foro.[7] Tiberio si trasferì dunque nella casa di Ottaviano assieme alla madre e al fratello, proprio mentre le tensioni tra Ottaviano e Antonio sfociavano in un nuovo conflitto, che si concluse nel 31 a.C. con lo scontro decisivo di Azio. Nel 29 a.C., durante la cerimonia del trionfo di Ottaviano dopo la definitiva vittoria su Antonio ad Azio, fu Tiberio a precedere il carro del vincitore, conducendo il cavallo interno di sinistra, mentre Marcello, nipote di Ottaviano, montava quello esterno di destra, trovandosi dunque al posto d'onore.[7] Diresse in seguito anche i giochi urbani e prese parte a quelli troiani, tenuti nel circo, come capo della squadra dei fanciulli più grandi.[7]
All'età di quindici anni fu vestito della toga virile, e fu dunque iniziato alla vita civile: si distinse come difensore ed accusatore in numerosi processi giudiziari,[12] e si dedicò contemporaneamente all'apprendimento dell'arte militare, distinguendosi in particolare per la sua abilità nell'equitazione.[13] Si dedicò, inoltre, a studi di oratoria latina, retorica greca e diritto con grande interesse; frequentava i circoli culturali legati ad Augusto, dove si parlava tanto in greco quanto in latino: conobbe dunque Gaio Cilnio Mecenate e gli artisti che egli finanziava, come Quinto Orazio Flacco, Publio Virgilio Marone e Sesto Properzio. Si dedico con altrettanta passione alla composizione di testi poetici, imitando il poeta greco Euforione di Calcide: trattava soggetti di carattere mitologico, e il suo stile era tortuoso e arcaizzante, con un grande uso di vocaboli rari e desueti.[14]
Carriera militare (25 - 6 a.C.)
Se Tiberio dovette molto alla madre Livia Drusilla, terza moglie di Augusto, per la sua ascesa politica, restano indubbie le sue capacità militari di comandante e stratega: egli rimase imbattuto nel corso di tutte le sue lunghe e frequenti campagne, tanto da divenire, nel corso degli anni, uno dei migliori luogotenenti del patrigno.
Incarichi in Iberia ed Oriente (25 - 16 a.C.)
Poiché non esistevano delle vere scuole militari che permettessero di fare realmente esperienza, nel 25 a.C. Augusto decise di inviare Tiberio, sedicenne, e Marcello in qualità di tribuni militari in Iberia. Lì i due giovani che Augusto vedeva come suoi possibili successori parteciparono alle fasi iniziali della guerra cantabrica, iniziata dallo stesso Augusto nell'anno precedente, il 26 a.C., e portata più tardi a termine dal generale Marco Vipsanio Agrippa, nel 19 a.C.[16][17]
Due anni più tardi, nel 23 a.C., all'età di diciotto o diciannove anni, Tiberio fu nominato questore dell'annona, in anticipo di cinque anni rispetto al tradizionale cursus honorum delle magistrature.[12] Si trattava di un incarico particolarmente delicato, poiché egli doveva garantire l'approvvigionamento di frumento per la città di Roma, che contava oltre un milione di abitanti di cui circa duecentomila potevano sopravvivere solo grazie alle distribuzioni gratuite di grano da parte dello stato; l'Urbe, inoltre, si trovava a vivere un periodo di carestia perché una piena del Tevere aveva distrutto buona parte dei raccolti nelle campagne laziali, e impediva alle navi che trasportavano le derrate alimentari di giungere fino a Roma.[17] Tiberio affrontò la situazione con vigore: a sue spese acquistò il grano che gli speculatori conservavano nei loro depositi e lo distribuì grauitamente, tanto da essere salutato come benefattore di Roma.[17] Fu dunque incaricato di condurre le ispezioni negli ergastula, prigioni sotterranee in cui i padroni rinchiudevano gli schiavi, i viaggiatori che avevano accolto e quanti chiedevano rifugio per evitare il servizio militare.[12][17] Si trattava, questa volta, di un compito non particolarmente prestigioso, ma ugualmente delicato,[17] poiché i padroni degli ergastula si erano resi odiosi a tutta la popolazione dell'Italia, creando così una situazione di tensione.[12]
Nell'inverno del 21-20 a.C. Augusto ordinò al ventunenne Tiberio di condurre un esercito legionario, costituito da uomini reclutati in Macedonia ed Illirico, in Oriente, verso l'Armenia.[18] Essa era, infatti, una regione di fondamentale importanza per l'equilibrio politico di tutta l'area orientale: svolgeva un ruolo di stato cuscinetto tra l'impero romano ad ovest e quello dei Parti ad est, ed entrambi volevano farne un proprio stato vassallo, che assicurasse la protezione dei confini dai nemici.[19] Dopo la sconfitta di Marco Antonio e la caduta del sistema che egli aveva imposto in Oriente, l'Armenia tornò sotto l'influenza dei Parti, che favorirono l'ascesa al trono di Artaxias II. Augusto ordinò dunque a Tiberio di scacciare Artaxias, di cui gli Armeni filoromani chiedevano la deposizione, e imporre sul trono il filoromano fratello minore Tigrane; i Parti, spaventati dall'avanzata delle legioni romane, scesero a compromessi e sottoscrissero una pace con lo stesso Augusto, giunto intanto in Oriente da Samo, restituendo le insegne e i prigionieri di cui si erano impossessati dopo la vittoria su Marco Licinio Crasso a Carre nel 53 a.C.[20] Ugualmente, anche la situazione armena si risolse prima dell'arrivo di Tiberio e del suo esercito grazie al trattato di pace tra Augusto e il sovrano partico Fraate IV: il partito filoromano poté prendere il sopravvento e alcuni agenti inviati da Augusto eliminarono Artaxias. Al suo arrivo, dunque, Tiberio non dovette far altro che incoronare Tigrane, che prese il nome di Tigrane III, come re cliente, in una cerimonia pacifica e solenne, tenutasi davanti agli occhi delle legioni romane.[19] Il giovane generale fu celebrato, al suo ritorno a Roma, con grandi feste e con la costruzione di monumenti in suo onore, mentre Ovidio, Orazio e Properzio scrissero composizioni in versi per celebrare la sua impresa.[21] Il merito della vittoria spettò, comunque, ad Augusto, in quanto comandante in capo dell'esercito:[21] egli fu infatti proclamato imperator per la nona volta,[22] poté annunciare in senato il vassallaggio dell'Armenia senza tuttavia decretarne l'annessione[23] e scrisse infine nelle sue Res Gestae Divi Augusti:
«Pur potendo fare dell'Armenia maggiore una provincia dopo l'uccisione del suo re Artasse, preferii, sull'esempio dei nostri antenati, affidare quel regno a Tigrane, figlio del re Artavaside e nipote di re Tigrane, per mezzo di Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro.»
