Johann Gottlieb Fichte

filosofo tedesco

Johann Gottlieb Fichte (19 maggio 1762 - 27 gennaio 1814), filosofo tedesco, continuatore del pensiero di Kant e iniziatore dell'idealismo tedesco. Fichte elimina la necessità per il soggetto della cosa in sé (noumeno), di cui parlava Kant: in questo modo la conoscenza non è più del fenomeno, ma diventa creazione del soggetto conoscente. È così che si crea l' idealismo: la realtà è un prodotto del soggetto pensante, in contrapposizione al realismo (gli oggetti esistono indipendentemente dal soggeto percepente). La sua opera più famosa sono i "Discorsi alla nazione tedesca" scritti nel 1807-8 nei quali sosteneva la superiorità culturale della Germania sulle altre nazioni e incitava il popolo tedesco a combattere contro Napoleone.

Johann Gottlieb Fichte

Biografia

Johann Gottlieb Fichte nacque a Rammenau nel 1762 da genitori molto poveri. Durante la sua infanzia fu costretto a lavorare come guardiano d'oche per aiutare la sua famiglia. Fu grazie al sostegno del barone von Miltitz che Fichte pote' incominciare gli studi. Il barone, rimasto stupefatto nell'udire il ragazzo ripetere a memoria un sermone (cui egli non aveva potuto udire), decise di aiutarlo. Dopo aver frequentato il ginnasio si iscrisse alla facolta' di teologia di Jena nel 1780, in seguito, si trasferi' a Lipsia. In questi anni gli aiuti del barone si fecero sempre piu' radi e Fichte dovette attraversare un periodo durissimo. Fichte visse facendo l'umiliante mestiere di precettore. Si trasferi' a Zurigo dove conobbe Johanna Rahn, che divenne in seguito sua moglie.

Nel 1790 uno studente gli chiese lezioni su Kant. Fichte poiche' non conosceva la Critica della ragion pura fu costretto a leggerla. Fu per lui una vera rivelazione, egli scrisse a proposito che questa scoperta lo rese ricchissimo interiormente, tanto da sentirsi "uno degli uomini piu' felici del mondo".

Fichte dopo aver scritto un'opera intitolata "[[Saggio di una critica di ogni rivelazione]]", in cui esponeva abilmente i principi della dottrina Kantiana, la consegno' a Kant stesso. L'editore lo pubblico' nel 1792 per intercessione di Kant ma non vi stampo' il nome dell'autore. L'opera venne quindi scambiata per un lavoro di Kant stesso. Quando Kant rivelo' l'identita' dell'autore, Fichte divenne immediatamente celebre e fu chiamato all'Universita' di Jena. In questi anni scrisse le seguenti opere:

  • Fondamenti della dottrina della scienza (1794)
  • Discorsi sulla missione del dotto (1794)
  • Fondamenti del diritto naturale (1796)
  • Sistema della dottrina morale (1798)

Nel 1799 un'aspra polemica sull'ateismo, scoppiata a causa del suo discepolo Forberg, lo investi', costringendolo a dare le proprie dimissioni. Fichte sosteneva che Dio coincide con l'ordine morale del mondo e che quindi e' impossibile dubitarne. Forbeg, aggiunse, che era possibile non credere in Dio pur essendo religiosi purche' si credesse nella virtu'.

Periodo berlinese

Fichte si trasferi' a Berlino dove visse dando lezioni private. Il suoi Discorsi alla nazione tedesca del 1808, in cui affermava il primato spirituale del popolo tedesco, lo resero nuovamente celebree. Nel 1820 fu nominato dal Re professore ordinario dell'Universita' di Berlino, e fu anche eletto rettore. Mori' nel 1814 di colera, contagiatogli dalla moglie, la quale aveva contratto la malattia curando i soldati negli ospedali militari.

Le critiche a Kant

La prima critica di Fichte al filosofo di Königsberg riguarda l'esistenza di un essere posto irrimediabilmente fuori dal soggetto. Tale esistenza sarebbe un limite non superabile per l'attività dello spirito e dunque per la sua libertà. Fichte considera la posizione kantiana ancora dogmatica e pertanto materialista e fatalista: il soggetto è passivo e assiste da spettatore agli eventi che lo determinano. L'idealismo celebra invece la libertà e l'indipendenza del soggetto rispetto a ciò che si trova al di fuori di lui perché l'io "si fa da sè stesso". Con questo Fichte vuole affermare ancora una volta come lo spirito non è prodotto né condizionato dall'essere. La filosofia infatti dovrà descrivere le varie tappe con cui l'essere produce l'essere come momento del pensiero.

