La Crisi del gas del 2006 indica la tensione sussistente fra Russia e Ucraina, vertente sul prezzo del gas che la prima vende alla seconda. La crisi ha importanti riflessi sull'economia europea, poichè attraverso l'Ucraina passa il gasdotto che alimenta, tra gli altri, Italia, Ungheria, Austria e Repubblica Ceca.

Le radici della crisi

Con la vittoria di Viktor Yushenko, inviso al [[Cremlino] durante le elezioni presidenziali del 26 dicembre 2004, dopo la rivoluzione arancione, il baricentro politico dell'Ucraina si è spostata sempre più verso l'[[Unione Europea], alienandosi dall'influenza russa. L'Ucraina, però, era da decenni nell'orbita di Mosca e dipende dalla Russia per quanto riguarda l'energia. La maggior parte del gas ucraino, infatti, proviene dalla Gazprom russa, che vendeva il gas agli ucraini ad un prezzo di favore (50 dollari ogni 1000 metri cubi). Nel frattempo, però, l'Ucraina aveva ottenuto dalla UE lo status di economia di mercato, pertanto la Gazprom ha iniziato a tariffare il gas a prezzi di mercato, dapprima a 160 dollari, poi, dopo il rifiuto ucraino, a 230 dollari ogni 1000 metri cubi di gas. Questo aumento è stato da molti osservatori giudicato più politico che economico, poichè si tratterebbe meramente di un tentativo di legare l'Ucraina alla Russia con una sorta di assedio. L'inverno ucraino, freddissimo, è infatti alle porte.

Le conseguenze possibili

L'Unione Europea segue con attenzione l'evolversi della crisi: buona parte del gas importato in Europa dalla Russia, infatti, passa attraverso l'Ucraina, che ha minacciato di effettuare prelievi sul gas destinato all'Europa come pagamento dei diritti di transito (il 15% del totale). L'Ucraina si è inoltre appellata agli accordi di Budapest del 1994 e ai suoi garanti Gran Bretagna e Stati Uniti, con cui l'Ucraina cedeva alla Russia tutto il suo arsenale nucleare al fine di non subire pressioni politiche ed economiche da Mosca.
Il governo russo, tuttavia, ha tenuto a precisare che i diritti di transito sono già stati pagati dalla Gazprom, monopolista, e che gli accordi di Budapest riguardavano le minacce alla sovranità e alla integrità territoriale, e non gli accordi commerciali. Inoltre, alle voci che proponevano un aumento dell'affitto per le navi russe stanziate in Crimea, la Russia ha risposto che si metterebbero allora in discussione anche gli accordi territoriali con l'Ucraina.
La Russia, tuttavia, ha molto da perdere in una crisi con l'Ucraina, sia perchè potrebbe alienarsi le simpatie anche della parte russofona, sia perchè, se la crisi investisse l'Europa, ciò comporterebbe un irrigidimento dei rapporti, cosa che Mosca non vuole, soprattutto perchè il 1 gennaio 2006 è iniziata la presidenza di turno del G8.
Anche la Gazprom subirebbe svantaggi: si vuole, infatti, che gli investitori europei entrino nell'azionariato della compagnia, ma queste possibili e ricche entrate potrebbero venire impedite dal blocco del gas in Ucraina.
Tuttavia, anche l'Ucraina non ha da guadagnare da questa crisi: solo Yushchenko potrebbe ottenere un aumento dei consensi alle prossime elezioni politiche, mentre gli svantaggi graverebbero tutti sulle industrie, peraltro già in ginocchio e lontane dall'autarchia energetica.

Lo sviluppo della crisi

Il 30 dicembre 2005 Vladimir Putin propone all'Ucraina un compromesso: si ai prezzi di mercato, ma soltanto a partire dal 1 aprile 2006. Il presidente Yushchenko si è dichiarato possibilista, ma ha chiesto che i prezzi venissero prefissati. Tuttavia, Mosca ha interpretato questa richiesta come un tentativo di guadagnare tempo e ha dato via libera alla Gazprom per tagliare il rifornimento di gas agli ucraini. La mattina del 1 gennaio 2006 la Gazprom annuncia la chiusura dei rubinetti per Kiev, precisando che il gas europeo non avrebbe subito carenze. l'ente ucraino per l'energia ha però ribadito il contrario, sottolineando la possibilità, per l'Europa, di disagi nel rifornimento di gas. L'Europa, infatti, importa dalla Russia attraverso l'Ucraina il 25% del gas estero, e quasi l'80% delle importazioni dalla Russia.
Quello stesso giorno Yushenko afferma che il prezzo di 230 dollari è economicamente inammissibile, e poche ore più tardi la Gazprom annuncia la chiusura dei rubinetti.

Le conseguenze del taglio

Subito le forniture di gas in Europa, fuori dall'Ucraina, subiscono un brusco calo. Secondo la Mol, società del gas ungherese, la pressione sarebbe diminuita del 25%, spingendo i Paesi consumatori ad utilizzare le riserve di petrolio. La mossa di Yushenko apare ovvia: fare aumentare la pressione europea su Mosca, affinchè riaprano costruttivamente le trattative e i rubinetti.
Sul fronte diplomatico, intanto, le potenze europee si muovono: già il 30 dicembre Austria, Francia, Germania e Italia avevano chiesto a Russia e Ucraina di non coinvolgere l'Europa nelle proprie divergenze. Il 1 gennaio, invece, l'Italia, insieme con altri Paesi europei, hanno richiesto formalmente all'Ucraina di non impedire il flusso del gas.
Il 2 gennaio 2006La Gazprom annuncia che l'Ucraina ha prelevato abusivamente 100 milioni di metri cubi di gas destinato al mercato europeo: il governo ucraino ha però precisato che le forniture provengono da depositi sotterranei e dal Turkmenistan. Tuttavia non si esiterà a intervenire sul gas per l'Europa se le temperature scenderanno sotto lo zero. E intanto la crisi si allarga anche alla Moldavia, che non ha accettato i rincari proposti da Mosca (del cento per cento) e dal 1 gennaio è senza gas.

I numeri del taglio

Il 2 gennaio:

  • In Italia, l'ENI ha annunciato di avere registrato un calo sensibile nelle importazioni dalla Russia attraverso l'Ucraina, ma il governo ha affermato che la situazione è sotto controllo;
  • In Ungheria, il volume di gas è calato del 25%;
  • In Austria il calo è del 30%, ma il governo si è affrettato ad annunciare che l'emergenza sarà affrontata con le riserve;
  • In [[Romania], il volume di gas è calato del 30%, secondo fonti governative;
  • In Slovacchia e Polonia il calo è del 30% ma il governo ha annunciato di possedere riserve sufficienti per fronteggiare il calo.