Nel 19 a.C. fu conferito a Tiberio il rango di ex-pretore, ovvero gli ornamenta praetoria, ed egli poté dunque sedere in Senato, tra gli ex-praetores.
Rezia, Illirico e Germania (16 - 7 a.C.)
Rezia e Vindelicia
Sebbene Augusto, dopo la campagna in Oriente, avesse ufficialmente dichiarato in senato che avrebbe del tutto abbandonato la politica di espansione, e sapesse bene che il raggiungimento di un'estensione territoriale eccessiva sarebbe stato letale per l'imperium romano, decise comunque di attuare altre campagne per rendere sicuri i confini. Nel 16 a.C. Tiberio, appena nominato pretore, accompagnò Augusto in Gallia, dove trascorse i tre anni successivi, fino al 13 a.C., per assisterlo nel portare a termine l'organizzazione delle province galliche. Il princeps fu accompagnato dal figliastro anche in una campagna punitiva oltre il Reno, contro le tribù dei Sigambri e dei loro alleati, Tencteri ed Usipeti, che nell'inverno del 17-16 a.C. avevano causato la sconfitta del proconsole Marco Lollio e la parziale distruzione e la perdita delle insegne legionarie della legio V Alaudae.[24]
Nel 15 a.C. condusse insieme al fratello Druso una campagna contro le popolazioni di Reti e Vindelici.[25] I due, nel tentativo di accerchiare il nemico per non lasciargli via di fuga e di attaccarlo su due fronti, progettarono una grande "operazione a tenaglia": Tiberio mosse dall'Elvezia, mentre il fratello minore da Aquileia e Tridentum, percorrendo la valle dell'Adige e dell'Isarco (alla cui confluenza costruì il Pons Drusi, presso l'attuale Bolzano), e risalendo infine l'Inn. Tiberio, che avanzava da ovest, nei pressi di Basilea, sconfisse i Vindelici presso il lago di Costanza, dove i due eserciti si incontrarono e si prepararono quindi a invadere la Baviera. L'azione congiunta permise ai due fratelli di avanzare fino alle sorgenti del Danubio, dove ottennero l'ultima e definitiva vittoria sui Vindelici.[26] Questi successi permisero ad Augusto di sottomettere le popolazioni dell'arco alpino fino al Danubio, e gli valsero una nuova acclamazione imperatoria,[27] mentre Druso, il figliastro prediletto di Augusto, poté più tardi ottenere, per questa ed altre vittorie, il trionfo. Su una montagna vicino a Monaco, presso l'attuale La Turbie, venne eretto un trofeo di Augusto, per commemorare la pacificazione delle Alpi da un estremo all'altro e per ricordare i nomi di tutte le tribù sottomesse.
Dall'Illirico alla Macedonia, alla Tracia
Nominato nel 13 a.C. console, fu inviato nell'Illirico, in seguito alla morte di Agrippa, dove condusse quattro anni di campagne contro le popolazioni di Dalmati e Breuci, avvalendosi anche dell'aiuto diretto o indiretto, di validi generali come Marco Vinicio e Lucio Calpurnio Pisone in Tracia.
Nel 12 a.C. sottomise i pannoni Breuci, grazie all'aiuto della tribù appena sottomessa degli Scordisci[28], quest'ultima sottomessa in seguito alle campagne di Marco Vinicio governatore della Macedonia. Li privò delle armi e vendette come schiavi la maggior parte dei loro giovani dopo averli deportati. Per questi successi gli furono decretati gli ornamenta triumphalia, ovvero gli onori trionfali. Lungo il fronte orientale, in Tracia, il governatore di Galazia e Panfilia, Lucio Calpurnio Pisone, era stato costretto ad intervenire in Tracia, poiché le sue genti (in particolare i Bessi), minacciavano il sovrano trace, Remetalce I, alleato di Roma.
L'11 a.C. vide Tiberio impegnato prima con i Dalmati, che si erano ribellati, e poco dopo ancora contro i Pannoni che avevano approfittato della sua assenza per cospirare nuovamente. Tiberio nel corso di quest'anno fu così impegnato a combattere contemporaneamente ambedue questi popoli, spostandosi da un fronte all'altro. Al termine di questa campagna anche la Dalmazia era affidata al diretto controllo di Augusto, in quanto necessitava di un esercito proprio, anche per la vicinanza dei ribelli Pannoni.
Il 10 a.C. vide un'invasione di Daci oltre il Danubio, con loro gravi razzie nei territori di Pannoni e Dalmati. Questi ultimi si ribellarono nuovamente, a causa di tributi troppo elevati. Tiberio, che si era recato in Gallia insieme ad Augusto al principio dell'anno, fu così costretto a far ritorno sul fronte illirico, per affrontarli e batterli ancora una volta. Al termine dell'anno tornava a Roma insieme al fratello Druso e ad Augusto.
Il 9 a.C. fu dedicato da Tiberio alla riorganizzazione della nuova provincia dell'Illirico. Verso la fine dell'anno si recava a Moguntiacum dal fratello, Druso, ormai morente a causa di una caduta da cavallo avvenuta nel corso della campagna germanica di quell'anno.