La dottrina della scienza

L'Io di Fichte

Il concetto di Io corrisponde al momento in cui pensante e pensato sono presenti al pensiero come la medesima cosa. Pertanto soggetto e oggetto vengono a coincidere e non hanno più una connotazione che li differenzia: è questa l'essenza dell'idealismo di Fichte.

Pertanto, seguendo questa definizione e considerando che l'esperienza viene a coincidere con il pensiero assoluto, giungiamo alla conclusione che tutta la realtà finisce per risolversi nell'Io assoluto. Anche le categorie assumono un ruolo diverso: mentre per Kant esse avevano lo scopo di unificare il molteplice, per Fichte hanno lo scopo inverso di moltiplicare l'Io nella sua unicità.

L'io è un giudizio sia riguardo al corpo che l'anima sul bello, il buono, il giusto e l'utile; è l'ente che pensa questo giudizio e lo vorrebbe eterno. Dall'altro lato l'io è un agire che si scontra contro il tempo e contro il non-io in un'unica lotta per non cadere hegelianamente nel proprio contrario. Cadere nel non-io vuol dire identificarsi col mondo e perdere ciò che distingue l'io, gran parte (o tutta) la propria coscienza e libertà. Ogni ente, dirà Hegel, cade nel proprio contrario se non è e non è pensato in relazione ad esso. Relazionarsi a un tempo che scorre e a un non-io spaziale che muta comporta per l'io di muoversi e mutare per restare diverso da un mondo mutevole; differenziarsi dal mondo vuol dire agire continuamente; cambiare per 'io significa agire con azioni continuamente diverse.

Nell'attività pratica l'io determina il mondo, ma la forma continua nel tempo e continuamente diversa nello spazio di questo agire è invece determinata dal mondo. Propriamente questa è una delle prime conoscenze che l'io acquisisce nell'attività teoretica. Per non perdere libertà e coscienza l'io è costretto dal mondo ad agire e in modo continuamente diverso . L'io è unico e irripetibile ma nella mutevolezza delle sue azioni perde questa unicità e individualità. Fichte affermò che non "occorre cambiare il mondo, perchè il mondo cambia da solo". L'io è comunque costretto ad agire e mutevolmente, ma dovrebbe non voler questa costrizione a cambiare sè stesso e il mondo e prendere coscienza che dietro i suoi giudizi coscienti e il mondo, esiste un io che crea entrambi.

Quest'ansthoss (urto) contro il mondo porta però l'io a capire che l'opposizione al mondo è anche cercata, superare questi limiti e ostacoli è un po il senso che da alla sua vita; lo scontro forma l'io nel senso filosofico di portarlo a coscienza che l'io che pensa è solo una parte che si oppone al mondo di un'io più grande che contiene entrambi e li crea a nostra insaputa. Fichte parlò per primo di inconscio e produzione inconscia del mondo.

E' di questo tipo il conflitto fra chi ha un'idea del giusto che nella pratica delle azioni è costretto a violare, a chi cerca una bellezza del corpo e dell'anima che raggiunge con azioni e correttivi sempre diversi. Il conflitto è tra un io che ha dei tratti di personalità che vorrebbe eterni e un mondo dove non riesce a realizzarsi appieno perchè continuamente mutevole e mai totalmente controllabile e prevedibile.

Il conflitto non è innato nell'io che in sè è la sua libertà (e le sue idee- giudizi), ma nasce quando l'io ha davanti a sè un non-io che lo determina anche come agire. L'io perde la sua unicità non slo nella mutevolezza delle sue azioni, ma prima ancora quando da luogo a un non-io: già col non-io non è più uno, ma due.

L'io pone se medesimo

Nella filosofia aristotelica il principio su cui si fondava la scienza era il principio di non contraddizione: A != non A. La filosofia moderna e la stessa filosofia kantiana si fonda invece sul principio di identita': A == A.

Fichte afferma che quest'ultimo deriva a sua volta da un principio piu' generale: l'Io. Se non ci fosse l'Io non sarebbe possibile, infatti, affermare i primi due principi. E' l'io che pone il legame logico A == A, e che quindi pone A stesso, ma l'Io non e' posto da nessun'altro se non da se medesimo, cioe' si autopone: Io == Io. Quindi, l'Io essendo condizione di se' medesimo si auto-crea.