Germania
Negli anni 8 - 7 a.C. tornò di nuovo in Germania per continuare quanto aveva fatto il fratello Druso, che era morto l'anno precedente (9 a.C.). Tiberio, infatti, prontamente accorso al capezzale del fratello, assunse il controllo delle operazioni in Germania, poiché il territorio compreso tra il Reno ed il fiume Weser, doveva essere ridotto in assetto di provincia.
Allontanamento dalla vita politica (6 a.C. - 4 d.C.)
Perseguendo gli interessi politici della famiglia, fu spinto nel 12 a.C. a divorziare dalla prima moglie, Vipsania figlia di Marco Vipsanio Agrippa, che aveva sposato nel 16 a.C. e da cui aveva avuto un figlio, Druso minore; l'anno successivo sposò infatti Giulia maggiore, figlia di Augusto e quindi sua sorellastra, e vedova dello stesso Agrippa.
Svetonio racconta che «inizialmente visse in buona armonia con Giulia e corrispose al suo amore, ma ben presto se ne distaccò e la separazione fu tanto grave che arrivarono a dormire in letti separati, quando il figlio appena nato dal loro amore, nato ad Aquileia,[29] morì ancora fanciullo».[30]
Augusto decise di conferire a Tiberio la Tribunicia Potestas ("potestà tribunizia") nel 6 a.C., per 5 anni, «anche per frenare le intemperanze di Lucio e Gaio». Malgrado questo onore, Tiberio decise «nel bel mezzo di tanti onori, nel fiore degli anni e nella pienezza della salute» di ritirarsi dalla vita politica, e di andarsene il più lontano possibile, recandosi per alcuni anni nell'isola di Rodi, un'isola che lo aveva affascinato fin dai giorni in cui vi era approdato, di ritorno dall'Armenia. Svetonio aggiunge (Vite dei Cesari, III, 10): «...non si sa se per il disgusto verso la moglie» (Giulia), «che non aveva il coraggio né di incriminare, né di mandar via... ma alcuni ritengono che abbia ceduto spontaneamente il posto ai figli di Augusto» [Gaio Cesare e Lucio Cesare], ormai divenuti adulti, insieme ai diritti che egli aveva a lungo usurpati...».
Cassio Dione credeva, al contrario, che l'allontanamento di Tiberio fosse stato dettato da Augusto, poiché Lucio e Gaio «ritenevano di essere stati declassati, e Tiberio iniziava a temere il risentimento di loro.»[31]
Nell'1 a.C. Tiberio decise di far visita a Gaio Cesare che era appena giunto a Chio, dopo che Augusto gli aveva conferito l'imperium proconsolare ed una missione in Oriente per risolvere il problema armeno. Tiberio lo onorò mettendo da parte ogni rivalità, anche umiliandosi e sottomettendosi allo stesso. Poco dopo Gaio ripartiva per la Siria. Ma è solo nel 1 d.C. che gli fu concesso di far ritorno a Roma, grazie sempre all'intercessione della madre Livia.
A seguito della morte dei figli di Giulia ed Agrippa — Gaio Cesare morì nel 4, Lucio Cesare nel 2 — Tiberio venne nominato di fatto erede di Augusto. Dopo aver, infatti, celebrato in Roma il trionfo pannonico (nel 12), ottenne il rinnovo della tribunicia potestas e l'imperium proconsolare maggiore per 10 anni (era il 26 giugno del 4), titoli che completavano la successione, elevandolo addirittura al rango effettivo di co-reggente insieme allo stesso Augusto. Era, però, obbligato ad adottare il nipote prediletto di Augusto, Germanico, figlio del fratello Druso maggiore, sebbene Tiberio avesse già un figlio, Druso minore, e soprattutto con diritto di successione antecedente a quello del figlio naturale di Tiberio.
Nuovi successi militari (4 - 11)
In Germania (4 - 6)
Subito dopo la sua adozione, Tiberio fu inviato da Augusto in Germania, poiché i precedenti generali (Lucio Domizio Enobarbo, legato dal 3 all'1 a.C., e Marco Vinicio dall'1 al 3) avevano aggiunto poco alle conquiste degli anni 12 - 9 a.C. di Druso maggiore.
Tiberio, nel corso di due campagne svolte tra il 4 e il 5, occupò in modo permanente, con nuove azioni militari, tutte le terre della Germania settentrionale e centrale comprese tra i fiumi Reno ed Elba.
L'ultimo atto necessario era quello di occupare anche la parte meridionale della Germania, ovvero la Boemia dei Marcomanni di Maroboduo, al fine di completare il progetto di annessione e portare il confine dal fiume Reno all'Elba, ma una grande rivolta (vedi sopra) in Dalmazia e Pannonia, fermò l'avanzata di Tiberio in Moravia; (proveniente da Carnuntum) e del suo legato Gaio Senzio Saturnino, a pochi giorni di marcia dal "cuore del regno" di Maroboduo.
La campagna, progettata come una "manovra a tenaglia", costituiva una grande operazione strategica, dove gli eserciti di Germania (2-3 legioni), Rezia (2 legioni) ed Illirico (4-5 legioni), dovevano riunirsi in un punto convenuto e sferrare l'ultimo attacco. Destino volle che Tiberio fosse costretto a rimandare (6) e a far ritorno in Illirico, una volta concluso un trattato di pace con Maroboduo.
Nell'Illirico (6 - 9)
Dopo un quindicennio di relativa tranquillità, nel 6 il settore danubiano tornava ad essere agitato. L'insurrezione ebbe inizio (nel 6), nella zona sudorientale dell'Illirico, fra il popolo dei Desiziati, comandati da un certo Batone, a cui seguirono quelle dei Pannoni Breuci, sotto il comando di un certo Pinnes e di un secondo Batone. I mercanti romani furono massacrati, distaccamenti legionari vennero sopraffatti ed entro poco tempo il complesso delle regioni conquistate da Tiberio circa 15 anni prima si era ribellato.
Tiberio, richiamato con urgenza dalla nuova missione che conducendo a nord del Danubio, contro Maroboduo, fu costretto ad impiegare quattro lunghi anni di guerra per battere separatamente le due coalizioni (dalamta e pannone) prima che potessero riunirsi. Fissava definitivamente il confine romano sulla Drava. Era il 9.
Ancora in Germania (9 - 11)
In seguito al disastro di Publio Quintilio Varo nella battaglia della foresta di Teutoburgo ad opera dei Germani, dove furono perdute per sempre tre intere legioni, Tiberio fu inviato sul Reno, per evitare che il nemico germanico potesse compiere un'invasione della Gallia e che le stesse province potessero rivoltarsi nuovamente, cercando ancora una volta l'indipendenza. Al termine di quasi tre anni di campagne, Tiberio, tornava a Roma da trionfatore, avendo compiuto azioni di dissuasione nei territori germani tra il Reno ed il fiume Weser, e mantenendo ancora fedeli a Roma, i popoli di Batavi, Frisoni e forse Cauci.
La successione (12 - 14)
Tiberio, dopo aver celebrato in Roma il trionfo pannonico (12), ottenne nel 13, il rinnovo della tribunicia potestas e l'imperium proconsolaris maius, titoli che ne completavano la successione, elevandolo al rango effettivo di co-reggente, insieme allo stesso Augusto. Egli ora poteva amministrare le province, comandare gli eserciti, avendo anche la facoltà di indire un censimento.
Era il 14 e Tiberio era appena partito per la Pannonia, per riorganizzarla, quando fu richiamato d'urgenza poiché Augusto stava morendo. Ebbe il tempo sufficiente per intrattenersi con l'imperatore morente, per alcune ore, prima che chiudesse i suoi occhi per sempre.
Il principato (14-37)
Dopo la seduta del Senato del 17 settembre del 14, Tiberio accettò di essere il successore di Augusto, mantenendo a vita della tribunicia potestas e dell'imperium proconsolaris, insieme con gli altri poteri di cui aveva usufruito Augusto, e divenne Princeps.
Tacito, nel descrivere questa scena, attribuisce all'ipocrisia l'esitazione di Tiberio, ma è probabile che si trattasse di un comportamento realmente spontaneo, ed i suoi ammiratori ne apprezzarono la sua modestia.
Egli aveva già cinquantacinque anni ed il comando dell'Impero, doveva comportare pesanti responsabilità, se non rischi.
Appena divenuto imperatore dovette affrontare una prima crisi, dimostrandosi ancora una volta molto abile. Nel 14 scoppiarono due rivolte fra le legioni del Danubio e del Reno, provocate dal malcontento per le condizioni del servizio militare. I legionari chiedevano una paga più alta ed una minore durata del periodo di ferma. La situazione era pericolosa, poiché i soldati avevano dovuto sopportare situazioni di grave urgenza negli ultimi 5-10 anni, come la repressione della rivolta dalmato-pannonica ed il disastro di Varo. La rivolta tra i legionari in Pannonia fu domata dal figlio di Tiberio, Druso. La scontentezza delle legioni del Reno, fu invece malamente placata da Germanico, che riuscì a concedere loro una diminuzione della ferma ad anni 16 di servizio ed un aumento della paga, costringendo lo stesso Tiberio a riconoscere tale privilegio. L'anno seguente Tiberio, una volta calmato lo spirito di ribellione dei militari, portava nuovamente la ferma a 20 anni di servizio.
Il suo rapporto con il Senato
Tiberio non ebbe nessuna tendenza a rinnovare. Durante il suo regno dimostrò un rigido rispetto per la tradizione augustea, cercando di osservare tutte le istruzioni di Augusto. Suo scopo era quello di conservare il nuovo ordinamento imperiale, avendo come collaboratore il Senato, di cui ampliò le funzioni amministrative:
- trasferendogli le elezioni dei magistrati a danno del popolo;
- aumentando le sue funzioni giuridiche, e trasformandolo nel tribunale penale principale per il tradimento e i delitti commessi dai suoi membri o da cavalieri di un certo rango;
- esercitando la giustizia sugli amministratori nelle proprie province, senza l'intervento diretto dell'imperatore;
- possedendo una giurisdizione sull'Italia in materia sociale e religiosa.
Il principe, lo consultava spesso (senatus consulta), talvolta su questioni fuori della sua competenza, ad esempio sulle questioni di carattere religioso, ambito nel quale Tiberio mostrò avversione per i culti orientali (nel 35 egli però propose di inserire il Cristianesimo tra le religioni tollerate).
Per alcuni anni, quindi, Tiberio riuscì a governare con successo. Tutte le fonti parlano concordemente di un buon inizio del suo regno, ma non sono altrettanto concordi sulla questione della fine del regno stesso.
Amministrazione finanziaria e provinciale
Fu eccellente nella gestione finanziaria, tanto da lasciare alla sua morte un avanzo memorabile nelle casse dello stato. Pronto e generoso nell'intervento in ogni circostanza interna difficile, come nel 33 quando riuscì ad attenuare una crisi agraria e finanziaria provocata da una riduzione della circolazione monetaria, istituendo un fondo di prestito di cento milioni di sesterzi, dal quale i debitori potevano attingere per tre anni senza interesse; oppure tre anni più tardi, quando costituì un sussidio, in seguito ad un incendio sull'Aventino. Egli, appena possibile, cercò di attuare una politica in economia, riducendo la spesa pubblica per spettacoli, riducendo dall'1% allo 0,5% l'impopolare tassa sulle vendite e lasciando alla sua morte, 2.700 milioni di sesterzi nelle casse del Tesoro.
Seppe scegliere, inoltre, degli amministratori competenti ed il governo delle province fu molto curato. I governatori considerati buoni erano tenuti a lungo nelle province.