La differenza io-Dio diviene quantitativa. L'uomo ha un pensiero creativo che pone solo il mondo che ha davanti nella sensazione (lo spazio e il tempo che vede con gli occhi), uno spazio-tempo finito; Dio col Suo pensiero creativo crea (pone in essere) uno spazio-tempo molto più vasto se non infinito, tutto ciò di cui è a conoscenza, ossiaper essere creatore di tutto ciò che è (come afferma anche la teologia) deve anche essere cosciente di tutto ciò che è.

La concezione comune ci farebbe pensare che prima vengono le cose e successivamente le funzioni compiute dalle stesse, Fichte e' categorico nel rovesciare questa credenza. Cio' che viene comunemente chiamato cosa non e' altro che un risultato di un'attivita'. Nella metafisica classica si diceva: operari sequitur esse (l'azione consegue l'essere), Fichte ora afferma: esse sequitur operari (l'essere consegue l'azione).

L'io pertanto viene ad essere in quanto si autopone: l'essenza dell'io consiste proprio nell'essere autocosciente. L'Io Fichtiano e', quindi, l'intuizione intellettuale che Kant riteneva impossibile all'uomo poiche' coincidente con l'intuizione di una mente creatrice.

L'Io non e' l'io e l'intelligenza del singolo uomo empirico, ma l'Io assoluto da cui tutto deriva. Per questo motivo Fichte introdurra' altri due principi che dimostrano la molteplicita' degli Io individuali ne' tantomeno l'esistenza di un mondo esterno.

L'io oppone a sè un non-io

Ficthe giunge ad una seconda formulazione (antitesi):"L'Io pone nell'Io il non-Io". Il Non-Io rappresenta tutto cio' che e' opposto all'Io ed e' diverso da questo.

L'Io non si pone come qualcosa di statico ma si pone come ponente. Il "porsi come colui che pone" implica necessariamente la posizione di qualcos'altro e quindi lo scaturirsi di un non-io. Il non-io e' all'interno dell'Io poiche' all'infuori dell'Io non puo' esistere nulla.

Il non-io, a sua volta, limita l'Io, che diventa cosi' limitato e limitante, in quanto limita anch'esso il non-io.

L'opposizione nell'Io dell'io limitato al non-io limitato

Il terzo principio rappresenta il momento della sintesi.

L'opposizione del non-io all'Io non avviene in maniera netta, ma essi si limitano a vicenda, cosicche' si de-terminano.

L'Io assoluto e' quindi costretto a porre un Io empirico e divisibile da contrapporre al non-Io anch'esso divisibile. Si giunge cosi' alla formulazione della sintesi:"L'Io oppone, nell'Io, al non-io divisibile un Io divisibile"


La reciproca limitazione dell'io e del non-io spiega i meccanismi dell'attivita' conoscitiva sia di quella morale:

  • . L'Io determinato dal non-io fonda l'aspetto dell'attivita' conoscitiva.
  • . Il non-io determinato dall'Io fonda, invece, l'attivita' pratica.

Spiegazione dell'attivita' conoscitiva

Per Fichte l'immaginazione produttiva di Kant non e' altro che una la creazione inconscia da parte dell'Io degli oggetti. Essa e' quindi quell'attivita' che delimita l'Io e che crea la materia necessaria alla conoscenza. Proprio perche' quest'attivita' e' inconscia la materia ci appare come altro da noi (non ci identifichiamo in essa). La coscienza, successivamente, si riappropria del materiale prodotto dall'immaginazione produttiva, attraverso la sensazione, l'intuizione sensibile, l'intelletto e il giudizio.

Attraverso l'autocoscienza e' possibile avvicinarsi sempre di piu' all'"autocoscienza pura", cioe' alla coscienza dell'Io stesso.

Spiegazione dell'attivita' morale

L'oggetto, cioe' il non-io, si presenta all'uomo, nell'attivita' pratica, come un ostacolo da superare. L'Io deve limita il non-io: cerca cioe' di oltrepassare gli ostacoli. Il non-io diventa quindi il momento necessario per la realizzazione della liberta' dell'Io.

L'io potra' affermarsi solo in qualita' di superatore degli ostacoli, allo stesso modo l'uomo deve porsi da solo dei limiti e tendere alla perfezione, attraverso il superamento degli stessi per affermarsi realmente come individuo libero. La frase che raccoglie questo pensiero e' celeberrima:

   Essere liberi e' cosa da nulla: divenirlo e' cosa celeste.

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