Politica estera
Tiberio si mantenne fedele al consilium coercendi intra terminos imperii di Augusto, cioè di mantenere i confini dell'impero invariati, cercando di salvaguardare l'impero ed assicurarne la tranquillità. Egli riuscì ad evitare guerre o spedizioni militari inutili, con le conseguenti spese, ed al contrario infondendo in lui una maggiore fiducia nella diplomazia. Re clienti e governatori che si erano rivelati inadatti furono allontanati. Lo stesso Tacito loda Tiberio per il governo delle province.
In Germania
Riguardo alla politica estera lungo i confini settentrionali, Tiberio seguì il principio di mantenere e consolidare una barriera contro i Germani lungo la linea del Reno, stoppando dopo pochi anni le operazioni militari improduttive e pericolose, a cui si era abbandonato Germanico negli anni 14-16. Le frontiere erano saldamente difese da ben 8 legioni contro eventuali attacchi. Lasciati a se stessi, i Germani ripresero a combattersi l'un l'altro, opportunamente "aiutati dai romani". Un gruppo di tribù con alla testa Arminio batteva Maroboduo e lo costringeva a cercare rifugio in Italia (18), e chiedere asilo politico a Tiberio, che gli permetteva di soggiornare a Ravenna. Arminio, invece, era assassinato dai suoi, l'anno seguente. Fatto salutato da Tiberio come coronamento della sua paziente azione diplomatica.
In Oriente
In Oriente il re partico Artabano aveva imposto suo fratello Orode sul trono di Armenia destituendo il precedente sovrano; il re Archelao di Cappadocia, sospettato di tradimento, era stato portato a Roma; i re vassalli di Commagene e Cilicia erano morti. La difficile situazione orientale rendeva necessario un intervento romano, e Tiberio inviò il figlio adottivo, Germanico, a cui fu assegnato l'imperium proconsolaris maius su tutte le province orientali. Contemporaneamente Tiberio nominò un nuovo governatore in Siria, un certo Calpurnio Pisone che era stato suo collega durante il consolato del 7 a.C.. Tiberio voleva evitare che Germanico, spinto dall'ambizione e dal desiderio di gloria, intraprendesse una nuova guerra contro i Parti. Giunto in Oriente, Germanico, con il tacito consenso dei Parti, incoronò ad Artaxata un membro della famiglia reale del Ponto, un certo Zenone (che qui regnò fino al 34), col nome di Artaxia. La Commagene diventava provincia, la Cilicia era annessa alla Siria, e la Cappadocia trasformata anch'essa in provincia. Poco dopo Germanico morì (19). Tale sistemazione garantì la pace fino al 34, anno in cui il re Artabano III di Partia, convinto che Tiberio non avrebbe opposto resistenza da Capri, pose il figlio Arsace sul trono di Armenia. Ma Tiberio usò successivamente l'aracide, Tiridate III di Armenia ostaggio a Roma, per legittimare il trono stesso di Partia, mentre sosteneva, Mitridate fratello del re di Iberia, per il trono di Armenia. Tiridate, dopo i primi successi non riuscì a mantenere il trono della Partia, mentre Mitridate riusciva ad insediarsi in Armenia, e Artabano doveva stringere un nuovo trattato di pace con Roma poco prima della morte di Tiberio (37).
In Africa
In Africa la rivolta dei Musulani (17), capitanata da Tacfarinas ed aiutato dai Mauri confinanti, si prolungò per sette lunghi anni richiedendo l'intervento di altre legioni da altre province: nel 24 la rivolta era domata, grazie all'alleanza con il re Tolomeo di Mauretania, a cui fu riconosciuto il titolo di "socio e amico del popolo romano".
In Gallia
In Gallia una rivolta dei Druidi, oltre al malessere economico, spinsero due capi galli, ormai romanizzati, Giulio Floro e Giulio Sacroviro a rivoltarsi a Roma. Una ribellione scoppiata tra Edui e Treveri, che fu repressa con difficoltà nel 21.
Nell'area Illirico-balcanica
Nell'area dell'ex-Illirico, Tiberio dispose che le province senatorie di Acaia e Macedonia fossero unite alla provincia imperiale di Mesia, ponendole sotto un certo Gaio Poppeo Sabino. L'unico grosso problema di verificò in Tracia, quando nel 19 il re di uno dei due "stati Clienti" traci, un certo Rescuporide, che aveva ereditato le regioni montuose e più selvagge dell'occidente, uccise il nipote Cotys IV, sovrano dell'altro stato, che possedeva la parte orientale del paese, con terre fertili e coltivabili, confinanti alle città greche della costa del Mar Nero. Le conseguenze furono un intervento diretto delle truppe romane in Tracia. Rescuporide era mandato in esilio, mentre il figlio Remetalce III ne diventava il successore, ed il regno di Cotys IV era messo sotto l'amministrazione di funzionari romani, pur senza essere ridotto formalmente a provincia. Ma alcuni anni più tardi (nel 25), nuovi gravi disordini richiesero l'intervento delle armi romane.
Tiberio e Germanico (14-19)
Tiberio richiamò Germanico dal fronte settentrionale, dopo tre anni di campagne vittoriose (14-16) anche se con risultati non così evidenti ai fini di una nuova annessione della Germania. Affidò al figlio adottivo uno speciale compito in Oriente. Il Senato decise di conferire al giovane, maius imperium su tutti i governatori delle province orientali. Ma sembra che Tiberio, nel suo intimo fosse in imbarazzo. Non aveva fiducia nella debolezza e nell'arrendevolezza del giovane, lasciato senza alcun controllo in Oriente, dominato dalla forte ambizione di Agrippina. Si rendeva necessario affiancarlo con un uomo di polso. E qui la scelta di Tiberio fu sfortunata: egli mandò in Siria, Gneo Pisone, tipico nobile di vecchio stampo repubblicano, arrogante, aspro ed inflessibile. Germanico, partì nel 18 per svolgere la sua azione principale in Armenia, dove insediò il nuovo re, che avrebbe dovuto governare per più di 15 anni. Germanico, tornato in Siria (19), dopo aver soggiornato in Egitto durante l'inverno, ordinò a Pisone, che aveva tentato di annullare alcuni suoi provvedimenti (come il rifiuto di distaccare truppe per l'Armenia), di andarsene e lasciare la provincia. Poco dopo la partenza di Pisone, Germanico cadeva malato ad Antiochia e moriva il 10 ottobre, convinto di essere stato avvelenato da Pisone, e dopo aver rivolto un'ultima preghiera ad Agrippina affinché vendicasse il suo assassinio. La sua morte aprì tutta una serie di incomprensioni tra Agrippina e Tiberio, poiché la vedova sospettò che l'imperatore Tiberio, fosse stato il mandante della morte del marito, e sfortunatamente Tiberio fece poco o nulla per sviare tali sospetti. È vero che ci fu un processo a Pisone, nel corso del quale lo stesso decise di suicidarsi, forse perché innocente o forse per non confessare chi fosse stato il suo mandante. Di sicuro l'esito finale del processo gettò sulla vicenda ancora più ombre e dubbi, e su Tiberio nacquero ancor più sospetti.
La morte improvvisa e sospetta di Germanico in Oriente nel 19, danneggiò la popolarità di Tiberio, proprio perché Germanico era molto amato. Tacito, infatti di lui scriveva:
Avevano modi di fare troppo contrastanti: da una parte la tristezza, riservatezza e pragmatismo di Tiberio, dall'altra la popolarità, la bellezza, i sogni, la teatralità ed il fascino di Germanico. I due non ebbero mai un buon rapporto reciproco, poiché Tiberio male sopportava l'ossessione di Germanico, di dover emulare le imprese del padre, Druso, riconquistando la Germania. L'imperatore era stato costretto a concedergli un comando speciale, ed a permettergli di condurre otto legioni nel cuore della Germania, con il rischio di una nuova disfatta come quella del 9 nella foresta di Teutoburgo. E quando ritenne che Germanico aveva raccolto sufficienti glorie ed onori, lo richiamò, suscitandone la sua disapprovazione.
Ma Tiberio aveva deciso da tempo, dalle campagne in Germania del 9-11, che i confini imperiali settentrionali sarebbero tornati al fiume Reno. Era, infatti, necessario un regno di transizione, dedito alla riorganizzazione e romanizzazione delle nuove genti provinciali, che da meno di una generazione erano state acquisite al dominio di Roma. Troppe rivolte nell'ultimo trentennio avevano consigliato il princeps a non intraprendere nuove campagne di annessione. Qualcun'altro, come Tacito, lesse al contrario, una forma di invidia di Tiberio nei confronti del giovane erede.
La morte di Germanico aveva aperto la strada al trono all'unico figlio naturale di Tiberio, Druso, che aveva, fino a quel momento, accettato un ruolo secondario rispetto all'amato cugino Germanico. Egli era quasi coetaneo di Germanico, essendo di un anno più giovane. Egli era abbastanza dotato, come risulta dal modo con cui fronteggiò la rivolta in Pannonia; certamente era dotato di grande fermezza che contrastava con l'emotività di Germanico.
Tiberio e Seiano (16/17-31)
Seiano, era stato nominato Prefetto del Pretorio, insieme al padre, nel 16-17, vide accrescere enormemente il suo potere, quando le 9 coorti pretoriane furono raggruppate a Roma stessa, di fronte alla Porta Viminalis. La fiducia che nutriva Tiberio per Seiano, infastidiva però il figlio Druso, che in un'occasione lo colpì al volto. Tale rivalità cessò nel 23 quando Druso morì improvvisamente, e si sospettò che fosse stato avvelenato dalla moglie Claudia Livilla, sedotta da Seiano.
Tiberio si trovò, ancora una volta, all'età di 64 anni, privo del figlio, Druso, e dell'erede, Germanico, ora costretto a rivolgersi ai figli di Germanico, perché i gemelli di Druso, nati nel 19, erano troppo giovani ed uno di loro era morto quello stesso anno.
Tiberio, addolorato per la morte del figlio, esasperato per le ostilità di Roma, decise di ritirarsi a Capri su consiglio dello stesso Seiano dal 27 (mentre in passato aveva soggiornato nei pressi di Sperlonga, in una Villa costruita da Augusto), mentre quest'ultimo, ormai padrone di Roma, condusse una campagna di terrore contro i suoi possibili nemici politici. E Tiberio, sebbene continuasse ad occuparsi degli affari pubblici, generò sempre più gravi conseguenze costituzionali. Per il senato era diverso dibattere questioni in presenza dell'imperatore rispetto al dover chiedere le sue opinioni per corrispondenza ed attendere le risposte.
Nel 29, intanto, moriva la madre di Tiberio, vedova di Augusto, Livia Drusilla, all'età di ottantasei anni. E da quest'anno cominciò da parte di Seiano, la persecuzione diretta contro Agrippina maggiore, vedova di Germanico, ed il figlio primogenito di lei, Nerone: Agrippina veniva deportata nell'isola Pandataria dove moriva nel 33, mentre Nerone deportato a Ponza si uccideva nel 34.
Congiura e caduta di Seiano
Nei progetti di Seiano, rientrava il proposito di impadronirsi del potere, diventando egli stesso Imperatore romano. E l'occasione gli fu data nel 31, quando nominato console, insieme all'assente Tiberio, organizzò una congiura per sopprimerlo, ma i suoi piani fallirono grazie alla segnalazione tempestiva da parte della cognata dell'imperatore, Antonia minore.
Per non destare sospetti, l'Imperatore nominò Seiano al rango di pontefice, promettendogli presto la tribunicia potestas, in pratica la successione. Contemporaneamente, però, l'Imperatore lasciò anticipatamente la carica di console, costringendo così anche il collega Seiano a rinunciarvi, per consentire la nomina dei successori. Il 17 ottobre del 31, infine, Tiberio, nominato segretamente Prefetto del Pretorio il Prefetto dell'Urbe e capo delle coorti urbane, Macrone, lo inviò a Roma con l'ordine di accordarsi con Grecinio Lacone, Prefetto dei Vigiles, l'altra milizia della capitale, e col nuovo console Memmio Regolo, che in quel momento portava i fasces, presiedeva cioè il Senato, affinché convocasse l'assemblea nel tempio di Apollo, sul Palatino. In tal modo Tiberio, garantendosi il sostegno delle Coorti Urbane e dei Vigili, si era premunito contro un'eventuale reazione dei Pretoriani in favore di Seiano.
Quando Seiano giunse in Senato, venne informato da Macrone dell'arrivo di una lettera di Tiberio annunciante il conferimento della potestà tribunizia. Così, mentre questi prendeva giubilante il proprio posto tra i senatori, Macrone, rimasto fuori dal tempio, allontanò i pretoriani di guardia facendoli sostiuire dai vigili di Lacone. Poi, consegnata la lettera di Tiberio al console perchè la leggesse al Senato, raggiunse i castra praetoria per annunciare la propria nomina a Prefetto del Pretorio.
Nella lettera, volutamente molto lunga e vaga, Tiberio trattava di vari argomenti, di tanto in tanto intessendo le lodi di Seiano, a volte muovendogli qualche critica, poi, verso solo alla fine, l'Imperatore accusava all'improvviso il prefetto di tradimento, ordinandone la destituzione e l'arresto. Seiano, sbigottito per l'inatteso voltafaccia venne immediatamente condotto via in catene dai vigiles e poco dopo sommariamente processato dal Senato riunito nel tempio della Concordia, dove venne condannato a morte e colpito da damnatio memoriae.
La sentenza venne eseguita quella stessa notte per strangolamento, mentre il corpo veniva lasciato al popolo, che ne fece scempio. Il Senato dichiarò il 18 ottobre festa pubblica, ordinando l'innalzamento di una statua alla Libertà con la seguente dedica:
«Alla salute del perpetuo Augusto e alla Libertà del popolo romano, per la Provvidenza di Tiberio Cesare, figlio di Augusto, per l'eternità della gloria di Roma, [essendo stato] eliminato il pericolosissimo nemico.»
Pochi giorni più tardi fu la volta del figlio maggiore di Seiano e della ex-moglie che si suicidò, dopo aver inviato una lettera a Tiberio per rivelare le colpe dell'ex-marito. Le interrogazioni dei sospetti e dei colpevoli vennero eseguite rapidamente. Seguì una dura repressione contro chi si era compromesso con Seiano.
Gli ultimi anni e la successione (31-37)
Tiberio trascorreva l'ultima parte del suo regno nell'isola di Capri, nella residenza imperiale della Villa Jovis, incurante delle problematiche che la sua assenza creava allo stato. Aveva perduto tutto e, soprattutto, non gli rimanevano più affetti. Era un uomo solo e depresso. Gli rimaneva un solo problema da risolvere: quello della successione. Suo nipote, Tiberio Gemello (figlio di suo figlio Druso minore), era ancora troppo giovane, mentre il nipote in linea collaterale, Claudio (il futuro imperatore), era considerato un insicuro e poco dotato per governare l'impero (dimostrando nel tempo di essersi sbagliato). Egli decise così di lasciare il potere al pronipote Gaio, il futuro imperatore Caligola, benché il giovane non fosse poi così promettente. La sua decisione diventò definitiva nel 35, quando nominò Gaio e Gemello suoi eredi associati. Si spense nel 37, all'età di quasi 79 anni; alcuni sostengono che sia stato soffocato dai suoi stessi Pretoriani, nella sua villa a Capri.
La tradizione più tarda, dimenticò, forse troppo in fretta, gli anni pazienti di lavoro del suo principato, registrando solo quanto i suoi nemici calunniarono contro di lui, soprattutto dopo la morte del suo unico figlio, Druso, descrivendolo come un mostro di vizi. Egli certamente non si adoperò per allontanare su di lui anche terribili sospetti, probabilmente infondati, a causa della sua personalità chiusa, malinconica e sospettosa. Questo non aiuta a far riflettere su quello che riuscì a compiere come successore di Augusto. Egli riuscì infatti ad impedire, con il suo governo fermo, ordinato e rispettoso delle regole poste da Augusto, che l'opera di quest'ultimo avesse un carattere di provvisorietà ed andasse perduta. Egli era riuscito in questo regno di passaggio, a dare quella continuità necessaria, che altrimenti avrebbe potuto degenerare in nuove guerre civili, rimettendo ancora tutto in discussione e modificando nuovamente il modo di governare Roma e le sue province, come era accaduto ai tempi delle guerre civili tra Mario e Silla, tra Cesare e Pompeo, tra Antonio ed Ottaviano.
Titolatura imperiale
Ottenne nel corso degli anni:
- il titolo di Pontifex Maximus dal marzo del 15 d.C.;
- il consolato per 5 volte: nel 13 a.C., 7 a.C.,[16] 18 d.C. (insieme a Germanico), 21 (con il figlio Druso) e nel 31 (con Seiano);
- l'acclamazione ad Imperator per 8 volte: nel 9 a.C. la prima, poi nel 8 a.C., 6 d.C., 8, 9, 11, 13 e 16;
- la Tribunicia Potestas per 38 anni: dal 6 a.C. al 1 a.C.,[16][32] e poi dal 4 d.C. al 37.[32]
Tiberio descritto dai suoi contemporanei
Tacito e Svetonio
Tiberio viene descritto da Publio Cornelio Tacito (Annales) come un tiranno che incoraggiava la delazione come sistema, per ottenere favori o iniziare una carriera politico-amministrativa. Sempre a Tacito dobbiamo una descrizione del Tiberio in età avanzata, calvo e di corporatura magra, col volto cosparso di pustole; per questo motivo aveva una certa renitenza a mostrarsi in pubblico, e anche per questo motivo si ritirò a Capri.
Gli ultimi anni del governo di Tiberio, vengono descritti da Tacito come anni bui, in cui si poteva finire sotto processo anche semplicemente per aver parlato male dell'imperatore perfino in casa propria, purché in presenza di qualcuno che potesse testimoniare questo fatto. Anche Gaio Svetonio Tranquillo ne parla male mentre Velleio Patercolo lo descrive come un buon imperatore ed ottimo generale.
Tiberio nel Vangelo
Nel Nuovo Testamento, Tiberio è menzionato solo una volta, al capitolo Luca 3,1[33] del Vangelo secondo Luca, in cui si afferma che Giovanni Battista cominciò la sua predicazione pubblica nel quindicesimo anno del regno di Tiberio; tuttavia nei Vangeli ci si riferisce a Cesare (o all'Imperatore), senza ulteriori specificazioni, per indicare l'imperatore romano regnante.
Note
- ^ a b A lungo si è creduto che Tiberio fosse nato nella città aurunca di Fondi, dove la nonna possedeva una villa. Nacque in realtà, come testimoniano i Fasti e gli atti ufficiali, a Roma sul Palatino, nell'antica casa degli avi (Svetonio, Tiberio, 5; Antonio Spinosa, Tiberio, p. 16).
- ^ a b Svetonio (Tiberio, 5) riferisce che alcuni autori, contraddicendo i documenti ufficiali, raccontarono che Tiberio fosse nato nel 43 o nel 41 a.C.
- ^ a b Svetonio, Tiberio, 1.
- ^ Svetonio, Tiberio, 2.
- ^ Console e censore nella prima metà del III secolo a.C., diede, tra l'altro, inizio alla costruzione della via Appia e dell'omonimo acquedotto.
- ^ Svetonio, Tiberio, 3. Lo stesso Svetonio fa notare che l'unico Claudio a non appartenere alla fazione aristocratica fu il cesariano tribuno della plebe Publio Clodio Pulcro, che mutò infatti il suo nomen da Claudio in Clodio.
- ^ a b c d Svetonio, Tiberio, 6.
- ^ Le nozze ebbero, tuttavia, un notevole significato politico: Ottaviano sperava così di riavvicinarsi alla fazione degli antoniani, mentre l'anziano Tiberio Claudio Nerone intendeva, concedendo sua moglie a Ottaviano, allontanare sempre più il rivale da Sesto Pompeo, che era lo zio di Scribonia (Antonio Spinosa, Tiberio, p. 22-23).
- ^ Svetonio, Claudio, 1.
- ^ a b Antonio Spinosa, Tiberio, p. 22.
- ^ Erano le tribune da cui parlavano gli oratori.
- ^ a b c d Svetonio, Tiberio, 8.
- ^ Antonio Spinosa, Tiberio, p. 28.
- ^ Antonio Spinosa, Tiberio, p. 29.
- ^ Mazzarino, L'impero romano, p. 80;
Kohl, Klio, 1938, p.269. - ^ a b c Svetonio, Tiberio, 9.
- ^ a b c d e Antonio Spinosa, Tiberio, p. 38.
- ^ Strabone, Geografia, XVII, 821;
Cassio Dione, 54.9, 4-5;
Velleio Patercolo, Storia di Roma, II, 94;
Svetonio, Tiberio, 9,1. - ^ a b Antonio Spinosa, Tiberio, p. 39.
- ^ Augusto, Res Gestae Divi Augusti, 29:(latino)«Parthos trium exercitum Romanorum spolia et signa re[ddere] mihi supplicesque amicitiam populi Romani petere coegi.»(italiano)
«Costrinsi i Parti a restituirmi spoglie e insegne di tre eserciti romani e a chiedere supplici l'amicizia del popolo romano.» - ^ a b Antonio Spinosa, Tiberio, p. 40.
- ^ Cassio Dione, Storia di Roma 54.8, 1;
Velleio Patercolo Storia di Roma, II, 91;
Tito Livio, Ab Urbe condita, Epitome, 141
Svetonio, Augusto, 21; Tiberio, 9. - ^ Floro, Epitome di storia romana, 2.34.
- ^ Floro, Epitome di storia romana, II, 30, 23-25;
Cassio Dione, Storia romana, LIV, 20;
Velleio Patercolo, Storia di Roma, II, 97;
Svetonio, Augusto, 23;
Tacito, Annales, I, 10. - ^ Svetonio, Tiberio, 9; Claudio, 1.
- ^ Antonio Spinosa, Tiberio, p. 41.
- ^ CIL III, 3117.
- ^ Velleio Patercolo, Storia di Roma, II, 39, 3; Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LIV, 31, 3.
- ^ Probabilmente nel 10 a.C..
- ^ Svetonio, Vita dei Cesari, Tiberio, 7.
- ^ Cassio Dione, Storia di Roma, IV.9.5.
- ^ a b Mazzarino, L'impero romano, p.79.
- ^ Lc 3,1, su La Parola - La Sacra Bibbia in italiano in Internet.
Bibliografia
Fonti primarie
- Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, libri LIII-LIX.
- Floro, Epitome di storia romana.
- Strabone, Geografia.
- Svetonio, Vite dei Cesari: Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio.
- Tacito, Annales, libri I-X.
- Tito Livio, Ab Urbe condita libri, Epitome.
- Velleio Patercolo, Storia di Roma.
Fonti secondarie
- Cambridge Ancient History, L'impero romano da Augusto agli Antonini, trad. it., vol. VIII, Milano 1975.
- Santo Mazzarino, L'impero romano, vol. I, Bari 1976.
- Michael Grant, Gli imperatori romani, trad. it., Roma 1984.
- R. Syme, L'aristocrazia augustea, trad. it., Milano 1993.
- Lidia Storoni Mazzolani, Tiberio o la spirale del potere, Milano 1992.
- Antonio Spinosa, Tiberio: l'imperatore che non amava Roma, Milano 1991.
- H.H. Scullard, Storia del mondo romano, Milano 1992.
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